Settembre 8th, 2015 Riccardo Fucile
“COSI’ LE RIFORME NON LE VOTIAMO”
Alfano si ritrova i “migranti” in casa, intesi come senatori. I suoi.
Lunedì sera a Roma sono una quindicina i senatori dissidenti di Ncd che si riuniscono per trasformare la rabbia in strategia: “Alfano — racconta uno di loro — ormai si muove su uno schema di accordo con Renzi. Dice che il premier gli ha dato garanzie sulla legge elettorale, e cioè che la cambierà prima del voto per allearsi con lui, sennò gli dà il 2 per cento di posti in lista, ovvero tra i dieci e i 15 posti garantiti. Gli altri non hanno garanzie e quindi non voteranno la riforma del Senato”.
In un’auletta del Senato c’è al gran completo la pattuglia calabro-lucana di Ncd, quella di Viceconte e Tonino Gentile, ma anche l’ex socialista Colucci, D’Ascolta e Giuseppe Esposito, per citare i più noti.
Più di un presente racconta anche della presenza di Gaetano Quagliariello. Il quale, però, nega di essere stato alla riunione carbonara: “Ero a Frascati, è una notizia falsa. Consiglierei di guardare la scena più che cercare inesistenti retroscena”.
Ma anche il giallo è indicativo del clima che si respira in quel partito, tra conferme, smentite e riunioni carbonare.
I migranti si vedono al Senato perchè non hanno più una sede fisica, visto che Ncd ha disdetto il contratto di affitto a via Arcione a fine agosto.
Metafora di un partito mai nato. Nelle conclusioni della riunione il possibile inizio di un viaggio alla ricerca della salvezza: “Così come è, le riforma non la votiamo. I 15 senatori sono pronti a cambiare schema e a mettere in discussione il governo”.
È l’ultimo atto della grande migrazione, dall’approdo ancora ignoto.
E solo grazie al “Nazareno sottobanco” di Silvio Berlusconi il grosso del gruppo resta nel partito di Alfano.
Oltre a Renato Schifani, tornato questa estate dopo anni a Villa Certosa, in parecchi sono quelli che considerano fallito il progetto di Nuovo Centro Destra, perchè — dicono — “è caduta la destra”.
E vorrebbero tornare a ragionare col Cavaliere. È stato – paradossalmente ma non troppo – proprio l’ex premier a frenare gli entusiasmi, lasciando chiuse le porte di Forza Italia, sia perchè umanamente li considera con un certo disprezzo sia perchè — e questa è la ragione più importante — non vuole che il governo abbia problemi al Senato e che la legislatura possa avere problemi fino al 2018.
Il Nazareno sottobanco, fatto di un aiuto embedded al manovratore di palazzo Chigi tanto caro a Mediaset.
In uno degli ultimi colloqui si è materializzata la distanza anche tra Lupi e Alfano: “Angelino — dice l’ex ministro alle Infrastrutture – il nostro orizzonte non può essere l’alleanza con Renzi. Dobbiamo fare il Ppe in Italia e costruire con Forza Italia, Fitto e Tosi l’alternativa al Pd”.
Ma Alfano non crede a sia possibile: “È una prospettiva irrealizzabile. Noi dobbiamo provare ad essere autosufficienti e a trattare con Renzi”.
A più di un interlocutore il ministro dell’Interno ha confidato che il premier ha dato “garanzie”: ora no, ma prima del voto cambierà la legge elettorale perchè conviene anche a lui la coalizione. Altrimenti, salverà tra i dieci e i quindici.
Si spiegano così le uscite “renziane” a Milano dell’ex delfino di Berlusconi, estensore del lodo che portava il suo nome (Alfano) per salvarlo dai processi, titolare della Giustizia nei tempi del conflitto a fuoco tra Berlusconi e i magistrati.
E quelli da ultrà di palazzo Chigi di Fabrizio Cicchitto, che dopo Craxi e Berlusconi ha trovato il suo nuovo leader: “Questi — è la tesi del resto del gruppo — non hanno capito che Renzi li usa ora per la stabilità di governo ma poi li getta. Bastava leggere i sondaggio la scorsa settimana sui giornali. Con Alfano in lista perde tre punti. Piuttosto gli conviene allearsi con Vendola”.
Ecco, Alfano si sente garantito. Ma il problema è che Ncd ha una pattuglia parlamentare numerosa: 34 alla Camera, 35 al Senato, 69.
Per dieci che si sentono salvati ce ne sono 59 che si sentono sommersi. E dunque sono pronti a migrare. Verso gli approdi più disparati.
Non è un caso che quella vecchia volpe di Verdini ha iniziato a chiamare il gruppo calabro lucano: “Venite con me che avrete di più di quello che potete avere con Alfano” ha ripetuto il grande esperto delle compravendite.
Anche Formigoni e Compagna sono pronti a non votare la riforma così come è, se prima non hanno garanzie.
Mentre per blandire Schifani, Alfano lo ha portato — assieme a Lupi — all’ultimo incontro con Renzi. Dove tra l’altro si è parlato di rimpasto.
Nel senso che il premier ha gelato gli entusiasmi spiegando che, se apre il dossier, rischiano di essere penalizzati visto che un partitino del genere è già sovra-rappresentato a livello di governo.
E i migranti preparano l’esodo.
(da “Huffingtonpost”)
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Settembre 8th, 2015 Riccardo Fucile
“GIUSTO PUBBLICARE LE FOTO DI AYLAN, QUELLO SCATTO HA MOSSE LE COSCIENZE”
Il premio Nobel Orhan Pamuk parla con voce forte e chiara, scandendo bene le parole, disposto perfino a ripetere se capisce che qualcosa dei suoi discorsi non è stato colto.
Al Lido è ospite d’onore perchè ieri è stato presentato (alle «Giornate degli autori») «Innocence of memories», il documentario di Grant Gee dedicato al suo «Museo dell’innocenza», ma l’attualità di questi giorni è così bruciante da scavalcare i discorsi artistici e prendere subito il sopravvento
Istanbul, da sempre, è stata luogo di incontro di popoli e culture diverse, che cosa pensa del problema dell’immigrazione e dell’atteggiamento tenuto dai vari Paesi nei confronti del problema
«Sì, Istanbul e la Turchia sono crocevia di grossi movimenti demografici, non solo dall’Asia verso l’Europa, ma anche dalla Russia verso il Sud e dai Balcani verso la Turchia. È normale che persone povere e in difficoltà tentino di raggiungere in ogni modo l’Europa, e oggi la gente cerca di arrivare attraverso il nostro Paese… ma noi abbiamo sempre dato via libera a queste persone, arrivando ad accogliere 2 milioni di immigrati, mentre in Europa non ce n’erano più di duemila e ci si continuava a lamentare. Perciò adesso sono molto contento che la Germania abbia deciso finalmente di aprire le porte e far entrare queste persone»
Negli ultimi giorni la fotografia del bambino Aylan ha colpito al cuore le platee del mondo e, ovunque, si è molto discusso sulla scelta di pubblicarla. Qual è il suo parere?
«La mia idea è che dobbiamo smetterla di sopravvalutare il ruolo degli intellettuali».
In che senso?
«Nel senso che quell’immagine è mille volte più importante e decisiva, nel processo di cambiamento dei cuori e delle menti delle persone sul tema immigrazione, rispetto a qualunque dichiarazione o presa di posizione di intellettuali di qualunque parte del mondo. È uno scatto che ha smosso le coscienze degli europei, che li ha costretti a rivedere le loro posizioni. Anche in Turchia si è discusso molto sull’opportunità di rendere pubblica quella foto, io sono completamente d’accordo con chi lo ha fatto. Il dolore o il disagio avvertito dalla classe media europea davanti a quella foto non è lontanamente paragonabile a quello che provano le famiglie degli immigrati costretti a fuggire dai loro Paesi. Perciò, in ogni caso, era giusto mostrarla».
Quindi, nel panorama attuale, gli intellettuali non hanno più alcuna funzione?
«No, possiamo ancora fare qualcosa, criticare quando è necessario farlo, ma l’impatto delle nostre azioni, delle nostre proteste, nel mondo dominato dalle immagini è molto minore rispetto al passato».
Istanbul è al centro della sua vita e della sua ispirazione artistica. Che rapporto ha, oggi, con la sua città modificata dal tempo e dagli eventi?
«Sì, Istanbul è la mia città , ma non ho con lei un rapporto zuccheroso o idealizzato e non voglio averne una visione troppo romantica. Aver avuto la possibilità di seguirne lo sviluppo, da dentro, è stato importante, la mia città mi piace, ma io preferisco osservarla da un punto di vista analitico. Istanbul è la città che ha formato il mio carattere, è come la mia famiglia, il mio corpo, la accetto e cerco di guardare il mondo attraverso di essa».
Che cosa è «Innocence of memories»?
«È un film che ha tre caratteristiche diverse. È un documentario sul museo, un film sulla vita e sul lavoro a Istanbul, un trattato poetico sulla città ».
Che cosa rappresenta per lei il «Museo dell’Innocenza», il luogo dove sono raccolti gli oggetti e i ricordi del suo romanzo?
«Ricordare ci rende intelligenti e ci fa sopravvivere. Noi siamo memoria, e non esiste possibilità di essere felici senza ricordi».
Fulvia Caprara
(da “La Stampa”)
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Settembre 8th, 2015 Riccardo Fucile
MENTRE A ROMA SI LITIGA, I TEDESCHI AGISCONO
Entrando in un campo rifugiati tedesco la situazione non è molto diversa da quella italiana: c’è caos, ci sono rifiuti che si ammucchiano, il cibo non è un granchè, capita che i bagni si intasino.
In questi ultimi giorni, tra l’altro, l’ondata emotiva e il ritrovato orgoglio nazionale hanno fatto sì che fuori dai campi tedeschi si affollassero masse di volontari, creando più confusione che altro.
Le contromisure sono già scattate: in tutti i siti di informazione si invitano i cittadini a evitare di raccattare i peluches di casa o le cassette di cibo in scatola e si è avviata una migliore organizzazione delle donazioni.
Ad Amburgo servono ricariche di cellulari, a Erlangen pannolini, a Lipsia insegnanti di tedesco: ogni amministrazione locale si preoccupa di inserire nel suo sito le informazioni relative alle esigenze di questo o quel campo di migranti, e c’è da scommettere che in meno di una settimana quell’onda scomposta si sarà trasformata in una serie di canali di irrigazione capaci di portare acqua lì dove serve, senza sprechi, e senza chiasso
Il dibattito politico
Ma la straordinaria mobilitazione dal basso che in queste ore fa della Germania uno dei motivi di maggiore orgoglio dell’essere europei, non ha nulla a che fare con lo spontaneismo che in altre e più cupe epoche storiche faceva dire, a proposito del nostro Paese, «italiani brava gente».
Perchè non è una questione di cuore, ma di cervello e di politica.
E la grande differenza tra noi e loro, questa volta, è proprio nel dibattito politico: mentre da noi si sta ancora a discutere se i migranti vadano accolti o respinti, in Germania si parla soltanto di come accogliere, di come strutturare gli aiuti, di come ripartire le difficoltà .
Non c’è stato un solo politico con responsabilità federali che si sia discostato da questa linea.
Angela Merkel lo ripete spesso: «Cambiare le cose non dipende dalla volontà , ma dall’interesse». E non è nell’interesse dei politici tedeschi perdere voti mettendosi a sparare a zero sui migranti, così come non è nell’interesse dell’economia tedesca lasciarsi sfuggire l’opportunità di una gigantesca forza lavoro da formare e gestire (lo hanno già fatto nel dopoguerra, con gli italiani e i turchi, e ha funzionato)
Il super stanziamento
Dopo l’annuncio del super stanziamento di sei miliardi, talk show, siti e gruppi di discussione hanno sezionato il piano in ogni paragrafo: era meglio aumentare o diminuire il numero di poliziotti da assumere?
Era meglio stanziare di più o di meno per questo o quel Land?
Si entrerà nel merito – con la fatica e la capacità di concentrazione che la cosa esige – ma non ci si sfinirà a dibattere se i migranti debbano essere rimandati a casa o no. Questo è il motivo per cui essere migrante in un campo tedesco significa avere speranza, e esserlo in uno italiano significa avere paura.
Francesca Sforza
(da “La Stampa”)
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Settembre 8th, 2015 Riccardo Fucile
“QUANDO I TEDESCHI HANNO VISTO L’IGNOBILE ATTACCO NEONAZISTA A EIDENAU C’E’ STATA UNA MOBILITAZIONE DELLA SOCIETA’ CIVILE: QUESTA COSE DA NOI NON DOVRANNO MAI PIU’ ACCADERE”… “GRAZIE ALLA MARINA ITALIANA CHE STA FACENDO UN LAVORO ENORME”
«Sono orgoglioso del mio Paese. Quella di Angela Merkel sui rifugiati è stata una decisione giusta e coraggiosa. Con essa si chiude per sempre il dibattito se la Germania sia o meno terra d’immigrazione e d’asilo: la risposta è sì. Ora siamo di fronte a una grande sfida e dobbiamo affrontarla nel modo corretto. Ricordiamoci però che non è stata una scelta dell’Europa, ma del capo del governo tedesco. Spero che inneschi una nuova dinamica anche nell’Unione, non solo sul tema delle migrazioni. Ma i grandi Paesi della tradizione europea – Germania, Francia e Italia – devono ricominciare a lavorare insieme, mostrando la strada agli altri 25»
Joschka Fischer ammette di «essere stato sorpreso» dalla nuova svolta della cancelliera, sempre più madre della nazione e ora sulla buona strada per diventare madre d’Europa.
Si dice perfino più ottimista di qualche mese fa, l’ex ministro degli Esteri, che nel pamphlet «Se fallisce l’Europa» aveva messo in guardia dal pericolo di una deriva inarrestabile della costruzione comunitaria.
Un rischio non esorcizzato del tutto, avverte Fischer: «La crisi greca non è finita. Anzi. Mi auguro che da questo sviluppo nasca una nuova forma di solidarietà . D’altronde non dobbiamo dimenticare che sulla Grecia, di fronte alla ferma posizione presa da Italia e Francia, la cancelliera ha scelto contro il ministro delle Finanze Schà¤uble, fautore della Grexit, evitando una grave crisi con due storici partner. E forse bisogna riflettere sull’immagine esageratamente negativa di Angela Merkel, affermatasi nell’ultimo anno nel Sud dell’Europa. Lo dico io, che critico la sua politica economica».
Com’è nata la decisione della cancelliera?
«Tutti in Germania e in Europa avevano visto le terribili immagini delle dimostrazioni di Eidenau, in Sassonia, dove una struttura per i rifugiati è stata attaccata da estremisti di destra. C’è stata una mobilitazione della società civile. Queste cose da noi non possono succedere. La politica ha reagito bene. A differenza dell’Italia che vive ogni giorno la realtà drammatica dei profughi, dei morti nel Mediterraneo, la Germania sembrava lontana dall’emergenza. E improvvisamente sono lì, hanno percorso migliaia di chilometri, anche a piedi, per venire da noi. È impressionante».
Cosa ci dice la svolta sulla personalità e la leadership di Angela Merkel?
«È stata una decisione sul modello di quella presa dopo Fukushima, quando in una notte cambiò linea e decise la fine del nucleare. Non credo ci sia molta strategia dietro, piuttosto intuito. Allora furono soprattutto ragioni elettorali. In questo caso è stata motivata da valori umanitari. Per questo mi levo il cappello».
La scelta di Merkel potrebbe danneggiarla all’interno?
«Non credo rischi nulla, perchè si fonda sul consenso della maggioranza dei tedeschi. Anche i bavaresi, a dispetto della Csu, si sono comportati con grande generosità . E poi nella Baviera cattolica un ruolo importante gioca anche papa Francesco, le sue dichiarazioni hanno pesato»
Merkel sta facendo della Cdu il partito della nazione?
«Questa decisione ha cambiato la Germania. Merkel è riuscita a socialdemocratizzare la Cdu, ponendo la Spd in una situazione difficile».
La crisi dei rifugiati è per l’Europa una minaccia esistenziale come quella finanziaria?
«Il tema delle migrazioni tematizza la questione della solidarietà in modo ancora più forte. Se cioè l’Europa rimane fedele o no ai suoi valori, se è solidale o meno. Ho sempre pensato che fosse una tragedia lasciar sole Italia e Grecia a far fronte all’onda dei profughi. Il lavoro svolto dalla Marina italiana nel Mediterraneo è stato indispensabile per salvare migliaia di vite umane ed evitare tragedie più grandi. Ma Roma non può rimanere in eterno da sola. Spero che la Commissione e gli Stati membri trovino ora una risposta comune. Il diritto d’asilo nazionale non funziona più. Le regole di Dublino sono vecchie. La gente continuerà a venire, dal Medio Oriente, dall’Africa, dai Balcani».
Lei è scettico però sulla possibilità dell’Europa di influenzare la soluzione delle cause profonde. Perchè?
«Perchè sono sfide gigantesche. In Africa abbiamo Stati falliti come la Somalia e la Libia. In Medio Oriente, i conflitti sono troppo complessi perchè l’Europa possa riuscire a risolverli. Quello che dobbiamo sicuramente evitare è un coinvolgimento militare».
E quale può essere allora il contributo dell’Europa nella lotta al Califfato?
«L’Isis non nasce dal nulla, è espressione delle crisi mediorientali, uno strumento nella battaglia per l’egemonia. Io credo che non ci sia soluzione diversa da quella che le nazioni coinvolte troveranno insieme fra di loro. Noi europei possiamo solo mettere in campo una più forte azione diplomatica. Certo abbiamo bisogno anche di forza militare».
Paolo Valentino
(da “il Corriere della Sera”)
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Settembre 8th, 2015 Riccardo Fucile
DOMANI LA PROPOSTA JUNCKER ALL’EUROPARLAMENTO… MOBILITAZIONE MONDIALE: ANCHE VENEZUELA, BRASILE E CILE DISPONIBILI ALL’ACCOGLIENZA
L’impegno della Germania nell’accoglienza dei richiedenti asilo continua a crescere. Dopo aver dichiarato di dare rifugio a circa 800mila persone entro la fine del 2015, il leader dei socialdemocratici tedeschi Sigmar Gabriel annuncia oggi che Berlino è pronta ad aprire le porte a 500mila rifugiati ogni anno nei tempi a venire.
“Ritengo che potremo certamente far fronte a qualcosa come mezzo milione di profughi per diversi anni”, ha spiegato in un’intervista alla tv pubblica Zdf, “non ho dubbi su questi, forse saranno di più”.
Gabriel ha però sottolineato che anche altri Paesi dell’Ue devono farsi carica di una parte dei profughi in arrivo in Europa: “Non possiamo prendere quasi un milioni di persone ogni anno e integrarle come se niente fosse nella società tedesca”, ha osservato.
Berlino, ha assicurato, continuerà a farsi carico di una quota “largamente sproporzionata” perchè “è senza dubbio un Paese forte economicamente” ma “la linea europea deve cambiare” perchè non si può gravare solo su Paesi come la Germania, l’Austria e la Svezia.
L’annuncio arriva alla vigilia del nuovo piano sui profughi che Jean-Claude Juncker presenterà il 9 settembre alla plenaria dell’Europarlamento, durante il discorso sullo stato dell’Unione europea.
Dopo il naufragio a giugno dell’agenda sull’immigrazione della stessa Commissione europea, l’imponente flusso dei richiedenti asilo dai Balcani e dal Mediterraneo ha fatto tornare sul tavolo la questione delle quote di profughi che ciascun membro dell’Unione dovrà ricevere.
La proposta Juncker prevede nei prossimi due anni la riallocazione di 160mila richiedenti asilo giunti in Europa, il triplo del numero preso in considerazione la scorsa primavera. I Paesi che accoglieranno il numero maggiore saranno Germania, Francia e Spagna.
Saranno 160mila i rifugiati da ricollocare tra i Paesi Ue, provenienti da Siria, Eritrea ma anche dall’Iraq. E’ questa la proposta della Commissione europea, ora all’attenzione del collegio dei commissari. La ripartizione è prevista su 24 mesi.
Ventimila posti. Gli stessi offerti dalla ricca Gran Bretagna.
A metterli sul piatto è stato il presidente venezuelano Nicolas Maduro. Il tutto nonostante il Paese sia in grave crisi economica in seguito al crollo del prezzo del petrolio e rischi il default.
Lunedì anche la presidente del Brasile, Dilma Rousseff, ha affermato che il suo Paese, nonostante stia attraversando alcune difficoltà , terrà “le braccia aperte” per accogliere rifugiati.
Porte aperte pure in Cile: “Stiamo lavorando per ospitare un importante numero di rifugiati, perchè capiamo che la tragedia che si sta vivendo è una tragedia per tutta l’umanità ”, ha detto la presidente Michelle Bachelet partecipando a una preghiera ebraica in una sinagoga nella capitale.
(da “Huffingtonpost“)
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Settembre 8th, 2015 Riccardo Fucile
IN ITALIA LA CLASSE POLITICA NON E’ MAI STATA LOCOMOTIVA DI NULLA, SPESSO E’ SOLO RIUSCITA A FAR DERAGLIARE IL TRENO
Tra le lezioni impartiteci dalla vicenda dei profughi c’è che la politica esiste ancora. E’ bastato che in Germania un politico dicesse «Li prendiamo noi» perchè il Paese tutto, dai semplici cittadini agli apparati statali, si mettesse in moto con slancio e raziocinio per trasformare il verbo in gesto.
Angela Merkel non è un politico qualsiasi e da sempre la Germania sa essere una macchina da guerra anche quando lavora per la pace.
Però la reazione di una comunità intera alle affermazioni della cancelliera trascende la sua personalità e rivela che è la classe dirigente tedesca nel suo complesso a non avere perso la propria autorevolezza.
Lì il patto di fiducia tra leadership e popolo funziona ancora. E si tratta di un legame profondo che trae la sua legittimazione da una lunga pratica di credibilità .
Lì le parole della politica hanno un peso. Lo hanno sempre avuto, nel bene e nel male. Lì quando uno sbaglia si dimette. E dopo averlo detto lo fa davvero.
Ogni paragone con altri agglomerati umani collocati più a Sud suona stridente e in fondo inutile.
Noi abbiamo altre caratteristiche. Su tutte, una sfiducia atavica nel potere, che è il retaggio di invasioni millenarie.
In Italia ogni cambiamento significativo — dalla rivoluzione industriale all’economia sommersa — è avvenuto non attraverso la politica ma contro di essa, comunque a sua insaputa e in un clima di disinteresse per i suoi litigi, i suoi riti, le sue parole vuote. Qui la classe dirigente non è mai stata la locomotiva di nulla.
Nelle sue espressioni migliori, si è limitata a scambiare qualche binario e ad agganciare qualche vagone.
Nelle peggiori, a fare deragliare il treno.
Massimo Gramellini
(da “La Stampa“)
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Settembre 8th, 2015 Riccardo Fucile
SALE IL PD 33%, CALA LA LEGA 15%…. M5S 25,5% , FORZA ITALIA 10%
Pd in testa con il 33% (+0,5%) seguito dal M5s con il 25,5% e dalla Lega con il 15% (-0,5%), sempre avanti a Forza Italia che raccoglierebbe il 10%.
Questi i risultati di un sondaggio dell’Istituto Piepoli sulle intenzioni di voto al 7 settembre che vedono anche risultati diverso nel caso in cui al ballottaggio arrivassero a sfidare Renzi, Salvini o Di Maio.
Al secondo turno l’istituto Piepoli ha infatti valutato i diversi scenari ipotetici in cui il Pd si verrebbe a trovare nel caso dovesse sfidare o il centrodestra o i 5 Stelle.
Nel primo caso, se sfidasse Salvini , Renzi vincerebbe con il 58% contro il 42%.
Con avversario il M5s invece il Pd scenderebbe al 54% con Di Maio candidato premier al 46%.
In tutti casi la quota degli indecisi è ancora all’11%
Quanto invece ai risultati del primo turno, Sel raggiungerebbe il 4% come FdI mentre l’Ncd raccoglierebbe il 2,5%.
I vari altri partiti del centrosinistra prenderebbero tutti insieme l’1% mentre quelli di centrodestra lo 0,5%.
Gli ‘altri partiti’ fuori dai due schieramenti verrebbero votati dal 4,5% degli elettori
(da Ansa)
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Settembre 8th, 2015 Riccardo Fucile
E MOLTI SOGNANO UN LOCALE TUTTO LORO
I ragazzi italiani non vogliono più fare i camerieri nè lavorare nelle cucine dei ristoranti.
Eppure tanti dei nostri figli e nipoti vanno a fare gli stessi mestieri a Londra, Parigi, Madrid, Sydney», osserva il sociologo Giuseppe De Rita, fondatore del Censis.
«E’ un segno storico: un intero sistema entra in crisi dimensionale».
Come spiega il paradosso?
«In realtà non c’è contraddizione. I dati della ristorazione tracciano una chiara tendenza economica e sociale Questo settore in Italia è mediamente un’attività a bassissimo investimento d’ingresso e di scarsa qualità . Sono quasi tutti piccoli imprenditori che puntano alla clientela “low cost”. Vogliono solo tagliare i costi del personale, quindi assumono prevalentemente immigrati. Non c’è altro obiettivo».
Lavori rifiutati dagli italiani?
«Non è tanto una questione di scelte personali. E’ piuttosto un problema di dimensioni troppo ristrette delle aziende che in Italia operano nella ristorazione. Incide anche la presenza di una quota di giovani italiani schizzinosi che, se possono evitarlo, preferiscono uscire con la fidanzata o andare a ballare con gli amici invece di lavorare la notte e nei weekend in locali surriscaldati, per una paga mediocre e col fiato sempre sul collo dei proprietari».
Però poi emigrano a fare gli stessi mestieri. Dove è il vantaggio?
«Nella prospettiva. L’italiano che va in Spagna o in Francia magari all’inizio accetta di fare lo sguattero o di pelare patate, però ambisce a diventare uno chef stellato o ad aprire un suo ristorante. Se resta in Italia e viene assunto in una rosticceria o in una trattoria continuerà negli anni a svolgere lo stesso lavoro in imprese ad inadeguata capitalizzazione. Da noi il ristoratore, a fronte di modesti investimenti, si circonda di addetti a bassa retribuzione, spesso inquadrati contrattualmente come addetti non qualificati ma che in realtà cucinano la pasta alla carbonara e la bagna cauda o stanno a diretto contatto con la clientela. Mia nipote va a fare la pasticciera nei Paesi Baschi per farsi strada a livello internazionale, in contesti aziendali ad alta intensità di capitali»
Cosa cambia se resta in Italia?
«Per uno stipendio da fame avrebbe sempre gli abiti e le mani che mandano cattivo odore, ma soprattutto dovrebbe rassegnarsi a non crescere professionalmente. In Italia conta tagliare il più possibile i costi di esercizio. Non è solo questione di paga differente, ma di ambizione che il mercato italiano non consente di alimentare».
E il «made in Italy» in cucina?
«Svenduto a prezzi stracciati. Roma è l’esempio più evidente di una dinamica che coinvolge la ristorazione italiana. Per il Giubileo sono in arrivo nella capitale 33 milioni di pellegrini, però il modello dilagante rimane quello della trattoria al risparmio in cui un pizzaiolo egiziano, un cuoco pakistano e 2 cameriere moldave mandano avanti il ristorante di cui è proprietaria la famiglia italiana. Non si investe per migliorare, la qualità è considerata un lusso »
Perchè assumono immigrati?
«Vengono dalla miseria nera. Qui lavorano sodo e non si lamentano. Per loro essere in Italia è giù un colossale avanzamento sociale. Essere assunti in trattoria per gli immigrati è traguardo, per i nostri figli e nipoti è una sconfitta, un ridimensionamento delle aspettative. La colpa è degli investimenti inadeguati. Se manca la visione, piccolo non è bello. La prima volta che misi piede a Prato le aziende tessili erano microscopiche: le famiglie compravano un telaio e lo piazzavano nel sottoscala per lavorarci a turno. Poi però sono diventate imprese mondiali. La rosticceria invece resterà sempre com’è. Finirci a lavorare significa non avere possibilità di progredire. Cuochi e camerieri italiani storcono il naso, si lamentano, pretendono prospettive che chi arriva da Senegal o Bangladesh non sogna neppure».
Gia. Gal.
(da “La Stampa”)
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Settembre 8th, 2015 Riccardo Fucile
LAVORANO E FANNO FIGLI: PER GLI ECONOMISTI SONO UNA RISORSA
I politici possono dire quello che vogliono. E anche i cittadini qualunque, al bar o in tram.
Ma gli economisti non hanno dubbi: le dimensioni del fenomeno sono troppo grandi per liquidarle con gli aneddoti sui due ragazzi di colore fermi a non far niente sul marciapiede o sulle famiglia araba nell’alloggio di edilizia popolare.
Sulla base dei grandi numeri, dunque, gli economisti concludono che gli immigrati che si rovesciano a ondate sulle frontiere europee non sono il problema. Sono la soluzione del problema.
Bisogna trovare il modo di sistemarli e di integrarli: un compito inedito, immane, per il quale non ci sono soluzioni facili. Ma le centinaia di migliaia di uomini e donne, giovani, fra i 20 e i 40 anni, spesso con figli al seguito, che si affollano sulle barche, sui treni, sui camion dei disperati sono quello di cui l’Europa ha bisogno. Subito.
Quando Angela Merkel apre le porte della Germania a 800 mila rifugiati, infatti, non spara troppo alto. Spara basso.
Facendo un calcolo a spanne, Leonid Bershidsky, su Bloomberg , calcola che l’Europa avrebbe bisogno di 42 milioni di nuovi europei entro il 2020. Cioè domani.
E di oltre 250 milioni di europei in più nel 2060. Chi li fa, tutti questi bambini?
I 42 milioni di europei in più sono, infatti, quelli che servirebbero, subito, per tenere in equilibrio una cosa a cui – nonostante quello che hanno affermato in questi giorni leader politici, come l’ungherese Viktor Orbà n – gli europei qualunque tengono, probabilmente, più che alle loro radici cristiane: il generoso sistema pensionistico.
Oggi, in media, dice un rapporto della Ue, in Europa ci sono quattro persone in età lavorativa (15-64 anni) per ogni pensionato.
Nel 2050, ce ne saranno solo due. Ancora meno in Germania: quasi 24 milioni di pensionati contro poco più di 41 milioni di adulti.
In Spagna: 15 milioni di over 65 a carico di soli 24,4 milioni di lavoratori.
In Italia: 20 milioni ad aspettare ogni mese, nel 2050, l’assegno dell’Inps, finanziato dai contributi di meno di 38 milioni di persone in età per lavorare.
Le soluzioni non sono molte. O si tagliano le pensioni, o si aumentano i contributi in busta paga o si trova il modo di aumentare il numero di persone che pagano i contributi.
Maurizio Ricci
(da “La Repubblica“)
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