Settembre 11th, 2015 Riccardo Fucile
IL PRESSING RENZIANO GENERA UNA REAZIONE NEL PRESIDENTE DEL SENATO
Ciò che sembra perfino ovvio in tempi normali, in alcuni momenti “politici” può diventare dirompente. È il caso della frase, breve e asciutta, consegnata da Piero Grasso ai cronisti, dopo giorni in cui sono proliferate svariate interpretazioni del suo pensiero e interessate previsioni dei suoi atti, da tante improvvisate Cassandre: “Io dirigo l’aula. Quando sarà il momento deciderò io”. Punto.
Ciò che ovvio in tempi normali è significativo dopo che, per giorni, nel governo in parecchi hanno descritto Grasso intento a rassicurare palazzo Chigi sul destino, in Aula, del famoso articolo.
E dopo che, ad esempio, si è apertamente pronunciata (a favore di palazzo Chigi) la presidente della Commissione Affari costituzionali Anna Finocchiaro.
Grasso non ha ancora deciso, e deciderà in autonomia, sulla base di regole e precedenti.
Nel ribadire questa sua prerogativa fa capire che non ci sarebbe nessun conflitto istituzionale qualora la decisione fosse, ad esempio, il contrario di quel che pensano il ministro Boschi e la Finocchiaro.
E già questo è un dato politico non irrilevante.
Soprattutto dopo giorni in cui spifferi di palazzo Madama gli hanno attribuito posizioni nella quali non si riconosce.
E dopo giorni in cui i falchi renziani hanno esercitato forme di pressing, dirette o indirette, costringendolo a smentite che avrebbe volentieri evitato.
Ecco, questo elemento di fastidio emerge, connaturato alla natura rigorosa dell’uomo che per trent’anni ha fatto il magistrato in Sicilia negli anni più difficili delle guerre di mafia.
Pensare che le sue decisioni possano essere “politicamente” condizionabili e prese non in autonomia è solo una perdita di tempo.
Tempo invece che, secondo Grasso, dovrebbe essere impiegato a costruire l’unica via d’uscita che vede possibile: “Da questa situazione — è il suo pensiero — se ne esce solo con un accordo politico”.
E lo scouting in atto non si può certo definire una forma di accordo politico. Per questo sperava che il frutto della riunione di Renzi con i senatori portasse a un accordo solido. E invece è prevalso lo schema dei falchi del premier, fatto di caccia al voto del singolo senatore per andare alla conta.
Bastava ascoltare le parole di Lotti alla festa dell’Avanti: “Se ci sarà bisogno ci rivolgeremo ad altre. E Verdini è un senatore come gli altri”.
È esattamente una via, questa, su cui il presidente del Senato mantiene tutte le sue perplessità e un crescente pessimismo della ragione privato, opposto all’ottimismo della volontà mostrato in pubblico.
Tutto sta precipitando verso una drammatica conta.
Drammatica per il Pd ma anche per tutto il Parlamento. Perchè, ha lasciato intendere Grasso nei giorni scorsi, con un accordo solido che si fonda su una maggioranza ampia, non è difficile superare l’ostruzionismo di migliaia di emendamenti.
Gli strumenti ci sono, eccome. Ma il dibattito politico non sembra andare in questa direzione, quella dell’accordo.
Anzi, va nella direzione opposta.
(da “Huffingtonpost“)
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Settembre 11th, 2015 Riccardo Fucile
MAI COSI’ IN ALTO IL TENNIS ITALIANO: LA BRINDISINA TRAVOLGE LA HALEP, LA TARANTINA PIEGA SERENA WILLIAMS E COMPIE IL MIRACOLO
Flavia Pennetta e Roberta Vinci scrivono la storia del tennis italiano: la finale degli Us Open è loro.
La brindisina, testa di serie numero 26, ha sconfitto nella prima semifinale la romena Simona Halep, seconda forza del tabellone, con il punteggio di 6-1 6-3 in un’ora di gioco.
Ma l’impresa che sconvolge il mondo del tennis la compie Roberta Vinci: un 2-6, 6-4, 6-4 a Serena Williams che interrompe il sogno della statunitense di vincere tutti e quattro i tornei dello Slam nella stessa stagione a distanza di 27 anni da Stefi Graf.
La finale tutta italiana si giocherà sabato alle 18 italiane, e potrà essere seguita in diretta video su Eurosport e testuale su Repubblica.it.
E’ la prima finale tutta italiana, sia sui campi di Flushing Meadows che in un torneo dello Slam.
Con Pennetta e Vinci diventano cinque le giocatrici azzurre a raggiungere la finale di uno dei quattro tornei più importanti del mondo, dopo il successo al Roland Garros di Francesca Schiavone nel 2010 e le finali ancora della Schiavone e di Sara Errani ottenute sempre sulla terra parigina, rispettivamente, nel 2011 e nel 2012.
FLAVIA DOMINA
Dal punto di vista delle emozioni, il match che ha offerto meno al pubblico neutrale è stato quello della Pennetta.
La brindisina comanda dall’inizio alla fine: parlano chiaro i suoi 23 colpi vincenti (16 gli errori), oltre il doppio della romena, ferma a 10 (con 23 errori). Nel primo set dopo che entrambe le giocatrici tengono la battuta nei primi due game l’azzurra infila 5 giochi consecutivi, strappando due volte il servizio alla Halep e chiudendo 6-1 in appena 28 minuti, con uno dei suoi classici rovesci lungo linea.
Break della Pennetta anche in avvio di seconda frazione ma questa volta la Halep ha una reazione intensa dal punto di vista agonistico, mettendo a segno il contro-break, strappando il servizio a zero.
La romena sembra riuscire a dare una svolta ala sua serata quando sale sul 3-1, strappando ancora il servizio alla Pennetta. Qui però esce la solidità della Pennetta, unita anche alla perfezione della strategia tattica: la Halep inizia a rincorrere da una parte all’altra i colpi della brindisina fino allo sfinimento atletico. Per la Pennetta è la quarta vittoria in cinque confronti diretti con la numero 2 del mondo, non tardano ad arrivare i complimenti del fidanzato Fabio Fognini che, su Twitter, esclama: “Strepitosaaaaa”.
“‘RIMASTA SEMPRE POSITIVA”
“Sono molto felice – ha detto a fine gara la Pennetta – essere qui è straordinario. E’ andato tutto bene fin dal primo punto. Anche quando mi sono ritrovata sotto sono rimasta positiva. Tutto mi rende felice e non ho parole per raccontare le mie emozioni. Ho cercato di spingere tanto e sbagliato pochissimo per allontanarla dalla riga di fondo”. Superato alla grande anche l’inizio di secondo set negativo. “Non è stato semplice. Ho cercato di mantenere la calma. Ho perso due game nel modo sbagliato. Poi ho ripreso a giocare come ho fatto nel primo set”.
IL PRODIGIO DI ROBERTA
Ma l’impresa incredibile l’ha compiuta Roberta Vinci: nella seconda semifinale la tarantina ha eliminato Serena Williams, numero uno del tabellone e della classifica Wta, con il punteggio di 2-6 6-4 6-4.
La Williams, dopo aver condotto abbastanza agevolmente il primo set, ha iniziato a soffrire il tennis della Vinci. Poche prime palle di servizio, ma una costanza negli scambi sofferta dalla statunitense.
La Williams già lo scorso mese di luglio aveva rischiato grosso a Wimbledon contro Hather Watson, ma alla fine era riuscita a trovare il guizzo della fuoriclasse per restare a galla.
La Vinci questa cosa non gliela ha permessa: non si è inconsciamente accontentata di essere arrivata ad un passo dall’impresa, ha insistito con grande ferocia agonistica ed ha avuto la meglio.
“E’ il momento più bello della mia vita. Scusami Serena, chiedo scusa agli americani ma oggi era la mia giornata”, commenta con gli occhi lucidi e la faccia incredula Roberta . “Sono orgogliosa di me stessa e ringrazio il mio allenatore, sono veramente felice di questo momento”.
“Ho perso il primo set, ho cercato di rimanere attaccata al match e quando ho servito per il match tremavo tutta.Non dovevo pensare a Serena, che è la migliore”, analizza aggiunge la Vinci, che poi scherza in italiano con il suo allenatore quando gli fanno notare che era data a 300 dai bookmakers: “Coach, quanti soldi ho vinto?”.
Un match deciso da chi ha tenuto più saldi i nervi: “Alla fine eravamo entrambe sotto pressione. Mi sono detta ‘metti la palla in campo, cerca di mettere tutte le palle in campo e non pensare a Serena che sta dall’altra parte della rete: palla in campo e corri” dice sorridendo.
Ora tocca a Flavia Pennetta… “Una finale tutta italiana… Stupendo”. “Questa vittoria la devo a me stessa, alla mia tenacia, al mio gioco. Voglio ringraziare il mio team, il mio allenatore. Sono davvero felice. Voglio godermi questo momento”
(da “La Repubblica”)
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Settembre 11th, 2015 Riccardo Fucile
IL DEMOGRAFO ROSINA: SITUAZIONE SIMILE ALLA GERMANIA
Germania e Italia sono i Paesi a maggior tasso di invecchiamento d’Europa, e tra i primi nel mondo dopo il Giappone.
Come tutti gli esperti confermano, molto presto questo fenomeno in progressivo aggravamento rischia di creare gravi conseguenze.
«Non solo sull’economia, ma anche sul welfare, sulla spesa sanitaria – spiega Alessandro Rosina, professore di Demografia alla Cattolica di Milano – e in ultima analisi anche dal punto di vista della sostenibilità sociale».
Sì, perchè un Paese ha bisogno del motore produttivo economico e culturale assicurato dalle giovani generazioni. Che in Europa si stanno riducendo, contraendo la quota di popolazione potenzialmente produttiva, e al contrario incrementando – per quanto si sposti sempre più in avanti l’età di pensionamento – la popolazione anziana
Nuove generazioni
Italia e Germania hanno una struttura demografica assolutamente analoga, con la fecondità e la natalità in calo, e tanti anziani (nel Belpaese un pochino più longevi).
Nella triste classifica del tasso di dipendenza strutturale degli anziani – il rapporto tra la popolazione di 65 anni e più, e quella tra 15 e 64 anni – noi abbiamo 33,1 anziani ogni 100 «attivi», loro 31,5.
La Turchia ne conta 11,3, la Nigeria solo 4,5.
Ma il problema si affronta in modo molto differente, come mostra la decisione della cancelliera Angela Merkel di accogliere per diversi anni 500 mila immigrati l’anno.
«La differenza è tutta qui – afferma il demografo – la Germania sa cogliere per tempo le trasformazioni in corso, cercando di capire come guidarle per ridurre i rischi»
Si sa che nel Paese della Merkel da sempre si investe sulla qualità , puntando sulla ricerca, la formazione e la valorizzazione del capitale umano.
Ma ora c’è anche un problema quantitativo che riguarda le giovani generazioni. Che vengono rafforzate attirando in Germania talenti – la scelta di molti giovani «cervelli» italiani – ma anche immigrati extraeuropei.
Politiche miopi
Secondo Rosina, l’Italia in questi anni ha fatto politiche di contrasto e non di valorizzazione della qualità dell’immigrazione, attirando le persone più «necessarie» e più facili da includere.
La Germania, al contrario ha saputo guardare lontano, «sa di quali competenze dispone e quali deve attirare». E dunque, c’è il serio rischio che mentre i giovani italiani più qualificati andranno all’estero, «noi attrarremo immigrati con professionalità inferiori, badanti al nero, braccianti agricoli sfruttati o manovali».
Senza alternativa
Detto questo, secondo le inesorabili leggi della demografia l’apporto di nuovi giovani non basterà alla Germania (e non basterebbe neanche per noi, va da sè) per arrestare in modo efficace lo sbilanciamento demografico.
«È impossibile pensare che all’invecchiamento si possa rispondere esclusivamente attraverso più immigrazione, a meno di muovere flussi migratori tali da essere ingestibili anche per Paesi ricchi», chiarisce Alessandro Rosina.
C’è un impatto nell’immediato; ma i nuovi arrivati cominciano anche loro ad invecchiare. E dal punto di vista della natalità dopo due generazioni anche gli immigrati tendono a convergere sulla media della popolazione autoctona».
Insomma, il gap tra noi e il resto d’Europa e del «Primo Mondo» si restringerebbe, ma non si chiuderebbe.
Servirebbe per forza un aumento della natalità .
Roberto Giovannini
(da “La Stampa”)
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Settembre 11th, 2015 Riccardo Fucile
LA POPOLAZIONE INVECCHIA E IL TASSO DI NATALITA’ E’ BASSO: NEL 2060 MENO 8% DI FORZA LAVORO
«Se riusciamo a integrare in fretta i profughi nel mondo del lavoro, risolviamo uno dei maggiori problemi per il futuro economico del nostro paese: la mancanza di personale qualificato».
Nelle parole del vicecancelliere e ministro dell’Industria Sigmar Gabriel, pronunciate ieri di fronte al Bundestag, c’è l’importante risvolto economico dell’accoglienza dei richiedenti asilo: i migranti possono fornire alla Germania quei circa 6 milioni di lavoratori che mancheranno entro il 2030.
La popolazione invecchia, il tasso di natalità è basso, e senza il contributo della persone che arrivano “da fuori”, «è in pericolo non solo il sistema delle imprese, ma anche il benessere generale della società », sostiene il leader del partito socialdemocratico.
A preoccupare sono, in particolare, le proiezioni sulla parte orientale del Paese: tra quindici anni nei Là¤nder della ex Repubblica democratica tedesca un terzo degli abitanti sarà oltre i 64 anni, contro l’attuale 24%.
Nel 2060 la popolazione complessiva dell’Est si sarà ridotta di un quarto rispetto ad oggi: da 12,5 a 8,7 milioni.
All’Ovest le variazioni sono inferiori, ma il trend è lo stesso: più anziani in una popolazione che nel suo insieme decresce.
Risultato: se oggi il 66% dei tedeschi è in età da lavoro, tra vent’anni lo sarà soltanto il 58%.
L’istituto dell’economia tedesca (Institut der deutschen Wirtschaft), centro di ricerche di area confindustriale con sede a Colonia, calcola che già nel prossimo decennio potrebbero mancare al sistema produttivo fino a 390mila ingegneri
Quella del leader Spd è una posizione pragmatica, di buon senso, che contribuisce a favorire il clima di accoglienza.
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Settembre 11th, 2015 Riccardo Fucile
LIEVE AUMENTO ANCHE PER FORZA ITALIA
Il Pd risale e tocca di nuovo quota 34 per cento.
E’ la variazione più sensibile nel sondaggio dell’istituto Ixè per Agorà : il Partito democratico, la scorsa settimana, era al 33,4.
Calano, anche se di poco, i valori del Movimento 5 Stelle (che comunque resta al 22,5%) e Lega Nord (al 15%).
Risale anche Forza Italia, poco oltre il 10.
Da capire cosa abbia giocato un ruolo in queste variazoni. Il tema della settimana è stato di nuovo quello dell’immigrazione e, in particolare, sono stati i giorni dell’apertura e dell’accoglienza da parte della Germania ai migranti della “rotta balcanica”.
Tra i partiti più piccoli sarebbero sicuri di entrare in Parlamento Sel (4,6%) e Fratelli d’Italia (4%), mentre sarebbe a rischio Area Popolare: il Nuovo Centrodestra raggiunge il 2,9 per cento (dal 3,1 della scorsa settimana), mentre l’Udc è stabile allo 0,5.
Tra i leader, infine, mentre è stabile al 60 per cento il presidente della Repubblica Sergio Mattarella e il presidente del Consiglio Matteo Renzi in una settimana incrementa il proprio indice di popolarità di un punto percentuale, spunta al terzo posto (in queste settimane occupato da Matteo Salvini) Luigi Di Maio, vicepresidente della Camera e esponente dei Cinque Stelle, sul nome del quale si è sviluppato in questi giorni un dibattito sull’eventuale leadership nel Movimento.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Settembre 11th, 2015 Riccardo Fucile
QUELLA UFFICIALE CONFERMA COMPATIBILITA’ PROIETTILI CON ARMI IN DOTAZIONE DEI MILITARI ITALIANI
Si apre un giallo sui documenti presentati dall’India al Tribunale di Amburgo sulla vicenda dei marò italiani.
Secondo una ricostruzione pubblicata da Quotidiano.net e ripresa da altri media e agenzie italiane, sarebbe stata consegnata una perizia in base alla quale le misure dei proiettili che hanno colpito a morte i due pescatori indiani non sarebbero compatibili con quelli in dotazione ai militari in servizio con la Nato e quindi dei due fucilieri di Marina, Massimiliano Latorre e Salvatore Girone.
L’India potrebbe aver inviato ad Amburgo una vecchia perizia con misurazioni fatte in maniera approssimativa poi soppiantata da una nuova perizia fatta anche alla presenza di carabinieri italiani i cui risultati invece confermerebbero la compatibilità delle misure del proiettile estratto dalla testa di uno dei due pescatori indiani uccisi, con quelle in dotazione dei militari italiani.
Non è chiaro se e come questa vecchia perizia possa essere entrata nel fascicolo presentato dall’India ad Amburgo, dove è in corso l’arbitrato internazionale tra India e Italia sulla vicenda.
Finora in India non è iniziato il procedimento giudiziario a carico dei due fucilieri italiani, a cause dello scontro sulla giurisdizione del caso, prima tra le autorità giudiziarie dello stato indiano del Kerala e quelle federali e poi tra India e Italia. Salvatore Girone e Massimiliano Latorre sono accusati di aver ucciso il 15 febbraio 2012 due pescatori indiani, scambiati per pirati, quando i due fucilieri del battaglione San Marco erano di stanza sulla nave mercantile Enrica Lexie, a largo delle coste indiane.
Furono arrestati quando la nave attraccò in India su richiesta delle autorità locali.
(da “La Repubblica”)
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Settembre 11th, 2015 Riccardo Fucile
I DUE AMICI SI SONO RITROVATI DOPO MESI E MIGLIAIA DI CHILOMETRI: “QUI SAREMO FELICI”
“Samir!”, “Malek!”. L’urlo è liberatorio, l’abbraccio straziante.
I due amici siriani si stringono forte. Più volte.
Per capire che sono ancora vivi, che tutto quello che sta accadendo non è un’illusione. Hanno gli occhi lucidi, l’emozione li tradisce. Piangono con lunghi singhiozzi, interrotti solo da risate che non si concedevano da tempo.
La guerra, le violenze, i morti, gli orrori, le bombe e i cecchini sono fantasmi che adesso si dissolvono. La Siria è lontana. Possono respirare. Ora sono finalmente in Svezia
Lo ricordano battendo i piedi per terra, toccandola con le mani. Attorno a loro c’è silenzio.
Il verde dei boschi, il rumore dell’acqua che scorre nei canali, le case in mattoni e legno allineate. I bar, i ristoranti, i negozi, le vetrine.
E poi il cibo, abbondante e diverso, che i volontari distribuiscono sul piazzale esterno della stazione centrale.
Malmoe è come un miraggio. L’ultima tappa di un viaggio durato anche un mese. La fine di un lungo serpentone umano spezzato in più punti.
Il rigore danese si è infranto sotto la pressione di 150 mila profughi e migranti. Il blocco dei treni e delle frontiere ha retto solo poche ore.
Già mercoledì notte gli agenti hanno rinunciato a inseguire e fermare questo popolo di invisibili.
Davanti al silenzio imbarazzato del governo, il capo della polizia Jens Henrik Hà¸jbjerg ha preso una decisione che ha cambiato, per poche ore, il corso della storia politica danese. Ha annunciato il ripristino dei collegamenti ferroviari con la Svezia e ha autorizzato a chiunque ne facesse richiesta di attraversare i 700 chilometri che collegano la frontiera con la Germania di Padborg a quella svedese di Rodby
«Fermarli tutti è impossibile », ha spiegato in un’inedita conferenza stampa convocata di mattino presto nella grande hall della stazione di Copenaghen.
«Solo chi farà richiesta di rifugiato potrà restare; gli altri possono proseguire per la Svezia. Del resto la nostra legge sull’immigrazione è chiara: chiunque è sorpreso sul territorio danese senza documenti o senza visto è trattenuto fino a tre giorni. Poi viene mandato davanti al giudice che, in questi casi, li lascia andare».
Ma è proprio questo scollamento tra Palazzo e realtà , con la polizia lasciata sola ad assumersi il peso di scelte coraggiose, a creare scompiglio tra i danesi.
Mai come in questi giorni, la patria del mago delle fiabe Hans Christian Andersen e del mitico Amleto di Shakespeare si è trovata a fare i conti con una solidarietà della gente che smentiva l’immagine offuscata di un paese xenofobo e razzista.
L’isola nera, nel Nord Europa aperto e tollerante, si è ribellata.
Centinaia di uomini e donne, giovani e anziani, hanno protetto e vigilato sulle centinaia di profughi scortandoli fino ai convogli che la direzione delle ferrovie ha deciso di far partire senza pretendere il biglietto.
Oltre 3000 persone sono arrivate in Danimarca da domenica scorsa e solo 400 hanno chiesto di restare come rifugiati.
Le centinaia di uomini e donne, spesso accompagnati da bambini, trattenute in centri provvisori a Rodbyihavn e Padborg sono stati rilasciati. Spesso senza neanche essere identificati.
Il primo ministro danese Rasmussen ha parlato con tutti i leader politici per sanare un vuoto che si era improvvisamente creato.
Il ministro della Giustizia Jans Sorewpind ha interrotto il suo viaggio negli Usa ed è tornato indietro per sostenere l’azione del capo della polizia.
Ma lo scontro tra i partiti che sostengono il governo è di nuovo esploso quando il leader del Partito Popolare, Kristian Dahl Thulsen ha attaccato la Germania: «Deve assumersi le responsabilità delle sue scelte. La Danimarca non sarà un duty free dei rifugiati».
Daniele Mastrogiacomo
(da “La Repubblica”)
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Settembre 11th, 2015 Riccardo Fucile
APPLAUSI ALLA FESTA DELL’UNITA’ DI FIRENZE
«Voterò la riforma soltanto se si supererà lo stallo sull’articolo 2, ma la vedo dura». Alla fine di una giornata iniziata con il primo incontro della commissione bicamerale del Pd sul ddl Boschi, Pier Luigi Bersani torna a battere i pugni dalla festa del Pd di Firenze.
A casa del premier-segretario gli applausi per lui si sprecano e l’ex leader invia un segnale a Palazzo Chigi.
Il tasto su cui batte Bersani è sempre lo stesso: modificare l’articolo 2 del disegno di legge sulla riforma, quello sull’elettività del Senato.
Dunque, anche se il sottosegretario alle riforme Luciano Pizzetti esclude la fiducia sul punto, le distanze restano siderali. Nella prima riunione del tavolo sulle riforme, che si è tenuta ieri a Palazzo Madama e che tornerà a riunirsi stamane alle 10,30, si è aperto il confronto.
È stato definito un metodo, ma, assicurano, «non si è entrato nel merito delle questioni».
Il nodo elettività non è stato affrontato, ma si è discussa la ridefinizione delle funzioni e le competenze del nuovo Senato delle autonomie.
Al tavolo hanno preso parte Maria Elena Boschi, Pizzetti, i capigruppo di Camera e Senato, Ettore Rosato e Luigi Zanda, Emanuele Fiano, la capogruppo in Commissione affari costituzionale Doris Lo Moro e la deputata Barbara Pollastrini, entrambe della minoranza.
Un incontro preliminare che non è risultato divisivo.
D’altro canto, «è già un fatto positivo aprire un tavolo istituzionale — ha spiegato la Lo Moro, che è anche uno dei firmatari del documento dei dissidenti».
Ma, continua, «il problema è politico, anche se non escludo che il tavolo istituzionale possa sciogliere i nodi politici». Però gli interventi migliorativi non riguarderanno l’elettività del Senato.
Avverte il vicesegretario Lorenzo Guerini: «Qualcuno non pensi di riportare le lancette dell’orologio al punto zero, significherebbe mettere in discussione la possibilità di arrivare fino in fondo».
Si lavora sì «ad una soluzione che sia condivisa tra Camera e Senato, perchè ovviamente ci auguriamo che questa sia la lettura definitiva», ha detto il ministro Maria Elena Boschi.
Giuseppe Alberto Falqui
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Settembre 11th, 2015 Riccardo Fucile
RIPENSARE MILANO, MA COME?
Expo andava progettata partendo dal risultato finale: abbiamo 2,5 miliardi di euro pubblici da investire, dove li mettiamo? Per realizzare che cosa? Che parte di città risaniamo o costruiamo dal niente? Con quali funzioni? In vista di quale progetto di città ?
Sette anni fa, nel 2008, quando l’Italia vinse la gara internazionale, si poteva decidere di ripensare Milano, con gli investimenti di Expo.
Per costruire un’esposizione di sei mesi, ma soprattutto per rendere possibile un progetto per 600 anni.In altre città (Londra per le Olimpiadi) si è fatto così. Non a Milano.
La classe dirigente di allora ha guardato agli interessi di breve periodo: i politici interessati a gestire soldi e potere, gli imprenditori impegnati ad arraffare appalti.
Così Letizia Moratti e Roberto Formigoni hanno imposto (per la prima volta nella storia di Expo) di svolgere l’evento su un’area privata, comprata a caro prezzo (terreni agricoli che valevano 25 milioni sono stati acquistati con soldi pubblici a 160 milioni).
Nessuna idea di cosa fare dopo Expo.
Ora, a due mesi dalla fine dell’esposizione, siamo ancora qui a chiederci che cosa sarà di quell’area gigantesca (1 milione di metri quadri).
Nessun operatore privato si è presentato alla gara per comprarla, al prezzo di 314 milioni, improponibile in tempi di crisi immobiliare e con già un milione e mezzo di metri quadri di terziario inutilizzati a Milano.
Con i gestori sull’orlo di una crisi di nervi, si è materializzato un santo che ha portato almeno un’idea e ha salvato Expo dal ridicolo: il rettore dell’Università Statale Gianluca Vago ha proposto di farne un polo scientifico-industriale.
Una buona idea — ce ne sono in molte parti del mondo, non in Italia— che potrebbe essere realizzata da un tris di soggetti.
Il primo è l’Università , che vorrebbe spostare sull’area Expo le facoltà scientifiche della Statale, tranne medicina clinica (che resta negli ospedali) e veterinaria (già spostata a Lodi): 200 mila metri quadri.
Il secondo è Assolombarda, il cui presidente Gianfelice Rocca ha proposto Nexpo, polo dell’innovazione che si potrebbe realizzare trasportando lì aziende hi-tech piccole e grandi (Microsoft, Cisco, Ibm,Alcatel,Accenture…) :meno di 100 mila metri quadri.
Il terzo è il Demanio, che si è detto interessato a concentrare sull’area Expo la cittadella della pubblica amministrazione, a partire dall’Agenzia delle Entrate: 100 mila metri quadri.
Restano da allocare altri 100 mila metri quadri, accanto ai 500 che diventeranno un grande parco.
Ma come passare dalle idee alla realizzazione, in soli due mesi (dopo aver perso sette anni)?
Il rettore Vago ha posto in maniera drammatica due problemi: governance e tempi.
Gianni Barbacetto
(da “il Fatto Quotidiano”)
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