Settembre 6th, 2015 Riccardo Fucile
LA DERIVA NCD VERSO IL ROTTAMATORE
Ancora una volta, Angelino Alfano, ministro e leader improbabile, ha trovato la sua isola del tesoro. Il renzismo, dopo il berlusconismo.
E così il ritornello dell’immortale canto piratesco si adatta perfettamente al destino dei centristi di governo: “Quindici seggi sulla cassa del morto”.
Dove il morto in questione è il partitino semi clandestino di Ncd, mai nato, e i quindici seggi sono quelli che il premier avrebbe promesso ad Area Popolare, la sigla parlamentare che fonde alfaniani e casiniani di Udc, in virtù della nuova legge Acerbo, ossia l’Italicum con il premio di lista.
La trattativa c’è,nonostante le smentite, e si avvale di importanti conferme bipartisan, sia dal fronte alfaniano, sia da quella della minoranza del Pd.
Racconta un bersaniano di Palazzo Madama: “Renzi ha promesso 15 posti di capolista, cioè blindati, ad Alfano, Casini e Cesa. In più bisognerà accontentare gli ex di Scelta civica e gli ex di Sel. Voglio vederlo, Renzi, in campagna elettorale a spiegare ai nostri elettori che devono votare Alfano, mentre noi non ci saremo”.
Lo scenario non è per nulla campato in aria.Anche perchè,l’altro giorno, nel vertice di Palazzo Chigi con la triade Alfano, Schifani e Lupi sulle riforme, il premier si sarebbe rifiutato, per l’ennesima volta, di legare il ddl Boschi all’araba fenice del premio di coalizione.
Tutto porta al Partito della Nazione e in questo contesto la battaglia interna di Schifani e Lupi, rispettivamente capigruppo di Senato e Camera, per ritornare a destra non ha grosse possibilità . Anzi.
Rivelano i malpancisti di Ncd: “Il sì di Schifani e Lupi alle riforme senza nulla in cambio segna la fine del nostro partito. Ormai siamo al funerale”.
I democristiani sono persone che vanno sempre al sodo. Qui non si tratta del merito delle riforme costituzionali o delle unioni civili, ma di posti, semplicemente.
Attualmente i parlamentari di Area Popolare sono 69: 34 alla Camera e 35 al Senato. Tolti i quindici seggi futuri nell’unica Camera decisionale prevista dal renzismo, restano 54 centristi allo sbando e avvelenati, che sanno già di non essere rieletti.
Una mina in più sul cammino del ddl Boschi,bersaniani a parte.
Ovviamente, l’arena di guerra è a Palazzo Madama.
Roberto Formigoni è incazzato nero, così come il suo collega Luigi Compagna e finanche Carlo Giovanardi, che ieri ha ribadito che non entrerà mai nel Pd.
Altra enclave bellica è quella calabro-pugliese-lucana di Gentile e Viceconte che a seconda del bisogno potrebbe diventare verdiniana oppure sposare la strategia di Schifani a favore del centrodestra.
Poi c’è il fondamentale capitolo siciliano: i due sottosegretari indagati, Simona Vicari (legatissima a Schifani ha però rotto traumaticamente con l’ex presidente del Senato) e Giuseppe Castiglione, avrebbero già incassato la garanzia solenne di Alfano.
Fabrizio D’Esposito
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Settembre 6th, 2015 Riccardo Fucile
FINALMENTE CONFINDUSTRIA HA UN SUO RAPPRESENTANTE COME PREMIER
Poche le voci fuori dal coro tra gli applausi e le 21 domande prevalentemente da volti amici come quelli di Emma Marcegaglia, Davide Serra, Luisa Todini e Maria Patrizia Grieco che hanno accolto Matteo Renzi nel vituperato “salotto” di Cernobbio.
Dove il presidente del Consiglio, a un anno dal gran rifiuto al grido di “preferisco andare dove si produce” e introdotto dall’applauso (su richiesta del moderatore Gianni Riotta), sabato è entrato a gamba tesa guidato dal consigliere Andrea Guerra che ben conosce l’ambiente, per lanciare un messaggio chiaramente bellicoso a Bruxelles che lo attende al tavolo delle trattative sulla legge di Stabilità , sul quale già pesa l’annunciato funerale delle tasse sulla casa e il possibile sforamento del tetto del 3% del rapporto deficit/Pil.
Ai banchieri e agli assicuratori, che vorrebbero tastare il polso del peso dell’Italia a Bruxelles quando sono in gioco le nuove regole che potrebbero condizionare i risultati delle loro imprese, invece, fa soltanto sapere che “il tempo dei salotti buoni è finito, è finito anche il tempo degli amici degli amici e quello dei patti di sindacato”.
E a chi, tra gli imprenditori come Riccardo Illy, gli fa notare che tagliare le tasse sulla casa “porta male”, proponendo invece una sorta di credito d’imposta per le imprese che non staccano dividendi agli azionisti, risponde che i capisaldi della legge di Stabilità non si toccano.
Anzi, qualcuno dei presenti in sala sostiene addirittura che abbia detto che togliere le imposte sulla casa “dà fiducia“.
Di sicuro non si è lasciato scalfire dall’influente donna d’affari Ornella Barra che gli ha chiesto conto delle riforme da fare, nè dalla schermaglia con Roberto Maroni che lo ha invitato a prendere esempio dalla Lombardia.
Nè tanto meno dalla silenziosa presenza dei suoi predecessori Enrico Letta e Mario Monti.
Sarà stato il messaggio a Bruxelles sintetizzato nell’esordio “l’Italia ha cambiato pagina e lo ha fatto in un anno, è cresciuta e ora tocca all’Europa fare la sua parte”, o l’invito a “smetterla di piangersi addosso e di credere che questo sia il Paese degli alibi”.
O ancora l’espressa intenzione di “lavorare duro. L’Italia è una miniera di opportunità ”. O più semplicemente il suo battere ripetutamente su burocrazia e imposizione fiscale.
Fatto sta che dalla sala arrivano commenti come quelli dell’ad di Banca Ifis, Giovanni Bossi, secondo il quale Matteo Renzi si è conquistato “la platea di Cernobbio: energia e messaggi positivi. Un anno fa non venne. Tanto cambiamento”, twitta all’uscita il banchiere.
“Bravo Renzi: chiaro, semplice, orientato all’azione”, gli fa eco il presidente dell’Enav, Nani Beccalli Falco. “Ha detto quello che volevamo sentirci dire”, spiega il numero uno di General Electric per Italia e Israele, Sandro De Poli, secondo il quale con questo governo “diventiamo un Paese normale, se non addirittura attrattivo”.
Al coro pressochè unanime si sono uniti nomi dell’imprenditoria di Stato come il numero uno dell’Enel, Francesco Starace, i presidenti di Eni e Poste, Emma Marcegaglia e Luisa Todini, l’amministratore delegato delle Ferrovie, Michele Mario Elia (“lo sposiamo in pieno”), ma anche quelli di banchieri come Gian Maria Gros-Pietro di Intesa ( “il Governo ha fatto molte cose in poco tempo”) o Federico Ghizzoni di Unicredit, per il quale “i numeri parlano da soli” e tra le principali richieste degli imprenditori c’è stata quella di “proseguire con le riforme, rendere il business più facile e snello, proseguire con quello che si sta facendo. Non sono arrivate domande polemiche”.
Applausi anche dal presidente di Telecom Italia, Giuseppe Recchi che parla di “velocità di azione nuova rispetto al passato”, senza nessun apparente riferimento alla banda larga. Insomma, Renzi a Cernobbio fa il pieno di entusiasmo.
Gli riuscirà anche a Bruxelles?
F. Baraggino e G. Scacciavillani
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Settembre 6th, 2015 Riccardo Fucile
NEONAZISTI RESPINTI DALLA POPOLAZIONE A MONACO E DORTMUND: LA POLIZIA LI DEVE PROTEGGERE DALLA FOLLA
Le centinaia di persone che sono partite da Vienna con le proprie auto per aiutare i profughi in Ungheria ad arrivare in Austria e Germania hanno cominciato a caricare le prime famiglie.
L’iniziativa #CarsOfHope dei volontari ha attraversato i social network per raggiungere i migranti in marcia e portarli in territorio ‘sicuro’.
Ai profughi vengono portati anche beni di prima necessità : acqua e cibo, abbigliamento e peluche per i bambini, biglietti con i numeri di telefono di avvocati pronti all’assistenza legale in caso di arresto.
Nelle stesse ora un’altra tragedia si consumava a largo della Libia, un gommone carico di rifugiati si è sgonfiato prima dell’arrivo dei soccorsi e almeno una ventina di persone sono cadute in acqua, secondo le testimonianze dei superstiti arrivati a Lampedusa.
Il convoglio di almeno 250 automobili di volontari austriaci è partito in giornata da Vienna.
La polizia ungherese ha avvertito che le persone che partecipano all’iniziativa corrono il rischio di incorrere nella violazione delle leggi sul traffico di esseri umani, ma anche le autorità erano al lavoro per dirigere il traffico e garantire sicurezza.
Il convoglio passerà in Ungheria dopo avere fatto tappa al centro di accoglienza di Nickelsdorf, sul territorio austriaco ma vicino al confine ungherese.
A Monaco e Dortmund, in Germania, gruppi neonazisti hanno provato oggi a recarsi alla stazione per accogliere i rifugiati in arrivo con proteste xenofobe ma i loro tentativi sono falliti, sia per la resistenza opposta dalla maggior parte della popolazione, sia per l’intervento della polizia.
A Dortmund 30 neonazisti hanno provato a manifestare ma la polizia ha impedito loro di arrivare alla stazione. Tuttavia successivamente gli agenti si sono ritrovati a dovere proteggere i 30 dalla folla inferocita.
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Settembre 6th, 2015 Riccardo Fucile
“L’ONESTA’ E’ LA PRIMA COSA, RISPETTA LA LEGGE, STUDIA E AIUTA CHI HA BISOGNO E VEDRAI CHE NELLA VITA CE LA FARAI”: IL NOBILE TESTAMENTO MORALE DELL’UCRAINO UCCISO PER SVENTARE UNA RAPINA
Chi ancora stenta a considerare gli immigrati una risorsa anzichè un fardello, dovrebbe soffermarsi sulla saggezza di questa adolescente.
Ha quindici anni, una pagella con la media del 9 nonostante sia in Italia da appena 6 anni e si chiama Anastasia, come la figlia dell’ultimo zar di Russia.
Per suo padre è sempre stata la principessa di casa, e ora che lui non c’è più, sacrificato sull’altare di una profonda coscienza civile che lo ha spinto a pagare con la vita il tentativo di sventare una rapina, dimostra la stessa nobiltà d’animo.
«Appena ci hanno informato che i due rapinatori erano stati arrestati ho abbracciato forte mia madre e abbiamo pianto. Ma non c’è odio nel nostro dolore, solo tanta disperazione perchè mio padre non tornerà mai più tra noi».
Al telefono da Koodiyvka – piccolo paese dell’Ucraina a 500 chilometri da Kiev, vicino al confine moldavo – dove oggi a mezzogiorno verrà officiato il funerale di suo padre, Anastasia Korol, che in Italia è assistita dall’avvocato Giuseppe Gragniagnello, parla sottovoce ma in modo limpido, chiaro, solo a tratti interrotto dall’emozione.
La pronuncia è perfetta. «Anche se sono nata in Ucraina, il mio Paese è l’Italia. Una settimana fa l’avrei voluta abbandonare perchè in Italia mio padre ha trovato la morte, ma poi con mia madre abbiamo capito che è nostro dovere realizzare il suo sogno di riscatto. Dobbiamo fare quello che lui avrebbe voluto».
Le speranze di Anatoliy Korol sono arrivate al capolinea mentre lui aveva solo 38 anni.
A Castello di Cisterna, nel napoletano, c’era arrivato 9 anni fa.
Al suo paese guidava il trattore su un suo pezzo di terra, mentre la moglie Nadiya contava di mettere in pratica la sua laurea in Economia. Ma la crisi e il desiderio della terra promessa li ha spinti a tentare la fortuna in Italia.
«Prima è arrivato mio padre, tre mesi dopo mia madre che però non ha trovato un lavoro adeguato alla laurea e così ha iniziato a fare le pulizie in casa. Io per tre anni sono rimasta in Ucraina con i nonni, poi quando avevo 9 anni li ho raggiunti».
Passato e presente si alternano nel racconto di Anastasia e il pensiero corre di nuovo ai due giovani fermati: «Uno ha appena 5 anni più di me. Dice cha ha ucciso perchè sono poveri, che a casa hanno i mobili vuoti. E noi che cosa siamo? Mio padre lavorava come muratore dalla mattina alla sera e mai in nero, sempre con il contratto in regola.
“L’onestà è la prima cosa, tu pensa a rispettare la legge, a studiare e ad aiutare chi ha bisogno e vedrai che nella vita ce la farai” mi diceva. E così avrebbe educato anche la mia sorellina di 18 mesi. Ma questo non sarà possibile. Per fortuna avremo tanta gente che ci aiuterà , non potremo mai dimenticare quanto stanno facendo per noi i carabinieri, il sindaco di Castello e il proprietario del supermercato dov’è avvenuta la rapina».
Anastasia ha frequentato le medie a Pomigliano grazie a una borsa di studio, finito il liceo scientifico vorrebbe frequentare l’università per diventare ostetrica.
Ma per ora dovrà già affrontare la prima rinuncia: «Il primo giorno di scuola sarò assente perchè qui in Ucraina dobbiamo sbrigare molte pratiche. Senza di lui non sarà la stessa vita».
Grazia Longo
(da “La Stampa”)
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Settembre 6th, 2015 Riccardo Fucile
RAWDA: “SONO STREMATA, MA ADESSO MI SENTO COME IN PARADISO”
Esiste una stazione felice in Europa. Si chiama Westbahnhof e non ha niente di speciale: due scale mobili, dieci binari, periferia Est di Vienna.
Ma ha questa gente che continua ad arrivare, fino a tarda sera.
Il signor Hainz Waldstatten, piccolo negoziante di elettrodomestici, con 50 euro «per i biglietti dei rifugiati».
La signora Karin Haider che soffia bolle di sapone nel cielo grigio. Schaimaa Soliman, una ragazza egiziana con un cartello al collo: «Posso fare traduzioni per chi ne ha bisogno».
E piove, ma risuona forte la canzone di un cantante siriano che si chiama Adan: «Conosco una città meravigliosa, il suo nome è Sham». Sham è Damasco. E questa è la fine del viaggio.
La festa
Dopo 33 giorni, la signora Rawda Al Qadri e il figlio Youssef, che dorme nel passeggino, smettono di avere paura.
«E’ stato terribile, terribile», ripete appena scesa dal treno. «Sono stanchissima, ma adesso mi sento come in paradiso».
Dice esattamente così, seduta su una panchina dell’atrio centrale. Mentre gli studenti viennesi le portano tè, biscotti, acqua, frutta, latte, caffè, qualsiasi cosa.
«Non saprei dire il momento peggiore. Scappando dalla Siria, ci hanno sparato. Abbiamo tentato tre volte l’attraversata per l’isola di Kos, prima di farcela. In Macedonia abbiamo camminato 50 chilometri a piedi. Ma l’Ungheria non potrò mai dimenticarla: i poliziotti hanno picchiato mio marito per obbligarlo a lasciare le impronte digitali. Ci urlavano continuamente: “State zitti, state zitti!“. Non avevano pietà nemmeno per mio figlio».
L’aiuto dei viennesi
Il figlio dorme beato, perchè questo è un sabato felice dentro una stazione felice, dove tutti si stanno dando da fare.
Un ragazzino di nome Amir Hosai Amadi da Herat, Afghanistan, sta provando una giacca nuova, tra tutte quelle che sono state portate dai cittadini. E il padre Nader ringrazia, mentre gli offrono sigarette. E il rumore dei treni che vanno e vengono suona dolce, perchè è il rumore della libertà .
In coda per donare i biglietti, c’è anche una ragazza italiana, Paola Battipede, lavora all’ambasciata, vive a Vienna da dieci anni: «Ho sofferto molto in questi giorni, vedendo le immagini del grande esodo. Essere qui mi sembra il minimo. Anche io vivo fuori casa. So cosa significa essere soli. E loro sono stati costretti a partire».
La cassetta della raccolta fondi è zeppa di banconote da 50 euro. E non si vedono che sei poliziotti nel raggio di 100 metri. E nessuno ha paura del prossimo, al punto che deve essere un sogno.
Invece no: 6.500 profughi sono arrivati ieri in Austria, dopo l’incredibile marcia del giorno precedente. Alle 2 del mattino potevi vederli ancora accampati sul ciglio dell’autostrada M1, sotto la pioggia, infagottati dentro sacchi neri dell’immondizia.
Il primo ministro Orbà¡n ha mandato dei pullman per toglierli da lì.
Ma è stato davvero complicato convincere i profughi ad accettare il passaggio: non si fidavano. Sono saliti solo dopo molte rassicurazioni. Era veramente un trasferimento di massa verso il confine con l’Austria.
Si sono formate code lunghissime alla frontiera, anche 9 chilometri. Proprio per consentire il passaggio di consegne con le autorità austriache.
Orbà¡n però, sempre ieri, tramite il suo portavoce Zoltan Kovacs, ha tenuto a precisare: «La misura è stata unica ed eccezionale, resa possibile da una concertazione con il cancelliere austriaco Werner Cayman».
Una nuova ondata
Non manderanno altri autobus. Continueranno a vietare ai rifugiati l’ingresso alla stazione Keleti. Infatti, Budapest, nel giro di poche ore, era già tornata ad assomigliare a se stessa: almeno altri 400 migranti si sono messi in marcia sulla stessa autostrada. E guardando in direzione Sud, osservando il fiume alla foce, i numeri erano i seguenti: 2180 persone hanno passato il confine fra Serbia e Ungheria, 4 mila hanno attraversato quello fra Grecia e Macedonia. Un’altra onda umana si sta formando.
Ma ora, quello che conta è qui, sotto gli occhi del mondo. Questi applausi, gli abbracci.
Le torte fatte in casa dalla signora Nika Sommeregger, di mestiere regista teatrale: «Avevo il cuore spezzato vedendo tutta quella gente trattata in maniera così disumana. È stata un’enorme vergogna. Dovevo fare qualcosa».
Si possono accogliere 6.500 persone con semplice generosità . Pane e cioccolato. E puoi trovare fra chi accoglie Edman Swan da Damasco, un ragazzo che ha fatto il medesimo viaggio un anno fa. Vive a Vienna: «Sono felice qui. Studio, vado avanti».
Il prossimo treno in partenza per Salisburgo sarà quello di Ayaz Morad da Kobane, Siria. Lui era il ragazzo in prima fila durante l’esodo sull’autostrada.
E’ arrivato alle cinque di mattina, ha dormito in stazione. Conosce bene l’inglese, ha aiutato tutti, senza mai togliere il piccolo zainetto nero dalle sue spalle: «Non dimenticherò mai questi giorni. Porterò sempre nel cuore queste persone che ci hanno accolto».
Durerà poco, continuerà a piovere, arriveranno altri giorni duri. Però questo è un sabato memorabile.
Ci sono quattro ragazze sorridenti, con i capelli biondi tirati indietro, le felpe con i cappucci e uno striscione colorato nelle mani: «Welcome Friends».
Benvenuti in Europa.
Niccolò Zancan
(da “La Stampa”)
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Settembre 6th, 2015 Riccardo Fucile
VETTURE DI NORMALI CITTADINI IN MARCIA PER TRASPORTARE I PROFUGHI… IN POCHE ORE 13.000 PERSONE HANNO LASCIATO L’UNGHERIA PER L’AUSTRIA
Un convoglio di almeno 250 auto di volontari austriaci è partito da Vienna diretto al confine con l’Ungheria.
L’obiettivo, spiegano i media ungheresi, è quello di raggiungere i profughi, farli salire a bordo e portarli in Austria.
La polizia ha avvertito che le persone che partecipano all’iniziativa corrono il rischio di incorrere nella violazione delle leggi sul traffico di esseri umani, ma anche le autorità erano al lavoro per dirigere il traffico e garantire sicurezza.
Il convoglio passerà in Ungheria dopo avere fatto tappa al centro di accoglienza di Nickelsdorf, sul territorio austriaco ma vicino al confine ungherese.
“Non temiamo l’arresto”.
Uno degli organizzatori della campagna, l’austriaco Kurto Wendt, ha detto di non temere l’arresto in Ungheria. “Chiunque volesse arrestarci sarebbe pazzo visto che sosteniamo quello che hanno deciso politicamente, cioè di fare entrare le persone in Austria. Il rischio che corriamo è così piccolo se paragonato e quello che stanno affrontando i migranti”, ha detto.
Rispondendo poi alla domanda sul perchè andare incontro ai migranti se loro possono prendere bus e treni per il confine austriaco, Wendt ha risposto: “Dieci bambini sono stati rioverati nella notte. La gente ha fame, ha vestiti non adatti. Ogni giorno che non porti persone al sicuro potrebbero morire, per questo dobbiamo agire subito”.
Migliaia di migranti in viaggio.
Intanto diverse centinaia di profughi hanno lasciato i 5 campi di accoglienza ungheresi per raggiungere il confine.
La società ferroviaria austriaca à–bb ha trasportato ieri dall’Austria in Germania 11mila migranti provenienti dall’Ungheria, mentre altri 2.200 sono in viaggio in queste ore, portando a oltre 13mila il totale di persone che hanno attraversato la frontiera tra Ungheria e Austria da ieri mattina.
Da Budapest stamattina sono partiti diversi treni con qualche migliaio di rifugiati a bordo, destinati alla città ungherese di Hegyeshalom, al confine con l’Austria.
L’apertura delle frontiere.
Ieri un flusso umano ha raggiunto le città tedesche e austriache, dopo la decisione di Germania e Austria di aprire le frontiere.
I profughi arrivati alle stazioni di Monaco di Baviera, Francoforte, Vienna e Salisburgo sono stati accolti con applausi, giochi per i bambini e generi di conforto. Solidarietà per i migranti anche oggi a Budapest: nella stazione centrale affollata di persone in attesa di partire per Hegyeshalom, al confine con l’Austria, cittadini ungheresi offrono panini e cioccolata.
“Tranquilli, c’è solo formaggio, niente carne di maiale”, assicura una signora ad un profugo siriano. Due minivan di volontari tedeschi arrivati da Monaco distribuiscono all’esterno peluche, cibo e vestiti.
Il Papa.
Oggi il Papa ha chiesto ad ogni “parrocchia di accogliere una famiglia di profughi. “Qualsiasi cosa possiamo fare per aiutare queste persone disperate, dovremmo farla, sia individualmente che come gruppo o come governo”, ha commentato l’ex segretario generale dell’Onu Kofi Annan.
(da agenzie)
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Settembre 6th, 2015 Riccardo Fucile
QUELLI CHE PENSANO SOLO A SCROCCARE ALL’EUROPA E QUELLI IMPEGNATI SOLO AD ACCRESCERE LE LORO RICCHEZZE CON LE GUERRE DEGLI ALTRI
Gli indifferenti.
Quelli che per tornaconto fingono d’ignorare il loro recentissimo passato e pensano che Europa sia ottenere e non anche dare.
E quelli troppo impegnati a coltivare la loro immensa ricchezza, accrescendola con le guerre degli altri, per accorgersi della sofferenza umana alle porte di casa.
È chiaro che qui il tema non è l’insensibilità populista a fini elettorali di Matteo Salvini. No, è qualcosa di molto più importante, più grave e pericoloso dei comizi leghisti.
È l’indifferenza di governi e popoli interi di fronte alla tragedia dei profughi di Siria e degli altri conflitti; insensibili al loro desiderio di avere un futuro economico; alla commovente determinazione di vivere, attraversando mari, scalando muri, marciando a piedi, conquistando il posto in un treno senza essere certi della destinazione finale. Abbiamo tutti paura di una migrazione di questa grandezza: la differenza fondamentale che distingue gli indifferenti è l’assenza di pietà .
Ne esistono di due categorie geopolitiche
Gli indifferenti ingrati.
Sono gli europei dell’Est che con l’aiuto del’Ovest hanno riconquistato la libertà da meno di una generazione. Per il loro sviluppo e la loro integrazione è stata creata una banca europea, sono stati stanziati aiuti economici, firmati accordi commerciali, aperte le nostre frontiere alla loro manodopera, offerta una moneta comune anche quando sarebbe stato più vantaggioso per noi attendere.
E quando la nuova Russia è tornata ad essere per loro una minaccia, la vecchia Europa ha imposto dolorose sanzioni economiche a Vladimir Putin.
Attraverso la Nato molti Paesi europei hanno deciso di rafforzare anche la sicurezza militare dell’Est. In nome di una solidarietà e di un’integrazione che per noi non ha prezzo
Per polacchi, repubbliche baltiche, cechi, slovacchi, ungheresi il prezzo c’è, eccome. Chi più chi meno indifferenti ingrati, capaci di pretendere in nome dell’Europa e avari nel dare all’Europa; soci con quote di partecipazione irrilevanti o nulle nella divisione dei compiti di fronte a questa invasione pacifica e disperata.
Così egoisti da dimenticare che sono loro ad avere bisogno dell’Europa più di quanto noi di loro.
Gli indifferenti grassi e ricchi.
È l’Arabia Saudita, il Qatar, gli Emirati, il Kuwait. Sono le loro politiche, le loro lotte di potere, le rivalità religiose ad aver creato la tragedia migratoria mediorientale, più degli errori — evidenti- delle potenze europee e degli Stati Uniti.
Sono loro, con il loro denaro, a fomentare le guerre civili, preferendo il caos all’eventualità che nella loro regione possa nascere un modello minimamente democratico.
La dimostrazione del loro fallimento politico e sociale è un dato diffuso dalle Nazioni Unite: con una popolazione che non supera il 5%, il Medio Oriente produce il 53% dei rifugiati del mondo.
L’emiro del Kuwait aveva organizzato a marzo una conferenza internazionale per l’aiuto ai 12 milioni di profughi siriani.
Lo stesso Kuwait che partecipa ai bombardamenti dello Yemen, contribuendo a produrre altri rifugiati.
Ci sono campi profughi in Libano e Giordania, paesi che non hanno risorse e mettono in gioco la loro stabilità .
Ma non risulta esistano centri di raccolta e soccorso alle porte di Riad, di Doha.
A Dubai il Burj Khalifa non è un grattacielo abbastanza alto per scorgere la disperazione di milioni di siriani: arabi, musulmani e sunniti come i sauditi, i qatarini e i milionari degli Emirati.
Eppure queste società incompiute avrebbero bisogno delle migliaia di giovani siriani diplomati che rischiano la vita per raggiungere la Germania ma non il Golfo dalle ricchezze stratosferiche.
Ugo Tramballi
(da “il Sole24ore“)
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Settembre 6th, 2015 Riccardo Fucile
IL RACCONTO DELL’AGENTE DELLA GENDARMERIA TURCA
«Quando abbiamo visto questi bambini, inerti, sul bagnasciuga, abbiamo pensato ai nostri figli. Li abbiamo presi dalla sabbia con molta tenerezza, come se stessimo tenendo i nostri piccoli. Per ognuno di questi casi sperimentiamo lo stesso dolore. Ma non possiamo fare niente»
Con grande pietà , facendo il proprio dovere.
Parlano, per la prima volta, i poliziotti della Gendarmeria turca che hanno raccolto i corpi di Alan Kurdi e del fratello Galip su una spiaggia poco distante da Bodrum. L’agente che ha preso nelle sue braccia Alan, come si vede nelle immagini della fotografa Nilufer Demir che hanno fatto il giro del mondo e forse impresso una svolta nell’approccio al problema dei profughi, è anch’egli un padre, come ha raccontato a Hurriyet .
Il quotidiano turco conosce il suo nome e cognome, ma non lo divulga, e lo ha chiamato con un nome di comodo, “Mehmet”.
È un membro delle Forze armate turche, ha il grado di “sergente tecnico” e lavora per la squadra della Gendarmeria forense di Bodrum.
È lui che per primo, all’alba del 2 settembre scorso, ha visto la scena con i corpi di Alan e, poco distante, sullo stesso lembo di sabbia, suo fratello Galip
«Ho fatto il più delicatamente possibile». Mehmet racconta di aver svolto il suo lavoro con il cuore che batteva, poi è tornato in caserma, e insieme al gruppo di agenti con cui aveva condiviso questa tragedia, non ha potuto trattenere le lacrime che aveva frenato prima a stento.
Anche il segretario di Stato Usa, John Kerry, in un’intervista all’ Huffington Post ha raccontato «quando ho visto la foto di Alan ho pensato a mio nipote».
Scrive la giornalista Banu Sen: «Su quella spiaggia hanno portato il peso dell’umanità ».
Racconta ancora uno dei componenti della squadra di militari, quando succede un caso del genere, e purtroppo non è l’unico vista ora anche la ressa di giornalisti sulle spiagge turche: «Ci sentiamo impotenti. Il problema è che molti altri profughi stanno aspettando di attraversare il mare. Si prendono un rischio, sfidano la morte. Cerchiamo di fare il nostro meglio, ma non siamo abbastanza.”
Marco Ansaldo
(da “La Repubblica”)
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Settembre 6th, 2015 Riccardo Fucile
LA LEADERSHIP DELL’EUROPA SI ASSUME SFIDANDO PAURE E STAGNI MENTALI
Ci sono tutti gli ultimi settant’anni di storia tedesca, e dunque anche della nostra storia, della storia di noi europei, dietro gli applausi con cui la gente ha accolto alla stazione di Monaco di Baviera i profughi siriani reduci dall’ultimo muro
C’è la paura e la comprensione profonda, marchiata nei nostri geni, degli orrori della guerra da cui loro stanno fuggendo come noi siamo fuggiti settant’anni fa.
C’è la vergogna per le sofferenze e le umiliazioni che hanno dovuto patire in un Paese, l’Ungheria, che pure si proclama europeo.
C’è la memoria esaltante dell’ultima “grande fuga” liberatoria che ha costruito l’Europa: quella seguita al crollo del muro di Berlino e delle dittature comuniste.
C’è l’empatia istintiva per chi arriva in un mondo nuovo e sorride, e ci vede luci di speranza che in noi si sono forse offuscate.
Ma soprattutto c’è l’orgoglio di dire: ecco, non abbiamo costruito tutto questo, la pace, il benessere, la libertà , per chiuderli in una fortezza ma per offrirli a chi vuole capire e condividere i valori per cui ci siamo battuti.
C’è, molto semplicemente, la soddisfazione e il coraggio non tanto di essere buoni, ma di essere giusti.
Questo coraggio, e qui parliamo di vero coraggio politico, ha oggi il volto assai discusso di Angela Merkel.
Non è stato facile, per la cancelliera tedesca, decidere l’altra notte di aprire le frontiere della Germania. Come non è stato facile, per Renzi, all’indomani degli ottocento morti sulla nave capovoltasi nel Mediterraneo, andare a Bruxelles e dire: non possiamo più respingerli, dobbiamo salvarli costi quel che costi.
Ci sono prezzi da pagare, per queste scelte. E non sono solo i dieci miliardi di euro che l’accoglienza dei profughi sottrarrà quest’anno al bilancio tedesco.
Sono le paure, le angosce, le fobie di un popolo europeo che per troppi anni si è cullato, ed è stato cullato, nell’illusione che nulla, mai più, sarebbe cambiato se non in meglio.
E soprattutto che nessun cambiamento avrebbe mai più richiesto nuovi sforzi, nuove fatiche, fosse anche solo quella di rimettersi in discussione.
Sfidare queste paure, smuovere le acque di questo stagno mentale, vuol dire, oggi, assumere la leadership dell’Europa.
C’è chi lo sta facendo, e chi no
Il sorriso felice ed incredulo del bimbo siriano in braccio alla madre, che stringe al petto il cagnone di peluche ricevuto da uno sconosciuto alla stazione di Monaco fa da contrappasso, non solo emotivo, al corpicino senza volto e senza vita del piccolo Alan affogato al largo della Turchia.
Vuol dire che quella gente si può salvare.
Vuol dire che loro possono continuare a sperare in un futuro diverso. E noi con loro, grazie a loro.
Costruire questo futuro di fronte a un terremoto demografico come quello che stiamo vivendo è il compito della nuova leadership che i lunghi mesi della tragedia migratoria stanno facendo lentamente emergere in Europa.
Ma per costruire il domani, e non sarà facile, la leadership europea deve ritrovare le ragioni, le emozioni e le speranze che sono sepolte nel nostro passato.
Non le radici cristiane, invocate da Orbà¡n per erigere muri contro i disperati in fuga, ma le radici umanistiche, solidali, libertarie, democratiche, che insieme ai veri valori cristiani hanno costruito il volto luminoso di questo Continente bifronte.
La storia dell’Europa è quella di un perenne confronto tra le sue due anime: paura, rabbia e disprezzo da una parte; speranza, rispetto e solidarietà dall’altra.
La tragedia dei migranti ci costringe ancora una volta a scegliere.
Non ci sono vie di mezzo: non si può accogliere i migranti avendone paura. Non si può respingerli fingendo di rispettarli.
Non solo i nostri governi, ma tutti noi, nelle nostre case, davanti ai nostri televisori, sulle piazze delle nostre stazioni prese d’assalto, dobbiamo scegliere.
I leader di domani saranno quelli che ci aiuteranno a farlo.
Andrea Bonanni
(da “il Corriere della Sera”)
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