Settembre 18th, 2015 Riccardo Fucile
DA MESI LA LEGA SOSTENEVA CHE I PROFUGHI AVREBBERO DOVUTO ESSERE IMPIEGATI IN LAVORI SOCIALMENTE UTILI… E ORA CHE A GENOVA IL SINDACO LO FA, ECCO L’ESILARANTE MUTAMENTO PADANO: “”SCHIAVISTA, FA LAVORARE GRATIS I MIGRANTI”
«Piuttosto che bighellonare in giro per le strade tutto il giorno, i profughi potrebbero svolgere lavori di pubblica utilità : raccolta dei rifiuti, arredo urbano, manutenzione dei giardini, pulizia delle coste. Sarebbe un modo per integrarli nel tessuto sociale e evitare problemi di ordine pubblico».
E’ una delle tante mozioni che la Lega di Salvini ha presentato in diverse assemblee regionali, spesso cozzando con la normativa in vigore che prevede il divieto per un profugo di lavorare, in attesa della definizione del suo status di accoglienza.
Parole risuonate in varie occasione anche in Liguria da parte di esponenti leghisti, usata spesso come argomento polemico in chiave elettorale.
Ora si dà il caso che il Comune di Genova due giorni fa abbia sottoscritto un protocollo in Prefettura che consente proprio l’utilizzo dei profughi, attualmente ospiti delle strutture di accoglienza in città , per lavori socialmente utili, come auspicato anche dal Carroccio.
E sono già oltre 200 i richiedenti asilo che si sono offerti volontariamente a espletare questo servizio gratuito.
Ma ecco la sorpresa da contorsionista: il prode guerriero laccato Rixi, esperto scalatore leghista (non solo di vette ma anche di poltrone), nonchè assessore della giunta Toti, nonchè rinviato a giudizio per peculato, riesce a violare la vetta del ridicolo: «Far lavorare gratis qualcuno è schiavismo. Inserire nel circuito produttivo manodopera a costo zero significa calpestare tutti i sacrosanti diritti salariali dei lavoratori “.
Ma come, se fino a ieri ti lamentavi che i “clandestini” non facevano nulla tutto il giorno?
Ora che si è trovato il modo di farli lavorare su base volontaria per pulire la città non ti va più bene?
Scommettiamo che se li pagassero, allora diresti che “rubano il lavoro agli italiani”?
Suvvia, in nome del decoro urbano, un po’ di coerenza: questi profughi poi pensa che non chiedono neanche il rimborso spese, quelle per cui tre consiglieri regionali leghisti su tre dovranno rispondere davanti ai giudici con l’accusa di aver scaricato le ricevute di ristoranti e alberghi e altre spese personali sui contribuenti liguri.
Sempre meglio pulire gratis i torrenti che prosciugare i conti pubblici con pranzi a base di ostriche al Cafè de Turin di Nizza.
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Settembre 18th, 2015 Riccardo Fucile
RAPPORTO CITTADINANZATTIVA: I TAPPULLI DI RENZI NON SONO LE URGENZE RICHIESTE
Povera scuola. I portoni si aprono ogni anno su edifici poco sicuri (quattro su dieci hanno una manutenzione carente, uno su cinque lesioni strutturali, in quasi la metà dei casi gli interventi strutturali non sono stati effettuati) e più della metà delle scuole si trova in zona a rischio sismico; una su dieci a rischio idrogeologico.
Anticipando mediaticamente il varo dell’Anagrafe dell’edilizia scolastica (su carta nata diciannove anni fa, in realtà farraginosamente avviata durante l’estate e disponibile nella sua versione finale per i primi mesi del 2016) il Miur ha iniziato a fotografare le scuole della Penisola: 42.292, di cui 33.825 attivi e 8.450 non attivi.
Diciassette «spenti» per calamità naturali. I dati disponibili al momento, indicano che il 55% è stato costruito prima del 1976 e il 50% prima del 1971 (e quindi molti sono privi del certificato di collaudo statico, obbligatorio solo da quel momento).
Per il 48% mancherebbe l’attestato di agibilità .
Anagrafe incompleta
Oggi ad approfondire l’analisi arrivano i dati di Cittadinanzattiva, che ha presentato il «Rapporto su sicurezza, qualità ed accessibilità a scuola» e due indagini su #scuolebelle e «Occhio all’Anagrafe» .
L’associazione sostiene che l’Anagrafe è ancora non aggiornata e incompleta, chiede di inserire tutte le scuole, di rendere più fruibile il database, di inserire tutti gli indicatori utili, come il documento di valutazione dei rischi e l’indicazione dei piani d’emergenza. Ma soprattutto chiarisce che gli interventi eseguiti nel 2014/2015 e attualmente in corso – quasi tutti ricompresi sotto la voce #scuolebelle – non erano quelli più urgenti.
Un dirigente su 3, pur ringraziando, non li aveva richiesti, mentre 7 su 10 avevano bisogno di interventi più urgenti per la loro scuola.
Nel 72,5% dei casi, i presidi abbiano contemporaneamente richiesto altri interventi ben più complessi ed urgenti di manutenzione e di messa in sicurezza
Gli interventi
Del centinaio di scuole monitorate da Cittadinanzattiva, gli interventi eseguiti hanno riguardato per l’80% il decoro, ossia tinteggiature di ambienti esterni o interni, verniciatura di cancelli e recinzioni, pulizia di vetri e infissi; per il 25% la piccola manutenzione e per l’11% l’abbellimento.
La durata media è stata di 68 giorni, per un costo medio a scuola di 21mila euro. Sono stati impiegati lavoratori socialmente utili nel 68% dei casi, prevalentemente con funzioni di imbianchini e di operai o per compiti di manovalanza generica e di pulizia.
Forse anche per questo i lavori si sono dimostrati spesso inefficaci: all’Istituto Nicotera Costabile di Lamezia Terme, per esempio, la tinteggiatura fatta con i fondi di #scuolebelle si è dissolta alle prime piogge.
Nel 42% dei casi, segnala Cittadinanzattiva, gli studenti erano all’interno dell’edificio durante l’esecuzione dei lavori.
«Pur apprezzando l’impegno dimostrato dal Governo sull’edilizia scolastica, chiediamo, tra le altre cose – dice Adriana Bizzarri, coordinatrice nazionale scuola di Cittadinanzattiva – di stornare i fondi non ancora spesi da questo capitolo di spesa dirottandoli su quello denominato #scuolesicure, anche a vantaggio delle scuole del sud e delle isole che presentano maggiori problemi strutturali e manutentivi. E di modificare ciò che si dimostri non efficace come gli interventi di “scuole belle”».
Senza sapone e carta igienica
Il rapporto contiene dati dettagliati sullo stato delle scuole analizzate: il 39% ha uno stato di manutenzione mediocre o pessimo, una su cinque (21%) presenta lesioni strutturali per lo più sulla facciata esterna (41%), sui corridoi (38%), nelle palestre (27%).
Il 15% delle aule presenta distacchi di intonaco o segni di fatiscenza.
Banchi (20%) e sedie (18%) rotti, arredi non a norma nella metà delle aule. I cortili: presenti nell’87% delle scuole, nel 93% dei casi sono recintati, ma lo stato della recinzione è pessimo in una scuola su cinque.
Il 42% dei bagni è sprovvisto di carta igienica, il 53% di sapone, il 77% di asciugamani e il 49% di scopini per il wc.
Mancano scale di sicurezza interne nel 26% delle scuole monitorate; solo il 34% presenta vetrate a norma; le porte con apertura antipanico sono assenti nel 74% delle aule, nell’89% dei bagni, nel 65% delle aule computer, nel 54% dei laboratori, nel 47% delle mense e nel 37% delle palestre e anche nel 15% dei cortili dove sarebbero obbligatorie per legge.
In più di una scuola su quattro, l’impianto elettrico è completamente o parzialmente inadeguato; quasi una scuola su tre ha un impianto anti-incendio in stato arretrato. E seppur a livello nazionale il 70% delle scuole dichiari di aver messo in atto accorgimenti per il superamento delle barriere architettoniche, ci sono regioni molto indietro: ultima la Calabria, che arriva appena al 16%.
Nei giorni scorsi era stato il rapporto di Save the Children a rimarcare l’urgenza degli interventi: «il 54% delle scuole italiane non è in regola con le normative antincendio, quasi la metà è priva di un certificato di agibilità e/o abilità , il 32% non rispetta le norme antisismiche configurando, di fatto, una situazione di pericolo», si leggeva nel rapporto.
Antonella De Gregorio
(da “il Corriere della Sera”)
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Settembre 18th, 2015 Riccardo Fucile
LA SICILIA IN TESTA CON 215, LA CAMPANIA TRA LE PIU’ VIRTUOSE
Dalla città dello sport di Tor Vergata alla nuova linea ferroviaria tra Matera e Venusio, nel 2014 le opere incompiute di carattere nazionale risultano 868, fra queste 215 in Sicilia, che si piazza al primo posto fra le Regioni.
E’ questo da Nord a Sud il dato aggiornato diffuso dal ministero delle Infrastrutture, che con l’inclusione della Sicilia completa l’Anagrafe delle opere incompiute di interesse nazionale.
A fine 2013 erano 692.
La Campania fra le più virtuose. Alla Sicilia il record, pari a un quarto di tutta Italia. Al sud spiccano le 93 opere da terminare in Calabria e le 81 in Puglia.
La Campania è invece tra le regioni più virtuose, 12 opere incompiute mentre nel Lazio sono 54, comunque in calo rispetto alle 82 censite nel 2013.
Peggiora invece la Lombardia con 35 opere ancora da completare rispetto alle 19 dell’anno precedente, 35 anche per la Toscana e 34 per il Veneto.
Trasporti.
La provincia autonoma di Trento non ha opere incompiute come nel 2013, la Val d’Aosta solo una, Umbria e Liguria 11.
Quelle del ministero dei trasporti sono invece 40, rispetto alle 35 del 2013.
Tra queste la famigerata Città dello sport di Tor Vergata, con un costo di 607 milioni e 406 milioni di euro per completare i lavori, eseguiti solo per il 16,25%.
Tra le realizzazioni appaltate dal ministero eseguiti al 18% i lavori per la linea ferroviaria Matera-Venusio da 165 milioni, solo il 13% eseguito per la diga di Gimigliano sul fiume Melito nel catanzarese (importo di 259 milioni e 189 milioni per ultimare i lavori).
Strutture non fruibili.
A livello regionale, in Sicilia nel corposo elenco di incompiute figurano 8 opere completate ma ancora non fruibili come la casa di riposo a castel termini o il centro sociale a Casalvecchio siculo.
Sempre in Sicilia sono 40 le incompiute con uno stato di avanzamento lavori inferiore al 20%.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Settembre 18th, 2015 Riccardo Fucile
GLI SCHERZI AL GIOVANE FOTOGRAFATI E PUBBLICATI SU FB, MA LO STATO SE NE E’ FREGATO… E QUEI RIFIUTI UMANI SONO ANCORA IN LIBERTA’
In una foto era chiuso in un bidone, contro la sua volontà . In un’altra aveva in testa un sacchetto dell’immondizia. Ridevano di lui, quelli che dicevano di essere suoi amici. Poi lo fotografavano con il cellulare e pubblicavano gli scatti su Facebook.
Crudeli per un ragazzo sensibile di 26 anni. Così tanto da spingerlo al suicidio.
La madre lo ha chiamato per colazione, lui non ha risposto. Si era impiccato nella sua camera al secondo piano.
LA VITA
Andrea Natali viveva con i genitori a Borgo d’Ale, paese di duemila anime immerso nelle campagne del Vercellese. Quella vita fatta di cose semplici – il lavoro da operaio, la passione per le auto, le uscite con gli amici – nascondeva un demone: quegli scherzi che da troppo tempo lo stavano consumarlo dentro.
«Chiediamo giustizia per Andrea anche se niente potrà mai restituircelo – piangono Federico e Liliana, i genitori -. Il suo calvario è iniziato quattro anni fa: alcune persone che frequentano il paese hanno iniziato a prenderlo di mira con vari scherzi. All’inizio lui non diceva niente.
Gli scherzi, però, nel tempo sono diventati via via più pesanti, tanto che un anno fa aveva deciso di sporgere denuncia alla Polizia postale.
Ma senza che i responsabili pagassero davvero. E tutto si era chiuso con un nulla di fatto. «Diceva sempre che non si era rivolto alle forze dell’ordine solo per fermare i suoi aguzzini – continua Federico Natali – ma per evitare ad altri ciò che è accaduto a lui».
Non ce la faceva più, Andrea. Nel frattempo quei ragazzi si erano messi a fotografare gli scherzi e avevano pure creato una pagina a lui dedicata su Facebook. Che ora è stata eliminata dalla Polizia postale.
«Nostro figlio continuava a ripetere “mi hanno tolto la dignità ” e da quel momento è iniziato il suo declino psicologico», ricordano il padre e la madre.
L’ISOLAMENTO
Il ragazzo, raccontano, nell’ultimo anno e mezzo non era più uscito di casa se non accompagnato.
«Dopo la denuncia – continuano – aveva paura di uscire, si sentiva minacciato. Non andava nemmeno in paese. Temeva che quelle persone potessero fargli del male e probabilmente qualcuno gli aveva detto qualcosa di terribile per farlo arrivare a quel punto».
Ora i genitori tengono in mano la sua foto: era sorridente, spensierato. Allora i demoni erano lontani, c’era spazio solo per i sogni: «Amava vivere, ma poco a poco la sua fiamma si è spenta. Era un gran lavoratore prima che gli accadesse questa vicenda assurda».
Fino a poco tempo fa organizzava i raduni dell’Alfa Romeo e sognava di raggiungere il fratello Alessandro in Germania per trovare un nuovo lavoro e mettere su famiglia.
I genitori ricordano i suoi ultimi desideri: «In fondo nostro figlio sperava che quelle persone venissero a chiedergli scusa ma non è mai successo. Ora, anche se qualcuno volesse farlo, è troppo tardi. Non vogliamo vendetta, ma solo capire cosa è successo».
(da “La Stampa”)
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Settembre 18th, 2015 Riccardo Fucile
DAL LOUVRE AL NATIONAL GALLERY, DALLA TORRE EIFFEL ALL’ALHAMBRA: ANCHE 50 GIORNI DI SCIOPERO E CHIUSURE SENZA PREAVVISO, MA NESSUNO MINACCIA I LAVORATORI
Ora sembra essere una peculiarità tutta italiana quella dei musei e dei siti archeologici chiusi per assemblea sindacale o per sciopero. Ma non è così.
Soltanto nell’ultimo anno, per fare un esempio, la National Gallery di Londra – uno dei musei più importanti al mondo e la seconda meta d’arte più visitata della Gran Bretagna con circa 6 milioni di ingressi l’anno – ha chiuso totalmente o parzialmente ai visitatori ben 50 volte.
Nei mesi scorsi, invece, a chiudere è stato uno dei monumenti più famosi del pianeta: la Torre Eiffel.
E ancora, in questa ultima decade o poco più, a scioperare sono stati i dipendenti del Louvre, dell’Alhambra, del National Museum of Scotland e così via, non sempre con un preavviso come invece è accaduto il 18 settembre a Roma, con l’assemblea sindacale che ha fermato le visite per qualche ora al Colosseo, ai Fori Imperiali, al museo Palatino e in altri siti archeologici della Capitale.
National Gallery.
I dipendenti protestano ormai da mesi – invano – contro la privatizzazione del museo e la trasformazione del luogo d’arte in una sorta di spazio culturale dove l’obiettivo non è più – sostengono i sindacati – ammirare quadri e statue, bensì bighellonare e prendere un caffè al bar.
L’ultimo giorno di sciopero, dopo 70 giorni di agitazione sindacale che hanno impedito ai turisti di visitare oltre il 60% delle stanze e delle opere d’arte, risale al 9 settembre.
Nell’ultimo mese, i visitatori che speravano di vedere “La vergine delle rocce” di Leonardo da Vinci o “L’autoritratto” di Rembrandt, oltre ai celebri “Girasoli” di Van Gogh e ai quadri di Canaletto, hanno dovuto accontentarsi di entrare soltanto in una piccola parte del museo, corrispondente in media al 30-40% della superficie disponibile:
Torre Eiffel.
Il 9 aprile i dipendenti del monumento parigino che stacca circa 7 milioni di biglietti l’anno hanno aderito a uno sciopero generale e dunque nessun turista ha potuto visitare la Torre. Vi era un cartello destinato a spiegare le ragioni dello sciopero: ai visitatori che avevano prenotato viene consigliato di riempire un modulo per il rimborso.
Ma non è stata l’unica chiusura per cause sindacali. Il mese dopo, il 22 maggio, gli agenti della sicurezza impiegati nella Torre Eiffel hanno improvvisato una assemblea sindacale a pochi minuti dall’apertura e dopo poco hanno proclamato uno sciopero a sorpresa contro l’aggressività dei borseggiatori che si aggirano nelle code dei turisti.
Anche la Tour Eiffel a maggio è rimasta chiusa per 7 ore. Non risultano interventi governativi.
La Alhambra di Granada.
Si tratta del luogo più visitato dai turisti che si recano in Spagna. Nel 2012 i suoi dipendenti aderirono allo sciopero generale proclamato il 14 novembre dai sindacati contro il governo, al quale parteciparono in parte i lavoratori di tutti i siti d’arte spagnoli, compresi tutti i teatri di Madrid.
Louvre. Il museo più importante della Francia, e uno dei gioielli del mondo, nel 1999 rimase chiuso una settimana di seguito per uno sciopero a oltranza che aveva coinvolto anche il famosissimo Musèe d’Orsay: a causa di quell’agitazione sindacale non poterono entrare 100mila turisti- il 70% dei quali stranieri – con una perdita enorme di guadagno.
Oggi il Louvre di quando in quando chiude i portoni a causa dello sciopero del personale. E senza troppo preavviso, come è accaduto l’11 aprile del 2013 per la protesta dei vigilantes che, come i colleghi in servizio alla Torre Eiffel, devono vedersela con vere e proprie bande di minorenni dediti al borseggio.
Il 9 aprile di quest’anno, invece, anche i dipendenti del Louvre hanno aderito allo sciopero per il quale era rimasta chiusa la Torre Eiffel
da “Huffingtonpost”)
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Settembre 18th, 2015 Riccardo Fucile
RENZI FALSIFICA I FATTI PER RIDURRE I DIRITTI DEI LAVORATORI: CI SI DEVE INDIGNARE SOLO CON IL GOVERNO CHE NON PAGA CHI LAVORA
“Non lasceremo la cultura ostaggio di quei sindacalisti che sono contro l’Italia. Adesso basta: oggi decreto legge #colosseo #lavoltabuona”.
Non siamo in un regime militare di un colonnello da quattro soldi ma in Italia, con un falsario come premier.
Perchè i fatti lo sbugiardano in maniera clamorosa, nonostante la grancassa dei media amplifichi la sua finta indignazione.
Perchè è dall’11 settembre che l’assemblea sindacale era stata indetta, comunicata e autorizzata dal Ministero e a conoscenza del governo.
Questa mattina, dalle 8.30 alle 11, sono rimasti chiusi i siti archeologici più importanti della Capitale, dal Foro Romano al Palatino.
Davanti ai siti si è subito formata una lunga fila di turisti che non erano a conoscenza dell’assemblea sindacale, grazie alla colpevole assenza di comunicazione del governo.
Il ministro per i Beni Culturali Dario Franceschini ha attaccato: “La misura è colma”.
E ha annunciato che d’accordo con il premier Matteo Renzi proporrà in Consiglio dei Ministri di inserire musei e luoghi della cultura nei servizi pubblici essenziali. D’accordo con lui il sindaco di Roma Ignazio Marino: “La chiusura del Colosseo è uno schiaffo ai tanti cittadini e turisti che volevano visitare il sito più importante e amato d’Italia, uno sfregio per il nostro paese”.
Bugiardi matricolati
Come aveva già fatto sapere in una nota il Garante degli scioperi Roberto Alesse, l’assemblea era stata regolarmente convocata.
“Non è possibile che il ministro Franceschini non fosse a conoscenza del fatto che questa mattina le assemblee avrebbero potuto comportare il rischio di aperture ritardate – ha dichiarato il coordinatore nazionale Cgil al Mibact Claudio Meloni – A Roma l’assemblea è stata chiesta regolarmente l’11 di settembre e regolarmente autorizzata dal soprintendente con largo anticipo. Vorrei inoltre ricordare al ministro che i beni culturali già stanno nella legge che regolamenta i servizi pubblici essenziali”.
Non solo: Meloni manda un chiaro messaggio al Mibact e preannuncia uno sciopero nazionale: “La vertenza sui beni culturali potrebbe portare ad uno sciopero nazionale e le dichiarazioni odierne del ministro Franceschini certo non aiutano. Cgil,Cisl e Uil hanno già avviato le procedure previste dalle legge”.
Dura presa di posizione anche del leader Cgil Susanna Camusso: “Stiamo diventando uno strano paese, ogni volta che c’è una assemblea sindacale si dice che non si può fare. Capisco che si debba fare attenzione al turismo ma allora si dica chiaramente che i lavoratori non possano più avere strumenti di democrazia”.
Ormai “fare una assemblea sindacale è diventato impossibile”, ha aggiunto. Il cdm potrebbe decidere di inserire i musei nei servizi essenziali? “Questo non vuol dire cancellare la possibilità di fare assemblee e scioperi”.
“Sono dispiaciuto per i disagi, ma era impossibile vietare l’assemblea”, ha detto all’ANSA il soprintendente di Roma Francesco Prosperetti riguardo la chiusura del Colosseo.
“Tutto si è svolto regolarmente – spiega – l’assemblea non aveva come oggetto il Colosseo, il problema è nazionale e riguarda il mancato rinnovo del contratto e il mancato pagamento del salario accessorio: non ci sono rivendicazioni nei confronti della soprintendenza, ma del datore di lavoro generale che è Mibact”.
Al centro dell’assemblea, quindi, il rinnovo del contratto e il mancato pagamento del salario accessorio.
Le parole del ministro Franceschini vengono lette dai lavoratori come un tentativo di ridurre i loro diritti: “Tentano di stringere i diritti sindacali non riconoscendo ai lavoratori neanche la possibilità di riunirsi in assemblea. Vogliono chiuderci in servizi essenziali in cui non ci sono diritti dei lavoratori, che da mesi attendono invano. Diciamo che la misura è colma per noi”, ha detto Claudio Fianco, della Flp Roma.
(da “Huffingtonpost”)
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Settembre 18th, 2015 Riccardo Fucile
PRIMA: “LA RIFORMA E’ UNA FETENZIA”… ORA: “LA VOTO”
Il futuro della legislatura? Chiedete al senatore Vincenzo D’Anna, ormai una bandiera del soccorso verdiniano al governo Renzi.
Pronto a regalare alla riforma del Senato un voto favorevole a dir poco clamoroso.
Sì, perchè l’ex Gal e attuale portavoce nazionale del gruppo nato per volontà di Denis Verdini, Ala (Alleanza liberalpopolare-autonomie), è stato tra i più duri oppositori al ddl Boschi a Palazzo Madama, tanto da definirlo “una fetenzìa, un’offesa alla democrazia; che porterà in Senato dei cortigiani reggicoda, degli invertebrati“.
Ha cambiato idea? Non semplifichiamo. Sulla ‘qualità ‘ del provvedimento, D’Anna è coerente: “Era ed è una fetenzìa, una pessima legge; una riforma che metterà nelle mani di due, tre capibastione la vita del Parlamento e tutto il potere”.
E allora perchè, oggi, si dice pronto a votare a favore di questa riforma?
“Siccome Renzi va nella direzione di riforme di stampo liberale, siamo ben lieti che venga sul nostro versante. E allora potremmo, qualora ce ne fosse bisogno, sostenere il governo”. Nessun errore.
Il Renzi di cui parla D’Anna, cosentiniano di ferro, è lo stesso che fino a pochi mesi fa definiva “un pessimo riformatore e un ottimo tiranno“.
Un cambio di giudizio a 360 gradi.
C’entra qualcosa il rischio di elezioni anticipate, di perdere la poltrona?
“Se posso, dò il mio piccolo contributo”, risponde.
Inutile ricordargli che a inizio anno la pensava diversamente. “Io non voterò leggi che non prevedono la scelta diretta del parlamentare”, si scatenava in Aula.
Insomma, una coerenza che forse non ci è dato ancora di comprendere.
Chissà che tutto non diventi più chiaro, magari con l’ingresso di Ala nella maggioranza che sostiene il governo?
Ancora una volta tornano utili le parole dello stesso D’Anna, quelle che il 21 gennaio scorso rivolgeva direttamente a Denis Verdini, ai tempi ancora in Forza Italia: “Il Partito della Nazione con Matteo Renzi? Caro Denis, chiamami quando lo farai perchè in una nuova casa io ci devo poter entrare dalla porta principale, non come un mendicante dalla porta di servizio”.
Non sia mai. Tutto chiaro?
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Settembre 18th, 2015 Riccardo Fucile
MONICA PAOLINO E’ NEL MIRINO DELLA PROCURA DI SALERNO INSIEME AL MARITO, SINDACO DI SCAFATI E AL COGNATO
La presidente della commissione Anticamorra della Regione Campania, Monica Paolino (Forza Italia) è indagata per voto di scambio politico-mafioso.
L’accusa è contenuta in un decreto di perquisizione eseguito stamane dai carabinieri e dalla Dia di Salerno nella casa di Scafati dove la signora Paolino vive insieme al marito, il sindaco di Scafati Pasquale Aliberti. Anche lui è indagato.
L’inchiesta è curata dal pm della Dda salernitana, Vincenzo Montemurro. Perquisita anche la segretaria generale del Comune di Scafati, Immacolata Di Saia, e uno dei componenti dello staff del sindaco, Giovanni Cozzolino. Uno dei fedelissimi di Aliberti.
Gli inquirenti stanno frugando in casa Aliberti-Paolino, nella sede del Municipio e in alcune società che avrebbero assunto persone vicine alla giunta azzurra di Scafati.
La Paolino, consigliera regionale al secondo mandato, è stata eletta presidente della commissione Anticamorra agli inizi di agosto.
Fu durissimo il commento della senatrice del Pd Rosaria Capacchione, una giornalista del Mattino che vive sotto scorta da sette anni per le minacce del clan dei Casalesi: “Nomina quantomeno surreale. Un po’ come mettere un piromane a capo dei Vigili del fuoco. Adesso attendiamo solo quella di Dracula a presidente dell’Avis”.
La Paolino reagì con un preannuncio di querela: “Sono rimasta assolutamente basita per le gravissime, volgari, gratuite e assolutamente infondate insinuazioni nei confronti miei e del mio partito da parte dell’onorevole Capacchione che sarà ovviamente chiamata a risponderne nelle sedi giudiziarie penali e civili”.
La nomina di Immacolata Di Saia, già segretario generale a Casapesenna (Caserta), è stata in passato oggetto di durissime polemiche da parte dell’opposizione di centro sinistra.
La segretaria comunale è ritenuta molto vicina a Nicola Cosentino.
In una ordinanza di arresto dell’ex sindaco di Casapesenna Fortunato Zagaria, inquisito nel 2012 con l’accusa di essere stato al servizio del boss dei Casalesi Michele Zagaria (i due non sono parenti), il Gip di Napoli Maria Vittoria Foschini affermò che la possibile sostituzione della Di Saia a Casapesenna fu uno dei motivi scatenanti la sfiducia al precedente sindaco, Giovanni Zara.
Vincenzo Iurillo
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Settembre 18th, 2015 Riccardo Fucile
I VOLTAGABBANA: DUE TERZI DEI SENATORI PD, SINISTRA INTERNA COMPRESA, META’ DEI VENDOLIANI, QUALCHE CINQUESTELLE
“Vorrei proprio vedere se hanno il coraggio di guardarmi negli occhi”: se, come ha affermato all’Espresso , aspetta un segnale dai senatori Pd per il voto di Palazzo Madama che ha salvato Roberto Calderoli da un processo per razzismo, Cècile Kyenge può probabilmente attendere in assoluta calma.
Dietro la fredda conta numerica, infatti, c’è tutto un abisso da esplorare. Dai risvolti sinceramente inaspettati.
Secondo l’esito della votazione, solo 45 senatori hanno reputato che, per aver paragonato l’allora ministro dell’Integrazione a un orango, Calderoli meritasse l’aggravante della discriminazione razziale prevista dalla legge Mancino.
Mentre per ben 196 quella “battuta”, come l’ha definita il suo autore, era insindacabile, perchè in quel comizio il politico leghista stava esercitando le sue funzioni da parlamentare.
L’europarlamentare dem se la prende col suo partito: “Così ci distinguiamo dai populisti? Con quale coraggio rimprovereremo i nostri figli quando li sentiremo fare affermazioni razziste?”.
E sottolinea: “Quell’insulto, al Paese intero, ora arriva dalle istituzioni”
A scandagliare dietro questi quasi 200 senatori che hanno “graziato” l’esponente del Carroccio dalla pesantissima accusa, come ha fatto l’Espresso sulla base dei tabulati e delle votazioni , si resta tuttavia sorpresi per l’entità del supporto ricevuto dallo schieramento avverso.
A essere convinti che paragonare una donna di origini congolesi a un primate non prefiguri un caso di razzismo che esuli dalle funzioni parlamentari sono stati 81 senatori Pd.
Ovvero oltre due terzi del totale, considerato che i democratici a Palazzo Madama contano 113 onorevoli. Con una trasversalità assoluta fra maggioranza, minoranza interna, dissenzienti e dissidenti vari.
Si va dal capogruppo Luigi Zanda presidente della commissione Affari costituzionali Anna Finocchiaro, relatrice delle riforme costituzionali lo scorso anno proprio con Calderoli, dalla vicepresidente del Senato Valeria Fedeli a renziani osservanti tipo Andrea Marcucci.
Fino agli anti-Renzi per eccellenza, esponenti della sinistra interna che in questi giorni stanno alzando le barricate sulla riforma della Costituzione come Vannino Chiti o il bersaniano Miguel Gotor.
Di questi 81, la gran parte (68) hanno votato l’autorizzazione per far processare Calderoli per diffamazione, in ossequio alla via di mezzo escogitata dal Pd per non “assolvere” del tutto l’ex ministro.
Ma ce ne sono stati alcuni che hanno votato sia contro l’aggravante razziale che contro la diffamazione, proprio come il centrodestra.
Nove in tutto: Daniela Valentini, Mara Valdinosi, Maria Rosa Di Giorgi, Silvana Amati, Corradino Mineo, Raffaele Ranucci, Francesco Scalia, Ugo Sposetti e Ludovico Sonego.
Altri ancora hanno invece ritenuto non ci fosse discriminazione e non hanno votato al momento di esprimersi sull’autorizzazione a procedere per diffamazione: Anna Finocchiaro, Rosanna Filippin, Walter Tocci, Giuseppe Cucca, Claudio Broglia e Rosaria Capacchione.
Ma la convinzione che non ci fosse del razzismo nelle parole di Calderoli ha fatto breccia anche in un partito, come Sel, che si dice in prima linea sui diritti civili.
Su sei senatori vendoliani, tre hanno votato contro l’aggravante della discriminazione e si sono astenuti sulla diffamazione: Loredana De Petris, Luciano Uras e Giovanna Petraglia. Con loro anche l’ex grillina Maria Mussini.
Calderoli ha comunque potuto contare anche sull’aiuto di alcuni Cinque stelle, malgrado l’indicazione del gruppo prevedesse due voti contrari alle proposte di insindacabilità . Serenella Fucksia, la senatrice “tentata” dal salvataggio di Giovanni Bilardi in Giunta delle immunità – come Adele Gambaro, espulsa dal M5S – ha votato come il centrodestra: nelle parole di Calderoli non prefigura diffamazione nè razzismo.
Mentre le grilline ortodosse Laura Bottici e Nunzia Catalfo non hanno votato sull’aggravante razziale ma si sono espresse a favore del processo per ingiurie.
Non è mancata neppure qualche sorpresa assoluta, come quella che riguarda le senatrici fuoriuscite dal Carroccio per aderire al progetto “Fare!” di Flavio Tosi: Raffaela Bellot, Patrizia Bisinella ed Emanuela Munerato.
Tutte e tre si sono espresse sia a favore della discriminazione razziale che della diffamazione.
Hanno votato male o si tratta di una vendetta postuma nei confronti dell’ex collega leghista?
Paolo Fantauzzi
(da “L’Espresso“)
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