Settembre 19th, 2015 Riccardo Fucile
IL GIUDICE RIMANDA DECISIONE, SPUNTA UNA COMUNICAZIONE INTERNA AL CREDITO COOPERATIVO DI PONTASSIEVE: “LA CHIL VENDUTA A PRESTANOME”
Ieri il giudice Roberta Bossi ha deciso che non è ancora il caso di archiviare l’inchiesta per la bancarotta della “Chil Post srl”, società di cui Renzi senior è stato amministratore e che a Genova aveva la sua sede.
Non solo: uno dei potenziali creditori di Tiziano ha sfoderato un documento che allunga parecchie ombre sulla effettiva estraneità del padre di Renzi, anche se formalmente era uscito dalla società .
Tale creditore è Vittorio Caporali, titolare della genova Press, ditta che mise a disposizione di Chil alcuni locali in città tra il 2003 e il 2005.
Quando gli inquilini se ne andarono lasciarono le stanze semidistrutte, danno poi quantificato da un giudice in 5.000 euro e mai riottenuto dal Caporali.
Perciò si è insinuato al passivo della procedura fallimentare.
E ieri il suo legale ha sfoderato un documento choc: una comunicazione interna al Credito Cooperativo di Pontassieve, banca amica dove nel board sedeva Matteo Spanò, fedelissimo del premier, e tra i funzionari c’era Marco Lotti, padre dell’attuale sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Luca, altro braccio destro di Matteo Renzi.
Tale banca concesse a Chil post nel 2010 un prestito di oltre 500.000 euro, poco prima che Tiziano renzi si sfilasse dalla società .
Ecco che spunta un report, sequestrato dalla Guardia di Finanza, firmato dal presidente e dall’amministratore delegato in cui si legge che la operatività di Tiziano di fatto non sarebbe cessata: “Per poter acquisire quote di mercato la Chil Post deve essere formalmente venduta a terzi, che all’atto pratico figurerebbero da prestanome…”
A questo punto si puo’ dire che papà Renzi non avesse nulla a che fare con gli amministratori dai quali la sua ex azienda è stata mandata all’aria, con annessi debiti?
La risposta del giudice tra qualche settimana.
(da “il Secolo XIX”)
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Settembre 19th, 2015 Riccardo Fucile
TORNANO LE TENSIONI, BERSANI: “SENATO ELETTIVO, DA QUI NON CI SI SCOSTA”
La fragilissima tregua dentro il Pd sulle riforme vacilla, a meno di due giorni dall’attesissima direzione dem prevista per lunedì.
Tra i bersaniani, complici forse anche il pugno duro del premier contro i lavoratori del Colosseo, circola un certo nervosismo.
Le bozze di emendamento circolate finora, pur aprendo a una modifica dell’articolo 2, non convincono fino in fondo.
Lo stesso Bersani, in visita a Brescia, mette i puntini sulle “i”: “Vedo che ci sono affermazioni di buona volontà , noi diciamo una cosa che capiscono anche i bambini: diciamo che il Senato debba essere elettivo, devono decidere gli elettori. Questo deve essere chiaro e va scritto. Semplicissimo e da qui non ci si scosta”.
Il premier Matteo Renzi, nella sua rubrica sull’Unità , ha usato toni per una volta concilianti verso la minoranza: “Non credo che la sinistra interna sia una ‘brigata inconcludente’ e ho rispetto per tutti i nostri amici e compagni che stanno all’opposizione interna. Il compito storico del Pd è riportare l’Italia alla testa dell’Europa, non dilaniarsi tra maggioranza e minoranza. Ce la faremo”.
Il segretario poi sottolinea di avere “rispetto” per l’opposizione interna e a chi lo sollecita a cercare confronto, risponde: “Ci sto provando con tutto me stesso”.
Le parole del premier Renzi però non paiono ancora risolutive per quanto riguarda la possibile intesa sul Senato.
Lo stesso Bersani, da Brescia, cita un altro dei temi sollevati dalla minoranza nel pacchetto di 17 emendamenti che, salvo sorprese, saranno ripresentati in Aula: il taglio del numero di deputati, tema su cui Renzi finora non è voluto intervenire, e che è già stato affrontato due volte da Camera e Senato.
“Anche la proporzione tra numeri di Camera e Senato va rivista”, dice l’ex segretario, facendo riferimento alla proposta della sinistra dem di portare a 500 il numero dei deputati.
Per i vertici dem sarebbe un guaio, come riportare l’iter della riforma ai nastri di partenza. E viene letto come un segnale di guerra.
E infatti parte subito la controffensiva: “La minoranza Pd vuole rompere, andiamo subito a votare”, dice il falco Giachetti.
Ma anche io mite Lorenzo Guerini, che in mattinata a un incontro pubblico con Cuperlo e Speranza aveva parlato di una “convergenza unanime dentro il Pd”, imbraccia il fucile: “Non capisco questa posizione di Bersani. Sembra quasi che anzichè trovare un punto di intesa sul merito della questione, voglia irrigidire le posizioni per rompere. Noi andremo avanti con lo spirito di apertura ma non accettando veti che non servono al Pd”.
“Stiamo facendo di tutto per tenere dentro tutti a partire da Pier Luigi – sostiene Guerini – ma, ripeto, con i veti non si procede. Noi invece vogliamo andare avanti e lo faremo. Anche perchè, come si è visto, i voti li abbiamo. E in democrazia i voti contano più dei veti. Spero che tutto il Pd voglia essere protagonista del cambiamento istituzionale di cui il Paese ha bisogno: ci sono le condizioni, non farlo sarebbe un atteggiamento irresponsabile”.
Anche il presidente Pd Matteo Orfini alza la voce: ”Siamo vicini a una soluzione, serve buon senso, non possiamo tornare indietro”. Ancora più netto il ministro Boschi: “Discutiamo sul comma 5 dell’articolo 2, ma non ci sia la tentazione di ricominciare daccapo, perchè così ci infiliamo nell’immobilismo all’italiana”.
Quanto alla decisione del presidente Pietro Grasso sull’ammissibilità degli emendamenti all’articolo 2, dice Boschi: “Ci stupirebbe se Grasso mettesse in discussione un principio che è sempre stato considerato valido come quello della doppia lettura conforme…”.
Acque di nuovo agitate dentro il Pd, dunque. E del resto fin dalla mattinata era chiaro che l’intesa sulle modifiche al nuovo Senato era ancora scritta sull’acqua.
Roberto Speranza aveva chiesto una formulazione dell’emendamento al ddl Boschi “limpida, senza ambiguità e senza un compromesso al ribasso”.
“Aspettiamo di leggere i testi”, chiude l’ex capogruppo, che si è dimesso nei mesi scorsi proprio per la contrarietà all’Italicum e dunque al progetto istituzionale di Renzi.
Sulla stessa linea anche Federico Fornaro, uno dei vietcong del Senato: “Un serio confronto sulle riforme non può prescindere dal merito, evitando soluzioni contraddittorie e foriere di futuri contenziosi”.
L’idea che in due parti diverse della Costituzione il corpo elettorale che sceglie i senatori sia diverso (da un lato i consiglieri regionali, dall’altro un comma che dice “tenendo conto dell’indicazione espressa dai cittadini”) non convince i bersaniani.
Ma c’è anche una questione politica.
La minoranza non accetta l’idea, fatta circolare dai renziani, che si tratti solo di una concessione benevola del premier-segretario verso i ribelli. I conti sui numeri in Senato, secondo la minoranza, sono diversi da quelli di cui parla il ministro Boschi, che nelle ultime ore ha ribadito che “noi abbiamo dimostrato con i voti che ci sono stati in Senato nei giorni scorsi che i numeri per approvare le riforme costituzionali ci sono in modo ampio”.
La minoranza sostiene che, sottraendo al totale di 170 (ottenuto nelle prime votazioni) i 26-27 voti bersaniani, i numeri non ci sono affatto.
O al limite ci sarebbero solo grazie alla benevolenza di Forza Italia, e con gli apporti decisivi di Verdini e dei senatori vicini all’ex leghista Tosi.
“Una maggioranza imbarazzante per Renzi”, ribadiscono. “La ricerca del confronto con noi non nasce dalla benevolenza, ma dalla cruda realtà dei numeri”.
Infatti, i bersaniani, per ora, hanno tutte l’intenzione di ripresentare in Aula i loro 17 emendamenti: sull’elezione diretta ma anche sul numero dei deputati, sulla platea per eleggere il Capo dello Stato e i giudici della Consulta.
Sull’ultimo punto l’intesa sembra chiusa: il nuovo Senato ne sceglierà due, la Camera tre. Mentre sul Quirinale ancora ballano diverse ipotesi su come allargare la platea dei grandi elettori. Quanto alla riduzione dei deputati, per il governo è semplicemente un’ipotesi irricevibile.
“Molta nostra gente è a disagio perchè percepisce che la stanno portando dove non vuole andare…”, ha insistito Bersani nelle ultime settimane.
E per ricucire questo strappo non basta un comma condiviso. E forse neppure l’elezione diretta dei senatori.
(da “Huffingtonpost”)
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Settembre 19th, 2015 Riccardo Fucile
IL SENATORE DI FORZA ITALIA PUBBLICA UNA DEFINIZIONE CHE IN REALTA’ ENFATIZZA LA DIFFERENZA TRA UOMINI E DONNE: GLI SBERLEFFI SUL WEB
Deciso a mostrare che il presunto pericolo della «teoria di gender», bollato dalla ministra dell’Istruzione Stefania Giannini come una «truffa culturale» non è solo un fantasma, ma un pericolo reale, il senatore di Forza Italia Lucio Malan è andato a cercare sul web le prove della sua esistenza.
E ha twittato il testo (in inglese) di un compendio online di sociologia che riportava la definizione di gender theory.
Uno scivolone, perchè la gender theory nella definizione inglese è esattamente il contrario di quella che Malan la accusa di essere.
Secondo il senatore forzista e i gruppi a cui si richiama, infatti, la cosiddetta «teoria di gender» sarebbe un attentato alla differenza innata dei sessi e una forma di promozione della transessualita e omosessualità .
Il compendio inglese invece la definisce così:
La teoria di gender indica atteggiamenti e convinzioni che riguardano i ruoli appropriati, i diritti e le responsabilità dell’uomo e delle donna nella società . L’ideologia gender tradizionale enfatizza l’importanza della differenza tra uomini e donne, e assegna agli uomini il ruolo di lavoratore e alle donne quello di cura della casa e della famiglia. La teoria di gender si riferisce alle ideologie che legittimano le diseguaglianze di genere.
Incarna cioè quella concezione della famiglia che Malan e i gruppi sedicenti «antigender» difendono.
L’errore non è sfuggito agli utenti di Twitter che hanno risposto più o meno ironicamente al senatore, facendogli notare l’incomprensione.
Malan, però, ha mostrato di non aver gradito.
Il senatore forzista è uno dei più aperti sostenitori dell’esistenza di un complotto del «gender» ed autore di alcuni degli emendamenti che si fanno beffe della proposta di legge Cirinnà per riconoscere le coppie gay: ha proposto tra l’altro di far diventare le unioni civili «unioni renziane».
Elena Tebano
(da “il Corriere della Sera”)
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Settembre 19th, 2015 Riccardo Fucile
“I TURISTI HANNO DOVUTO ASPETTARE SOLO DUE ORE, BASTAVA AVVISARLI, NON MI SEMBRA UNA TRAGEDIA: I PROBLEMI DEL COLOSSEO SONO BEN ALTRI, DALL’INCURIA ALLA MANCANZA DI CONTROLLI”
“Tanto polverone per nulla”. Dopo le polemiche di turisti, sindacalisti e politici, arriva il centurione a dire l’ultima parola sul caso dei siti archeologici chiusi per qualche ora a causa di un’assemblea sindacale.
“La situazione oggi è tranquilla, mi sembra che sia stato sollevato un polverone per nulla, un’assemblea sindacale di qualche ora, mica facevano qualcosa di male? I turisti hanno dovuto aspettare un po’, non mi sembra una tragedia”, racconta all’Adnkronos Luca, che di mestiere fa il gladiatore e da 10 anni viene immortalato nelle foto di turisti che vengono da tutto il mondo a visitare il Colosseo.
Secondo il gladiatore Luca, i problemi della zona archeologica di Roma sono altri.
Ad esempio — spiega — avrebbe senso fare qualcosa per “aumentare il numero degli ingressi […]: da quando hanno messo queste transenne si crea spesso caos per le file”. “Per non parlare dell’incuria”, aggiunge.
“Servirebbe più pulizia e soprattutto più controlli su quello che portano via i turisti dal Colosseo”, sottolinea.
Mentre all’ombra del Colosseo sembra essere tornata la calma, la Cgil annuncia un possibile sciopero a ottobre. “Lo sblocco dei fondi per i salari accessori non spegne la mobilitazione perchè la vertenza nazionale verte anche sulla richiesta di un piano occupazionale straordinario e sulle riforme che stanno generando caos organizzativo. Resta forte la possibilità dello sciopero che, se la situazione non si sblocca, potrebbe essere a ottobre”, ha dichiarato Claudio Meloni, coordinatore Cgil Mibact.
“Nella decisione di Cgil, Cisl e Uil, peserà anche il contenuto del decreto, che per ora non abbiamo letto”, ha aggiunto il sindacalista.
“Il decreto che ancora nessuno ha letto, in base alle dichiarazioni fatte dal ministro Franceschini e dal premier Renzi, va a incidere in maniera rilevante sul diritto di sciopero. I beni culturali erano già inseriti nei servizi pubblici essenziali: immaginiamo che abbiano esteso la previsione di legge anche sulla fruizione dei beni e non solo sulla loro sicurezza. In sostanza gli scioperi andrebbero fatti facendo rimanere i siti aperti, prevedendo una sorta di precettazione. A mio avviso non è un decreto che hanno preparato in due ore…”.
(da “Huffingtonpost”)
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Settembre 19th, 2015 Riccardo Fucile
ALTIN TOSKA, 39 ANNI, E’ L’ASTRO NASCENTE DELLA POLITICA ALBANESE E SINDACO DI CERRIK
Una storia di riscatto: Altin Toska era arrivato in Italia nel 1998 a bordo di un barcone pieno di disperati, ha vissuto per 17 anni a Brescia, città che ha lasciato quattro mesi fa per tornare in patria, partecipare (e vincere) alle elezioni e diventare sindaco della città di Cerrik, 50mila abitanti, in Albania.
Non solo: oggi è l’astro nascente della politica del paese balcanico e il premier Rama, che stravede per lui, lo ha spedito da vera star a Brescia per incontrare il sindaco Del Bono e una delegazione locale.
Il suo futuro sembra già segnato: la carica di primo cittadino sembra essere solo l’inizio di una carriera scintillante.
Mica male, per un ex clandestino che arrivava a fine mese alternandosi tra l’impiego di cameriere e quello di muratore.
Quindi una vita più tranquilla, l’integrazione e la proposta arrivata dal movimento socialista per l’indipendenza di lasciare Brescia per tornare in patria, questa volta da politico e per dare un segnale ai milioni di albanesi che hanno lasciato Tirana senza più tornare indietro.
In quattro mesi Toska è diventato un simbolo e le sue quotazioni, anche a livello di politica nazionale, continuano a salire in una nazione che ha vissuto un decennio estremamente difficile per la fuga di milioni di cittadini, sopratutto giovani.
In Albania, auspicano i suoi elettori, porterà tutte le cose positive che ha imparato in Italia.
È la storia di Altin Toska, 39enne albanese, che a Brescia si è sposato e ha avuto due figlie. «Ero scappato da casa perchè era impossibile vivere in Albania. Avevo 22 anni e non avevo detto nulla ai miei genitori. Sapevo che sarei potuto morire in mare», ha spiegato Toska che ad aprile ha accettato l’invito del movimento socialista per l’indipendenza e si è candidato alle elezioni per il Comune di Cerrik, 50mila abitanti, vincendole.
«Non potevo dire di no al mio paese. Non è stato facile perchè la mia famiglia che mi ha seguito ormai era bresciana a tutti gli effetti. Io – ha aggiunto Toska – governerò in base a quello che ho imparato in Italia”.
Il ringraziamento va alla città adottiva: «Grazie Brescia, l’auspicio è che molti albanesi tornino in patria prendendo le cose buone dell’Italia».
La figlia ha scritto nei giorni scorsi una lettera a Del Bono, sindaco di Brescia, che recitava: «E’ una città che resterà sempre nel mio cuore».
(da “il Corriere della Sera”)
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Settembre 19th, 2015 Riccardo Fucile
IL POSTER ANNUNCIAVA IL BATTESIMO DEL FIGLIO DI UN PREGIUDICATO… MA NESSUNO AVEVA AVUTO DA RIDIRE PRIMA?
Manifesti di sei metri per tre che annunciano il battesimo di un bimbo con nome e cognome con la scritta ‘Questa creatura meravigliosa è cosa nostra’ e la foto del piccolo con la coppola sono comparsi in alcuni comuni tra Riposto e Giarre nel catanese.
Il questore di Catania, Marcello Cardona, ne ha disposto la rimozione.
Il bambino è figlio di un uomo in passato più volte denunciato per associazione mafiosa e ritenuto vicino al clan Laudani.
Nel poster si preannuncia la presenza di alcuni cantanti, noti per la loro partecipazioni a programmi televisivi, e anche di artisti neomelodici.
Sono state avviate indagini della polizia. La festa pubblicizzata nel cartellone è privata e si svolgerà in una villa a Giarre.
Sul manifesto appare anche il logo di radio Universal. I nomi degli ospiti della serata sono noti nella zona: il cantastorie Luigi di Pino, Angela Troina, Claudio Tropea, i neomelodici Gianni Narcy e Dany Diamante, e la cantante etnea Andrea Azzurra Gullotta.
Su Facebook, nelle bacheche degli abitanti della zona, fioccano i commenti.
Ma al momento del pagamento dell’affissione e della consegna dei manofesti, come da legge, nessuno aveva avuto nulla a che ridire?
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Settembre 19th, 2015 Riccardo Fucile
MA SE QUELLO CHE FA RENZI LO AVESSE FATTO BERLUSCONI?
Ma se le stesse cose le facesse Berlusconi? Il nostro titolo di ieri è uno dei ritornelli più ricorrenti, nelle conversazioni di chi ancora parla di politica.
La risposta è sottintesa: se al posto di Renzi ci fosse B., verrebbe meritatamente lapidato, insultato e bruciato in effigie dal popolo della sinistra e anche da chi di sinistra non è, ma semplicemente tiene alla Costituzione e a un minimo di decenza istituzionale.
Però forse la domanda è mal posta, perchè B.ha già fatto le stesse cose — dall’abolizione dell’articolo 18 al bavaglio alla schiforma della Costituzione — che Renzi sta semplicemente rifacendo: solo che a B. non furono consentite da una mobilitazione dell’opinione pubblica, orientata e incanalata dalla stampa progressista, che invece oggi tace o acconsente, permettendo allo Spregiudicato di completare l’opera lasciata a metà dal Pregiudicato.
Ieri Il Tempo ha raccolto una strepitosa antologia di quello che si diceva e si scriveva nel dicembre 2010, quando B. comprava senatori un tanto al chilo per rimpiazzare i finiani in fuga, esattamente come sta facendo Renzi per riempire il vuoto della sinistra Pd con verdiniani, fittiani, tosiani, alfaniani, ex grillini e gruppimisti, promettendo rielezioni future e poltrone attuali (la stessa merce di scambio usata da B. cinque anni fa).
Con l’aggravante che oggi il mercato delle vacche avviene sulla riforma della Costituzione, non su leggi ordinarie.
“Libero voto in libero mercato”, titolava l’Unità dell’11.12.2010: “Una maggioranza rabberciata con il voto di fiducia di alcuni deputati venduti non ha nulla a che vedere con i principi della buona politica”.
E tre giorni dopo: “Governo Scilipoti”. Va detto che l’Unità era ancora un giornale, diretto da una giornalista, Concita De Gregorio.
Oggi è il bollettino parrocchiale di Palazzo Chigi, infatti titola: “Stagione di riforme” e “Renzi: i numeri ci sono” (su come li ha raccattati, zitti e mosca), col contorno di Berja-Staino che tenta disperatamente di far ridere con la consueta vignetta-marchetta: un cane dice a Dio “Se ci pensavi un po’ il mondo lo facevi meglio”, e Dio risponde“Se davo retta alla minoranza, ero ancora lì a pensarci” (Dio naturalmente è Renzi).
Famiglia Cristiana definiva la compravendita berlusconiana dei senatori “peggio di Tangentopoli”. Oggi invece tace.
Di Pietro, dopo il trasloco di Razzi & Scilipoti, sporse denuncia e la Procura di Roma aprìunfascicolo.Oggi a nessuno viene neppure l’idea, Di Pietro è stato rottamato (così impara: era contro le larghe intese).
E quel che resta dell’Idv è in Senato con gli ex 5 Stelle Romani e Bencini, pronti a saltare sul carrorenziano.
“Scandalo in Parlamento”, tuonava Repubblica irridendo ai “Cicchitto e i Verdini, i Bondi e gli Alfano” che gabellavano il mercimonio per“libera dialettica parlamentare”.
Oggi i Cicchitto, i Verdini, i Bondi e gli Alfano stanno tutti con Renzi e a Repubblica va benissimo così.
Neppure la minaccia, prima fatta filtrare con apposita velina dai soliti “retroscenisti” e poi furbescamente smentita, di trasformare il Senato in un museo sordo e grigio, fa alzare un sopracciglio ai Mauro Boys.
I titoli di ieri sono una trionfale cavalcata delle Valchirie in onore dei Renzi Boys: “Renzi sul Senato: accordo possibile”, evvai. “I conti del premier: ‘Stavolta ci siamo’”, wow! “Da Verdini sì alla riforma: entriamo in maggioranza”, e sono belle soddisfazioni.
“Senato, sull’articolo 2 spunta una mediazione” (Repubblica la annuncia da due mesi e non s’è mai vista, però Repubblica insiste). “Primi sì in aula, Pd unito”,ahahahah.“I lpremier apre: intesa possibile ma senza ricominciare daccapo” (cioè nessuna intesa possibile). “L’ultima sfida di Anna: ‘Sopporto i sospetti con cristiana virtù’” (dove Anna è la Finocchiaro, santa subito, e pure martire).
Della compravendita, su Repubblica, non c’è traccia, a parte un colonnino pudicamente intitolato: “Quei trenta indecisi dell’opposizione pronti al soccorso”. Ecco: “soccorso”, mica “mercato delle vacche” o “vergogna” o “scandalo” come ai tempi di B.
Dipende da chi è il compratore.
“Niente inciuci con Renzi, solo consulenza”, precisa l’ex leghista leghista Flavio Tosi nell’apposita, rassicurante intervista, e pazienza se dopo l’incontro a Palazzo Chigi è passato dall’opposizione alla maggioranza, almeno sul Senato.
Tutto bene, dunque, nessuna compravendita: al massimo soccorso, o consulenza.
Anche Raffaele Cantone è indignato per “l’immoralità del mercato in Parlamento”, o meglio lo era quando lo faceva il Caimano. Oggi parla d’altro.
Marco Travaglio
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Settembre 19th, 2015 Riccardo Fucile
IL PARTITO DELLA NAZIONE E’ ORMAI COSA FATTA: “RESTANO SOLO POSTI IN PIEDI”
Sul suk renziano di Palazzo Madama, Maurizio Gasparri sfodera una battuta fulminante che presuppone un gioco di parole: “Non vorremmo che girassero verdoni per convincere qualche scettico”.
È scontato infatti passare dai verdoni al loro diminutivo. E cioè Verdini, il famigerato Denis che da berlusconiani è diventato guerriero del premier sulle riforme costituzionali.
Gasparri promette “nomi e cognomi di questi turpi traffici”, ma nel frattempo la turpitudine trasformista non si ferma.
Nemmeno con le voci di un accordo unitario nel Pd. Ormai il grande treno del Partito della Nazione è partito e l’eterno cossighiano Paolo Naccarato da ore ripete il suo mantra preferito: “Se continua così, per entrare in maggioranza bisognerà accontentarsi solo di posti in piedi!”.
Sembra di sentirlo il banditore-capostazione Renzi, rivolto esclusivamente al centro e alla destra:“Venghino signori, venghino”.
Gli ex berlusconiani di Denis l’inquisito
La mutazione genetica del Pd è la pietra angolare su cui possia l’edificio della nuova Carta. È qualcosa che va oltre il semplice opportunismo del momento.
A partire da giovedì scorso, è scattata una corsa ad assicurarsi le file migliori nel Partitone centrista del futuro.
Assicurano in coro i verdiniani: “Matteo ha detto a Denis che per i bersaniani non ci sarà mai più posto”.
È il modello Previti del berlusconismo anni novanta, quello che non faceva prigionieri. I verdiniani di Ala, Alleanza liberal popolare per le riforme, scommettono comunque sulle rottura. Sostiene Vincenzo D’Anna, che di Ala è il portavoce: “I bersaniani possono pure votare la riforma Boschi e poi? Sulle tasse, sull’Imu, sull’economia che succederà ? Noi abbiamo scelto di stare con Renzi, oggi e domani. Poi questa strada può anche fallire ma è una strada, l’unica che abbiamo. Tra Renzi, Grillo e Salvini da semplice cittadino voterei Renzi sempre”.
I verdiniani sono una creatura multiforme, tra socialisti, sicilianisti di Raffaele Lombardo, ex cosentiniani nel senso di Nicola.
Senza dimenticare i processi e le inchieste in cui è coinvolto Verdini, da imputato e da inquisito . In ogni caso questo è il primo pilastro di un progetto che Renzi aveva in testa sin dal 2012, quando a Verona partì con la campagne per le primarie (quelle che perse con Bersani) senza simbolo di partito e puntando ai “delusi del centrodestra”. In questa fase sono i “delusi” parlamentari che vanno da lui.
Gli ex leghisti del sindaco di Verona
Flavio Tosi fino a qualche anno fa veniva descritto dai quotidiani come il sindaco di Verona che girava con una tigre al guinzaglio e se la prendeva con “zingari e negri”.
Oggi che ha rotto con Matteo Salvini è diventato un altro piccolo capo moderato e può contare su un drappello di tre senatrici ex leghiste. E anche Tosi, come i verdiniani, pone una condizione per andare nel Partito della Nazione: la rottura con la minoranza.
Lo ha detto ieri in un’intervista a Libero: “Con Renzi, fermo restando che deve liberarsi dalla zavorra della minoranza Pd, non escludo nulla a priori”.
Tosi ragiona per esclusione, come i suoi colleghi ex berlusconiani. Tra due che “fanno solo casino” come Grillo e Salvini non resta che Renzi.
Ancor prima di Verdini e Tosi, a recitare l’atto di fede nel renzismo è stato un altro ex azzurro di rango: Fabrizio Cicchitto, ideologo di un nuovo centrosinistra.
Fabrizio D’Esposito
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Settembre 19th, 2015 Riccardo Fucile
LE DOMANDE DI ASILO VARIANO DA PAESE A PAESE: NEL 2014 SI VA DALLE 173.000 IN SVEZIA ALLE SOLE 150 DELL’ESTONIA
Altro che unita’. L’Europa che cerca di compattarsi nella gestione dell’accoglienza, con la redistribuzione interna di quote di richiedenti asilo e la scrittura di una comune Agenda dell’immigrazione, in realtà vive con sistemi d’asilo molto differenti.
“Gli Stati europei non sono colpiti dallo stesso livello di richieste d’asilo — afferma Solon Ardittis, direttore di Eurasylum Ltd, società di consulenza inglese che lavora per conto delle istituzioni europee — secondo i dati dell’Unhcr, le domande d’asilo depositate nel 2014 vanno dalle 173.100 in Svezia alle 150 in Estonia“.
Paese che vai, sistema che trovi.
Anche il tasso di domande accettate cambia molto, nota Ardittis: “Nel 2014 si passava dal 58,5% di accettazione di almeno una forma di protezione umanitaria in Italia al 14,8% della Grecia, fino al 9,3% dell’Ungheria”.
Non esiste una sola Europa
Eurasylum nel 2013 ha realizzato con Ramboll un report per la Commissione Europea per tracciare i costi dell’accoglienza.
Un lavoro complesso, visto che spesso i dati fra i Paesi non sono nemmeno comparabili, viste le differenze esistenti.
I risultati mostrano gap enormi, difficilmente riducibili in un unico sistema.
Ad esempio, il costo per domanda d’asilo depositata va dai 1.477 euro ai 30.755, ad esempio.
Ci sono uffici in Europa dove un funzionario in un anno valuta 24,1 domande, altri dove la mole di lavoro è doppia.
Un’altra differenza importante sta nel costo dei rimpatri forzati dal Paese d’origine: si va da 1.554 euro di media a rimpatrio fino a 5.504 euro.
I dati, però, non sono riferibili a nazioni specifiche perchè le autorità che si occupano di asilo che hanno risposto alle domande dei ricercatori hanno preteso l’anonimato nella pubblicazione.
Anche la gestione dei centri ha forme molto diverse.
Il tratto comune è che ovunque in Europa esistono centri specializzati per gli asilanti. C’è però un tratto comune, sottolinea Ardittis: l’aumento delle detenzioni in cella per un reato amministrativo.
Come nell’Italia del reato di clandestinità e del pacchetto sicurezza. Nel luglio 2014 la Corte europea ha sancito che un richiedente asilo deve essere detenuto in centri apposta per svolgere la verifica della domanda.
In Germania a decidere il tipo di detenzione sono i lander, gli Stati in cui è divisa la Repubblica Federale. In Gran Bretagna la detenzione è possibile sia per richiedenti asilo che per immigrati a cui è scaduto il visto oppure che è entrato in modo irregolare.
Queste sono le Europe che secondo il presidente della Commissione Jean-Claude Juncker dovrebbero sedersi attorno al tavolo e stabilire delle quote fisse di richiedenti da gestire, in nome di un principio di solidarietà scritto nello stesso Trattato sul funzionamento degli Stati europei. Lettera morta, al momento.
Le innumerevoli complicazioni del sistema italiano
Il sistema d’asilo italiano è tra i più complessi. Viaggia su tre binari: da un lato l’accoglienza gestita direttamente dal Ministero con i centri di prima accoglienza e i Cara (14 strutture); dall’altra quella “diffusa“, che chiama in causa anche i Comuni nello Sprar (Sistema di protezione richiedenti asilo e rifugiati, 430 progetti) e da ultimo il canale temporaneo “dell’emergenza“, che s’improvvisa di anno in anno e dove le rendicontazioni spesso lasciano a desiderare (a inizio settembre 1.861 strutture attive). Non a caso sono proprio i posti “in emergenza” quelli a cui si fa più ricorso: secondo le previsioni 2015 della Fondazione Leone Moressa si spenderanno per questa categoria circa 530 milioni, contro i 130 dei centri governativi e i 250 dello Sprar.
“Nonostante lo Sprar sia considerato il sistema più efficiente fra i tre attuali, al mese di giugno 2015 accoglie un quarto dei 78 mila richiedenti asilo presenti in Italia — afferma il ricercatore della Fondazione Leone Moressa Enrico Di Pasquale — i centri di accoglienza governativi accolgono oltre 10 mila persone, mentre il 62% risiede presso strutture di accoglienza temporanea“.
L’irraggiungibile welfare tedesco
Se in Italia dei 35 euro circa che lo Stato spende ogni giorno per ospitare un richiedente asilo solo 2,50 (i “pocket money”) vanno nelle mani del preso in carico, in Germania il sistema è l’opposto.
“Forse è per questo che i profughi vogliono andare lì o in Svezia”, ipotizza il prefetto Mario Morcone. Un richiedente in un centro d’accoglienza riceve al mese 143 euro, 216 euro se si trova in un’altra sistemazione. In più sono garantiti vitto, riscaldamento, abiti e prodotti sanitari, oltre che i corsi di tedesco.
Gli assegni per famiglie nel sistema inglese
Anche la Gran Bretagna ha un sistema che fornisce un assegno a chi ottiene l’asilo politico. Per le coppie si tratta di 373 euro, mentre per un genitore solo sono 226. In caso di rifiuto dell’asilo ma di impossibilità a respingere, i fondi sono meno ed erogati tramite una carta con cui si effettuano gli acquisti.
Queste modalità di erogazione sono state fortemente contestate dall’opposizione che non le ritiene sufficienti.
Il miraggio della Svezia
In Svezia i tempi per ottenere l’asilo sono molto veloci: un mese circa. Ad occuparsi di tutto è il Migrationsverket, l’agenzia svedese per l’immigrazione.
Anche durante l’iter di verifica della domanda per i figli dei richiedenti è possibile andare a scuola. Anche l’accesso alle cure mediche a livello regionale è garantito immediatamente.
Il sistema di accoglienza è interamente finanziato con le casse svedesi, mentre i progetti d’integrazione sono sostenuti con il budget europeo. Come nei casi precedenti, si fornisce al richiedente un’indennità mensile, che per un adulto solo è di 76 euro.
L’Ungheria non accoglie
Da settembre chi entra illegalmente in Ungheria rischia tre anni di carcere. Un provvedimento che rischia la sanzione della Corte di giustizia europea ma che è in linea con gli inadeguati standard del resto del sistema.
Lo Stato garantisce vitto e alloggio più un assegno mensile di 9,5 euro (24 per i minorenni) più per le donne 5 euro per acquistare prodotti per l’igiene.
Se chi chiede asilo non si qualifica come indigente, le autorità ungheresi possono chiedere il rimborso per quanto hanno speso per la sua accoglienza.
Lorenzo Bagnoli
(da “il Fatto Quotidiano”)
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