Settembre 9th, 2015 Riccardo Fucile
DALL’IDV A DUE TOSCANI DOC: SIAMO SOLO ALL’INIZIO DELL’OPERAZIONE SALVA-RENZI
I nuovi “valori” dell’Italia renziana contagiano anche il partito che fu di Tonino Di Pietro, falange “giustizialista” e anti-berlusconiana degli ultimi lustri.
Al Senato il partito risorge con due senatori per andare in soccorso del governo sulle riforme. Maurizio Romani e Alessandra Bencini affermano solennemente in conferenza stampa: “L’importante è che si facciano le riforme e che alla fine i cittadini possano dire la loro con il referendum”.
Maurizio Romani è un medico di Castel San Nicolò, in provincia di Arezzo, feudo di Maria Elena Boschi e Alessandra Bencini è una infermiera di Scandicci, comune a due passi dalla capitale del renzismo.
Solo qualche giorno fa Romani e Bencini, che da tempo avevano lasciato il partito di Grillo, si erano fatti vedere alla conferenza stampa della minoranza Pd per esprimere totale condivisione alle critiche sulle riforme.
Poi l’intervento del potente sottosegretario alla presidenza ha prodotto la folgorazione sulla via del renzismo.
È il primo, visibile risultato dello scouting di Luca Lotti. Nelle sue intenzioni l’Italia dei Valori dovrebbe diventare un satellite di sinistra del partito di Renzi, avversario alla minoranza dem.
E negli ultimi giorni si è intensificato il corteggiamento (alla Camera) di Nello Formisano, storico dirigente dell’era Di Pietro. Prossimi obiettivi di Lotti i verdi di Bartolomeo Pepe e Paola De Pin, altra micro-componente del misto.
A Palazzo Madama è l’ora dello scouting di Luca Lotti e Denis Verdini, ovvero l’ora della grande rivincita sul metodo Mattarella, quello caratterizzato dall’apertura a sinistra, ad opera dei falchi del renzismo.
Raccontano che il pallottoliere del Senato è, in questi giorni, la principale preoccupazione del sottosegretario.
A lui spetta il fronte sinistro, a Denis quello destro.
Con l’obiettivo di raggiungere un margine di sicurezza numerica prima che le riforme vengano calendarizzate. Per ora, anche nell’ultima capigruppo, non se ne è parlato. E per le prossime due settimane non andranno in Aula.
Segno che il governo ha bisogno di tempo perchè, al momento, “andrebbe sotto”.
La principale argomentazione per convincere quelli del misto è questa: “Se non passano le riforme si vota. Dunque poichè sei senza seggio votarle significa allungare la permanenza alla Camera fino al 2018”.
Verdini, si sa, è più ardito. Ecco perchè quando ha chiamato Domenico Auricchio (Mimmo per gli amici) si è lasciato andare al più classico dei “chiedi e ti sarà dato” in termini di incarichi politici. Ma pare non aver fatto breccia.
Tra i contattatati anche Franco Cardiello Sante Zuffada, legato all’ex coordinatore Mario Mantovani, da tempo insofferente verso la gestione di Forza Italia.
A cui si sono aggiunti quelli di Ncd. Dove, come anticipato dall’HuffPost, 15 senatori sono pronti a non votare le riforme: “Ma che state a fare dentro Ncd — è stato il messaggio di Verdini — venite con me che conterete di più”.
Per convincere il gruppo calabro-lucano di Guido Viceconte e Tonino Gentile, Verdini ha arruolato alla causa pure il parlamentare di Forza Italia Pino Galati, calabrese.
Al momento i numeri non ci sono, perchè la minoranza Pd non solo non perde pezzi, ma il primo effetto dello scouting è di aver rafforzato i “ribelli” nelle loro convinzioni perchè “se questi sono i metodi allora non ci sono davvero più margini”.
Ed è anche per questo che il duo Lotti-Verdini si sta muovendo anche in direzione Forza Italia, campo che appare più arabile della sinistra.
Perchè tra i 44 senatori c’è un gruppo che ha sempre avuto rapporti amichevoli col governo (e con Renzi) come Barnabò Bocca, Riccardo Villari, Franco Carraro.
Basta vedere lo storico delle votazioni per capire quanto “soccorso azzurro” c’è stato nel garantire il numero legale evitando di mandare sotto il governo in diverse occasioni.
Dall’Italia dei Valori a Forza Italia.
La forza dei valori.
(da “Huffingtonpost“)
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Settembre 9th, 2015 Riccardo Fucile
COSA EMERGE DAI RAPPORTI SULL’ECONOMIA COMPARATA TRA I VARI PAESI
Il World Economic Forum — che non è certo un think tank di sinistra — ogni tanto emette rapporti sull’economia comparata tra i vari Paesi.
E oggi da questa fonte di schietto pensiero liberista apprendiamo che, sui trenta Paesi più sviluppati del mondo, l’Italia è ventiduesima per protezione sociale, nella stessa posizione per disparità , penultima per efficacia della politica nella lotta alla povertà , ultima per accesso scolastico alla Rete, penultima per accesso dei cittadini al sistema finanziario e terz’ultima per qualità dell’istruzione.
«Il sistema di protezione sociale italiano», chiosa il report dopo i numeri, «non è nè particolarmente generoso nè efficiente, il che aumenta il senso di precarietà e di esclusione nel paese».
E anche: «L’alta disoccupazione è accompagnata da un gran numero di lavoratori part-time che non vorrebbero essere tali, oltre a quelli costretti a lavorare in condizioni informali e vulnerabili» (immagino che “condizioni informali” significhi lavoro nero). Ancora: «La partecipazione delle donne nel mondo del lavoro è estremamente bassa, peggiorata da un divario retributivo di genere che è uno dei più grandi tra le economie avanzate».
Non si tratta, nel caso, di attaccare il governo Renzi: i dati su cui si basa il rapporto, di diversa provenienza, sono aggiornati al periodo 2012-2014.
Si tratta invece di polverizzare la narrazione farlocca secondo cui a mettere i freni all’economia italiana sono “i lacci e laccioli” dello stato sociale, che è invece (appunto) tra i peggiori del capitalismo avanzato.
Lo stesso report, fra l’altro, contiene una classifica in cui l’Italia invece è ai primi posti, che è quella sulla corruzione: la prima cosa di cui ti parlano gli imprenditori stranieri quando gli si chiede di investire nel nostro Paese.
Sarebbe ora di sbugiardare la mistificazione con cui si produce da anni quell’egemonia culturale che, attraverso i media, ha ormai influenzato buona parte della coscienza comune.
Non è vero che la torta della ricchezza complessiva aumenta se aumentano le iniquità e se diminuisce lo stato sociale.
Semmai è vero il contrario, cioè che le iniquità e la riduzione delle protezioni sociali sono una concausa del mancato aumento della torta: dato che producono insicurezza e incertezza verso il futuro, quindi contribuiscono a far calare i consumi, che sono il carburante di qualsiasi economia.
(da “gilioli.blogautore”)
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Settembre 9th, 2015 Riccardo Fucile
IL PROCESSO A MILANO VEDE IMPUTATI UMBERTO, RENZO BOSSI E BELSITO: 500.000 EURO DI FONDI PUBBLICI USATI PER FINI PRIVATI DALLA FAMIGLIA
Ha chiesto di essere processato con la formula del rito abbreviato (che consente lo “sconto” di un terzo della pena), Riccardo Bossi, figlio di Umberto, fondatore della Lega Nord, imputato insieme con il padre e il fratello Renzo nel processo con al centro le presunte spese personali con i fondi del partito.
L’istanza è stata formulata questa mattina dall’avvocato davanti all’ottava sezione penale del tribunale di Milano durante l’udienza, che è stata subito rinviata in attesa della decisione di un altro giudice della stessa sezione, Vincenzina Greco, sulla richiesta di rito abbreviato, prevista per il prossimo 14 settembre: se il giudice accoglierà l’istanza presentata da Riccardo Bossi, la sua posizione verrà stralciata dal procedimento.
Umberto e Renzo Bossi proseguiranno invece comunque con il dibattimento insieme con l’altro imputato, l’ex tesoriere del Carroccio, Francesco Belsito: il processo milanese con al centro l’accusa di appropriazione indebita è l’ultimo dei filoni dell’inchiesta che nel 2012 ha travolto Umberto Bossi, rimasto a Milano; gli altri sono stati trasferiti per competenza territoriale a Genova, da dove l’inchiesta prese le mosse .Nel dibattimento milanese, i pubblici ministeri Roberto Pellicano e Paolo Filippini contestano agli imputati lo sperpero di oltre 500mila euro di soldi pubblici, ottenuti con rimborsi elettorali, che sarebbero stati usati dalla famiglia Bossi per pagare le spese più varie: multe per migliaia di euro, la fattura del carrozziere, l’ormai famosa laurea in Albania del “Trota” (Renzo Bossi, cioè) e i lavori di casa Bossi a Gemonio.
(da “il Secolo XIX”)
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Settembre 9th, 2015 Riccardo Fucile
STESSA SORTE PER UN ASSESSORE REGIONALE E QUATTRO SINDACI LIGURI
Finisce in Procura la questione dei migranti il Liguria. Ieri, a Savona, è stata depositata una denuncia penale nei confronti del sindaco di Alassio, Enzo Canepa, autore della famosa ordinanza anti-profughi, per violazione del principio di eguaglianza .
«Nella nostra denuncia, abbiamo anche chiesto alle Autorità di valutare se si possa riscontrare nella ordinanza del Comune di Alassio la violazione dell’articolo 21 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea che al comma 2 dice: “… è vietata qualsiasi discriminazione fondata sulla cittadinanza…” e in caso positivo, abbiamo chiesto che in base a tale articolo venga dichiarata nulla l’ordinanza del Comune di Alassio e dei Comuni che l’hanno condivisa», spiega la proponente Aleksandra Matikj, Presidente del Comitato per gli Immigrati e contro ogni forma di discriminazione.
Sono stati denunciati anche il presidente della Regione Liguria, Giovanni Toti, l’assessore regionale Stefano Mai, ex sindaco di Zuccarello e i sindaci di Ortovero, Andrea Delfino, Vendone, Pietro Revetria, Erli, Candido Carretto e Garlenda, Silvia Pittoli.
La Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea è recepita nell’articolo 6 della versione consolidata del Trattato sull’Unione Europea (Tue), ha quindi valore costituzionale e prevale sulla legislazione nazionale in caso di contrasto con essa.
Non solo: si applica ad ogni persona indipendentemente dal fatto di essere cittadino di uno Stato europeo o no. «La Carta in svariate sentenze è considerata fonte di Diritto», prosegue Aleksandra Matikj.
I proponenti spiegano che quanto all’articolo 3 della Costituzione, la Corte costituzionale ha accolto, nella sentenza 120 del 1967, il punto di vista che il principio di eguaglianza, pur essendo nell’art. 3 della Costituzione riferito ai cittadini, debba ritenersi esteso agli stranieri allorchè si tratti della tutela dei diritti inviolabili dell’uomo, garantiti allo straniero anche in conformità dell’ordinamento internazionale.
” L’ordinanza del Sindaco di Alassio, che vieta l’ingresso nel suo Comune agli immigranti sprovvisti di certificato sanitario, è una forma di discriminazione inaccettabile in un paese democratico come l’Italia e che la legittima tutela della salute dei cittadini non ha nulla a che fare con allarmistici proclami in cui lo spettro di malattie disparate come ebola, AIDS, tubercolosi o scabbia».
«È ancora più grave – continuano – che il Presidente Toti abbia condiviso questa ordinanza, oltre a pronunciarsi continuamente contro noi immigranti in Liguria, sollecitando prefetti e sindaci ad opporsi a nuovi arrivi sul territorio. Ciò vale anche per la condotta dei vicini comuni di Zuccarello, Ortovero, Vendone, Erli e Garlenda che hanno adottato la sentenza del Sindaco Canepa. Riteniamo gravissimo il provvedimento del Sindaco di Alassio che con la scusa di un’ordinanza sanitaria si rifiuta di accogliere pochi migranti. Per questo, anche noi abbiamo chiesto alla nostra Magistratura che questa ordinanza venga immediatamente ritirata».
Aleksandra Matikj cita anche l’episodio avvenuto sulle spiagge di Alassio dove si è visto il sindaco muoversi per chiedere ai migranti se avessero una dimora e il certificato obbligatorio minacciandoli che, in caso contrario, sarebbero stati accompagnati forzatamente al confine e multati per aver violato la deliberazione del primo cittadino. «Imbarazzante», lo bolla.
«Noi siamo preoccupati per la situazione in Liguria che sta sempre peggiorandosi. Temiamo che queste continue richieste contro noi Immigrati possano creare anche del disordine pubblico e dei veri e propri atti di razzismome violenza. Crediamo inoltre che la Liguria debba tornare ad essere una regione accogliente come auspica anche il cardinale Angelo Bagnasco seguendo le parole di Papa Francesco. Vogliamo una Liguria anche per chi, come noi, non la vuole piena di odio nei nostri confronti, un odio istigato da chi dovrebbe mettere l’ordine e l’armonia tra le persone e non creare degli episodi che durante la Giunta precedente mai si siano verificati negli ultimi 10 anni. Questo nuovo clima spaventa, è pericoloso e va fermato subito».
Della causa si occuperà l’avvocato Giorgio Bisagna, il quale aveva già chiesto ai magistrati di valutare la sussistenza del reato di istigazione all’odio razziale nelle parole di Anna Giulia Giovacchini, leghista a capo della commissione Tutela animali del Comune di Monza, perchè scrisse: «Immigrati annegati? Un motivo in più per non mangiare tonno».
(da “il Secolo XIX”)
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Settembre 9th, 2015 Riccardo Fucile
UNA DESTRA ILLIBERALE E DIVISA BOCCIATA DAGLI ELETTORI…. MANCA UNA DESTRA CON CULTURA DI GOVERNO CHE TORNI A SUSCITARE PASSIONE POLITICA
Fa molta tristezza leggere i vari articoli ed interventi “provenienti” dall’ex “mondo tecnico” della defunta ‪‎Alleanza Nazionale‬.
Al netto dei preconcetti, delle dietrologie e dei “cori di bottega”, è di palmare evidenza come quel “mondo” sia tutto, sostanzialmente diviso tra politici (pochi per la verità , personalmente ne avro’ conosciuti giusto 3 o 4!), politicanti” (a iosa) e “politichetti” (in numero pressocchè smisurato, soprattutto sul web), sempre più ridicoli oltre che tristemente bocciati dalla storia e dallo stesso corpo elettorale.
Ad essi fa da silenzioso contraltare quella marea di sinceri appassionati che sono in ogni dove: delusi, sconcertati e per nulla disposti ad ascoltarli (ed a ragion veduta). Ciò non di meno, la cosa che fa, comunque, più tristezza di tutte, è il dover continuamente assistere alla reiterata e continuata diatriba incarnata dalla pseudo-destra-vetero-missina, quella “capeggiata” dalla Meloni, tanto per intederci (che è “destra”, non soltanto confusa e confusionaria, ma addirittura razzista, xenofoba, priva di ogni visione liberale e di qualsivoglia spinta verso la modernità ) nei confronti di quella destra con cultura di Governo che è stata parte della storia del nostro Paese e che sarebbe l’unica strada seriamente praticabile.
Comunque sia, è parecchio evidente come quella storia sia defintivamente ed irrimediabilmente finita.
La riprova (peraltro empirico-fattuale) è stata data dall’utilizzo del “logo di AN” da parte di FdI: a parte sonori e vibranti “pernacchi”, il risultato è stato oltremodo infausto, e per fortuna, aggiundo di cuore.
Comunque sia, chi è stato “attore” e protagonista “di quella storia” dovrebbe soltanto preoccuparsi di “fare scuola”: il nuovo dovrebbero farlo “gli altri”.
Già gli altri: gli appassionati! Tutto sommato, “saremmo pure una marea”, ma siamo oggettivamente divisi, sordi e finanche sterili, continuamente sopraffatti dai rivoli di profondissime incomprensioni umane, prima ancora che pseudo-politiche…
Ma tant’è. La storia va comunque avanti. Implacabile. veloce ed inesorabile. Proprio come fa la società , in totale balia della non passione, del declino costante e della strafottenza ad oltranza.
Se il meglio che si riesce a fare è soltanto quello di gridare, “prima gli Italiani” (e “giusto” per pretestuose ragioni di “bottega) e/o sostenere Salvini od i vetusti “cascami Meloniani”, allora davvero vuol dire che siamo “proprio alla frutta”.
Personalmente, fosse anche solo per mera passione, continuerò a gridare “evviva la libertà “: quella che ci vuole uomini e donne capaci di auto-determinarci sulla base di scelte e motivi consapevoli.
Quella dei cuori appasssionati.
Quella delle visioni lucide ma, anche, arditamente folli.
Quella che grida “prima la legge” ed in tutte le direzioni, dai diritti civili alle future conquiste della civiltà .
Guardo al passato soltanto per capire e per imparare, soprattutto tutto quello che non so: il vero fascino, la vera nostalgia è soltanto per l’avvenire…
A breve farò una scelta. Non fregherà a nessuno (da “ste’ parti” funziona così!), ma poco importerà .
Meglio battersi per qualcosa che essere il “servo sciocco” del nulla.
Salvatore Castello
Right BLU – La Destra Liberale
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Settembre 9th, 2015 Riccardo Fucile
IL RISULTATO DEL SONDAGGIO INTERNO IN VISTA DELL’ASSEMBLEA SULLA SPARTIZIONE DEL BOTTINO DELLA FONDAZIONE… MA PERCHE’ NON SI RITIRANO TUTTI A VITA PRIVATA?
(Ri)fare Alleanza nazionale con gli altri della Fondazione An? No, grazie.
Sembra questo il risultato del questionario somministrato via mail agli iscritti di Fratelli d’Italia nei giorni scorsi.
Era stato questo sito a dare la notizia per primo della survey sottoposta ai soci: il sondaggio sarà pure stato – come riportato da Luca Cirimbilla per L’ultima Ribattuta – “un appuntamento fisso e un’occasione periodica con cui i vertici vogliono analizzare il sentimento della base”, dunque un episodio di ordinaria amministrazione, ma c’era eccome e il fatto che i dirigenti sentissero il bisogno di capire cosa la base pensasse sulla questione “nuovo partito a destra” (cosa pienamente legittima, ovviamente) meritava di essere segnalato.
Gli esiti dell’indagine sono parzialmente riportati oggi sul Tempo in un articolo di Vincenzo Bisbiglia: non è chiarissimo il numero dei partecipanti (il giornale romano parla genericamente di decisione da parte dei “circa 20mila iscritti”, mentre l’editoriale di Francesco Storace sul Giornale d’Italia indica “ben duemila persone”, un po’ pochine rispetto agli iscritti totali, opinione condivisa pure da altre fonti, come il Secolo Trentino), ma i risultati – di un sondaggio “anonimo e non ripetibile”, come notato dal Tempo – dicono cose interessanti.
Le domande che più interessano qui sono due.
La prima era sul futuro di Fratelli d’Italia davanti a un possibile scenario di trasformazione della fondazione in partito per riunire tutti gli ex An: per il 74,8% dei partecipanti al sondaggio, il partito guidato dalla Meloni dovrebbe “continuare il proprio percorso aggregando nuove energie”, quando a gradire l’opzione “convergere sulla proposta di Alemanno, con Fini, Scopelliti e altri ex An, fondando con loro un nuovo soggetto politico sviluppatosi nell’ambito della Fondazione An” sarebbe solo il 16% di coloro che hanno risposto (gli altri hanno scelto la risposta “non conosco l’argomento”).
La seconda domanda interrogava gli iscritti sul loro comportamento elettorale in caso di nascita di “un nuovo soggetto politico di destra dopo l’Assemblea della Fondazione An”: secondo quanto si legge sul quotidiano, l’87% dei partecipanti avrebbe preferito l’opzione “FdI Giorgia Meloni” rispetto a “nuovo soggetto a destra” e “altro”.
C’è chi ha fatto prontamente notare che le risposte a tale quesito sarebbero evidentemente influenzate dalla presenza del nome della leader del partito all’interno della risposta, quasi come se facesse parte della denominazione e se si volesse evidenziare che la Meloni, in fondo, ha già scelto che strada prendere.
Si sarebbe tentati, in realtà , di dire lo stesso sulla prima domanda: quanti, tra i potenzialmente interessati alla conversione in partito della Fondazione An, avranno scelto l’opzione del percorso autonomo per la sgradita presenza del nome di Fini nell’altra alternativa?
A corroborare i risultati delle due domande precedenti, c’è anche la classifica dei “magnifici dodici”, ossia i dodici personaggi che gli iscritti dovevano numerare in ordine di importanza quanto ad attitudine alla guida unitaria del centrodestra.
Non ci si stupisce troppo a trovare in cima alla “top 12” la Meloni, nè di trovare subito dopo di lei Matteo Salvini; è già più interessante trovare sul gradino più basso del podio uno che – pur avendo cofondato Fdi – la politica l’ha lasciata come Guido Crosetto, preferito nell’ordine a Ignazio La Russa e a Fabio Rampelli.
A scendere si trovano, nell’ordine, Giuseppe Scopelliti e Flavio Tosi, mentre è solo ottavo Silvio Berlusconi, che pure precede immediatamente Raffaele Fitto; in fondo alla classifica, se i malpensanti di professione sono stati facili profeti nel vaticinare l’ultima posizione di Gianfranco Fini, colpiscono di più il decimo posto di Maurizio Gasparri e, soprattutto, l’undicesimo di Gianni Alemanno, che formalmente è ancora membro dell’ufficio di presidenza di Fratelli d’Italia
Ammesso che l’esito del sondaggio sia attendibile e generalizzabile, riferendolo a tutti gli iscritti al partito, il messaggio che esce sembra molto chiaro: a Fdi rifare Alleanza nazionale non interessa, men che meno avendo Alemanno (proprio dirigente) come figura di riferimento.
La questione non è di poco conto: in sede di assemblea della Fondazione An, un “no” degli aderenti che si riconoscono in Fratelli d’Italia all’impegno politico diretto dell’ente (attraverso una riedizione del partito che fu di Fini), unito ai “no” di chi avversa quella strada da tempo (soprattutto Gasparri e Matteoli) potrebbe bloccare sul nascere la “voglia di An” manifestata da alcuni soggetti negli ultimi mesi, evitando tra l’altro di sbloccare il “tesoretto” di cui la fondazione è titolare
Certamente la notizia del sondaggio non dev’essere piaciuta dalle parti di Prima l’Italia.
Il neoportavoce, Marco Cerreto, dopo aver precisato “da componente della direzione nazionale” di Fdi di non avere mai ricevuto nulla al pari di tanti colleghi iscritti al partito, si esprime negativamente sul modo in cui sono stati formulati i quesiti (“modalità forzatamente capziose, oltre che viziate nell’elaborazione: vengono citate persone che oggi non sono più in politica o non sono iscritte alla Fondazione An”), sul canale di somministrazione delle domande (era meglio usare il sito del partito) e sulle stesse dinamiche di divulgazione dei risultati: esse “lasciano intendere una volontà di dar vita ad una temeraria strumentalizzazione su un tema così importante in questi giorni che ci separano dalla data dell’Assemblea degli iscritti della Fondazione An”
In ogni caso, che fine farà ora il simbolo di Alleanza nazionale? Resterà sul contrassegno di Fratelli d’Italia? La risposta è tutt’altro che scontata.
Se non nascerà alcun soggetto politico di diretta emanazione della fondazione, in teoria l’assemblea della fondazione potrà anche decidere di lasciarlo nella disponibilità di Fdi; è altrettanto possibile, tuttavia, che l’emblema sia rimosso e torni nella piena disponibilità della fondazione stessa (alla concessione del fregio a Fdi, tra l’altro, gli aderenti a Prima l’Italia avevano contribuito in modo decisivo).
Alla fine sarà una questione di scelte e, soprattutto, di numeri: quelli degli aventi diritto a partecipare all’assemblea della fondazione (due anni fa si era litigato innanzitutto su questo), quelli dei votanti sul simbolo e sulla “mozione dei quarantenni”.
Inutile, però, fare pronostici prima dell’assemblea del 3 ottobre: tutto può ancora cambiare.
(da “I Simboli della discordia”)
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Settembre 9th, 2015 Riccardo Fucile
PER QUALE RAGIONE I NUOVI SENATORI NON SARANNO PIU’ ELETTI DAI CITTADINI, MA NOMINATI DAI CONSIGLI REGIONALI, OVVERO LOTTIZZATI DAI PARTITI?
La domanda è semplice, quasi banale: perchè i nuovi senatori non saranno più eletti dai cittadini, ma nominati dai Consigli regionali, cioè dai partiti col manuale Cencelli? In un anno e mezzo di alati dibattiti sulla riforma costituzionale nata nel gennaio 2013 con il Patto del Nazareno fra lo Spregiudicato e il Pregiudicato chiusi in una stanza, nessuno è ancora riuscito a dare una risposta sensata e comprensibile.
E questo la dice lunga sulla confusione mentale, la crassa ignoranza e la totale malafede dei padri ricostituenti.
Dicono: il Senato è un inutile doppione della Camera che fa perdere un sacco di tempo nell’approvazione delle leggi.
Se così fosse, dovrebbero abolirlo: invece lo mantengono con i suoi enormi costi (tranne quello risibile degli stipendi dei senatori), ma con poteri ridicoli e senza più elezioni.
In ogni caso, così non è: l’ufficio studi del Senato calcola che in media ogni legge viene approvata, fra Camera e Senato, in 53 giorni; ogni decreto in 46 giorni; ogni legge finanziaria in 88 giorni.
Le “perdite di tempo” le fanno i partiti e le correnti, litigando, mercanteggiando, cambiando idea a ogni stormir di fronda; e i governi e le burocrazie ministeriali, dimenticando i decreti attuativi. La doppia lettura è anzi utilissima a evitare il passaggio di svariate porcherie, bloccate proprio dal Senato dopo che i deputati le avevano votate spensieratamente senza neppure sapere cosa stavano facendo.
Allora hanno detto quel che ieri Sergio Chiamparino, uno che negli anni pari fa il politico e nei dispari fa il banchiere, dunque si è autopromosso a costituzionalista, ha riassunto su Repubblica: mantenere l’elettività dei senatori “tradirebbe il valore che si vuol dare al nuovo Senato… il luogo dove le Regioni e i territori esprimeranno la loro posizione, influenzando e collaborando con il governo del Paese per trovare soluzioni comuni”.
Peccato che questo organismo esista già : si chiama conferenza Stato-Regioni.
Eppoi, aggiunge Chiamparino, “il Senato avrà funzioni diverse”: ora, a parte che sulla diversificazione delle funzioni nessuno s’è mai detto contrario, neppure i più strenui avversari della riforma Renzi-Verdini-Boschi (basta leggere le controproposte ripetute da Zagrebelsky nell’appello pubblicato ieri dal Fatto), non si capisce perchè un Senato “diverso” non possa essere eletto.
Qui arrivano gli esperti di diritto comparato all’amatriciana (compreso Chiamparino),che tirano fuori il Bundesrat tedesco. Che non c’entra nulla.
Intanto nel Bundesrat ci sono i presidenti dei Là¤nder (le regioni), non un’Armata Brancaleone di consiglieri regionali e sindaci sfusi, scelti col bilancino della lottizzazione partitocratica.
In secondo luogo,i Là¤nder hanno tradizioni e culture plurisecolari che ne fanno entità autonome orgogliose della propria autonomia e specificità , mentre in Italia i governatori regionali sono scelti dalle segreterie romane, duplicando le burocrazie partitiche dal livello centrale a quello locale.
Senza contare che quella regionale è la peggior classe dirigente del Paese, quasi tutta inquisita per ruberie sui rimborsi pubblici o tangenti o sperperi clientelari, o illegittima per firme false. Infine l’Italia esce da dieci anni di Porcellum, con finte elezioni per deputati e senatori nominati dai partiti: un sistema raso al suolo dalla Consulta perchè espropriava gli elettori del diritto fondamentale di scegliersi i rappresentanti.
E ora che gli elettori speravano di tornare a contare qualcosa, che fanno i politici?
Li privano addirittura della scheda per il Senato.
Renzi assicura che, almeno per la Camera, l’Italicum consente ai cittadini di “guardare negli occhi” i loro deputati: ergo si può fare a meno di eleggere i senatori.
Balla sesquipedale: col trucchetto dei capilista bloccati, il partito che vince avrà due terzi dei deputati nominati e solo un terzo scelti con la preferenza; e tutti gli altri partiti porteranno a Montecitorio solo capilista bloccati e nessun eletto.
Se qualcuno li guarderà negli occhi, sarà per domandarsi: “E questo chi è? Io ho barrato il simbolo del mio partito e mi sono ritrovato in automatico un capolista che non avrei mai votato”. Il premier, nel suo delirio di onnipotenza, si è convinto del “disinteresse assoluto della base per questa materia”: e se ne vanta pure, anzichè preoccuparsi del fatto che sta riformando la Costituzione e tutti se ne fregano.
Ma stavolta ha sbagliato i conti: se — anche grazie a un’informazione da terzo mondo — molti ignorano le tecnicalità sui poteri del nuovo Senato, tutti capiscono la vergogna dei senatori non più eletti, ma nominati da lorsignori nelle segrete stanze.
Il tutto deciso da un governo con maggioranza incostituzionale, che neppure con quella ha i numeri e arraffa senatori un tanto al chilo con lusinghe e minacce (addirittura la fiducia!) per cambiare la Costituzione con 1 o 2 voti di scarto.
Paolo Mieli sostiene sul Corriere che questa epocale “riforma” sarebbe attesa dagli italiani da ben 36 anni: forse la modifica dei poteri del Senato (possibilmente senza i pasticci di questo testo scritto coi piedi, che innescherà miriadi di conflitti tra Camera, Senato e Regioni, allungando i tempi delle leggi anzichè abbreviarli); non certo l’abolizione del diritto di voto
A noi non è mai capitato di essere fermati per strada da orde di cittadini che domandano angosciati: “Ci dica, ci dica, quand’è che finalmente smetteremo di eleggere i senatori per farli nominare da De Luca, Oliverio, Crocetta, Maroni, Toti, Chiamparino e Zaia?”.
Forse perchè vanno tutti da Mieli e da Renzi.
Marco Travaglio
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Settembre 9th, 2015 Riccardo Fucile
“E’ UNA CITTA’ DIVISA A META’, QUELLA RICCA E SORDA, QUELLA DEGRADATA E SOFFERENTE”
Napoli è come un quadro diviso a metà . «In tutto e per tutto rappresenta due città , quella ricca che sta bene e quella degradata dove si muore».
Padre Alex Zanotelli è il missionario che da ormai 10 anni vive in quel pezzo di città fatto di futuro incerto e dilaniato dai clan e dalla criminalità .
Il rione Sanità è centro ma è come se fosse una lontana periferia.
«La borghesia cittadina deve rendersi conto che ciò che accade qui e in altre zone li riguarda, non può restare indifferente, questi sono conflitti sociali che richiamano tutti quanti alle nostre responsabilità » spiega a “l’Espresso”.
Tutti colpevoli dunque, non solo lo Stato, i governi e la politica, assenti cronici in questo inferno dove la camorra ammazza e spezza giovani vite.
Dopo l’omicidio di Gennaro Cesarano , 17 anni, Alex Zanotelli ha chiesto e ottenuto che la messa della mattina successiva all’agguato venisse celebrata all’esterno, con il sangue ancora caldo sul piazzale antistante la chiesa.
Ha preso la parola e ha lanciato un messaggio rivolto alle coscienze di tutti: «Nessuno verrà a salvarci, alziamo la testa e liberiamoci».
Ancora un altro giovane ucciso per strada. Padre Zanotelli, cosa sta succedendo nel ventre di Napoli?
«Sta succedendo qualcosa di molto grave, nell’indifferenza collettiva. Non solo al rione Sanità , ma anche in altri quartieri cittadini. Ci sono bande di piccoli criminali dietro cui c’è la camorra che si contende l’affare lucroso della droga. L’uccisione di Gennaro è solo l’ultimo episodio di una lunga serie. Ora la gente, in particolare le donne, che sono madri e sorelle, ha deciso di reagire, di ribellarsi. Anche perchè nessuno verrà a salvarle, spetta a loro farlo».
Quindi alla Sanità , come in altri rioni, lo Stato non ha fatto lo Stato e la politica non sta facendo politica
«Esattamente. La verità è che siamo abbandonati a noi stessi. Un esempio: in un quartiere così popoloso non c’è un asilo nido comunale, c’è solo una scuola elementare, mancano le medie e c’è una sola superiore, seconda in classifica per dispersione scolastica a livello nazionale. Ora, è normale che se l’offerta scolastica è così ridotta, i giovani vivano la strada e qui entrino in contatto con realtà criminali di ogni genere.
Ma il territorio è controllato almeno?
«Non dallo Stato. Non c’è nessuno che fa rispettare le regole, non ci sono vigili. C’è un distacco enorme tra questa realtà e il resto del Paese. In più siamo al Sud, un territorio scomparso dall’agenda politica, lasciato affondare lentamente».
Un deserto di opportunità legali. E qui ovviamente la camorra gioca facile.
« La camorra per questi ragazzi rappresenta spesso l’unica alternativa per trovare un lavoro. Se il clan offre uno stipendio mensile di 500 o 600 euro nella mancanza di altre possibilità molti scelgono di stare dalla parte della criminalità . Ma dovrebbe essere lo Stato a garantire posti di lavoro e un futuro certo a questo esercito di ragazzi a rischio che vivono nei quartieri più poveri d’Italia».
Torniamo perciò alle responsabilità collettive. Questi omicidi, questa violenza, chiamano in causa non solo la camorra ma anche altri?
“Ci sono responsabilità politiche e sociali molto estese: i nostri giovani non hanno più ideali, vivono alla giornata, e se anche gli universitari passano le serate a ubriacarsi nel salotto della città , figuariamoci nelle zone degradate e dimenticate cosa avviene. Ritengo poi che l’aver elevato a ideologia dominante le politiche di austerità abbia avuto tra le conseguenze quello di aver releagato ai margini ancora di più chi già viveva situazioni drammatiche. È necessario cambiare rotta, immaginare un modello diverso di società , più giusta e più responsabile».
Giovanni Tizian
(da “L’Espresso”)
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Settembre 9th, 2015 Riccardo Fucile
“QUI UN GIOVANE NON SI CHIEDE COSA FARA’ DA GRANDE MA COSA FARE LA SERA”
“Per la prima volta, potrei essere d’accordo con Saviano: il problema di Napoli non è solo criminale, è sociale, economico, politico”.
Daniele Sepe, musicista italiano apprezzatissimo, uno dei critici più feroci dell’autore di “Gomorra” (a cui ha dedicato anche una canzone nel suo album Fessbuk che s’intitola Cronache di Napoli), interviene nel dibattito apertosi dopo l’uccisione del diciassettenne Gennaro Cesarano, ricordato ieri da una manifestazione che si apriva con uno striscione eloquente e perentorio: “No camorra”.
“L’omicidio di Gennaro — racconta Sepe — è l’ultimo di una serie di delitti. A Napoli è scoppiata una guerra per il controllo delle piazze delle spaccio. Però anzichè guardare alla realtà si invoca l’intervento straordinario dello stato, che con la sola forza della repressione dovrebbe sconfiggere il crimine, come se fosse quello il problema”.
Allora qual è il problema?
“Che a Napoli lo spaccio di droga rende come renderebbe una piccola-media azienda. E siccome a Napoli non si capisce bene di cosa si campa, quando hai una piazza al centro storico con cui si fanno soldi, molti si mettono a fare soldi. Io non giudico. Mi chiedo una cosa: se questi si ammazzano per lo spaccio di droga, significa che sono moltissimi quelli che la usano. Infatti, si strafanno tutti: avvocati e mariuoli, borghesi e sottoproletari”.
Dunque?
“È paradossale che lo stato si ponga il problema di reprimere con la forza dei clan che prosperano su un mercato illegale. Io credo che la soluzione sia un’altra: legalizzare, almeno le droghe leggere. Si toglierebbe alle organizzazioni un’ampia fetta di mercato e molti, moltissimi soldi”.
Il suo è un programma di lungo periodo. Nell’immediato, ha colpito che a morire sia stato un ragazzo di 17 anni: la stessa età che hanno i protagonisti di questa guerra di camorra.
“Per chi non vive a Napoli, è difficile da capire. Meglio: è difficile da capire per chi non vive in certe zone di Napoli. Avere 17 anni al Rione Sanità non è come avere la stessa età a Posillipo o nel nord Italia. A 17 anni in certi posti di Napoli si rimane incinta, si è già stati in galera, si sono accumulate esperienze che ti fanno essere uomo. Il sottoproletario napoletano non fa l’Erasmus. Cresce in maniera molto più veloce di quanto non faccia un figlio della borghesia. Non ha tutta la vita davanti: anzi, ha un’aspettativa di vita molto più bassa, sa che può anche morire presto”.
Molti di questi ragazzi poi finiscono nei clan.
“È ovvio che la camorra nasce in un contesto dove c’è un problema sociale e di lavoro. A questi problemi “classici” si è aggiunta l’alienazione totale di un paio di generazioni. Ragazzi completamente inebetiti dall’alcol e dalla droga, che non pensano al futuro, ma pensano a sballarsi. Il precariato gli ha occupato completamente la testa. Il loro problema non è cosa fare da grandi, ma cosa fare la sera. Conviene a tutti avere ragazzi così. Conviene ai clan, e conviene allo stato: rincoglioniti come sono se ne stanno zitti e buoni”.
Un discorso simile l’ha fatto Alex Zanotelli. Ma lui è un prete, lei è un musicista.
“Sì, ma sono della scuola di Frank Zappa: niente droga, niente alcol, la testa deve essere lucida”.
Torniamo a quello che è successo a Napoli. L’ex direttore del Tg1 Augusto Minzolini ha commentato così: “Alimentiamo le menti degli adolescenti con l’epopea di Gomorra e poi ci sorprendiamo delle emulazioni”
“Non credo che quello che è successo sia spiegabile con Gomorra. Però credo che la serie Gomorra (non il libro, che non legge nessuno) abbia creato degli imitatori. È come quando uscì Pulp Fiction, la gente si mise a sparare con il braccio di traverso”.
Ma è la realtà che imita la serie, o è stata la serie a riprodurre fedelmente la realtà ?
“Il mio non è un commento da intellettuale del cazzo o da radical chic. A Napoli è un pensiero diffuso, lo dice pure il giornalaio sotto casa: trasformare Napoli in una città da telefilm, non è una cosa intelligente”.
È intelligente, invece, la “rivoluzione” che il sindaco di Napoli Luigi De Magistris dice che sta facendo?
“La rivoluzione? Io ‘sta rivoluzione non l’ho vista. Napoli non è per niente migliorata rispetto all’amministrazione Iervolino. Forse De Magistris, l’ha fatta a Posillipo, nei quartieri bene ‘sta rivoluzione. Qui, sinceramente, non ce ne siamo accorti”.
(da “Huffingtonpost“)
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