Settembre 26th, 2015 Riccardo Fucile
IL PUBBLICO RESTA FREDDO E LUI RIDUCE SALVINI A MERO PORTATORE DI VOTI… LA MELONI ORMAI SEMBRA LA PORTAVOCE DELLA LEGA… E CONTINUANO A PERDERE VOTI
Forse ha ragione Francesco Storace, quando twitta: “Berlusconi sta spiegando ad Atreju come vincere le elezioni del 1994. Ma oggi siamo nel 2015”.
Il ritorno sulla scena pubblica del leader di Forza Italia era atteso. Perchè mentre il suo partito è diventato un colabrodo, il Cavaliere ha scelto di continuare a starsene lontano: ad Arcore o, magari, in Russia dall’amico Putin come successo di recente.
E anche l’apparizione di oggi, alla kermesse organizzata da Giorgia Meloni, è stata in bilico fino all’ultimo.
Poi, alla fine, ha prevalso il pressing del cerchio magico. Un’insistenza, pare, non disinteressata: l’obiettivo — dicono alcune malelingue — era quello di depotenziare il suo intervento domani alla scuola di politica organizzata sul lago di Garda da Maria Stella Gelmini.
Non è sicuro neanche che ci vada, magari alla fine potrebbe decidere di limitarsi a una telefonata. Solo pettegolezzi? Comunque significativi dello stato in cui versa il partito.
Fatto sta che alla fine Berlusconi arriva alle Officine Farneto di Roma e non si avverte più il calore di un tempo: lui non fa scintille, nè la platea si scalda.
In fondo, questo per lui, non è più il pubblico di casa di un tempo, ormai è salvinizzato
Giorgia Meloni. invita l’ex premier ad uscire dal Ppe a trazione tedesca, come se questo risolvesse la crisi del centrodestra italiano.
Il Cavaliere ascolta ma non favella: abbandonare i Popolari non è nel novero delle cose e gli farebbe esplodere il partito in mano più di quanto già non stia accadendo ora.
Non manca qualche battutina: per carità , mai. Ma in fondo anche quelle sanno di vecchio. Come quando chiede alla platea se qualcuno non sia d’accordo con quello che ha detto e all’unica voce che si leva replica: “Il solito comunista, si infilano dappertutto”.
L’esordio è quasi svogliato. “Io non vorrei tornare a parlare di politica, oggi sono qui perchè ho fatto una promessa “. Ma certo, non può esimersi dal dire qualcosa sulla fuga di deputati e senatori. Ma lo fa con un tono quasi indifferente.
“Deo gratias, hanno lasciato Forza Italia i mestieranti della politica che la avevano presa come un taxi”. Qualcosa di più si intuisce sul tema della leadership del centrodestra.
Tanto per cominciare si capisce che di leader allo stato attuale lui ancora non ne vede (tranne — aggiunge — quando si guarda allo specchio).
Con buona pace di Matteo Salvini. Al quale riconosce di essere bravissimo “a parlare alla pancia della gente” e dunque di essere “utile” al centrodestra. Decisamente non una incoronazione.
Non stupisce l’ennesimo niet alle primarie, l’unica proposta della padrona di casa .. “Sono plausibili — sottolinea — solo quando non c’è un leader riconosciuto, se ci sono in campo seconde file”.
Per il resto, quello che l’ex premier suona davanti ai militanti che lo ascoltano ad Atreju è sempre il suo vecchio spartito: non manca quasi niente.
Nè il lungo excursus sui quattro colpi di Stato subiti, con tanto di accusa al “regista” Napolitano, nè la polemica contro i pubblici ministeri che nel suo mondo dovrebbero avere una carriera diversa da quella dei giudici e presentarsi ogni volta all’appuntamento “con il cappello in mano”. In fondo è sempre lì che va a finire: alla sua vicenda giudiziaria.
“Voglio e devo ritornare a battermi per la democrazia solo quando — afferma – sarà restituito al pieno splendore dell’innocenza dalla Corte di Strasburgo”.
Forse per tornare a vederlo al massimo della forma bisognerà aspettare quel momento. Forse.
(da “Huffingtonpost”)
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Settembre 26th, 2015 Riccardo Fucile
IL PREFETTO MORCONE: “SOLO PROPAGANDA POLITICA, NEL LUGLIO 2014 MARONI FIRMO’ PER LA RIPARTIZIONE ANCHE IN LOMBARDIA, ORA CAVALCA IL BOICOTTAGGIO”
“La delibera regionale che nega i finanziamenti agli albergatori che accolgono i migranti è incostituzionale. Non sta nè in cielo nè in terra. È uno di quegli atti che vengono fatti solo per propaganda politica. Comunque il ministero continuerà a mandare migranti in Lombardia, anche se continuerà il tentativo di boicottaggio del nostro piano”.
Non gira attorno ai concetti il prefetto Mario Morcone, capo dipartimento per le Libertà civili e l’immigrazione del ministero dell’Interno, invitato a parlare al master dell’università Cattolica su Competenze interculturali e formazione per l’integrazione sociale.
Non cita il presidente della Regione Roberto Maroni per nome e per cognome, ma è a lui che fa riferimento quando si lamenta del fatto che “ci sono amministratori locali e regionali che boicottano l’accoglienza ‘diffusa’ dei migranti sul territorio, contraddicendo gli impegni presi per la distribuzione delle quote in modo omogeneo su tutto il suolo nazionale e fra tutte le regioni”.
Morcone spiega che anche il governatore lombardo approvò nel luglio 2014, durante la conferenza Stato-Regioni, la ripartizione in base alla quale oggi la Lombardia accoglie il 12 per cento dei 96.804 migranti presenti in Italia al 22 settembre.
“Si badi bene che la Sicilia accoglie il 14 per cento, e che fino a poco tempo fa era al 21 per cento – sottolinea – Considerando il numero totale, stiamo parlando di 2 profughi ogni mille italiani. Una cifra molto bassa che sarebbe possibile assorbire senza problema se tutti gli 8.100 Comuni italiani facessero un piccolo sforzo. Invece, solo 500 ad oggi stanno accettando di accogliere nelle strutture protette i migranti in attesa di riconoscimento dello status di rifugiati e quelli già sotto protezione dello Sprar”.
Milano la sua parte la sta facendo sia per quanto riguarda i profughi in transito (80mila in due anni) sia per quelli di ” lungo periodo” (1.500).
Morcone rivela che c’è dibattito sulla caserma di Montichiari, in provincia di Brescia, che potrebbe diventare un centro profughi: “È grande, noi preferiremmo distribuire i migranti a piccoli gruppi nei Comuni. Ma se i sindaci non collaborano, dovremo pensare a quella soluzione”.
Il prefetto Morcone invita i Comuni a dare “lavoro socialmente utile, senza retribuzione, solo col rimborso spese. È una cosa utile per i migranti che così non si sentono parcheggiati a far niente, e serve alla cittadinanza per vivere queste persone non come un peso ma come una risorsa”.
L’alto dirigente del Viminale, che coordina il piano di smistamento dei profughi in Italia, insiste sulla necessità che tutti facciano la loro parte: “Nessuno potrà bloccare il flusso dei migranti da un continente all’altro. Il ministero ha le risorse economiche per rimborsare il 95 per cento delle spese sostenute per l’accoglienza. Paghiamo anche le Regioni per l’assistenza sanitaria. E c’è stato qualcuno che ha chiesto persino rimborsi gonfiati”.
Zita Dazzi
(da “La Repubblica“)
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Settembre 26th, 2015 Riccardo Fucile
“SE TI METTI IN TESTA DI CAMBIARE VITA PRIMA O POI CE LA FAI”
Via del Corso, l’arteria dello shopping della Capitale. Davanti al civico 117 c’è il “Corso grand suite”, un affittacamere aperto da un anno.
Nella hall, seduto dietro la scrivania c’è Ovidiu Burdusa, 36 anni, rumeno. Lui è il proprietario. Fino a sette anni fa faceva il guardiano notturno di un hotel.
Un ambiente di 200 metri quadri. I colori dominanti sono cioccolato e crema. Ci mostra le sei stanze, tutte abbastanza grandi, con tre o cinque letti, metà si affacciano su un cortile interno con l’edera che si arrampica sui muri, l’altra metà sulla strada di fronte alla Basilica dei santi Ambrogio e Carlo.
“Se ti metti in testa di cambiare vita prima o poi ce la fai — è una delle prime cose che ci dice -. Se aspetti che ti aiuti lo Stato, stai fresco. La chiave del successo ce l’abbiamo tutti, è nelle nostre mani. Il problema è saperla vedere, magari l’abbiamo solo messa in tasca”.
Ovidiu l’ha trovata quasi subito. Solo che la sua fatica è stata doppia perchè in Italia è uno straniero e fino al 2007 (anno in cui la Romania è entrata nell’Unione europea) era un extracomunitario.
È arrivato a Roma per la prima volta nel 1998. “L’Italia per noi era come l’America. Avevo già uno zio qui, che mi ha ospitato”. Ovidiu è partito dal basso per arrivare in alto. Da dipendente a datore di lavoro. Senza chiedere aiuto a nessuno, neanche alle banche. “Le odio — sputa il rospo -. Io non ho mai acceso un mutuo. Aspetto di avere liquidità per fare le cose”.
La sua carriera è iniziata come addetto al carico e scarico merci per un’azienda di alimentari. Poi ha fatto l’addetto alle pulizie e il receptionist in un hotel del centro. Il suo pallino è sempre stato il turismo. Così non era contento. Pretendeva di più da se stesso.
Alla fine del 2000 è tornato in Romania, a Bucarest, per frequentare la facoltà di Economia del turismo. Dopo cinque anni era di nuovo qui, con un centinaio di curriculum stampati infilati in una carpetta.
“Li ho portati a tutti gli hotel da Piazza della Repubblica a Piazza del Popolo”.
Il cuore chic di Roma. E la mente scivola nel ricordo che tiene stretto al suo cuore: “Mi sentivo come quando ero appena arrivato, rannicchiato sulla scalinata di Trinità dei Monti, mentre sottolineavo con l’evidenziatore il mio numero di telefono sul curriculum. Non dimenticherò mai quel momento, mai quel luogo”.
Con una laurea nel cassetto e un master in affari e turismo che seguiva a distanza (in una delle università di Bucarest), è stato assunto come guardiano notturno dopo dieci giorni. Dal 2008 al 2011 è diventato manager dello stesso hotel.
Ma l’obiettivo era mettersi in proprio. “Così ne ho acquistato uno, pagato per metà a rate, in Piazza di Spagna insieme a un collega”.
Passati due anni, hanno venduto l’attività a oltre il doppio di quanto lo avevano comprata. Un affare, insomma.
A quel punto, prosegue, “ero pronto per fare tutto da solo. Ho visto questo locale, abbandonato. L’ho ristrutturato e l’ho preso in affitto per 18 anni a 6500 euro al mese”.
Oggi, che ormai ha toccato il traguardo (si è pure sposato e ha due bambini), ne è ancora più convinto: “Ritornerò in Romania, spero già l’anno prossimo. Tutto questo sacrificio deve avere una fine, no? Non cambierei nulla del mio passato, ma in 17 anni ho fatto solo una vacanza, il viaggio di nozze. In 36 anni di vita ho visitato appena sette stati, non sono mai uscito dall’Europa. Voglio impegnarmi per il mio Paese, magari anche in politica. Voglio che i miei figli inizino le scuole là . Non ho preso la cittadinanza italiana, non mi serve, sono un cittadino comunitario orgoglioso delle mie radici. È vero, cinquant’anni di comunismo ci hanno distrutto ma ora c’è spazio per fare nuove cose. Con i miei fratelli ho un noleggio di auto a Bucarest. Il mio sogno è aprire un hotel in una località turistica di montagna”.
Ovidiu parla fluentemente quattro lingue, oltre al rumeno e all’italiano, l’inglese e lo spagnolo.
Il Corso gran suite ha fatturato 160mila euro nei primi sei mesi di attività . I clienti sono al 90 per cento stranieri, soprattutto americani, scandinavi e rumeni. Lui è soddisfatto: “Ho ospitato anche la nostra ambasciatrice”.
E pronto per un’altra avventura.
Chiara Daina
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Settembre 26th, 2015 Riccardo Fucile
IN CAMPANIA SUPERA DEL 55% LA MEDIA NAZIONALE… IN 4 ANNI IL CREDITO A IMPRESE SCESO DI QUASI 105 MILIARDI
Tra la fine di giugno del 2011 e lo stesso periodo del 2015, l’ammontare degli impieghi bancari alle imprese è diminuito di 104,6 miliardi di euro, mentre il numero di estorsioni e di delitti legati all’usura denunciato dalle forze dell’ordine all’Autorità giudiziaria è aumentato in misura esponenziale.
Lo indica la Cgia di Mestre, secondo la quale se nel 2011 le denunce di usura erano 352, nel 2013 (ultimo dato disponibile) sono salite a 460 (+30,7 per cento); le estorsioni, invece, sono passate da 6.099 a 6.884 (+12,9 per cento).
Nell’ultimo indice del rischio di usura, che da oltre 15 anni la Cgia provvede a calcolare, si sottolinea come tale fenomeno abbia assunto dimensioni preoccupanti soprattutto nel Mezzogiorno.
Nel 2014, infatti, la Campania, la Calabria, la Sicilia, la Puglia e la Basilicata sono state le realtà dove la “penetrazione” di questa piaga sociale/economica ha raggiunto i picchi maggiori.
Nelle aree dove c’è più disoccupazione – ha calcolato la Cgia – alti tassi di interesse, maggiori sofferenze, pochi sportelli bancari e tanti protesti, la situazione è decisamente a rischio.
Rispetto ad un indicatore nazionale medio pari a 100, la situazione più critica si presenta in Campania: l’indice del rischio usura è pari a 155,1 (pari al 55,1 per cento in più della media Italia), in Calabria a 146,6 (46,6 per cento in più rispetto alla media nazionale), in Sicilia si ferma a 145,3 (45,3 per cento in più della media Italia), in Puglia a 136,3 (36,3 per cento in più della media nazionale) e in Basilicata il livello raggiunge quota 133,2 (33,2 per cento in più della media Italia).
Diversamente, la realtà meno “esposta” a questo fenomeno è il Trentino Alto Adige, con un indice del rischio usura pari a 47,6 (52,4 punti in meno della media nazionale).
Anche la situazione delle altre 2 regioni del Nordest è relativamente rassicurante: il Friuli Venezia Giulia, con 72,8 punti e il Veneto, con 73,2 punti, si piazzano rispettivamente al penultimo e terzultimo posto della graduatoria nazionale del rischio di usura.
“L’indice del rischio di usura – spiega Paolo Zabeo coordinatore ufficio studi Cgia – è stato calcolato mettendo a confronto alcuni indicatori regionalizzati riferiti prevalentemente al 2014: la disoccupazione, le procedure concorsuali, i protesti, i tassi di interesse applicati, le denunce di estorsione e di usura, il numero di sportelli bancari e il rapporto tra sofferenze ed impieghi registrati negli istituti di credito”.
“Con le sole denunce effettuate dalle forze di Polizia all’Autorità giudiziaria – conclude Zabeo – non è possibile dimensionare il fenomeno dell’usura: le segnalazioni, purtroppo, sono relativamente poche. Spesso, le vittime di questo crimine si guardano bene dal rivolgersi alle forze dell’ordine; chi cade nella rete degli strozzini è vittima di minacce personali e ai propri familiari, elemento che scoraggia molte persone a chiedere aiuto. Per questo abbiamo incrociato i risultati di ben 8 indicatori per cercare di misurare con maggiore fedeltà questa piaga. Oltre al perdurare della crisi, sono soprattutto le scadenze fiscali e le piccole spese impreviste a spingere molti imprenditori nella morsa degli strozzini”.
(da “La Repubblica“)
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Settembre 26th, 2015 Riccardo Fucile
UN IMPUTATO FA I NOMI DELL’EX DIRETTORE DI LTF E DEL SENATORE PD, FEROCE OPPOSITORE DEI NO TAV
L’imprenditore valsusino Ferdinando Lazzaro, imputato nel processo «San Michele», dal nome dell’operazione dei carabinieri sulle presunte infiltrazioni di ‘ndrangheta in Piemonte, era riuscito a fare «intervenire in suo favore personalità politiche e quadri della committente Ltf» nell’ambito delle iniziative messe in atto per partecipare ai lavoro della Torino-Lione.
È quanto si ricava da un rapporto dei carabinieri del Ros presente negli atti dell’inchiesta. Fra i nomi citati dagli investigatori, ai quali si sarebbe rivolto Lazzaro, figurano quelli di Stefano Esposito, senatore Pd e oggi assessore ai Trasporti del Comune di Roma, e di Marco Rettighieri, all’epoca direttore generale di Ltf. I fatti risalgono al 2012, quando l’esistenza dell’inchiesta non era ancora nota e non si sapeva che Lazzaro fosse un personaggio monitorato dagli investigatori.
La replica
«Non ho ricevuto nessun avviso di garanzia». Così l’assessore Esposito, che continua: «Se sono indagato lo dicano, altrimenti chiedo io ai Ros di rendere pubblica una segnalazione che feci, mi pare nel 2013, in merito a ciò che l’imprenditore Ferdinando Lazzaro mi raccontò relativamente agli appalti della Sitaf.
La denuncia – ricorda Esposito – che secondo me aveva elementi di natura penale, l’ho fatta davanti al capitano Fanelli. Non mi risulta di essere intervenuto sui lavori Tav. So che dopo quella mia denuncia i Ros chiamarono altre persone che avevo segnalato e che potevano essere utili. Dal mio punto di vista non ho altro da aggiungere».
In merito poi a Marco Rettighieri, tirato in ballo nel rapporto dei Ros insieme a Esposito, l’assessore dice: «È una persona al di sopra di ogni sospetto, chiamato anche a risolvere i problemi di Expo».
E se gli si chiede quale sia oggi la sua posizione sulla Tav, l’assessore risponde: «Sempre la stessa, a favore e a maggior ragione».
(da “La Stampa”)
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Settembre 26th, 2015 Riccardo Fucile
IN CHE LINGUA LEGIFERANO GLI AUTORI DELLA NUOVA COSTITUZIONE?
Ma gli autori della nuova Costituzione Italiana sono italiani? E,se sì, in che lingua parlano e scrivono?
La domanda sorge spontanea se si leggono,per esempio, i commi 2 e 5 dell’articolo 2 del ddl costituzionale Boschi & C.sul nuovo Senato.
Il comma 2 riguarda chi elegge i senatori ed è già stato approvato con “doppia conforme” (testo identico) a Palazzo Madama e a Montecitorio, dunque il governo non vuole toccarlo neppure sotto tortura: “I Consigli regionali e i Consigli delle Province autonome di Trento e di Bolzano eleggono, con metodo proporzionale, i senatori tra i propri componenti e, nella misura di uno per ciascuno, tra i sindaci dei Comuni dei rispettivi territori”.
Il comma 5 invece riguarda la data di scadenza: “La durata del mandato dei senatori coincide con quella degli organi delle istituzioni territoriali nei quali sono stati eletti”. Siccome nella prima versione del Senato si dice“nei quali”e in quella della Camera“dai quali”, non c’è stata doppia conforme, dunque il governo — bontà sua — concede che il comma 5 venga emendato: infatti è lì che vuole riversare l’emendamento Boschi-Finocchiaro per accontentare la sinistra Pd che chiede il Senato elettivo.
L’emendamento aggiunge, dopo le parole “dai quali sono stati eletti…”, questo periodo: “…in conformità alle scelte espresse dagli elettori per i candidati consiglieri in occasione del rinnovo dei medesimi organi, secondo le modalità stabilite dalla legge”.
Già è stravagante che, al comma 5 dedicato alla durata dei senatori, si aggiunga una frase su chi li nomina, anzichè inserirla al comma 2 dedicato a chi li nomina (un errore blu che sarebbe già riprovevole in un regolamento condominiale, figurarsi nella Costituzione repubblicana).
Poi c’è un problema di forma, che poi è di sostanza: alla fine, questi benedetti senatori,chi li decide?
Li “eleggono” i Consigli regionali, come dicono il comma 2 e la prima metà del 5, oppure li “scelgono” gli elettori, come afferma la seconda metà del comma 5?
Il contrasto insanabile fra maggioranza e minoranza del Pd finisce dritto e filato, ma soprattutto irrisolto, nell’art. 2 del ddl Boschi & C. che modifica l’art. 57 della Costituzione.
Per cui, quando gli insegnanti di diritto del futuro dovranno spiegare ai loro studenti perchè nell’articolo 57 della Costituzione non si capisce una mazza, diranno così:“Sapete, ragazzi, nel 2015 l’Italia era governata da una banda di squilibrati che, pur di fare alla svelta qualche ‘riforma’ purchessia, non erano d’accordo su nulla e capivano ancor meno, così si lottizzavano pure i commi:uno e mezzo a Renzi e mezzo a Bersani”.
Poi gli toccherà pure spiegare chi fossero questo Renzi e questo Bersani, e peggio per loro.
Come ha notato Michele Ainis, chi prova a leggere tutto d’un fiato il nuovo comma 5 rischia l’ipossia: è un unico periodo di 43 parole con due sole virgole, roba da far stramazzare un campione di apnea.
Del resto tutto il ddl Boschi, che modifica la Costituzione sul Senato, il titolo V e il Cnel, è un capolavoro di prolissità e cialtroneria.
Il solo articolo 2 conta 6 commi, il doppio della media di ogni articolo della Costituzione vera, quella del 1946-’47.
Per giunta la prosa è il peggiore burocratese, cioè l’“antilingua” (copyright Italo Calvino) nata nei palazzi della politica apposta per non far capire nulla ai cittadini. Chi legge gli articoli della Carta rimasti intatti, nella prima parte, e quelli modificati negli ultimi vent’anni, capisce lo scadimento verticale, in picchiata, della classe politica dal dopoguerra a oggi. E chi pensa male parla male e scrive peggio.
“La Costituzione — disse Meuccio Ruini, presidente della Costituente, aprendo nei lavori—si rivolge direttamente al popolo e deve essere capita”. E i 556 padri costituenti, provenienti dalle culture politiche più diverse, anzi opposte, lo seguirono. Alla fine la stesura fu sottoposta a due grandi linguisti, Pietro Pancrazi e Concetto Marchesi,perchè la rendessero ancor più semplice, lineare e intelligibile.
Risultato: un testo agile e comprensibile a tutti, anche in un Paese largamente analfabeta come l’Italia uscita dalla guerra: 9300 parole in tutto (secondo i calcoli di Tullio De Mauro), con appena 1357 vocaboli e frasi lunghe non più di 20 parole.
Poi arrivarono i lanzichenecchi della Seconda Repubblica.
Cominciarono nel ’99 col “giusto processo” (da un’idea di Cesare Previti, scambiato per Cesare Beccaria): 8 commi scritti coi piedi dal centrosinistra.
Proseguirono, sempre sotto l’Ulivo, nel 2001 col nuovo titolo V sul federalismo (il solo art. 117 si divide in 9 commi, di cui il secondo è composto da 17 lettere, dalla a alla s: infatti produsse un’infinità di contenziosi tra Stato e Regioni davanti alla Consulta, e ora lo si cambia di nuovo).
La destra completò l’opera nel 2005 con la Devolution, che doveva cambiare 55 articoli (il solo art. 70 passava dalle 9 parole del testo originale a 717), ma per fortuna non ci riuscì perchè gl’italiani la bocciarono al referendum.
Ora tocca ai rottamatori, soprattutto della lingua italiana: infatti parlano un idioma di ceppo non indoeuropeo e necessitano di traduttore simultaneo e codice di decrittazione.
Purtroppo —avvertiva Beccaria —la norma oscura “strascina seco necessariamente l’interpretazione”: crea enorme confusione “se le leggi siano scritte in una lingua straniera al popolo, che lo ponga nella dipendenza di alcuni pochi”.
Infatti Piero Calamandrei, ai costituenti, raccomandò con Dante di fare “come quei che va di notte, che porta il lume dietro e a sè non giova, ma dopo sè fa le persone dotte”.
E Benedetto Croce invocò in aula lo Spirito Santo, intonando il Veni Creator.
Ora Renzi invoca Verdini: “Denis Creator Spiritus…”
Marco Travaglio
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Settembre 26th, 2015 Riccardo Fucile
PADOAN: “TEMO IMPATTO PER L’ITALIA”
Sabato nei palazzi comunitari di Bruxelles tutti ostentano stupore ed incredulità per lo scandalo dei motori diesel truccati della Volkswagen.
Ma erano stati avvertiti sin dal 2013 (i primi dati risalgono al 2011) del pericolo per l’ambiente rappresentato da software e strumenti (peraltro illegali sin dal 2007) per alterare i risultati dei test inquinanti dei motori diesel.
Gli stessi programmi e marchingegni impiegati da Volkswagen e scoperti negli Usa ma invece ignorati dai Ventotto nonostante fossero stati messi in guardia.
È quanto emerge dal rapporto del Joint Research Center dell’Ue illustrato ai vertici comunitari due anni fa secondo quanto riferisce il quotidiano britannico Financial Times in prima pagina.
Rapporto che suggeriva già allora di effettuare i test sui gas inquinanti su strada e non dentro officine attrezzate solo a simulare l’andatura più o meno veloce delle auto.
Poi, nel corso della mattina è arrivata la precisazione dell’Ue.
« I ricercatori Ue hanno misurato solo le emissioni delle auto, non i motori cui non avevano accesso, scoprendo gas in laboratorio diversi da quelli su strada: una cosa nota che ha portato la Ue a introdurre test su strada dal 2016», ha detto un portavoce della Commissione ricordando che spetta agli Stati, non a Bruxelles, verificare software incriminati come quello di Volkswagen.
Nencini: «Circa 1 milione di veicoli coinvolti in Italia» §E intanto spuntano i primi dati sul numero di veicoli coinvolti nel nostro Paese.
«C’è una previsione di massima che parla di circa 1 milione di veicoli coinvolti», ha ammesso Riccardo Nencini, viceministro alle Infrastrutture e ai Trasporti, a margine del meeting nazionale dei centri privati per le revisioni dei veicoli a motore, in corso a Genova. «Ci sono i controlli in corso per verificare il danno provocato anche in Italia da Volkswagen».
Padoan: «Colpo alla fiducia, temo ricadute»
«Si tratta di un colpo molto duro alla fiducia, un ingrediente fondamentale ma tra i più carenti durante la crisi» ha detto il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan.
«Temo che ci siano conseguenze, mi auguro limitate, anche perchè a catena ci potrebbero essere effetti sull’industria italiana», ha aggiunto. «Il problema non è solo tedesco, ma europeo» e «se la fiducia viene intaccata, sono a rischio gli investimenti». Una parte importante della componentistica Volkswagen viene infatti prodotta in Italia.
Piano di interventi
Intanto Volkswagen sta preparando un piano per intervenire sugli 11 milioni di auto coinvolte dallo scandalo del «defeat device», il software con cui la casa automobilistica ha falsato i test sulle emissioni. Lo ha detto la stessa Volkswagen secondo l’agenzia Bloomberg. Vw contatterà «velocemente» i clienti e l’intervento sarà gratuito.
Il sistema
Il software sotto accusa è un marchingegno che si attivava per ridurre le emissioni di sostanze inquinanti solo quando i software gli segnalavano che l’auto diesel su cui era fraudolentemente installato si trovava sui rulli per i test in officina.
Una volta in strada, verificando che la macchina curvava e non si trovava più su dei rulli con lo sterzo bloccato, il diabolico strumento si spegneva da solo, facendo impennare anche di 40 volte i livelli di inquinanti.
Il tutto all’insaputa dei proprietari delle vetture ma non delle case costruttrici. Secondo il quotidiano economico finanziario della City «l’incapacità delle autorità regolatorie in tutta l’Ue (la responsabilità in materia è dei singoli Stati, ndr) di denunciare questi trucchi porta alla luce il potere delle lobby dell’industria automobilistica europea che ha scommesso molto sui diesel.
Circa il 53% delle nuove auto vendute nell’Ue sono (oggi) diesel, rispetto al circa 10% dei primi anni ’90»
Il conservatore Daily Telegraph, citando Greenpeace, sostiene che a Bruxelles è attiva una potente lobby del diesel che solo nel 2014 ha speso 18,4 milioni di euro per sostenere la diffusione di questo tipo di motori.
La Svizzera blocca la vendita dei diesel Volkswagen
La Svizzera ha bloccato la vendita dei veicoli diesel del gruppo Volkswagen coinvolti nello scandalo.
Lo ha deciso l’Ufficio stradale federale elvetico.
Le autorità svizzere hanno inoltre annunciato di aver formato un gruppo di lavoro che analizzerà e fornirà raccomandazioni sul tema. Il Paese elvetico è il primo ad avere adottato un provvedimento concreto dopo la scoperta della truffa della casa automobilistica tedesca.
Il divieto in Svizzera non influisce sulle auto che sono già in circolazione, ha aggiunto l’Ufficio federale stradale in un comunicato sottolineando di aver registrato 180mila veicoli che possono essere stati truccati.
(da “Il Corriere della Sera”)
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Settembre 26th, 2015 Riccardo Fucile
NEL MIRINO JOBS ACT E BUONA SCUOLA, MA SOPRATTUTTO L’ITALICUM: “MANCANO 100.000 FIRME”
Cinque giorni per 100 mila firme. È appeso a questo numero l’esito degli otto quesiti referendari promosso dal movimento politico di Pippo Civati, “Possibile”.
«Non è impossibile da raggiungere», gioca con le parole l’ex compagno di banco della prima Leopolda di Matteo Renzi.
Da settimane l’ex dem gira in lungo e largo lo stivale, «in questo momento sono a Crotone, in serata a Cosenza, e domani che ci saranno 500 banchetti in tutta Italia tornerò a quello di casa, dove troverò la mia compagna».
L’impianto dei quesiti vorrebbe smontare leggi chiave del renzismo.
«Non per far cadere il governo», ma, afferma Civati, «per far tornare i cittadini a poter votare». Degli otto, infatti, due riguardano l’Italicum, legge elettorale approvata in via definitiva la primavera scorsa. Che Civati propone di modificare eliminando i capilista bloccati e le candidature plurime.
Il terzo e il quarto vogliono le eliminazioni delle trivellazioni a mare.
Il quinto è contro lo Sblocca italia, per superare- dice Civati- la politica delle grandi opere. Il sesto e il settimo prendono di mira il Jobs Act, provvedimento che ha scatenato le ire della sinistra interna al Nazareno.
E infine, l’ottavo colpisce la “buona Scuola”. Per l’appunto si chiede di abrogare «il potere di chiamate del preside manager ».
La campagna referendaria è stata avviata lo scorso 17 luglio. Da completare con la raccolta di 500 mila firma entro il 30 settembre.
Secondo i calcoli dello staff di Civati, ne mancherebbero circa 100 mila. Un numero che l’ex leopoldino spera di ottenere in questo weekend.
Così da portare a compimento l’impresa: il referendum nella primavera del 2016. Ma la meta appare lontana. I promotori dell’iniziativa hanno iniziato un dialogo con alcune forze politiche e sociali.
Con l’intento di servirsi del referendum per provare a «ricostruire una sinistra alternativa a Matteo Renzi e al partito della nazione».
Ma Civati ha perso per strada i “compagni” vendoliani di Sel.
Il motivo? «Non ci convince di formularli in questo modo e in questi tempi» taglia corto Nicola Fratoianni, parlamentare e segretario nazionale di Sel.
«Oltretutto molti soggetti coinvolti, penso ai sindacati della scuola, ma anche alla Cgil, hanno espresso dubbi anche di merito».
Qualche giorno fa, però, Fratoianni ha cambiato idea firmandoli ugualmente perchè «non sia mai che alla fine dovesse mancarne una, la mia».
Anche Paolo Ferrero, Antonio Di Pietro, il grillino Alessandro Di Battista e l’intramontabile Marco Pannella hanno sottoscritto i quesiti proposti da Civati.
Il leader radicale ha messo a verbale che «firmo a prescindere dal contenuto dei quesiti anche a nome dei milioni di elettori che non hanno visto il diritto alla conoscenza ».
In casa dem si è registrato il sostegno del lettiano Marco Meloni e di Walter Tocci.
Grande assente la Cgil. E, soprattutto, quel Maurizio Landini invocato da Civati a più riprese: «Perchè non firmi i referendum? ».
Giuseppe Alberto Falci
(da “La Repubblica”)
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Settembre 26th, 2015 Riccardo Fucile
PRENDEVANO STIPENDI DA 60.000 A 96.000 EURO, PIU’ DEL PRESIDENTE CHE NE GUADAGNA 75.000… ERANO STATI ASSUNTI DALLA GIUNTA ALEMANNO
Sessanta dipendenti Ama licenziati in un colpo solo. È la prima volta che in un’azienda pubblica si verifica un terremoto del genere.
Ieri pomeriggio il cda dell’ex municipalizzata romana dei rifiuti ha deciso di mettere fine al rapporto di lavoro di 37 amministrativi e 23 autisti, tutti raccomandati di Parentopoli, la vicenda di assunzioni pilotate dell’era Alemanno, che oltre all’Ama ha coinvolto anche l’azienda romana dei trasporti, l’Atac.
Una vicenda portata sotto i riflettori proprio da Repubblica e chiusa a maggio scorso con la sentenza del tribunale penale che ha condannato l’ex ad Franco Panzironi, adesso in carcere per Mafia capitale, a 5 anni e 3 mesi.
Grazie a queste assunzioni, i 41 amministrativi raccomandati, diventati poi 37 perchè due si sono dimessi e due sono stati assunti da Acea, percepivano stipendi che andavano da un minimo di 60mila euro lordi l’anno a un massimo di 96mila, più del presidente dell’azienda Daniele Fortini, che ne prende 75mila.
«La nostra è stata una scelta coerente con la sentenza del tribunale – dichiara il presidente Fortini – presa in accordo con il sindaco Ignazio Marino, che da subito si è espresso per il licenziamento ».
Ma i sindacati avvertono: «Non esistono licenziamenti collettivi, ci saranno ricorsi».
Il sindaco Marino pochi giorni fa era stato chiaro sul destino degli assunti “amici degli amici”: «Licenziamento, anche se si andrà incontro a cause e rischio risarcimenti».
Per ora il risarcimento per le assunzioni fuorilegge lo ha chiesto l’Ama agli autori del reato, vale a dire a Panzironi e agli altri dirigenti condannati.
Per deliberare la fine del rapporto di lavoro e mettersi al riparo da eventuali ricorsi, il cda di Ama ha atteso le motivazioni della sentenza che sono arrivate la settimana scorsa.
Le quarantuno assunzioni a chiamata diretta tra la fine del 2008 e il 2009 «furono frutto di decisioni arbitrarie e clientelari», hanno scritto i magistrati nella sentenza. Ancora. «Come appurato dalla polizia giudiziaria molti degli assunti erano legati a rapporti di parentela o affinità con esponenti politici o persone a costoro vicine ed erano espressione del volere, per nulla trasparente, dell’amministratore delegato».
Tra gli assunti, oltre a quello che sarebbe poi diventato il genero dello stesso Panzironi, Armando Appetito, il figlio del responsabile della segreteria degli onorevoli Gasparri e Alemanno e la figlia del caposcorta di quest’ultimo.
Nell’epoca Parentopoli furono 841 gli assunti per cui la procura ipotizzò il falso o l’abuso.
Ma la condanna a Panzironi e company è arrivata perchè 41 amministrativi, alcuni impiegati altri quadri, sono stati assunti con una delibera retrodatata, per aggirare la legge Brunetta che vieta le assunzioni per chiamata diretta.
I 23 autisti, invece, erano stati giudicati inidonei ma il loro punteggio era stato successivamente alterato.
La vicenda Parentopoli ha avuto ripercussioni pesantissime sulla giunta Alemanno, bocciata e punita dai romani nelle ultime elezioni comunali del maggio 2013, che hanno portato alla vittoria di Marino.
«Governeremo nel segno della discontinuità », ha più volte ripetuto il neo eletto per marcare la differenza rispetto alla precedente gestione.
Adesso l’Ama si avvia a voltare pagina. Il sindaco Marino punta a quotare in borsa l’azienda, e ad avviare un matrimonio di interessi con un partner industriale forte, che supplisca al deficit tecnologico della società dei rifiuti.
Proprio in questi giorni l’assemblea capitolina discute l’affidamento del servizio per 15 anni.
Cecilia Gentile
(da “La Repubblica“)
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