Settembre 15th, 2015 Riccardo Fucile
RENZI ACCELERA: TESTO SUBITO IN AULA, MA GRASSO LO LASCIA AL BUIO…. LA MARCHETTA DI CALDEROLI PER SALVARSI DALLA MESSA IN STATO D’ACCUSA
La scelta di Denis Lo Moro di abbandonare il tavolo del Pd sulle riforme costituzionali in Senato è stata vissuta come una “liberazione” nella cerchia di Matteo Renzi.
Infatti, se c’è una cosa sulla quale il premier e i suoi sono d’accordo con la senatrice di minoranza Pd è che il confronto con l’opposizione interna è a un punto morto da giorni.
Ai tavoli di studio si parlano due lingue diverse: la minoranza vuole modificare l’articolo 2 sul Senato non elettivo, il governo non vuole assolutamente ritoccare quello che considera l’architrave della riforma. Stop.
Tanto vale smetterla e passare all’azione. Che per Renzi e per il ministro per le Riforme Maria Elena Boschi vuol dire saltare a piè pari il passaggio in Prima commissione e portare il testo direttamente in aula.
Un’accelerazione decisa con un obiettivo preciso: stanare il presidente del Senato Pietro Grasso. Il quale però per ora non scopre le sue carte: buio completo su Palazzo Chigi.
E’ per questo motivo che una giornata tutto sommato sonnacchiosa in Senato si trasforma nell’occasione più ghiotta per Renzi per ingranare la quarta sulle riforme. Il premier coglie la palla al balzo.
A Palazzo Madama si riunisce subito il direttivo del Pd, una sorta di comitato quasi d’emergenza composto dalla stessa Boschi, il capogruppo Luigi Zanda, la presidente della Commissione Affari Costituzionali Anna Finocchiaro, i senatori renziani Andrea Marcucci, Francesco Verducci, Franco Mirabelli e Federico Fornaro della minoranza Pd.
E’ da questa riunione che Zanda emerge con la richiesta a Grasso di convocare una conferenza dei capigruppo per mandare al più presto il ddl in aula, forse già questa settimana, subito dopo il voto sulle missioni militari internazionali previsto per domani pomeriggio.
Ma Grasso non è in Senato, vi fa ritorno in tutta fretta nel pomeriggio, abbandonando i lavori di un convegno per questioni, dice anche lui, “d’emergenza”.
E non nasconde la sua irritazione per quello che anche gli stessi renziani effettivamente descrivono un “clima pesante” nei rapporti tra governo e presidenza del Senato.
La capigruppo alla fine sarà convocata per le 15 di domani. Ma ciò non toglie che per tutta la giornata dal quartier generale del Pd hanno tentato di avere un contatto con il presidente: senza riuscirvi. E adesso i rapporti sono davvero ai ferri corti.
Perchè a sera nessuno, nè il premier, nè la Boschi, nè Zanda, nessuno sa che idee ha Grasso sull’articolo 2.
Quali decisioni prenderà il presidente in aula?
Ammetterà gli emendamenti all’articolo che il governo considera intoccabile oppure no? Certo, confidano nella cerchia del premier, Grasso non potrà opporsi alle ragioni della Finocchiaro che in commissione non ha ammesso gli emendamenti all’articolo della discordia. Sarebbe un “conflitto istituzionale, Grasso non lo farà ”, confida il costituzionalista Stefano Ceccanti.
Ma fino alla scelta del presidente “si naviga a vista nelle sabbie mobili”, dice una fonte renziana. E anche dopo sarà così, qualora davvero si riaprisse la votazione sull’articolo 2.
Lo stesso Pier Luigi Bersani, intervistato a ‘Di martedì’ su La7, torna a escludere la scissione ma ammette: “Capirei chi votasse contro”.
In questo caso, Renzi è deciso a trarre le conseguenze fino in fondo.
Se Grasso ammettesse gli emendamenti, “l’incidente sarebbe dietro l’angolo”, discutono i suoi in Senato, calcolando di poter portare a più miti consigli solo una decina dei 28 senatori di minoranza Pd firmatari delle proposte di modifica per introdurre l’elezione diretta dei senatori nell’articolo 2.
Gli altri faranno mancare i voti al governo: ormai nella cerchia del premier questa è una certezza. Ma se l’incidente si verificasse, se l’impianto della riforma uscisse snaturato, il presidente del Consiglio non avrebbe dubbi: dimissioni per andare al voto anticipato, nella convinzione che senza il suo Pd i numeri per formare un governo alternativo non ci sono.
Checchè ne pensi il presidente della Repubblica Sergio Mattarella.
E’ questo lo scenario che Renzi mette sotto il naso di Grasso, stringendolo in un assedio come mai prima, un pressing che irrita la seconda carica dello Stato fin dall’inizio intenzionata a tirarsi fuori dalla mischia, determinato a chiedere un accordo politico che non c’è stato.
E forse gli attori in campo sapevano fin dall’inizio che l’intesa non si sarebbe prodotta.
Del resto, anche la scelta di andare direttamente in aula senza voto in commissione era un po’ annunciata.
I numeri della Prima Commissione infatti non sono favorevoli per la maggioranza di governo: 14 a 13 ma dei 14 ben tre sono di minoranza Pd.
Qui l’incidente era certo, non dietro l’angolo. Insomma, la scusa ufficiale è che la Lo Moro ha abbandonato il tavolo. L’altra scusa ufficiale è la mole di emendamenti presentati da Roberto Calderoli. Ma in Senato la realtà dei numeri è sotto gli occhi di tutti: matematica non mente.
Resta nel vago il motivo per cui Calderoli abbia deciso di non ritirare gli emendamenti in commissione. Avrebbe potuto fare un gesto di ‘generosità ‘, ben sapendo che in questo modo avrebbe costretto la maggioranza a misurarsi con i numeri per uscirne probabilmente sconfitta. Poteva essere un punto a favore nella strategia di una forza di opposizione come la Lega. E invece non è successo.
Nel Pd in Senato c’è chi lega la scelta di Calderoli ad uno scambio con la maggioranza.
Domani infatti l’aula di Palazzo Madama voterà sulla messa in stato d’accusa del senatore leghista per le offese all’ex ministro Cecile Kyenge.
Per chi non ricorda: le diede dell’orango. Per il Pd l’indicazione che arriva da Palazzo Chigi è di votare contro, salvando Calderoli che comunque — si fa notare — ha chiesto scusa a suo tempo e lo rifarà in aula.
Ma nella minoranza c’è chi storce il naso, è possibile che il Pd perda voti anche in questa votazione e di sicuro c’è chi adombra il sospetto: Calderoli non ha ritirato i suoi emendamenti salvando di fatto la maggioranza in commissione per essere a sua volta salvato sul caso Kyenge.
Intrighi, accordi veri o falsi, trattative vere o di facciata, il ddl Boschi è sempre più una matassa ancora molto intrecciata.
Che solo Grasso può sbrogliare: ormai anche questa è una certezza. Il premier da parte sua si limita a segnare il suo punto di arrivo finale: “Riforma approvata entro il 15 ottobre”, quando al Senato si aprirà la sessione di bilancio sulla legge di stabilità , spiega secco nelle pieghe della conferenza stampa con il ministro dei Beni Culturali Dario Franceschini sui nuovi 20 direttori dei musei statali.
Ufficialmente non una parola di più. Anzi si diverte a tenere in sospeso i giornalisti: “Vi vedevo che volevate chiedere della Lo Moro e invece mi sa che questa bellissima sala vi ha messo in soggezione…”.
Glielo si chiede a margine, ma lì nella bellissima Sala della Crociera del Mibact anche lui evita: no comment.
(da “Huffingtonpost”)
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Settembre 15th, 2015 Riccardo Fucile
LUCA MUZI AVEVA RIPRESO UN CANE-POLIZIOTTO AIZZATO CONTRO UN SIRIANO
Un giornalista dell’Associated Press è stato fermato dalla polizia ungherese e obbligato a cancellare il video che mostrava un cane-poliziotto mentre attacca un rifugiato in fuga dagli agenti.
E’ la stessa Ap a raccontare l’episodio, accaduto sabato sera a Luca Muzi, reporter italiano che lavora per l’agenzia di stampa.
Muzi stava filmando i migranti che stavano attraversando la campagna serba vicino al confine con l’Ungheria e precisamente a poche centinaia di metri dalla città di Roszke dove Budapest ha creato un campo di detenzione per richiedenti asilo, già finito nel mirino della associazioni umanitarie per il trattamento bestiale riservato ai rifugiati.
La polizia si è avvicinata ai migranti per disperderli e uno degli agenti ha liberato uno dei cani in dotazione, che ha attaccato e gettato a terra un uomo. “Basta, vi prego! Sono un richiedente asilo!”, ha urlato la vittima.
Quando i poliziotti si sono accorti che Muzi stava riprendendo la scena – racconta Ap – gli hanno intimato di fermarsi e gli è stato impedito per qualche ora di contattare la redazione e gli altri due giornalisti con i quali stava lavorando.
Il reporter afferma di essere stato costretto a cancellare le immagini, sotto la minaccia dei cani che ringhiavano.
L’Ap ha inviato una lettera di protesta al portavoce del governo ungherese Zoltan Kovacs, ritenendo il comportamento degli ufficiali “inaccettabile” e rimarcando che i giornalisti “dovrebbero poter riportare le notizie senza rischiare violenze fisiche, e senza la paura che il governo possa distruggere immagini ottenute legalmente”.
(da “Huffingtonpost”)
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Settembre 15th, 2015 Riccardo Fucile
DALLA WEBTAX ALLA RAI, PASSANDO PER L’IMU: TUTTE LE VOLTE CHE IL PREMIER HA DETTO UNA COSA SU TWITTER E POI HA FATTO L’OPPOSTO
La rete non dimentica e Twitter nemmeno: da prima di diventare presidente del Consiglio, Matteo Renzi ha sempre usato i social network come mezzo per dare in pasto agli elettori annunci e pillole di programmi.
Col tempo i tweet di Renzi sono diminuiti e si sono fatti più istituzionali, ma in rete resta traccia di tutto. Soprattutto delle promesse non mantenute e dei propositi smentiti.
«NO ALLA WEBTAX»
Durante l’intervista a Otto e Mezzo di lunedì 14 settembre, il presidente del Consiglio ha dato a Lilli Gruber quella che è ha voluto presentare come una «bella notizia»: «Dopo aver aspettato per due anni una legge europea, dall’1 gennaio 2017 immaginiamo una digital tax che vada a colpire con meccanismi diversi, per far pagare tasse nei luoghi in cui sono fatte transazioni e accordi».
Lontano quel tweet del 28 febbraio 2014, quando Renzi festeggiava la modifica della webtax nella legge di stabilità .
«IL PROBLEMA NON È L’IMU»
Durante la stessa intervista ha ribadito che nel 2016 toglierà Imu e Tasi per tutti i cittadini. Intervistato dalla conduttrice e incalzato sulla scelta di privilegiare l’abolizione della tassa sulla casa rispetto alla riduzione del costo del lavoro, Renzi ha dichiarato che è indispensabile togliere l’Imu per far ripartire il mercato immobiliare e il mondo del lavoro che gravita attorno a questo.
Una visione decisamente ribaltata rispetto a quella del 21 maggio del 2013, quando twittava che nelle politiche di governo «il problema non è l’Imu».
«VIA I PARTITI DALLA RAI»
Che nella televisione pubblica non dovessero esserci i partiti, Matteo Renzi lo twittava il 19 aprile del 2012, ma lo diceva «fin dalla Leopolda».
Eppure, nonostante le annunciate buone intenzioni del premier, i partiti sono ancora ben rappresentati nel Cda della Rai appena riformata: dei sette membri che siedono nel consiglio d’amministrazione, infatti, quattro sono eletti da Camera e Senato, due nominati dal governo e uno designato dall’assemblea dei dipendenti.
«L’UNICA LEGGE ELETTORALE CHE FUNZIONA È QUELLA DEI SINDACI»
Renzi ha esposto il suo passato da sindaco a lungo come una garanzia di capacità nell’amministrazione della cosa pubblica.
Ma ha anche detto per molto tempo che, dai Comuni, lo Stato centrale avrebbe dovuto anche prendere esempio per la riforma della legge elettorale.
Il 26 settembre del 2013, twittava così: «Legge elettorale tedesca? Non funziona. Funziona legge sindaco», esortando il Parlamento a legiferare di conseguenza.
Sappiamo, però, che l’Italicum non è esattamente il tipo di legge elettorale con cui si scelgono i sindaci e si formano i consigli comunali.
Francesco Zaffarano
(da “La Stampa”)
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Settembre 15th, 2015 Riccardo Fucile
IN “FACCIAMO SOLO NOI” SPARISCONO I RIFERIMENTI AL “MOVIMENTO SENZA CAPI NE’ PADRONI”
Gli intenditori avrebbero da ridire, forse, sulla musica, sull’arrangiamento e sulla metrica. Ma sbaglierebbero perchè la già antica storia dell’inno di partito ha poco a che vedere con la bellezza, nei risultati e anche nelle intenzioni; e tutto questo fu particolarmente chiaro quando Beppe Grillo lanciò la causa dell’abolizione dell’Inno alla gioia, movimento conclusivo della nona sinfonia di Beethoven, per la sfuggente ragione che era stato utilizzato da Adolf Hitler e Mao Zedong.
Piuttosto, a proposito del nuovo inno del Movimento cinque stelle (Lo facciamo solo noi, di Massimo Bugani, Simone Pennino e Andrea Tosatto), ci paiono notevoli due aspetti.
Primo, lo slancio manicheo non ha perso di vigore. Il ritornello dice: “Noi diamo i soldi per fare le strade / loro distruggono la scuola pubblica / noi finanziamo le piccole imprese / loro le fottono con la politica”, dove “noi” sono quelli dei cinque stelle e “loro” è il resto del mondo.
Non previste sfumature nè buona fede: se non si è coi cinque stelle si distrugge e si fotte e si è casta eccetera.
Fin qui tutto come sempre, ma qualcosa di nuovo c’è: il precedente inno si intitolava “Ognuno vale uno” e parlava di “un movimento senza capi nè padroni”, e dunque la democrazia diretta, nessuna gerarchia classica nè rivista, il solo elettore come referente, che era la vera, fondante e mitica (nel senso preciso del termine) proposta rivoluzionaria del Movimento.
Ecco, in “Lo facciamo solo noi” la questione è evaporata.
Ma forse sarà un solo caso, e non avrà niente a che vedere con la nascita di direttori, e con la crescita di qualche giovanotto alla Luigi Di Maio con il physique du rà’le.
Mattia Feltri
(da “La Stampa“)
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Settembre 15th, 2015 Riccardo Fucile
“LA SANITA’ E’ DIVENTATA UN BANCOMAT CUI ATTINGERE RISORSE PER FARE ALTRO, NON CERTO PER TAGLIARE GLI SPRECHI O PER DESTINARLI ALL’INNOVAZIONE”
“Siamo alle solite. Con i giochi di parole, il ‘definanziamento’ diventa ‘mancato incremento’ così come i ‘tagli lineari’ sono diventati ‘risparmi’”.
Così il sindacato dei medici dirigenti, Anaao, scopre il “bluff” del premier Matteo Renzi sui finanziamenti alla sanità .
Lunedì sera il premier, a Otto e mezzo, ha detto che “sulla sanità , se le cose vanno in un certo modo, male che vada in legge di Stabilità ci saranno per il 2016 le stesse cifre di quest’anno”. Cioè basta tagli? Al contrario: il taglio c’è e ammonta 3,4 miliardi di euro.
Infatti il Documento di economia e finanza (che il governo aggiornerà venerdì) e il decreto Enti locali di agosto prevedono entrambi che nel 2016 la dotazione del Fondo sanitario nazionale salga a 113,1 miliardi dai 109,7 a cui è stato ridotto nel 2015.
Se, quindi, le cifre saranno “le stesse di quest’anno”, come ha detto il presidente del Consiglio, il risultato sarà che il Servizio sanitario potrà contare su 3,4 miliardi in meno rispetto al previsto.
“Di fatto”, sostiene il segretario dell’Anaao, Costantino Troise, “il governo minaccia di disattendere un impegno siglato con le Regioni”, visto che l’ammontare attuale del fondo è il risultato dell’accordo raggiunto durante l’estate in Conferenza Stato — Regioni su una sforbiciata da 2,35 miliardi da ottenersi, tra l’altro, facendo pagare ai malati le prestazioni “inutili”. “L’aumento del fondo di 2,35 miliardi previsto per il 2015 è già saltato. Se salta anche quello di 3,3 miliardi previsto per il 2016 significa che gli accordi si scrivono sulla sabbia. Mi auguro sia un equivoco”, continua Troise.
“Comunque sarebbe il caso di chiedere al presidente della Conferenza delle Regioni Chiamparino e al ministro della Salute Lorenzin cosa ne pensano, visto che il governo si era impegnato con loro fa ad aumentare il fondo sanitario per far fronte alle esigenze crescenti dei cittadini”.
E Beatrice Lorenzin, in effetti, ha subito chiuso alla possibilità di nuovi tagli: “Sotto i 112 miliardi non si può andare. Non sarebbe possibile per la sostenibilità delle sfide che abbiamo in campo”, ha detto il ministro, che ha sempre sostenuto la necessità che i risparmi previsti dall’accordo con le Regioni siano reinvestiti nel sistema e vadano a migliorare i servizi.
I 112 miliardi sono la cifra stanziata nella scorsa manovra, quella per il 2015, che è stata poi decurtata in seguito all’intesa con i governatori regionali chiamati ad accollarsi 4 miliardi di tagli. “Diciamo che ‘male che vada’ vuol dire che non ci sono tagli lineari al sistema salute, che ci sono due miliardi in più”, ha sostenuto Lorenzin. Promettendo: “Ovviamente farò in modo di avere più risorse possibili e di andare verso il tendenziale del Def che avevamo approvato nel patto della Salute. Ma questo significa che il comparto sanità non viene più aggredito che non ha un decremento del finanziamento ma che invece comincia a crescere nuovamente. Penso che questo sia un obiettivo che tutti ci dobbiamo porre”.
In attesa di chiarimenti da Palazzo Chigi, l’Anaao rincara la dose sottolineando che “se l’ipotesi di Renzi fosse confermata, sarebbe la dimostrazione che la sanità è un bancomat cui il Governo attinge risorse per fare altro, non certo per recuperare risorse da destinare all’innovazione. In queste condizioni vuol dir lasciare che il Servizio Sanitario Nazionale muoia per asfissia, soprattutto al meridione dove il rosso dei bilanci è accompagnato da una mancata garanzia dei livelli di assistenza”.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Settembre 15th, 2015 Riccardo Fucile
SPUNTA UN CONTO SEGRETO, SU SEGNALAZIONE DELLA BANCA D’ITALIA, INTESTATO AL CAPO DELLA SEGRETERIA DELL’EX SINDACO
Un conto corrente da cui partono bonifici per il capo della segreteria dell’ex sindaco Gianni Alemanno, le ammissioni dell’ex amministratore delegato di Ama, i traffici segreti di Luca Odevaine.
Le indagini su Mafia capitale hanno imboccato la via del denaro.
I pm della procura di Roma stanno infatti seguendo la scia monetaria che si muoveva attorno all’organizzazione criminale guidata da Massimo Carminati e Salvatore Buzzi.
Una pista che, come racconta il quotidiano il Messaggero, è tracciata soprattutto dalle ammissioni degli indagati.
Agli atti degli investigatori, sono arrivati i verbali d’interrogatorio di Franco Panzironi, ex ad di Ama, che il 20 febbraio scorso spiegava davanti ai pm di aver “veicolato denaro per l’allora assessore all’Ambiente Marco Visconti, 200 mila euro e per Gianni Alemanno, allora sindaco, 40 mila euro per il suo interessamento verso Riccardo Mancini, affinchè effettuasse i pagamenti arrestrati nei confronti delle coop di Buzzi”.
Arrivano invece dall’ufficio di vigilanza della Banca d’Italia alcune segnalazioni su movimenti bancari sospetti: riguardano i conti correnti dell’Alfa progetti, società titolare di un’attività di ristorazione.
Da quei conti sono partiti bonifici per 101 mila euro in favore di Antonio Lucarelli, ex capo della segreteria di Alemanno nel periodo in Campidoglio.
Gli investigatori della Guardia di Finanza sospettano che quei conti altro non siano che una cassaforte occulta e vogliono capire da dove arrivassero quei soldi e a che titolo erano dovuto a Lucarelli.
E tra i pezzi del puzzle che i magistrati di Giuseppe Pignatone stanno cercando di ricomporre, c’è anche l’attività occulta portata avanti da Luca Odevaine, l’ex vicecapo di gabinetto di Walter Veltroni.
L’uomo dell’immigrazione di Mafia capitale ha cominciato a collaborare con i pm, ricostruendo il business del Cara di Mineo.
Adesso gli inquirenti cercano di fare luce anche sui suoi affari in Venezuela, dove Odevaine voleva costituire una linea di pullman per turisti.
“Si stanno comprando dieci pullman in Sicilia che verranno spediti, ma non potrebbero entrare. E allora abbiamo architettato la cosa che c’hanno la passerella per disabili e allora il direttore della dogana che è amico del sindaco venezuelano amico mio li fa passare”.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Settembre 15th, 2015 Riccardo Fucile
ALLA PRESIDENZA DELLA FILSE UN RINVIATO A GIUDIZIO PER BANCAROTTA FRAUDOLENTA E IN PASSATO PRESIDENTE DELLA BANCA ALETTI DI CUI SI SERVIVA BELSITO PER GLI INVESTIMENTI IN TANZANIA… ALLA PROTEZIONE CIVILE UNO NEANCHE LAUREATO CHE NON POTREBBE RICOPRIRE QUEL RUOLO… E UN PAIO DI FAVORI A RENZI
Venerdì sera, al padiglione Peck dell’Expo a Milano, c’è stata una bella tavolata. Giovanni Toti e Roberto Maroni hanno celebrato il matrimonio Forza Italia-Lega ligure-lombardo, con politici, imprenditori, alti funzionari di società partecipate, ma anche vecchi arnesi e riciclati.
C’erano Giorgia Meloni e Ignazio La Russa, c’era Paolo Romani, c’erano imprenditori pesanti come Gabriele Volpi e Aldo Spinelli, i presidenti di un paio di autorità portuali.
Doveva esserci anche Silvione, ma è volato in Crimea dall’amico Putin. Ubi maior. S’è mangiato insalata di pesce e pane nero, ravioli di patate di Pignone al pesto, rombo ai pinoli, si son bevuti gradevoli bianchi liguri.
Toti ha detto: «Questa cena rappresenta la Liguria che vorremmo costruire».
E in effetti. La stanno costruendo.
S’è aperta la stagione di caccia delle nomine. Filse, autorità portuale, protezione civile, società informatica della Regione, posti dove girano molti soldi, si gestisce consenso, si sperimentano patti e alleanze compensatorie romane.
Il Pd del sistema-Burlando era stato sbaragliato per essersi costruito su reti trasversali di rapporti ventennali?
Bene, ecco come esordisce Forza Italia.
Prima nomina, in Filse, la potente finanziaria della Regione (quella dove il M5S ha piazzato consigliere il commercialista amico di Grillo): Toti (ma soprattutto la Lega) ha voluto presidente Pietro Codognato Perissinotto, 68 anni, lungo curriculum, vasta esperienza di cda nel nord est, per lo più banche.
C’è un piccolo particolare, che ai rinnovatori, leghisti liguri e forzisti, non dev’esser parso influente: il neopresidente della finanziaria che guiderà gli investimenti regionali è un uomo rinviato a giudizio per bancarotta fraudolenta (per il crac di Fadalti, in Friuli, era stato commissario liquidatore di quell’azienda).
Toti è sicuro, «verrà assolto, è solo rinviato a giudizio». Politicamente imbarazza anche il lungo lavoro del neopresidente in Banca Aletti, nove anni, l’istituto di cui si serviva anche Francesco Belsito, ex tesoriere leghista, per i suoi investimenti in Cipro e Tanzania.
Seconda perla: Forza Italia ha voluto come amministratore unico di Liguria Digitale, la società informatica della Regione, Marco Bucci.
Bucci però è un alto dirigente di Carestream Health, una società del settore che ha in mano contratti milionari con le Asl, e tra poco parteciperà a gare d’appalto dell’Agenzia sanitaria regionale, che però è socia di Liguria Digitale.
Il sospetto di conflitto d’interessi è forte.
Il centrodestra ha dovuto votare delle delibere-papocchio per eliminare le cause di incompatibilità per dirigenti e manager d’azienda (ne rimane una).
La terza perla riguarda la Protezione civile, posto decisivo, in Liguria.
Bene, il prescelto qui è Leonardo Cerri.
E chi è? Un ripescato che già nel 2010 finì al centro di uno scandalo perchè Letizia Moratti lo indicò per la Protezione civile lombarda. I morattiani lo qualificarono, nei documenti formali, come «dottore»: ma lui dottore non è, e non potrebbe quindi neanche ricoprire il ruolo.
Senonchè, equanime, Toti guarda anche a Renzi, non solo alla Lega.
Dal centrodestra ci raccontano che vorrebbe nominare, all’Autorità portuale, il consigliere di Matteo Renzi sulla portualità , Maurizio Maresca; anche se Maresca nega.
Dulcis in fundo, ci sarebbe da piazzare Paolo Emilio Signorini, il numero due di Ettore Incalza alle Infrastrutture, il suo erede, che gli sarebbe succeduto se la struttura non fosse stata soppressa.
Toti ci pensa: leverebbe una grossa grana al governo, dando a Signorini il potente incarico di segretario generale della Regione.
E poi dicono: spazziamo via le reti di potere del Pd.
Jacopo Iacoboni
(da “La Stampa”)
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Settembre 15th, 2015 Riccardo Fucile
A PETILIA POLICASTRO RIADATTATO UN EX CARCERE ABBANDONATO: ORA E’ DIVENTATO UNA CASA DI ACCOGLIENZA PER I MINORI FUGGITI DALLE GUERRE
Un ex carcere abbandonato è diventato una casa di accoglienza per i migranti minori non accompagnati.
Lo ha realizzato il Comune di Petilia Policastro, in provincia di Crotone, dove il sindaco Amedeo Nicolazzi ha adeguato la struttura per accogliere 35 profughi.
”È la migliore risposta a Salvini che parla sempre contro il sud e contro i migranti”, dice il primo cittadino mentre mostra lo stabile che originariamente doveva ospitare detenuti ma che non è mai entrato in funzione.
Adesso c’è una sala mensa, un campo da calcetto, un cortile dove giocare e quelle che erano le celle sono state trasformate nelle stanze dei migranti bambini.
“Abbiamo dovuto adattare i locali e renderli accessibili. Cerchiamo di riempire la giornata a questi ragazzi. — aggiunge il sindaco Nicolazzi — A Petilia siamo un paese di emigranti, vi ricordate quelli della Lega cosa dicevano di noi? Che dovevano prenderci a bastonate e rimandarci in Calabria. Non me lo sono dimenticato e sono solidale. Salvini pensa di essere il duro e puro. Non è così. Che venisse qua”.
Le polemiche sui 35 euro a migrante al giorno? “Se uno fa il suo dovere quei soldi non bastano. La Lega su questo fa campagna elettorale perchè non ha argomenti o per far dimenticare gli argomenti sconci che la riguardavano”.
Nonostante tutto, i minori non accompagnati hanno la tendenza a scappare dalla casa di accoglienza per andare non si sa dove.
L’altra notte, tre di loro sono fuggiti ma sono stati recuperati dal Corpo forestale a 15 chilometri di distanza, nelle campagne: “Mi sono preoccupato, — conclude il sindaco — dove vanno dei ragazzini a 15 anni senza un parente, senza soldi in tasca e senza documenti? Purtroppo l’ambasciatore eritreo ci ha impedito di fermarli”
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Settembre 15th, 2015 Riccardo Fucile
ORA VOGLIONO ABOLIRE L’ERGASTOLO PER I MAFIOSI
Eccoli che ci riprovano. I partiti tornano all’assalto dell’ergastolo con una “riforma” che rischia di svuotarlo.
L’allarme lo lancia, insieme con i 5Stelle, Giovanna Maggiani Chelli, presidente dell’Associazione tra i familiari delle vittime della strage di via dei Georgofili: “È probabile stia per essere dato a Cosa Nostra ciò che con la strage di via dei Georgofili ha fortemente chiesto con un attacco diretto allo Stato. I mafiosi delle stragi che non hanno collaborato, oggi all’ergastolo ostativo a regime di 41 bis, stanno forse per essere messi nelle condizioni di usufruire di tutti quei benefici che gli consentiranno di aggirare il carcere a vita. Abbiamo l’impressione che la politica si stia lavando le mani, come fece Pilato, per le condanne a vita di mafiosi pericolosissimi come Riina, Provenzano, Bagarella e fratelli Graviano, rimettendo tutto nelle mani della magistratura che sarà ancora una volta crocifissa con leggi vergogna. Comunque,se passerà indenne una tal ignominia ci troverete in via dei Georgofili a difendere la memoria dei nostri morti sacrificati in nome e per conto di rappresentanti del Parlamento che non si assumono mai le proprie responsabilità ”.
La sensibilità di una madre che 22 anni fa ebbe la figlia sfigurata e il futuro genero bruciato vivo dalle bombe politico-mafiose è comprensibile. E merita un approfondimento.
In ballo c’è il ddl delega di ben 34 articoli che approda oggi alla Camera per la riforma del processo penale con un gran guazzabuglio di norme chieste del ministro Andrea Orlando e dai partiti retrostanti: Pd, Ncd e — ben, anzi mal nascosta — FI.
Tutti ansiosi di tagliare le unghie ai magistrati e ai giornalisti per l’eterna impunità .
Già la forma della riforma è indecente: una vaghissima delega in bianco al governo,che potrà fare i suoi comodi con i decreti attuativi, evitando dibattiti ed emendamenti.
La sostanza è ancora peggio: la legge-bavaglio per punire i giornalisti che pubblicano intercettazioni di “persone occasionalmente coinvolte” nelle indagini e imporre ai magistrati di stralciarle dagli atti perchè non le legga nessuno; la galera fino a 4 anni per chi registra e divulga conversazioni all’insaputa dell’interlocutore; tre mesi ai pm per chiudere le indagini; limiti alle impugnazioni dei Pg sulle assoluzioni in primo grado; azioni disciplinari per i magistrati che incappano in errori giudiziari, veri o presunti; e aumenti di pena per furti, scippi e rapine, peraltro già punibili fino a 20 anni, tanto almeno questi reati i politici non li commettono.
Infine la riforma dell’ergastolo, con la modifica dell’art. 4 bis dell’Ordinamento penitenziario: quello che esclude i detenuti per mafia non pentiti dai benefici e dalle pene alternative al carcere.
Il ddl parla di rivedere “modalità e presupposti d’accesso alle misure alternative, sia con riferimento ai presupposti soggettivi sia con riferimento ai limiti di pena, al fine di facilitare il ricorso alle stesse, salvo i casi di eccezionale gravità e pericolosità e in particolare per le condanne per i delitti di mafia e terrorismo”; e di eliminare “automatismi e preclusioni che impediscono o rendono molto difficile l’individualizzazione del trattamento rieducativo” e cambiare “la disciplina di preclusione dei benefici penitenziari per i condannati alla pena dell’ergastolo, salvo i casi di eccezionale gravità e pericolosità e in particolare per le condanne per i delitti di mafia e terrorismo anche internazionale”.
Se oggi gli autori di reati gravissimi non possono accedere a benefici e alternative, in futuro spetterà al giudice valutare caso per caso: se dirà no, lo farà a suo rischio e pericolo, esponendosi a vendette e rappresaglie, perchè avrebbe potuto anche dire sì, mentre finora era la legge a imporgli il no.
E il giudice colluso potrà dire sì e favorire gli amici degli amici.
Le esclusioni (“salvo i casi” ecc.) sono così vaghe che non si capisce se mafiosi e terroristi saranno sempre esclusi, o invece toccherà al giudice misurare l’“eccezionale gravità ” dei reati per decidere se metterli fuori in anticipo.
La logica dice che l’interpretazione corretta è la seconda, altrimenti non si vede il motivo della riforma: già oggi l’ergastolo esiste davvero solo per stragisti mafiosi e terroristi non pentiti,mentre gli altri stragisti e assassini sono ammessi ai benefici di legge ed escono dopo 30 anni (in realtà 20 o poco più con la “liberazione anticipata”, che ogni anno abbuona 5 mesi su 12).
Non a caso Riina inserì l’abolizione dell’ergastolo in cima al “papello” consegnato nell’estate ’92 agli uomini della Trattativa, insieme con la fine del 41 bis, la chiusura delle supercarceri e la riforma dei pentiti (tutte richieste puntualmente accolte).
La micidiale tenaglia ergastolo-carcere duro, ideata da Falcone, cominciava a produrre gli effetti sperati: molti mafiosi, pur di non finire i propri giorni in galera, scelsero di collaborare, facendo catturare centinaia di latitanti e scoprire i colpevoli di migliaia di delitti.
Terrorizzati dalle loro rivelazioni sulla trattativa, nel 1999 i partiti abolirono l’ergastolo, dimostrando che la trattativa era più che mai in corso.
Solo le proteste di pm e parenti delle vittime, Maggiani Chelli in prima fila, costrinsero il Parlamento a tornare sui suoi passi un anno dopo.
Ora vedremo se i nuovi allarmi sono fondati o no: dipenderà da come verrà scritta la legge delega e poi il decreto delegato del governo.
Ma il fatto stesso che si riapra quella porta, col rischio che vi si infilino le solite manine e manone, giustifica l’interrogativo: che bisogno c’è di riformare l’ergastolo, di fatto riservato ai terroristi e ai mafiosi, se non si vogliono favorire i terroristi mafiosi?
Marco Travaglio
(da “Il Fatto Quotidiano”)
argomento: denuncia | Commenta »