Settembre 20th, 2015 Riccardo Fucile
LE PROMESSE ELETTORALI SONO RIMASTE SULLA CARTA, MA TANTI AMICI PIAZZATI NELLE PARTECIPATE
Ci fu un tempo, non lontano, in cui il candidato alla presidenza della Liguria Giovanni Toti se ne uscì collocando Novi Ligure in Liguria, suscitando l’ironico tweet del governatore uscente, Claudio Burlando. “Volevano deburlandizzare la Liguria, si sono fatti desalvinizzare da uno che non sa che Novi Ligure è in Piemonte”.
Il marziano piovuto dalle stanze del potere berlusconiano, lo definirono a sinistra. Alludevano al ruolo di consigliere politico dell’ex Cavaliere e alla sua inesperienza come amministratore pubblico di un territorio che l’ex direttore di Studio Aperto, 47 anni, ex socialista, sposato la collega Siria Magri, era accusato di non conoscere affatto.
Peggio, di non avere con la Liguria alcuna parentela, affettiva e logistica.
Nato a Viareggio, cresciuto a Massa Carrara, laureato in scienze politiche a Milano, residente ad Ameglia, estrema propaggine ligure di levante.
Poco ligure per essere arruolato fra gli indigeni.
Partendo da premesse di immagine tanto sfavorevoli, l’underdog Toti ha sbaragliato il campo e con il decisivo sostegno di voti della Lega Nord e grazie al 12% raggranellato da Forza Italia ha messo fine al decennio di incontrastato dominio di Claudio Burlando, unico duce — nel senso di guida — del Pd ligure.
Vittoria destabilizzante, quella di Toti, per gli assetti politici della Liguria che alla Regione aveva conosciuto una sola parentesi di centrodestra — con Sandro Biasotti, dal 2000 al 2005 — per poi ripiombare nel tradizionale mainstream di centrosinistra.
A sconsigliargli di fare un ingresso dirompente nella sala verde di via Fieschi, oltre l’indole personale c’erano anche i risultati elettorali: un solo seggio di vantaggio, con una maggioranza appesa alle evenienze della vita quotidiana.
Andato a vuoto il tentativo di farsi attribuire tre consiglieri in più, sulla base di una controversa disposizione di legge, Toti si era acconciato a muovere i primi passi da governatore praticando una strategia dialogante con l’opposizione. Partito Democratico e Movimento 5 Stelle.
Il primo nodo: tutti gli uomini del Presidente
Subito dopo la proclamazione dell’8 giugno, la prima grana riguarda gli uomini da mettersi in torno.
La Lega Nord è stata premiata con la vicepresidenza e deleghe di peso. Sette gli assessori: tre di Forza Italia (Giampedrone, Cavo e Marco Scajola, nipote dell’ex potente ministro Claudio, ras dell’imperiese), altrettanti della Lega Nord (Sonia Viale, che ha avuto anche la vicepresidenza, Mai e Rixi). Il settimo assessore è andato con Giacomo Berrino a Fratelli d’Italia.
E subito una grana. Rixi con l’altro leghista Francesco Bruzzone (presidente del consiglio regionale) è indagato per le spese pazze in regione. Se fosse condannato, per la legge Severino perderebbe il posto e manderebbe in crisi la maggioranza.
Anche per neutralizzare questa eventualità — e per mettere al sicuro i numeri — Toti ha fatto filtrare l’intenzione di far dimettere da consiglieri Giampedrone e Cavo per sostituirli con Lilli Lauro (consigliera comunale fedelissima del coordinatore regionale di FI, Sandro Biasotti), e col leghista Franco Senarega.
Fuori programma con il presidente dell’Autorità Portuale Luigi Merlo.
Toti lo aveva pregato di soprassedere alle annunciate dimissioni ma poi aveva permesso al fido Giampedrone di presentare il piano regionale di indirizzo senza sottoporlo a Merlo. Ipotesi di dimissioni rientrata ma poi ribadita irrevocabilmente proprio nei giorni scorsi. E tentativo del ministro Delrio di convincerlo a restare fino a tutto il 2015.
Conferma a sorpresa (temporanea, disse Toti) per i sette direttori generali della Regione, tutti legati a Burlando.
Sostituito il segretario generale, andato in pensione. Il breve interregno della burlandiana Gabriella Lajolo si è concluso con la nomina di Paolo Emilio Signorini, alto dirigente del ministero delle Infrastrutture, spiazzato dalla vicenda che ha spezzato la carriera del potentissimo Ercole Incalza, del quale Signorini era l’erede designato.
Il gioco di poltrone sulla sanità
Toti viceversa è pesantemente intervenuto nelle nomine dei dirigenti sanitari, il suo vero rovello. Ha voluto un manager alla guida del settore che rappresenta il maggior capitolo di spesa e lo ha trovato in Francesco Quaglia.
La sanità ligure è gravata da debiti enormi e Toti sta mettendo a punto un’alleanza strategica con la Lombardia per esportare al mare il modello lombardo. L’obiettivo è mettere a punto un sistema alternativo alla sanità pubblica a disposizione dei pazienti liguri.
Che potrebbero così optare per farsi curare nelle strutture private lombarde, in regime di convenzione. Il Pd ha subito gridato alla colonizzazione. Segnalando i rischi per la sanità pubblica. Ma Toti ha tirato dritto. E’ stato il primo segnale che si stanno affilando le armi e che la luna di miele volge al termine.
La sanità ha innescato uno scontro fra Toti e la vicepresidente Viale che con un colpo di mano aveva provato ad accelerare l’accorpamento delle Als 3 e 4 nominando direttore generale di entrambe (per un anno) Luciano Grasso.
Nomina subito revocata per la Asl 4 del Tigullio di fronte alle proteste dei sindaci e all’intervento di Toti.
Viale è stata quindi costretta a confermare, per un anno, al vertice della Asl 4 Roberto Cavagnaro.
Immigrati, la voce grossa che nessuno ascolta
L’altra miccia l’hanno innescata i migranti. La vicepresidente Sonia Viale, leghista, con delega all’immigrazione, aveva subito chiarito che di accoglienza non voleva sentir parlare.
Aveva proposto l’apertura sul territorio ligure di un Cara (Centro di accoglienza richiedenti asilo). Toti si è accodato senza particolare entusiasmo. Il progetto di Viale è naufragato di fonte alla fermezza del prefetto Fiamma Spena e del sindaco di Genova, Marco Doria.
Le briciole del sistema pubblico
Ai fronti di scontro sulle nomine al vertice di Liguria Informatica e Filse, la finanziaria della Regione.
Su Liguria Informatica, la società che assiste la regione nella informatizzazione dei servizi, la nomina di Marco Bucci ha scatenato l’opposizione per una vota unita, da Pd a Movimento5Stelle.
Niente da dire sulle qualità professionali del manager, senonchè Bucci lavora per la Carestream Health, una multinazionale Usa in rapporti di affari con alcune Asl liguri. Conflitto di interessi evidente, ha strillato l’poosizione. Toti non ha fatto retromarcia.
Per la Filse, il prescelto è un veneto, Bruno Codognato Perissinotto, manager con vasta esperienza specifica sui temi del credito alle imprese; ma coinvolto in una bancarotta fraudolenta.
La sua nomina ha offerto alla maggioranza il destro per aumentare di un membro il cda della Filse infilandoci un suo rappresentante e assicurandosene così il pieno controllo. Anche l’opposizione ha strappato un suo rappresentante. E’ lo spoil system, gente.
Renzo Parodi
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Settembre 20th, 2015 Riccardo Fucile
NON TAGLIANO LE PANNOCCHIE PER NASCONDERE CHI SCAPPA
Le pannocchie di mais sono già pronte. Ma quest’anno il raccolto subirà un ritardo.
Lo hanno deciso i contadini: «Proteggono il passaggio », spiega con aria fiera Ranko, 67 anni, che qui è nato e qui ha vissuto tutta la sua vita.
«Nascondono i rifugiati e i migranti. Possono stare tranquilli e fare il loro percorso in pace». È l’ultimo atto di solidarietà .
Una scelta importante per questo piccolo borgo che vive di agricoltura.
Nel giro di tre giorni è stato letteralmente invaso da un fiume umano mai visto. Con la sua lingua sconosciuta e le sue usanze così diverse.
La proporzione ha rovesciato il rapporto tra residenti e ospiti: 3.335 contro 17.089. Cinque su uno sono stranieri: siriani e afgani, soprattutto, ma anche altri arabi di quel Medio Oriente eternamente in guerra. Non si vedono in giro. Restano ammassati attorno alla piccola stazione della ferrovia, diventata ormai il simbolo di un esodo che nessuno immaginava così intenso e senza fine.
I piccoli gesti di solidarietà , la compostezza, perfino i silenzi sono quasi una forma di rispetto nei confronti di chi ha perso tutto.
I ricordi, come incubi, tornano ad affacciarsi. Tovarnik ha provato il dolore e la sofferenza. Per mesi ha subito le conseguenze di una follia decisa altrove.
Venti chilometri più a est sorge Vukovar, forse il simbolo più atroce della guerra nella ex Jugoslavia e della sua violenza cieca e brutale.
La chiamano la Stalingrado della Croazia. Tra l’agosto e il novembre del 1991 riuscì a fronteggiare l’esercito regolare jugoslavo dominato dai serbi. Per 87 giorni si difese in ogni modo: cadde solo il 20 novembre quando aveva esaurito uomini, cibo e medicine. Tovarnik fece la sua parte, soprattutto nei rifornimenti. I contadini di questo borgo facevano arrivare tutto per le stesse stradine sterrate nascoste dalle piantagioni di mais
La solidarietà , da queste parti, è un sentimento istintivo. Un obbligo.
È parte integrante di un popolo ferito nei suoi affetti e nel sua identità da stragi e pulizie etniche spaventose. Assieme alle paure che tornano ad affiorare
Tra Tovarnik e Beli Manastir, lungo il percorso seguito dalle navette di autobus che portano i rifugiati al confine ungherese, si parla sempre più spesso di armi.
Il duro scambio d’accuse tra il premier ungherese Orbà¡n e quello croato Milanovic non aiuta. Anzi. Le frontiere sono militarizzate, vigilate da soldati in tuta mimetica e mezzi corazzati. Orbà¡n ha deciso persino di mobilitare centinaia di riservisti per schierarli alla frontiera. Gli stessi poliziotti dei due paesi si tengono a distanza.
La presidente croata Kolinda Grabar- Kitarovic è stata chiarissima. «Il ricorso all’esercito sarà necessario. Vogliamo aiutare tutti. Ma prima di ogni cosa vogliamo proteggere i nostri cittadini e garantire loro una vita normale, come pure la stabilità dello Stato croato»
Il muro e la chiusura dei valichi non hanno retto alle pressioni dell’Europa.
Budapest è stata costretta, nei fatti, ad aprire un corridoio umanitario. Lo ha fatto con i bus e i treni blindati fino alla frontiera con l’Austria. Ma lo ha fatto. Il nuovo percorso è segnato: Turchia, Grecia, Macedonia, Serbia, Croazia, Ungheria, Austria e spesso Slovenia.
Lubiana si è ribellata e ha fatto la voce grossa. Ha respinto 200 immigrati, usando i gas lacrimogeni e i manganelli. Ma alla fine ha ceduto e ha detto di essere disposta ad accogliere diecimila profughi.
Finora ne sono transitati quasi 20 mila. Altri 40 mila sono attesi nei prossimi due giorni. Una vittoria che il premier Zoran Milanovic rivendica proprio sotto il filo spinato del nuovo muro di 41 chilometri ultimato a tempo di record.
«Come vedete», ha detto ai giornalisti che osservavano il passaggio di uomini, donne e bambini tra le due frontiere, «abbiamo obbligato gli ungheresi a riceverli. Urlano e strepitano ma alla fine hanno ceduto. Il muro è una vera sciocchezza».
Victor Orbà¡n ha reagito con durezza. Il capo di gabinetto, Antal Rogan, ha bacchettato i vicini con minacce da maestrino: «Se alzate le mani e non difendete i vostri confini, allora vuol dire che non meritate di entrare nella zona euro. Quando sarà il momento di decidere l’Ungheria potrà dire che non siete ancora pronti per aderire a Schengen ». Ma l’Europa, quella che conta, Germania in testa, ha già deciso: il flusso dei migranti e dei rifugiati non può essere bloccato. Va gestito e distribuito. I
muri e le armi hanno già fatto troppi danni. Hanno provocato l’esodo che adesso attraversa le nostre terre.
Daniele Mastrogiacomo
(da “La Repubblica”)
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Settembre 20th, 2015 Riccardo Fucile
TUTTI I DIRITTI STANNO DIVENTANDO A TUTELE DECRESCENTI PER OSSEQUIARE I NUOVI POTERI FINANZIARI
Venerdì l’Italia è stata colpita da un’epidemia d’isteria collettiva.
Tema: la scandalosa violazione dei diritti dei turisti.
Tutti indignati perchè i lavoratori del Colosseo e dei Fori hanno indetto un’assemblea. Come si permettono di disturbare? Non gli pagano gli straordinari da mesi? Cazzi loro. D’accordo: l’assemblea si poteva svolgere in un orario meno dannoso per i visitatori, ma era comunque stata autorizzata.
Appena il premier — segretario del principale partito di sinistra (ah ah) — ha twittato la linea, tutti sono scattati sull’attenti.
Corifei d’ogni risma hanno risposto agli ordini superiori, come al solito a reti unificate: vergogna, la misura è colma, basta figuracce internazionali (il centro di Roma sporco e degradato invece è un bel biglietto da visita), dagli al sindacato corporativo.
Siccome la faccenda è urgente, venerdì in serata è arrivato il decreto del governo del fare, che equipara musei e monumenti ai servizi pubblici (i cui lavoratori comunque hanno diritto di sciopero regolato dalla legge 180): il diritto del turista di entrare al Maxxi è uguale a quello del cittadino di farsi curare.
O di un bimbo disabile di avere assistenti materiali e professori di sostegno qualificati: domani tanti bimbi e ragazzi con handicap vedranno negato il loro diritto a una vita dignitosa e alla scuola, ma non ci sarà nessun decreto.
Alessandro Robecchi si domanda, su Twitter, se un provvedimento per vietare il blues nei campi di cotone è già stato varato: decidete voi se ridere per l’intelligente battuta o piangere per la realtà che fotografa.
Se ieri sul quotidiano della sinistra che piace Francesco Merlo scriveva che il Colosseo è diventato “un’emergenza nazionale” e che “Matteo Renzi stava aspettando proprio questo ennesimo abuso sindacale”, allora ha ragione Stefano Rodotà .
Che sempre su Repubblica, in giugno, annunciava: “L’inverno dei diritti è tra noi”. Il professore — autore tra i tanti di un bellissimo saggio, Il diritto di avere diritti per Laterza — commentava il jobs act che consente al datore di lavoro di controllare a distanza i dipendenti.
Ma l’aggressione ai diritti è un’erosione progressiva, sia per via omissiva che per via legale.
Nel 2012 la Cassazione scrisse che era “radicalmente superata la concezione secondo cui la diversità di sesso dei nubendi è presupposto indispensabile della stessa esistenza del matrimonio”.
Non c’è ancora traccia di una legge sulle unioni omosessuali e nemmeno di una sul fine vita.
Da anni il diritto di voto è umiliato da una legge elettorale definita incostituzionale dalla Consulta e sostituita da una non migliore norma che, secondo i più autorevoli studiosi, viola principi base come la rappresentanza e che di nuovo ci restituirà una Camera dei deputati nominati.
A proposito di Corte Costituzionale, è bene ricordare la scomposta reazione del governo alla sentenza che in maggio ha bocciato la legge Fornero nella parte in cui ha bloccato per due anni l’adeguamento delle pensioni dai 1.400 euro in su, perchè viola il diritto a una retribuzione proporzionata e sufficiente ad assicurare un’esistenza libera e dignitosa.
Reazioni a parte, i diretti interessati hanno visto solo gli spiccioli.
Perchè il governo ha deciso così.
È in corso uno smantellamento delle costituzioni: tutti i diritti stanno diventando a tutele decrescenti, per ossequiare i nuovi poteri.
Non dimentichiamo il Report della banca d’affari J.P Morgan del 2013: “I sistemi politici dei Paesi europei del Sud e in particolare le loro costituzioni, adottate in seguito alla caduta del fascismo, presentano caratteristiche inadatte a favorire l’integrazione. C’è forte influenza delle idee socialiste”.
A processo “d’integrazione” completato, sarà bene ricordarsi i nomi dei corifei e dei complici: ma forse avranno cambiato idea, prima o poi il “processo” toccherà anche loro.
Silvia Truzzi
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Settembre 20th, 2015 Riccardo Fucile
LA MANIPOLAZIONE DELL’IMMAGINARIO COLLETTIVO: LE PESANTI RESPONSABILITA’ DEL GOVERNO
Di fronte all’enorme spirale di polemiche innescata da una breve chiusura del Colosseo è urgente porsi alcune domande.
Perchè si ritiene inaccettabile che un monumento chiuda a causa di un’assemblea sindacale (regolare e regolarmente annunciata) e si trova normale che la stessa cosa accada per una cena privata di milionari (si rammenti il caso di Ponte Vecchio, chiuso dall’allora sindaco Renzi per un’intera notte), o per una manifestazione commerciale (la sala di lettura della Nazionale di Firenze chiuse per una sfilata di moda nel gennaio 2014)?
I diritti del mercato ci appaiono evidentemente più importanti dei diritti dei lavoratori
Ma in Europa non è così.
L’anno scorso la Tour Eiffel chiuse per ben tre giorni, e la National Gallery di Londra è aperta a singhiozzo da mesi per una dura lotta sindacale: nessuno ha gridato che la Francia o l’Inghilterra sono ostaggio dei sindacati
Il ministro Dario Franceschini ha detto che mentre i lavoratori erano in assemblea egli era impegnato al ministero dell’Economia proprio per riuscire a sbloccare il pagamento dei loro straordinari.
E uno si chiede: ma l’Italia è ostaggio di coloro che, guadagnando circa 1000 euro al mese, chiedono di non aspettare mesi o anni per la retribuzione degli straordinari (che permettono le aperture domenicali e notturne), o è ostaggio della burocrazia che ha fatto sì che Franceschini non sia riuscito a risolvere il problema in un anno e mezzo di governo?
E perchè il decreto d’urgenza adottato venerdì non ha riguardato il pagamento dei lavoratori, ma invece il regime degli scioperi?
Un noto documento programmatico della banca d’affari americana JP Morgan (giugno 2013) additava tra i problemi «dei sistemi politici della periferia meridionale dell’Europa» il fatto che «le Costituzioni mostrano una forte influenza delle idee socialiste »: bisognava dunque rimuovere, tra l’altro, le «tutele costituzionali dei diritti dei lavoratori » e «la licenza di protestare se vengono proposte sgradite modifiche dello status quo».
Ebbene, crediamo davvero che sia questa la linea capace di far ripartire il Paese
Non c’è alcun dubbio sul fatto che anche i sindacati abbiano le loro responsabilità nel pessimo funzionamento del ministero per i Beni culturali.
Ma è davvero caricaturale dire che in Italia il diritto alla cultura sia negato per colpa dei sindacati.
Le biblioteche e gli archivi sono in punto di morte a causa della mancanza di fondi ordinari e di personale, d’estate i grandi musei chiudono perchè non c’è l’aria condizionata, nel centro di Napoli duecento chiese storiche sono chiuse dal 1980, due giorni fa è caduto per incuria il tetto della mirabile chiesa di San Francesco a Pisa, dov’era sepolto il Conte Ugolino…
E si potrebbe continuare per pagine e pagine
Questo immane sfascio non è colpa dei sindacati: ma dei governi degli ultimi trent’anni, nessuno escluso (neanche il presente, che ha appena tagliato di un terzo il personale del Mibact, già alla canna del gas).
Se davvero vogliamo che la cultura (e non solo il turismo più blockbuster) diventi un servizio essenziale, come vorrebbe la Costituzione, allora non c’è che una strada: investire, in termini di capitali finanziari e umani.
Quando gli italiani potranno davvero entrare nelle loro chiese, nei loro musei e nelle loro biblioteche (magari gratuitamente, o pagando secondo il reddito), e quando chi ci lavora avrà una retribuzione equa e puntuale, allora avremo costruito un servizio pubblico essenziale.
Un traguardo che pare molto lontano, impantanati come siamo in questo maledetto storytelling, che invece di cambiare la realtà , preferisce manipolare l’immaginario collettivo.
Tomaso Montanari
(da “La Repubblica”)
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Settembre 20th, 2015 Riccardo Fucile
L’IMPRENDITORE IN UN COLPO SOLO SPIAZZA RENZI E LA BECERODESTRA
Il Partito democratico superato a sinistra dal fondatore del Billionaire. Sembra una barzelletta, ma non lo è.
A tirare le orecchie a Francesca Barracciu, Pd, Sottosegretaria di Stato ai beni culturali e al turismo voluta dal premier Matteo Renzi, è proprio Flavio Briatore.
La materia è la stessa che tiene banco da venerdì scorso, ossia da quando alcuni dei più importanti siti archeologici di Roma sono rimasti chiusi per due ore e mezza a causa di un’assemblea sindacale.
Assemblea che la Barracciu, facendosi prendere un po’ la mano, aveva equiparato su Twitter a “un reato… in senso lato”.
Oggi Briatore, sempre via Twitter, risponde alla Sottosegretaria facendole notare che “i dipendenti devono essere pagati, arretrati compresi”.
Nel cinguettio l’imprenditore suggerisce anche una soluzione molto semplice per evitare il ripetersi di episodi spiacevoli come quello di venerdì scorso.
Basterebbe “assumere ed evitare gli straordinari”.
Al che Barracciu risponde molto educatamente: “Sono d’accordo con lei. Non è certo questo che contesto!”.
Almeno sui social, però, il danno è fatto, con la marea di tweet che rispondono all’hashtag #reatoinsensolato. Galeotto fu quel primo tweet: “L’assemblea sindacale che danneggia centinaia di turisti paganti che dedicano un giorno di ferie al Colosseo e decine di guide turistiche è un reato!”.
Il cinguettio non passa inosservato: in tantissimi si rendono conto che questa volta il sottosegretario l’ha detta veramente grossa.
Anche perchè i lavoratori protestavano per il mancato pagamento del salario accessorio e per il rinnovo contrattuale.
Ma il messaggio che passa è questo: scioperare (anche se qui si tratta di assemblea sindacale regolarmente convocata, non di uno sciopero) non è più un diritto ma un reato. Così le richieste di chiarimento fioccano al secondo: “Scusi, sottosegretario, in che senso reato?”.
La Barracciu capisce che forse ha un po’ esagerato e prova a correre ai ripari: “Reato in senso lato”. “Sottosegretario, ma sa quello che dice?”. “Con la parola reato ho voluto esagerare perchè è stato fatto un danno enorme. Ho usato reato, ripeto, in senso lato. E io affronto l’accusa (è indagata per peculato, ndr) che mi è stata mossa e il suo sarcasmo con coscienza a posto”.
Uscirne bene, però, è difficile, ora che all’hashtag #reatoinsensolato si è aggiunta anche la voce del papà del Billionaire.
(da “Huffingtonpost“)
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Settembre 20th, 2015 Riccardo Fucile
A SPOGLIO IN CORSO, TSIPRAS E’ AL 35,5%, NUOVA DEMOCRAZIA AL 28,2%… I FUORIUSCITI DI SYRIZA NON RAGGIUNGONO IL QUORUM… CONFERMATO IL VOTO DI GENNAIO, CALANO SOLO I VOTANTI
Alexis Tispras vince ancora. Secondo i dati parziali diffusi dal ministero dell’Interno greco, Syriza è al 35,5% dei voti, mentre il partito conservatore Nuova democrazia di Vangelis Meimarakis segue con il 28,21%. Terzo si conferma Alba dorata con il 7,32%, mentre Unità popolare fondato dai fuoriusciti di Syriza – e sostenuto dall’ex ministro delle Finanze Yanis Varoufakis – non riuscirebbe a superare la soglia di sbarramento del 3% necessaria a entrare in Parlamento, e si fermerebbe al 2,78%.
Secondo le prime proiezioni – quindi basate su dati reali – Syriza ottiene 145 seggi, mentre gli ex alleati di governo nazionalisti Greci Indipendenti avrebbero il 3,7% e 10 seggi.
I due potrebbero quindi riproporre l’alleanza di gennaio, forti di una nuova maggioranza di 155 seggi su 300.
Bassa l’affluenza: ha votato il 54,4% degli aventi diritto. Nelle elezioni del gennaio scorso, vinte da Tsipras, votò il 63,6%.
Il leader di Nea Demokratia Vangelis Meimarakis si è già congratulato con Tsipras, il leader di Syriza per la vittoria. “Congratulazioni a Tsipras – ha detto il presidente di Nea Dimokratia – Ora può fare il governo che crede. Io voglio ringraziare chi ha lavorato con noi in queste elezioni. Pensavano fossimo finiti, invece siamo ancora qui, e forti”.
Andare alle urne è stata una scommessa per Tsipras, che punta a rafforzare la posizione di Syriza dopo essersi liberato della sinistra interna contraria all’accordo che il governo ha siglato con i creditori internazionali (in cambio di altri 86 miliardi di prestiti). Alla sede di Syriza i primi risultati sono stati accolti con moderato ottimismo: l’entusiasmo dello scorso gennaio è un lontano ricordo. Perchè dopo la (eventuale) vittoria arriverà il momento più duro: applicare il memorandum siglato con l’Europa lo scorso luglio.
(da “Huffingtonpost“)
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Settembre 20th, 2015 Riccardo Fucile
AD AGOSTO LA CIG CALA, MA MANCANO 49 PROVINCE SU 110 NEI DATI INPS… E SULL’OCCUPAZIONE IL DEF AMMETTE: “DATI MODESTI”
Da quando a Palazzo Chigi siede Matteo Renzi, la realtà si è sdoppiata: c’è l’esistente e lo storytelling, cioè la narrazione della realtà .
E sui numeri del lavoro, le due cose non combaciano mai.
Prendiamo i dati sulla Cassa integrazione (Cig) di agosto comunicati venerdì dall’Inps.
La narrazione: “Inps: ad agosto Cig -41,7% su agosto 2014, -6,3% su mese precedente #Italiariparte #lavoltabuona”, twitta il responsabile comunicazione di Palazzo Chigi, subito condiviso dal premier.
“Corrisponde a più di 100 mila lavoratori tornati a lavorare”, esulta il ministro del Lavoro Giuliano Poletti.
“Quando il segno meno è una #goodnews. È proprio #lavoltabuona”, gli fa eco Lorenzo Guerini, vicesegretario Pd. E via così, intasando le agenzie.
La realtà : per l’Inps ad agosto 2015 sono state autorizzate 39,3 milioni di ore di Cig,-41,7 % rispetto ad agosto 2014 e — coi dati destagionalizzati per la ordinaria e straordinaria — in calo del 6,3% rispetto al mese prima.
La Uil ha fatto però notare un dettaglio non da poco: nelle tabelle Inps di agosto in 49 province — il 44,5% delle 110 province italiane — risultano autorizzate “zero ore” di Cig ordinaria: “0 ore” a Brescia, la più industrializzata d’Italia, zero ad Alessandria, Modena, Parma, etc.
“Non è tecnicamente possibile — spiega al Fatto Guglielmo Loy, segretario confederale Uil- che in quelle zone nessuna azienda ne abbia avuto bisogno: il governo deve chiarire i dati”.
Premessa: a differenza di quella in deroga, la Cig ordinaria non ha problemi di risorse: è finanziata dai lavoratori e autorizzata dal ministero del Lavoro .
Ad agosto, semplicemente molte commissioni provinciali, come quella di Milano, non si sono riunite, e quindi le ore vengono contabilizzate a settembre.
Quando potrebbe quindi verificarsi un balzo. E infatti il calo ad agosto è molto accentuato dacchè esiste la Cig: succede tutti gli anni.
L’Inps spiega al Fatto che farà “una verifica accurata sui dati amministrativi”, ma questa circostanza non è nuova: si è già verificata nell’agosto 2014.
Anche quella volta “saltò” lo stesso numero di province (ma solo 16 sono le stesse del 2015: Brescia non c’è, per dire).
Come è possibile fare un confronto simile? L’Inps si riserba di verificare, ma spiega che opera il confronto sul volume complessivo delle ore.
Per di più nell’ultimo comunicato tre province — Crotone, Vibo Valentia e Nuoro — sono letteralmente scomparse: “Fare un confronto su agosto non ha senso — spiega una fonte interna all’Inps — È un mese con numeri molto bassi, un’oscillazione minima produce percentuali enormi”.
I dati, si legge nel comunicato, sono“destagionalizzati”, ma a luglio solo una provincia segna zero nella casella delle ore autorizzate, non si capisce come si possa confrontarlo con agosto, quando ce ne sono 49.
In realtà non sono solo i numeri della Cig a lasciare perplessi, ma pure quelli che il governo scrive sul lavoro nell’aggiornamento del Def, che brillano invece per prudenza e sincerità .
Premessa: il Quantitative easing della Bce e la congiuntura internazionale stanno spingendo il Pil e, di conseguenza, l’occupazione: “L’elevata reattività dell’occupazione al Pil è spiegata, almeno in parte, dal fisiologico recupero della domanda di lavoro dopo una prolungata recessione e sembra essere associata a una maggiore flessibilità dei salari e a una più elevata efficienza del mercato lavoro”.
Tradotto: c’è un rimbalzo dopo la recessione e , soprattutto, stipendi più bassi(“flessibilità dei salari”) e emigrazione (“efficienza”).
“In particolare — scrive il governo — le retribuzioni di fatto per Ula (unità di lavoro a tempo pieno) hanno avuto un incremento cumulato dal 2008 al 2015 solo del 12,8%, a fronte di un aumento complessivo dei prezzi del 13,7%”(cioè gli aumenti non hanno coperto nemmeno l’inflazione).
Carlo Di Foggia e Marco Palombi
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Settembre 20th, 2015 Riccardo Fucile
DEGLI OLTRE 5 MILIONI DESTINATI ALL’ABBATTIMENTO DELLE BARRIERE ARCHITETTONICHE LA REGIONE HA SPESO SOLO 385.000 EURO
Doveva consentire ai disabili di abbattere le barriere architettoniche nelle loro abitazioni. Ma su 5 milioni e 200mila euro di fondi europei, la Regione Calabria è riuscita spendere solo 385 mila euro.
Il dirigente del settore Politiche sociali lo ha definito un “errore clamoroso” commesso “da chi ha scritto il bando”, che risale al periodo in cui la Calabria era guidata dal centrodestra di Giuseppe Scopelliti.
A causa di questo errore, però, centinaia di disabili (che sono stati ammessi al bando dell’Unione europea) da oltre un anno aspettano di essere rimborsati dopo aver anticipato fino a 25 mila euro per i lavori di adeguamento delle abitazioni alle esigenze dei familiari con disabilità .
Famiglie che, nel frattempo, si sono indebitate ricorrendo a prestiti.
“Aspetto 16 mila euro. — spiega Giuseppe Graniti di Cassano allo Ionio (Cosenza) — Noi viviamo al terzo piano e siamo costretti a prendere in braccio mia figlia per farla uscire da casa. Sono andato molte volte alla Regione e mi hanno detto che dovevano controllare la pratica. L’hanno visionata e revisionata ed è stata sempre accettata. Non posso chiudere in casa mia figlia”.
Nel bando era previsto anche un anticipo fino all’ottanta percento del costi.
“Mai visto l’anticipo: vogliamo sapere quando la Regione ci darà i soldi che ci spettano”, attacca Generosa Sansone, che deve ancora finire di pagare la ditta che ha eseguito i lavori: “Mi è stato accordato un prestito di 18mila euro, ma alla ditta ne dobbiamo 25″.
Suo padre Giulio è un disabile di Scigliano (in provincia di Cosenza) che da tempo respira solo grazie all’ausilio di una bombola d’ossigeno e soffre di una grave malattia che lo costringe a vivere allettato.
“La Regione — aggiunge Generosa — ci spieghi dove sono finiti i fondi dell’Unione europea”.
A dare delle spiegazioni ci prova il dirigente regionale Antonio Nicola De Marco: “C’è stato un errore procedurale clamoroso nel bando. In sostanza il bando è stato considerato intestato ai beneficiari singoli ma tramite i Comuni che (proprio per questo errore) non hanno fatto l’istruttoria preliminare nè hanno inviato la documentazione prescritta alla Regione”.
Insomma, nel 2011 l’Unione Europea ha dato alla Regione oltre 5 milioni di euro da destinare ai disabili che volevano abbattere le barriere architettoniche nelle oro abitazioni.
La Regione ha scritto un bando che relegava i Comuni al ruolo di “passacarte”. I sindaci, in sostanza, hanno raccolto le domande dei disabili e le hanno semplicemente inviate alla Regione che, dovendo erogare fondi europei ai Comuni, non poteva farlo considerando le fatture intestate ai disabili (come era stato scritto nel bando).
Piuttosto i lavori dovevano essere realizzati dalle varie amministrazioni comunali alle quali dovevano essere intestate le fatture.
È qui che è stato commesso l’errore “clamoroso” che ha inceppato tutto il meccanismo.
Nella preparazione dei documenti, i Comuni e i disabili hanno rispettato il bando che però era sbagliato: “È evidente che i disabili non c’entrano niente” con questa “incoerenza del bando”.
Risultato: i 5 milioni di euro sono stati bloccati e rischiano di essere persi se non spesi entro il 31 dicembre.
E adesso? “Per non perdere i 5 milioni di euro destinati ai disabili li abbiamo spostati dal finanziamento comunitario al Piano di azione e coesione. Stiamo rivedendo tutte le pratiche ed entro gennaio la Regione erogherà i soldi”
Lucio Musolino
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Settembre 20th, 2015 Riccardo Fucile
DA SINDACO CHIUSE PER 3 ORE IL SIMBOLO DELLA SUA CITTA’ PER LA FESTA PRIVATA DI MONTEZEMOLO… IL TUTTO PER APPENA 2.489 EURO, SENZA PREAVVISO E SENZA AUTORIZZAZIONE
Per i lavoratori sottopagati non si può, è una vergogna agli occhi del mondo.
Per gli amici con la Ferrari sì.
La vicenda del Colosseo chiuso per tre ore finisce con un decreto del premier Matteo Renzi che precetta i dipendenti dei musei equiparando i beni culturali ai servizi essenziali.
Mai più scene come quelle di Roma e Pompei. Bene.
Se solo questa scelta non poggiasse sulla mistificazione delle assemblee selvagge che erano invece regolarmente autorizzate. E se il premier che bolla come “nemico pubblico” chi prende mille euro al mese per aver chiuso per tre ore l’anfiteatro romano non fosse lo stesso Matteo Renzi che due anni fa, da sindaco, sbarrò per tre ore la strada ai turisti per consentire ai collezionisti di auto di lusso e all’amico Luca Cordero di Montezemolo una cena privata su luogo pubblico.
E che luogo: Ponte Vecchio, il simbolo stesso della città del Giglio, uno dei ponti più famosi al mondo.
Era il 30 giugno del 2013, un sabato pomeriggio.
Senza preavviso e fino a sera turisti e residenti trovarono l’accesso al Ponte sbarrato da fioriere e personale privato, gentile ma irremovibile nell’impedire l’accesso a chiunque non fosse nella lista degli invitati, tutti tesserati Club Ferrari.
Sfilata di invitati elegantissimi, per loro anche un’orchestrina a metà ponte con vista mozzafiato sull’Arno.
Sgomento invece tra i fiorentini, inferociti per la mancanza di preavviso e di segnaletica. Alcuni furono costretti a fare un lungo giro per tornare a casa dall’altra parte d’Arno, magari con le borse della spesa. Gli orafi, poi, andarono su tutte le furie.
Seguì un fiume di polemiche. Renzi fu accusato di una conduzione discutibile della cosa pubblica. Riletto oggi, quell’episodio sfata alcuni luoghi comuni sul premier: non è vero che il giovane leader della sinistra italiana ignori del tutto relazioni industriali e sindacali.
E che sia del tutto allergico agli arcaici schemi della lotta di classe che invece reinterpreta, a modo suo.
Va detto che la vicenda sarebbe morta lì. Se Renzi stesso non avesse risposto alle polemiche sull’operazione con toppe peggiori del buco.
La prima fu di paventare mirabili ritorni economici dall’operazione di marketing istituzionale. Dal Ponte sull’Arno affittato a ore, disse allora, sarebbero piovute 120mila euro per le casse del Comune. Nessun regalo, dunque.
A seguito delle interrogazioni delle opposizioni si scoprì poi che le uniche entrate che risultavano ufficialmente dall’evento erano 13.000 euro per il restauro di un’opera d’arte e circa 17.000 per l’occupazione di suolo pubblico di cui solo 2.489 euro per l’occupazione di Ponte Vecchio. Un vero affare.
Il sindaco-segretario, in visibile difficoltà , provò anche a difendere la svendita del cuore della sua città tirando in ballo i cittadini più indifesi.
Nella sua newsletter telematica scriveva: “E abbiamo fatto una scommessa di comunicazione sulla città . En passant, abbiamo anche recuperato circa 120 mila euro, l’equivalente del taglio che abbiamo ricevuto sul capitolo delle vacanze per i bambini disabili. Io credo che chiudere tre ore Ponte Vecchio per questi motivi sia doveroso per un sindaco. Lo rifarei, nonostante le polemiche. Voi che ne pensate?”. Qualcuno la mandò giù: “Se è a fin di bene…”.
Finchè emerse che nei trasferimenti al Comune non c’era stato alcun taglio per quella voce.
A seguito di specifiche interrogazioni toccò a un imbarazzatissimo vicesindaco, Stefania Saccardi ammettere che no, quel capitolo di spesa non era stato ridotto e che Renzi con quelle parole aveva solo voluto dare “l’idea del valore sociale del canone” che sarebbe stato pattuito (il condizionale era a quel punto d’obbligo) con la Ferrari.
Ma torniamo all’oggi. Roma, il Colosseo, il decreto che ferma la barbarie dei lavoratori in assemblea che prendono in ostaggio la città .
I custodi dell’anfiteatro romano sono stati accusati di aver dato corso a un’assemblea “selvaggia”. Ma la mistificazione è durata poco perchè i documenti ufficiali hanno confermato invece che era stata regolarmente autorizzata e comunicata a chi di dovere una settimana prima che si svolgesse. Nessuna serrata a sorpresa, dunque.
E a Firenze, di quanto fu il preavviso? Un accesso agli atti dei consiglieri d’opposizione permise di accertare che l’atto di concessione dell’occupazione del suolo pubblico per l’area di Ponte Vecchio da parte della Direzione Sviluppo Economico era datato il primo luglio, ovvero il giorno dopo la cena su Ponte Vecchio.
Difficile, in effetti, negare un permesso per qualcosa che è già avvenuto.
Più facile negarlo per cose che non sono avvenute mai.
Thomas Mackinson
(da “il Fatto Quotidiano“)
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