Settembre 25th, 2015 Riccardo Fucile
SCENDONO ANCHE FORZA ITALIA, NCD E FRATELLI D’ITALIA
Crescono il Partito democratico e il Movimento 5 Stelle. Cala ancora la Lega Nord.
Secondo un sondaggio dell’Istituto Ixè di Roberto Weber, il partito del presidente del Consiglio Matteo Renzi si attesta al 34,7% (+0,5% in una settimana).
Il M5S si consolida secondo partito, balzando al 24,2% (+1,1%) mentre la Lega Nord cala dal 14,9% al 14,6%. Se si votasse oggi, l’affluenza sarebbe al 60 per cento.
Nessuna variazione per la fiducia in Matteo Renzi, stabile al 31%, mentre quella nel governo sale dal 28 al 29 per cento.
Secondo l’Istituto Ixè il leader politico che più ispira la fiducia degli italiani rimane il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, al 62%.
Nella settimana del viaggio a Cuba e negli Stati Uniti, Papa Francesco veleggia all’85%. Tornando agli esponenti politici, Di Maio è al 27%, Salvini e Grillo al 21%, Berlusconi al 12% e Alfano al 9%.
Questo il quadro completo delle intenzioni di voto (tra parentesi la variazione percentuale sulla settimana precedente): Pd 34,7% (+0,5). M5S 24,2% (+1,1). LEGA NORD 14,6% (-0,3). FI 10,3% (-0,5). SEL 4,8% (-0,1). FDI 3,4% (-0,4). NCD 2,2% (-0,1). PRC 1,1% (+0,1). VERDI 0,7% (-0,2). UDC 0,4% ( = ). SC 0,2% (-0,1).
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Settembre 25th, 2015 Riccardo Fucile
MA IL PREMIER NON SI CHIAMA BERLUSCONI
Una frizzante brezzolina rinfresca l’aria del Palazzo, portandovi una possente ventata di novità . Musica nuova in cucina! Il premier Silvio Berlusconi ha appena fatto approvare dal Parlamento una legge bavaglio che vieta alla stampa di pubblicare le intercettazioni di indagati e non indagati che siano prive di rilevanza penale, ma non di rilevanza politica, morale e giornalistica.
Il premier Berlusconi si accinge a modificare la Costituzione, abolendo le elezioni per il Senato e trasformando la Camera Alta in una cameretta bassa bassa nominata da chi vuole lui.
Il premier Berlusconi affida la Costituzione nelle mani di una sua favorita e del suo fedelissimo Denis Verdini (cinque processi in corso: tre più di lui).
Il premier Berlusconi ha dichiarato che “gli italiani attendono la riforma della Costituzione da 70 anni”, cioè da tre anni prima che venisse scritta e approvata.
Il premier Berlusconi ha minacciato la seconda carica dello Stato (ma solo perchè la prima non c’è più), cioè il presidente del Senato, seconda carica dello Stato, intimandogli di interpretare la Costituzione e il regolamento come vuole lui.
Il premier Berlusconi, non avendo numeri sicuri al Senato, convoca a Palazzo Chigi esponenti dell’opposizione per convincerli a non opporsi e a passare con lui, promettendo posti di governo e strapuntini di sottogoverno, presidenze di commissioni e candidature sicure alle prossime elezioni, tant’è che qualcuno lo accusa di compravendita di senatori.
Il premier Berlusconi, dopo aver finalmente abolito l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, ha varato un decreto urgente contro le assemblee sindacali dei lavoratori che osano protestare perchè il suo governo non paga loro gli straordinari.
Il premier Berlusconi ha nuovamente aumentato le pene per i furti e gli scippi e al contempo ha diminuito quelle per gli evasori fiscali, così chi ruba 50 euro finisce in galera e chi ne ruba fino a 150 mila non rischia di vederla neppure in cartolina.
Il premier Berlusconi ha di nuovo promesso l’abolizione della tassa sulla prima casa, senza distinzione fra stamberghe e ville.
Il premier Berlusconi ha appena rioccupato la Rai, piazzandovi un suo ghostwriter e alcuni portaborse, in ossequio alla sua legge Gasparri.
Il premier Berlusconi, non contento, ha fatto sapere ai nuovi nominati in Rai di non gradire alcuni talk show che diffondono pessimismo, raccontano che “va tutto male” e non esaltano abbastanza gli strepitosi successi del suo governo, raccomandando ai telespettatori di boicottarli guardando la serie di Rambo su Rete4, tv di sua proprietà .
Il premier Berlusconi, tramite il suo partito, ha fatto convocare il direttore di Rai3 per torchiarlo su un delitto gravissimo: la presenza nei programmi di alcuni esponenti dell’opposizione a 5 Stelle, per giunta piuttosto efficaci e telegenici.
Il premier Berlusconi è solito frequentare i talk show che gli lasciano dire e fare i suoi comodi: da quelli delle sue reti (Amici della De Filippi, Domenica Live della D’Urso, Quinta colonna di Del Debbio, Tiki Taka di Pardo) a quelli più accoglienti della Rai (da Porta a Porta dell’amico Bruno a Virus del suo vicedirettore Porro a Parallelo Italia di Riotta).
Il premier Berlusconi è stato accolto da Riotta al Forum di Cernobbio con frasi del tipo: “Fate un bell’applauso al presidente del Consiglio, potrete raccontarlo ai vostri nipoti!”.
Il premier Berlusconi ha attaccato il presediente dell’Antimafia Rosy Bindi, poi ha ordinato: “Non si può dire che le mafie controllano tre regioni d’Italia”; intanto il questore di Napoli, sull’onda dell’attacco di Berlusconi a La Piovra e al romanzo Gomorra, se l’è presa con la serie tv Gomorra perchè offende il popolo napoletano.
Il premier Berlusconi è stato paragonato ieri dal Corriere della Sera ad Alcide De Gasperi o, in subordine, a Giovanni Giolitti (che nel 1912 inaugurò il suffragio universale, mentre il premier l’ha appena abolito per il Senato).
Il premier Berlusconi, non pago, dispone di un house organ diretto da un funzionario di Palazzo Chigi che ogni giorno canta le sue lodi e beatifica la sua sacra famiglia, soprattutto suo padre e le sue favorite, mentre un vignettista di corte lo equipara a Dio.
Il premier Berlusconi si tiene nel governo quattro sottosegretari inquisiti, senza contare quelli che ha candidato alle elezioni europee, regionali e comunali.
Il premier Berlusconi ha imposto una legge intimidatoria sulla responsabilità civile dei giudici, che ora possono essere denunciati dai loro imputati durante il processo.
Il premier Berlusconi ha insultato due importanti esponenti della sinistra europea, il leader laburista inglese Corbyn e l’ex ministro greco Varoufakis. E quando quest’ultimo gli ha risposto, lo ha fatto deridere dal portavoce di Palazzo Chigi con il tweet “Un bacio al dottor Spock” che, per eleganza, ricorda le corna esibite dal premier al vertice di Caceres. Prossimo tweet: un dito medio sollevato con la scritta “Ciaone”.
Ah no, scusate, mi avvertono che il premier non si chiama Berlusconi.
Infatti, qui sotto, la piazza è vuota.
E, intorno, tutto tace.
Marco Travaglio
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Settembre 25th, 2015 Riccardo Fucile
LA DENUNCIA DEL FONDATORE DI EMERGENCY: “E’ SOLO L’ENNESIMO TAGLIO ALLA SANITA’ PUBBLICA”
“Chi decide se un esame è inutile, la Lorenzin?”. Gino Strada, cardiochirurgo e fondatore di Emergency, non esita a definire la lista dei 208 esami inutili “l’ennesimo taglio alla Sanità pubblica”.
Può il ministero entrare nel rapporto fiduciario tra medico e paziente decidendo quali esami è opportuno prescrivere?
È l’ultimo scempio ai danni della Sanità : ormai medici e infermieri fanno il lavoro non grazie alle politiche pubbliche, ma nonostante queste. Nello specifico, alcuni di questi esami si potranno prescrivere solo in caso di anomalia pregressa: ma come posso accertarla se l’esame non si può fare?
Il ministero dice di voler limitare la medicina difensiva. Di che si tratta?
Sono le misure diagnostiche cui vengono sottoposti gli ammalati non perchè ne abbiano bisogno, ma per tutelare il medico da eventuali rivalse legali. Ma in questa lista ci sono esami, come quello sul potassio o sul colesterolo totale, che sono quasi di routine per gli ospedalizzati. La medicina difensiva non c’entra.
I medici hanno minacciato lo sciopero. C’è chi sostiene sia una battaglia corporativa per scongiurare le sanzioni sul salario accessorio.
A me sembra una protesta ragionevole. Come medico ho il  diritto e il dovere di utilizzare le prestazioni necessarie per accertare le condizioni di salute del mio paziente. In questo rapporto non può entrare la politica.
È possibile risparmiare senza intaccare le prestazioni?
Basta tagliare il profitto. Parliamo di 25/30 miliardi l’anno, una cifra enorme, quanto una grossa finanziaria. Abbiamo una Sanità che ha fatto diventare gli ospedali pubblici uguali a quelli privati convenzionati: entrambi funzionano col meccanismo dei rimborsi. Non le sembra assurdo?
Cosa intende?
Abbiamo costruito un sistema in cui fare più prestazioni significa ottenere più rimborsi, un sistema che non promuove la salute ma la medicalizzazione. Ora decidono che queste prestazioni vanno limitate. I Drg (Diagnosis related groups, ndr) dovevano servire a capire quante persone in una determinata area sono affette da una patologia, invece vengono usati come moneta di rimborso. E lo Stato italiano paga le prestazione molto più di quanto costino in realtà .
Intanto l’anno scorso si è deciso di non incrementare di 2,3 miliardi il Fondo sanitario nazionale e quest’anno potrebbe succedere lo stesso. È solo un problema di austerity?
A me sembra evidente la volontà di favorire le strutture private. Anche perchè queste hanno uno stretto rapporto con chi occupa posti di lavoro nel settore pubblico. Lo sa che in Lombardia il 98% dei primari è iscritto a Comunione e liberazione? Altrettanto vale per il Pd in altre regioni. Nella sanità quasi non esistono concorsi pubblici nei quali non si sappia prima chi vincerà .
Esiste un modello di sanità che dovremmo emulare?
Molte delle cose che propongo verrebbero considerati passi indietro. Abbiamo 20 sanità regionali che moltiplicano per 20 le spese burocratiche: una follia.
Alessio Schiesari
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Settembre 25th, 2015 Riccardo Fucile
IN 520 SEDI UNO STUDENTE SU DUE E’ STRANIERO, IN 2851 VANNO DAL 30% IN SU… DIFFICOLTA’ MA ANCHE MOLTI ESEMPI DI CONVIVENZA
Sono le otto di un martedì di metà settembre. Alla scuola primaria “Carlo Pisacane” di Roma è suonata la campanella. Arriva di corsa un signore in giacca, cravatta e ventiquattrore che tiene per mano il figlio. Sono italiani. Salgono le scale e dietro infilano il portone una donna con il capo coperto da un velo verde smeraldo e una bimba in tuta da ginnastica rosa. Due minuti e si presentano madre e figlia, con gli occhi a mandorla e poi un’altra italiana col suo bambino.
Sul pavimento dell’atrio la scritta blu “mare madre”, incorniciata dalle onde.
Ecco, chi entra lì è un cittadino del mondo.
Le classi ghetto, le fughe bianche, lo straniero “nemico” abitano lontano, tra le paure sventolate dai politici a turno per spostare i voti.
La realtà quotidiana parla d’altro: di integrazione vera, reale, quotidiana e vissuta.
E noi siamo andati a vederla. Siamo entrati nelle scuole ai margini delle grandi città per capire come si fa “integrazione multiculturale”.
Qualche dato, prima, per avere un’idea del fenomeno. In Italia ci sono 57mila scuole. Di queste, 2851 con una densità straniera che va dal 30% in su. In particolare, sono 510 quelle che superano il 50% e 27 quelle con oltre l’80% di stranieri.
Partiamo da Roma.
È una giornata di sole. L’istituto Pisacane sorge in via dell’Acqua Bullicante 30, nel quartiere multietnico di Torpignattara, periferia sud-est della Capitale. In cortile 16 alunni con la pelle di tutti i colori sono seduti in cerchio.
Gli altri fanno lezione nelle aule con le cartine dei cinque continenti fissate sui muri scrostati. Duecento iscritti totali.
“Gli italiani sono ritornati da noi — dice Vania Borsetti, maestra qui da sette anni — sono figli di professionisti, registi, artisti, insegnanti. Hanno capito che la diversità culturale tra i banchi è un valore e non un ostacolo. Oggi nelle classi prime gli stranieri sono il 50%, nel 2010 erano il 90%. Questa sì che è convivenza”.
Nel 2009 la scuola è finita nell’occhio del ciclone a causa dell’alta presenza straniera, che superava il tetto del 30% per classe imposto dal ministro Gelmini.
Alcune mamme italiane avevano trasferito i loro figli in altri istituti.
“Una mattina un’associazione di estrema destra occupò le scale d’ingresso, il quartiere era in rivolta, c’erano le telecamere della tv davanti alla scuola e i bambini spaventati”. Aprire le porte al territorio è stata la soluzione per non chiudere: “Dovevamo farci conoscere per non farci temere”.
Le maestre hanno appeso al portone locandine in arabo, bengalese, cinese e italiano per invitare i residenti al coro, alle recite, i laboratori di arte, le feste dei popoli.
Il 18 dicembre di ogni anno, per la giornata mondiale dei rifugiati, musicisti di fama internazionale fanno un concerto con gli studenti. “Palco, videoproiettore e server ce li prestano i commercianti. Ogni etnia prepara piatti tipici. L’ultima volta eravamo in 500”. I genitori nel 2013 hanno fondato l’associazione “Pisacane 011” che organizza corsi in palestra e in cortile aperti a tutti: quello di chitarra, sassofono e batteria, di teatro, sport, e l’aiuto compiti. Oggi quella scuola, all’incrocio tra un bar italiano e un negozio di cianfrusaglie cinese, è diventata il polo culturale del quartiere.
“Offriamo un’educazione internazionale. Un bambino italiano e uno bengalese sono amici per la pelle, e la famiglia del secondo ha iniziato a visitare i monumenti di Roma. Un’alunna calabrese ha insegnato alla classe il suo dialetto per dimostrare che anche lei parla due lingue. Qui la doppia identità è forza. Perchè il Miur non ci aiuta? Le nostre aule cadono a pezzi, molte non hanno le porte, una finestra è rimasta rotta per due mesi. E le ore di potenziamento della lingua italiana (L2, ndr) per chi è appena arrivato sono ridicole, solo 30 all’anno”.
Qui Esquilino, dove la segretaria è fatta da 4 mamme: due marocchine, una somala e una filippina
Ha stretto un patto con il territorio anche la scuola “Di Donato“, nel rione Esquilino, vicino alla stazione Termini. Ore 17.30. Lezioni terminate un’ora fa.
Nel piano seminterrato con volta a botte ci sono almeno 150 bambini impegnati in mille attività . Sono italiani, cinesi, bengalesi, mediorientali, nordafricani e rumeni. Fanno calcio, basket, pattinaggio, danza, pittura, teatro, musica, lettura, doposcuola.
C’è anche una stanza per i giochi. La sede della web radio di Save the children.
E dalle 20 alle 22 i balli popolari per i nonni e il fitness per insegnanti e genitori. A gestire lo spazio ci pensano le famiglie, a turno.
In segreteria ci sono quattro mamme, due marocchine, una somala e una filippina.
Il custode, filippino anche lui, è un papà che fa l’elettricista. La scuola è aperta anche nei weekend.
Al sabato mattina ci sono i corsi di informatica per i piccoli. Alla domenica le feste (ogni volta dedicate a una cultura diversa), i laboratori di costruzioni, cucina tradizionale, tornei sportivi, sfilate di veli e abiti orientali, visione di documentari con dibattito.
“L’ultimo era sull’immigrazione italiana in Belgio — spiega Francesca Valenza, genitore referente del progetto intermundia, finanziato dal Comune, che promuove l’integrazione nelle scuole romane, e ha sede lì — stiamo portando avanti un progetto sui rom, per capire chi sono e da dove vengono”.
Alla “Manin” gli iscritti italiani sono cresciuti del 30%
Per scelta tante famiglie italiane di altri quartieri hanno iniziato a mandare i figli alla Manin. Miriam Iacomini, maestra: “Gli iscritti italiani sono cresciuti del 30%. Sono figli di dirigenti e professionisti. Manca il ceto medio basso, più diffidente verso gli immigrati. Gli alunni in tutto sono 750, di cui il 51% immigrati”.
Di nuovi arrivi dall’estero ce ne sono di continuo, almeno 30 all’anno.
“In organico abbiamo 37 docenti, ogni volta chiediamo in ginocchio al Miur di darcene tre in più. Alle medie avremmo bisogno di un’altra classe. Altrimenti come facciamo ad accoglierli? Le ore di L2 non bastano, ma l’università ci mette a disposizione tirocinanti di lingue straniere per aiutare chi fa fatica a esprimersi”.
La scuola va fuori. In Piazza Vittorio Emanuele con i gruppi di lettura e gli scacchi. Al Maxi e al Macro con le mostre di manufatti. Iacomini: “Abbiamo creato un’osmosi tra noi e gli abitanti. Così ci siamo salvati”.
Milano, al “Luigi Cadorna” una linea di confine tra magrebh e movida
La scuola “Luigi Cadorna” di via Dolci 5, a Milano, ha fatto la stessa cosa per evitare le fughe bianche.
Il posto non è dei più facili. È a due passi dallo stadio di San Siro, sul confine invisibile tra le case popolari delle famiglie magrebine e i palazzi dei milanesi abbienti.
Dal 2006 è partita la collaborazione con associazioni locali, fondazioni e Consiglio di zona. Il dirigente scolastico Massimo Nunzio Barrella è fiero: “Grazie a loro oggi la scuola è aperta anche il sabato per scambi culturali e gare sportive. Il cortile ospita il mercato della Coldiretti, il martedì e il giovedì ci sono i corsi di italiano da tre ore per le straniere (una novantina) gestisti da nonne e mamme italiane con servizio di babysitting 0-3 anni”. Anche i genitori si sono dati da fare. Prima hanno creato un Comitato con una decina di commissioni all’interno. Poi nel 2007 alcuni di loro si sono uniti nell’associazione “Cadorna” per promuovere attività sportive, dal cacio all’hip hop, capoeira, basket, chitarra, lingue straniere.
“Tutte le iniziative sono state raccolte in un diario distribuito agli allievi”. Il preside accende il computer e mostra una foto in cui è vestito con la dishdasha, la tunica bianca per gli uomini arabi, accanto a donne siriane e nordafricane in occasione di un party scolastico.
“Erano felicissime di vedermi nei loro panni e io curioso dei loro costumi”. Gli alunni italiani dieci anni fa erano solo il 20%. Ora il 40%. Non per caso.
La mentalità è cambiata: “I genitori decidono di mandarli qui perchè sanno che una formazione multiculturale è più ricca di una monoetnica. Certo, le difficoltà non mancano. Poche ore di L2: 25. E qualche tensione. L’aiuto degli abitanti è stato decisivo e solo con loro possiamo migliorare”.
Quelle descritte sopra non sono soltanto tre scuole.
Sono tre modelli di integrazione di successo, tre laboratori sociali da cui imparare. I dirigenti si sono dati appuntamento alla Biennale Spazio pubblico (organizzata dall’istituto nazionale di urbanistica) a maggio a Roma per un confronto a quattrocchi. Il workshop, coordinato da Vinicio Ongini, responsabile dell’Osservatorio nazionale per l’integrazione degli alunni del Miur, erano presenti altri cinque istituti esemplari.
Firenze, al “Sassetti Peruzzi” pochi fondi e docenti impreparati alla complessità etnica
Il “Sassetti-Peruzzi” di Firenze, una secondaria di secondo grado, ha una sede a Scandicci, in maggioranza italiana, e un’altra a Rifredi, periferia nord-ovest, in direzione Prato, con 331 alunni stranieri su 541, di cui 198 cinesi.
Ha tre indirizzi: commerciale, socio-sanitario e turistico. E quattro problemi: difficoltà nella comunicazione con studenti (alcuni analfabeti) e famiglie cinesi, docenti impreparati alla complessità etnica, fondi scarsi per l’alfabetizzazione e per l’acquisto di testi semplificati, dispersione scolastica.
“Tantissimi cinesi alternano la scuola a periodi di lavoro o viaggi in Cina” spiega Barbara Degli Innocenti, dirigente scolastica, che per contrastare il fenomeno da settembre 2014 ha attivato una sezione sperimentale apposta per loro.
“Abbiamo tolto due ore di matematica e due di italiano per insegnare lingua e letteratura cinese. Lo studio di economia e diritto è bilingue. Il diploma sarà valido anche in Cina. È nata una partnership con due scuole della regione dello Zhejiang. A novembre il primo gemellaggio”.
Torino, al “Regio Parco” fino al 90% di stranieri
Semiperiferia est di Torino. Istituto comprensivo “Regio Parco”.
Dal 30 al 90% la percentuale di bambini di altre nazionalità . Il cortile fino alle 18.30 è un luogo di ritrovo per genitori e alunni. Dipingono, giocano con la palla, lavorano la pasta di sale e l’argilla.
La preside, Concetta Mascali, ha puntato sul coro: “Il nostro solista l’anno scorso era cinese. Cantare in italiano serve a impare la lingua”. E su un’orchestra di archi: “Ho lanciato una raccolta fondi per comprare violini e violoncelli. Due strumenti difficili che richiedono ascolto, collaborazione e disciplina”.
Una richiesta: “L’università deve formare insegnanti con competenze multiculturali, che sappiamo la storia e la geografia dei popoli migranti, per essere meno eurocentrici”.
Napoli, al “Bovio-Colletta” tra disagio sociale e progetti occasionali
Napoli, zona stazione. Qui si respira un forte disagio sociale. Per colpa del lavoro che non c’è e del basso livello di istruzione.
Non solo perchè ci vivono gli stranieri, che sono tantissimi. All’istituto comprensivo Bovio-Colletta per favorire l’inserimento degli immigrati si leggono fiabe esotiche, si inventano racconti contro la discriminazione, si commentano film, si fanno lezioni anti bullismo.
C’è anche un laboratorio di artigianato, danza e teatro per le mamme . “Quest’anno è durato solo un mese, nel 2014 è saltato, ci sono poche risorse — si lamenta la preside Annarita Quagliarella — siamo condannati a progetti occasionali”.
Tornando a Roma. Quartiere dormitorio tra Primavalle e Monte Mario.
Accanto a un campo rom si trova l’Istituto alberghiero “Domizia Lucilla”.
Da due anni c’è un progetto pilota che usa il cinema per insegnare la lingua italiana. “Gli studenti leggono la sceneggiatura, fanno il riassunto, modificano la trama, guardano le immagini con i sottotitoli in lingua originale” racconta Sergio Kraisky, insegnante.
Palermo, all’”Antonio Ugo” “le famiglie non si sentono diverse dai migranti”
Sicilia, primo approdo dei profughi. All’istituto comprensivo “Antonio Ugo” di Palermo, quartiere Noce, controllato dalla mafia, ci sono tre classe di minori non accompagnati provenienti da Senegal, Nigeria, Egitto.
“Il Comune ha fatto resistenza ma poi ha ceduto — spiega Riccardo Ganazzoli, il dirigente — le famiglie non hanno battuto ciglio. Non si sentono diversi dai migranti, hanno lavori precari, sono monoreddito. Lo straniero è uno stimolo. Perchè chi viene dalla miseria attribuisce alla scuola una funzione civile che noi abbiamo dimenticato”.
Chiara Daina
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Settembre 25th, 2015 Riccardo Fucile
NON POSSONO PIU’ PERMETTERSI DI PAGARE LE CURE
Ci sono le statistiche sulla nuova povertà con le sue malattie, poi ci sono le persone. La realtà . Chiamiamolo Giovanni.
Giovanni ha una dermatite atopica su tutto il corpo, ha cinquant’ anni, ha appena perso il lavoro.
Non ha i soldi per curarsi, semplicemente perchè le cure per le malattie della pelle sono già tutte a pagamento (tranne una, la psoriasi) e senza nemmeno bisogno dei nuovi tagli annunciati dal ministro Beatrice Lorenzin.
“Non riesce a pagarsi le pomate, lo sto curando con dei bagni di amido, costa poco e la madre gli presta la vasca”, dice il dottor Sergio Santini dell’associazione Medici Volontari Italiani di Milano.
Tanto per capire di cosa stiamo parlando quando si dice che milioni di italiani non hanno accesso alle cure e che l’Italia si sta apprestando a smantellare il sistema sanitario nazionale.
L’associazione ha un ambulatorio in viale Padova 104, una unità mobile che si piazza davanti alla Stazione Centrale o dietro al Duomo e un container di fronte alla onlus Pane Quotidiano di viale Toscana, dove ogni giorno duemila persone vanno a rimediare un panino per tirare avanti.
Nel 2014 ha visitato 2.803 persone, tra cui 367 italiani.
“Dal 2012 l’aumento degli italiani è stato piuttosto rapido, per contro la crisi ha spinto gli stranieri a trasferirsi altrove per cercare lavoro – spiega Sergio Santini – ormai è evidente che sono le associazioni di volontariato a prendersi cura degli italiani poveri”.
Le povertà sono variamente assortite, “molti malati psichiatrici provenienti dal sud Italia, persone con patologie da freddo, con traumi minori o artrosi”.
Il dato sull’utenza straniera preponderante però non deve trarre in inganno: molti stranieri vivono a Milano da decenni, invecchiano, difficile non considerarli italiani. “I medici lo sanno a cosa stiamo andando incontro – dice Sergio Santini – la sanità pubblica in Italia ha come obiettivo un taglio sulla salute da 10 miliardi di euro, non lo dichiarano apertamente ma Italia e Spagna devono progressivamente smantellare il sistema sanitario nazionale”
Anche Emergency, dal 2006, offre gratuitamente prestazioni mediche in Italia.
I presidi fissi sono diversi, quasi tutti al sud: Palermo, Marghera, Polistena, Reggio Calabria, Castelvolturno, Napoli e Bologna.
In questi anni l’associazione ha erogato 200 mila prestazioni (circa 300 al giorno). Dallo scorso agosto funziona anche una unità mobile a Milano.
Gli italiani sono circa il 6% del totale.
“Negli ultimi anni sono aumentati – spiega Andrea Bellardinelli, coordinatore del Programma Italia – intercettiamo molte persone senza fissa dimora, sono i più vulnerabili, non hanno nemmeno la tessera sanitaria. Poi arrivano centinaia di telefonate di italiani che non ce la fanno a pagare il ticket, questo è un problema enorme che allontana i malati dalle cure. Molti decidono di curare solo i figli. Noi ovviamente non possiamo aiutarli, ma in questi casi è molto utile fare informazione per coprire le zone grigie del sistema sanitario nazionale”.
Un ginepraio che spinge molti a rinunciare alle cure (ticket costosi, liste di attesa, esenzioni per i farmaci e in più le Regioni che recepiscono la materia sanitaria in maniera discrezionale).
“E’ in atto la disgregazione del welfare in nome del mercato – dice Bellardinelli – la logica aziendale e la corruzione stanno sgretolando il sistema sanitario. Dobbiamo riportare al centro la persona e i suoi bisogni, una popolazione sana fa bene a tutti, la buona salute non è un costo è una risorsa”.
Restando a Milano, il capoluogo della regione che vanta uno dei sistemi sanitari più efficienti, fanno impressione i numeri delle prestazioni fornite dall’Opera San Francesco, “un colosso” della carità fondato nel 1959 dai frati cappuccini.
Sono quasi quadruplicate: nel 1996 erano 10.957, sono state 40.188 nel 2014 (167 al giorno). Totale: più di 560 mila visite mediche.
La voce che meglio racconta l’impoverimento della popolazione si riferisce alle cure odontoiatriche: le prestazioni dentistiche fornite dall’Osf da 1.703 sono diventate 5.573 all’anno.
E dire che tra le prestazioni “inutili” a rischio erogazione comunicate dal governo ce ne sono 30 che riguardano proprio i denti degli italiani.
Luca Fazio
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Settembre 25th, 2015 Riccardo Fucile
INCREMENTO DI RISORSE MININO, AI LIVELLI DEL 2012… RIDOTTO IL FONDO PER IL FUNZIONAMENTO DEGLI ISTITUTI
Si svolta, si riparte, finalmente la scuola è al centro della politica.
Ma quanti soldi sta mettendo, davvero, Matteo Renzi, sulla scuola? Molto meno di quanto dichiarato.
Basta leggere il documento votato in commissione Cultura sull’assestamento di Bilancio.
Alla fine si tratta di 242 milioni in più rispetto al 2014.Una cifra che non riporta il bilancio dell’Istruzione nemmeno ai livelli del 2012.
“Il miliardo in più millantato dal governo Pd per la Buona scuola — commenta il deputato del M5S, Luigi Gallo — semplicemente non esiste”.
I numeri non sono facili da decifrare perchè il bilancio italiano è ancora scandito da due voci: “Il conto per competenza”e“ il conto per cassa”.
La prima voce misura esattamente quanto, delle entrate e delle uscite, è riferibile all’anno solare mentre la seconda, misurando i flussi di cassa, comprende pagamenti riferibili ad anni precedenti e successivi.
Prendendo come riferimento il “conto per competenza” scopriamo quindi che rispetto al saldo definitivo del 2014,pari a 52.817 milioni, il 2015 era cominciato con una previsione al ribasso: 52.605 milioni stanziati dalla Legge di Stabilità del 2014, quella che reca le previsioni iniziali di spesa.
Nell’anno della “buona scuola”, paradossalmente, si prevedeva una spesa per l’Istruzione di 52.605 milioni, 212 in meno rispetto al 2014.
Addirittura, se si fa il confronto nel conto di cassa, si stabiliva una diminuzione previsionale per il 2015 di oltre 2 miliardi di euro.
Chiaro, quindi, che si stava delineando una situazione di grave ritardo rispetto a impegni presi in passato come dimostra la consistenza dei residui 2014, superiori ai 3,5 miliardi.
Il governo, dunque, è corso ai ripari e ha adottato le opportune variazioni già nel periodo gennaio-maggio 2015.
Queste hanno riguardato un aumento delle dotazioni di competenza di 441,1 milioni e di quelle di cassa di 541,1.
A queste variazioni si aggiungono poi quelle decise dal ddl Assestamento approvato dal Parlamento, alzando ancora di 13 milioni il Conto di competenza e di 1.919,2 milioni quello di cassa sanando lo sbilancio precedente.
Ne viene fuori una situazione di questo tipo: sul conto di competenza, l’incremento di bilancio è pari a 242 milioni di euro mentre quello di cassa aumenta di 398 milioni.
Si tratta di cifre molto lontane dai vari miliardi esibiti sia dal presidente del Consiglio che dalla ministra Stefania Giannini.
Salvatore Cannavo’
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Settembre 25th, 2015 Riccardo Fucile
IL PREMIER IN PARTENZA PER GLI USA PER ONU, CLINTON E BONO VOX… E LA SPERANZA DI INCONTRARE IL PAPA
La speranza è di incrociare il Papa. O almeno di muoversi nella luce mediatica che il Pontefice avrà lasciato negli Stati Uniti dopo il suo viaggio di questi giorni.
Matteo Renzi arriva a New York sabato pomeriggio. Anche lui, come gli altri leader mondiali partecipa alle celebrazioni per i 70 anni dell’Onu.
Parlerà di lotta alla povertà , sviluppo, ‘enpowerment’ femminile, crescita europea. Incontrerà , tra gli altri, anche Bill Clinton e Bono Vox, di nuovo, a distanza di meno di un mese dalla visita del leader degli U2 all’Expo.
Ma in fondo al cuore la speranza: incrociare Papa Francesco a New York.
Il suo staff ancora non ne ha certezza. Per il premier potrebbe spuntare l’occasione di un saluto con Bergoglio, vera star mediatica ormai negli Usa, ‘leader’ mondiale tra i più popolari e amati degli ultimi tempi, Pontefice che a Roma bacchetta la politica sulla corruzione e a Washington striglia il Congresso parlando contro la pena di morte e il commercio delle armi.
Papa Francesco, che interviene all’Onu domani, riparte per l’Italia sabato pomeriggio. Per Renzi, riuscire ad incontrarlo, sarebbe la gemma preziosa di un viaggio già ricco di incontri e iniziative tutte concentrate sui temi dei diritti e della lotta alle disuguaglianze.
Un viaggio che mediaticamente si ispira automaticamente a Francesco, per i temi trattati e l’immagine che ne verrà fuori.
In fondo, è il viaggio nella America che ha appena ‘graffiato’ la Germania, tirando fuori lo scandalo Volkswagen.
L’America di Obama e il suo programma progressista sui migranti, preso di mira dai Repubblicani.
L’America che tenta di far passare anche in Europa la lezione di una maggiore flessibilità nei conti pubblici, contro l’austerità — anche qui – di ispirazione tedesca. Tutto oro che luccica per Renzi.
Il premier arriva a New York sabato in tempo per l’evento di Central Park sulla lotta alla povertà e alla fame, promosso da Bono Vox e da Bill Gates e sua moglie.
Lo aveva annunciato lo stesso premier al cantante degli U2 quando si sono visti all’Expo il 6 settembre scorso.
Domenica mattina, Renzi parteciperà alla conferenza sull’uguaglianza di genere e ‘l’enpowerment femminile’ promosso dal segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki Moon e dal presidente cinese Xi Jinping.
Ci sarà anche il premio Nobel per la Pace Malala Yousafzai, attivista pakistana di soli 18 anni, la più giovane vincitrice del Nobel nella storia. Subito dopo, nell’agenda del premier italiano c’è il vertice sul cambiamento climatico e il summit sullo sviluppo, presieduti da Ban Ki Moon.
A luglio scorso Renzi fu l’unico leader occidentale a partecipare alla conferenza dell’Onu sullo sviluppo ad Addis Abeba. Lì aveva promesso di incrementare i fondi italiani per la cooperazione entro il 2017: ora sono fermi allo 0.19 per cento del pil.
Una questione legata alla crescita in Europa, argomento del panel che attende Renzi nel pomeriggio di domenica, alla Clinton Global Initiative insieme a Bill Clinton e l’imprenditore miliardario ungherese-americano George Soros.
E lì farà sfoggio dei dati sulla crescita e sull’occupazione in Italia.
Lunedì poi Renzi seguirà i lavori di apertura dell’assemblea generale dell’Onu e parteciperà al summit sulle operazioni di peacekeeping che potrebbe essere anche occasione per un focus su Mediterraneo e Libia.
Alle 10.30 Renzi interverrà al summit sulla lotta al terrorismo, presieduto da Barack Obama. E in tarda mattinata parlerà all’assemblea generale delle Nazioni Unite.
Diversi gli incontri bilaterali previsti: con il presidente iraniano Hassan Rouhani, il re di Giordania Abdullah II e il presidente egiziano Al-Sisi.
E forse, chissà , anche con Papa Francesco che oggi, mediaticamente, negli Usa vale più che in Vaticano.
Come ha capito anche il sindaco di Roma Ignazio Marino, partito per Philadelphia, su invito del suo omologo in città , per partecipare alle attività pastorali del Pontefice oltreoceano.
(da “Huffingtonpost”)
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Settembre 25th, 2015 Riccardo Fucile
VERDINI RIAPRE IL CAPITOLO DEL TRASFORMISMO: FINO A OGGI 308 CAMBI DI CASACCA
«Ecco un altro traditore» mormora un fedelissimo berlusconiano mentre un senatore siciliano attraversa velocemente il salone Garibaldi.
È uno degli otto che hanno appena detto addio a Forza Italia per seguire Denis Verdini, il più renziano dei berlusconiani (o il più berlusconiano dei renziani, a seconda dei punti di vista)
Il velocissimo e assai tempestivo trasloco di quei dieci parlamentari — otto al Senato e due alla Camera, proprio nel pieno delle votazioni sulla riforma costituzionale — dal sempre meno folto gruppo forzista alla crescente pattuglia verdiniana ha reso incandescente il clima tra le macerie del fu centrodestra, con il capogruppo Romani che parla apertamente di «campagna acquisti ai limiti del lecito », appellandosi a Mattarella perchè la fermi, il governatore della Liguria Giovanni Toti che lascia su Twitter l’hastag ironico “#soapoperatransfughi” e Gasparri che tuona in aula contro il suo ex fedelissimo Francesco Amoruso — neo-verdiniano — accusandolo di «un comportamento miserevole», mentre i grillini annunciano di voler andare alla Procura della Repubblica per «denunciare la compravendita di voti».
Si sente, insomma, l’eco di quello che accadde otto anni fa, quando il senatore napoletano Sergio De Gregorio intascò due milioni di euro per far cadere il governo Prodi.
E anche se nessuno oggi parla esplicitamente di giri di denaro, alludendo invece a poltrone, poltroncine o strapuntini nel sottogoverno che sarebbero stati promessi ai transfughi, nel centrosinistra l’accusa brucia.
Tanto più che, conti alla mano, se l’accordo con la minoranza tiene, Renzi oggi non ha bisogno di aiuti esterni per far passare la riforma costituzionale.
Chi ha fatto i calcoli assicura che oggi il governo può contare su oltre 170 voti a Palazzo Madama: con i 13 voti dei verdiniani supererebbe persino quota 183, il tetto raggiunto quando Forza Italia votò la prima stesura della riforma.
Eppure, col passare delle ore la migrazione berlusconiana verso la rassicurante sponda del gruppo Ala sembra diventare sempre più folta, e sempre più impetuosa.
Adesso gli occhi sono puntati su otto senatori sui quali si sussurra che Verdini abbia messo gli occhi, oltre ai due deputati siciliani (uno è l’agrigentino Riccardo Gallo Afflitto) che la prossima settimana dovrebbero ufficializzare l’addio a Forza Italia.
Su quegli otto senatori si è già concentrato un serrato corteggiamento.
C’è il lodigiano Sante Zuffada, che si schermisce («Oggi sono qui, quale sia il futuro nessuno lo sa…»), c’è Franco Cardiello che nega decisamente («Sono abituato a mangiare pane e coerenza, non abbandono Berlusconi»), ci sono l’ex sindaco di Roma Franco Carraro, l’inquieto Francesco Nitto Palma, l’imprenditore Bernabò Bocca, l’ex piddino Riccardo Villari e, infine, l’ex fittiano Michele Boccardi, senatore da appena 15 giorni al posto dello scomparso Donato Bruno.
Cederanno? Resisteranno? Temporeggeranno?
Ormai nessuno si meraviglia più di nulla, in questo Parlamento che ha stracciato ogni record di trasformismo, con 144 cambi di casacca a Montecitorio e addirittura 164 a Palazzo Madama: più della metà dei senatori nonsta più nel partito che lo ha eletto, anzi nominato.
Il gruppo che ha subìto l’emorragia più violenta (un flusso che sembra inarrestabile, ormai) è quello berlusconiano, che in due anni e mezzo ha perso per strada 83 parlamentari (35 deputati, tra i quali spicca il nome di Angelino Alfano, e 48 senatori, compresi gli ex “fedelissimi” Verdini, Schifani, Bonaiuti e Bondi), ovvero più del 40 per cento dei seggi conquistati nel 2013.
Ma anche i Cinquestelle si sono ristretti, da allora ad oggi, e tra dimissioni ed espulsioni oggi contano 36 parlamentari in meno, 18 al Senato e 18 alla Camera (erano partiti da 163).
In proporzione, è stata più dura la perdita subìta da Sel, che ha visto passare ad altri gruppi 14 dei suoi 37 deputati, a cominciare dall’ex capogruppo Gennaro Migliore che si è trasferito nel Pd, come altri dieci compagni di partito.
E non solo loro: le file del partito di Renzi si sono ingrossate di 37 parlamentari, al netto degli addii più sofferti come quelli di Fassina e di Civati, e così oggi il principale partito di governo può contare su 11 senatori e 26 deputati in più rispetto ai 396 conquistati nelle urne.
Tutto questo grazie a un movimentatissimo viavai di deputati e senatori — 308 trasferimenti di gruppo — che ha superato di gran lunga il record della precedente legislatura (quella di Berlusconi e Monti) nella quale cambiarono casacca 261 parlamentari. E siamo ancora a metà del percorso.
Una migrazione tumultuosa ma non tanto caotica — nel Paese dove tutti accorrono in soccorso del vincitore — che ha avuto il suo picco massimo durante il governo Letta, quando la scissione degli alfaniani fece alzare la media dei tradimenti a uno ogni due giorni (al tempo di Berlusconi ce n’era uno la settimana).
Sebastiano Messina
(da “La Repubblica”)
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Settembre 25th, 2015 Riccardo Fucile
LA MAGGIORANZA CON VERDINI, LE PRESSIONI DELLE COOP E IL MALUMORE DEI QUARANTENNI BERSANIANI
La raffinatezza è quella di chi i libri non solo li ha letti, ma li ha scritti.
Sentite questa dichiarazione al Fatto di Miguel Gotor, ideologo del bersanismo: “La politica è come un iceberg, c’è la parte che si vede e quella che non si vede. Ci sono vari livelli di conoscenza. E noi siamo soddisfatti, questa è una battaglia che si capirà col tempo”.
Tra due settimane, la riforma passerà coi voti di Verdini e con quelli di Bersani. E si capirà .
Due Ditte nella stessa maggioranza. Perchè ormai non è un mistero che nell’operazione c’è stata anche la trattativa che porterà all’ingresso di Errani al governo, come anticipato dall’HuffPost.
Ora la storia è senso comune. Giacomo Portas, che oltre a essere il capo del movimento “I Moderati” è uno che con Bersani è “amico”, ha raccontato a Libero: “Bersani aveva bisogno di uscire dal tunnel in cui si stava infilando, e risolvere i problemi della Ditta – quella emiliana – che non voleva la spaccatura e chiedeva una marcia indietro. Quindi piuttosto che niente ha detto piuttosto”.
Però guai a dire che è una resa. Eppure il punto di partenza non era nè un comma nè un rimpasto, ma – udite, udite – la difesa della democrazia.
“Torsione autoritaria” diceva Bersani, “deriva plebiscitaria” dichiarava Gotor, che bollava Corradino Mineo, in fondo è rimasto giornalista nell’anima, più che politico.
Congiunge le mani a ‘mo di preghiera: “Dai, non farmi parlare. Il bello poi è che ti si avvicinano per spiegarti la politica”.
Perchè, nell’habitus di ciò che resta della Ditta c’è quell’atteggiamento di chi sentiva la “storia dalla propria parte”.
Augusto Minzolini è un altro che non ha perso il gusto di parlare da giornalista: “Ma sai, se dici che è una questione di democrazia e poi fai un accordo incomprensibile, così ti sputtani. Questi si atteggiano da sacerdoti, ma hanno solo fatto una roba da congresso del Pd. Invece di giocare con la Costituzione, potevano scrivere una mozione al congresso”.
Dell’atteggiamento di chi la sa lunga rientra anche una certa sindrome dell’assedio: “Qui – dice Gotor – si sottovaluta la funzione che stiamo svolgendo in questa fase, a partire dalla scelta di stare nel Pd. Una funzione che dà fastidio perchè ci danno addosso tutti, da sinistra come da destra. Se fossimo irrilevanti questo non accadrebbe”.
In verità il cronista non può che registrare, più del fastidio, l’ironia.
In un capannello un senatore azzurro fulmina gli interlocutori con una battuta fulminante: “Diciamoci la verità . Se Gotor facesse di cognome D’Anna, anche i giornalisti sarebbero meno indulgenti, e descriverebbero questa operazione per quello che è: si calano le braghe e si accontentano di strapuntini”.
Ora i resistenti Gotor&Co sono passati dalla torsione plebiscitaria alla torsione con Verdini, D’Anna e quelli che Bersani chiama “gli amici di Cosentino e Lombardo”. Federico Fornaro è quasi stizzito: “Sono aggiuntivi, non sostitutivi, la verità è che prima di elezione non si parlava, ora il Senato è eletto”. Potere dei commi.
Il problema però è enorme. E trapela dal nervosismo dei 40enni della Ditta. Uno di loro, dice: “Speranza si dimise e non accettò le infrastrutture. Qua invece prima alziamo troppo l’asticella parlando di torsione autoritaria poi ci facciamo frenare dal partito emiliano. Ora come diavolo facciamo a dire che siamo alternativi a Renzi? Che alternativa incarniamo?”.
Loredana De Petris, capogruppo di Sel, è alla bouvette con una collega: “Me li ricordo questi quando dicevano ‘andiamo fino in fondo’. Poi hanno ceduto. Ora hanno un problema di credibilità all’esterno”.
E Maurizio Crozza è già un tormentone. Nell’ultima puntata di “Di Martedì” così ha rappresentato quelli della minoranza Pd: “O Giova, sembrano chihuahua doppiati da orsi. Tu li senti ringhiare nel bosco e ti spaventi. Poi li vedi spuntare e dici: Ma vaffanculo”.
(da “Hufffingtonpost“)
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