Settembre 12th, 2015 Riccardo Fucile
“UN PARTITO DI DESTRA DOVREBBE BATTERSI PER UNA SOCIETA’ MULTIETNICA, CHE E’ DIVERSO DA DIRE MULTICULTURALE”
Gianfranco Fini torna a Mirabello, alla Festa Tricolore, dopo la fredda accoglienza di qualche anno fa (2011, ndr) quando venne fischiato, il passaggio a vuoto del 2013 e il pubblico non proprio delle grandi occasioni dell’anno passato.
Anche sabato 12 settembre, ad accogliere ed ascoltare l’ex presidente della Camera dei Deputati, erano presenti poco più di duecento persone.
Così nella serata di sabato, Fini non ha fatto mistero di essere consapevole che “il rapporto con gli elettori di destra è frutto delle scelte che ho fatto”, una premessa che è suonata come un mea culpa per l’uomo politico che esattamente vent’anni fa (1995, ndr), traghettò il Movimento Sociale Italiano alla storica svolta di Fiuggi e alla creazione di Alleanza Nazionale.
Aggiungendo tuttavia: “Da tempo non mi preoccupo di quel che si dice sul mio conto, ho la coscienza a posto”.
L’intervistatore, Paolo Graldi, ex direttore de Il Mattino e de Il Messaggero, si è augurato che la serata che andava ad incominciare potesse essere ricordata in futuro, “una serata da io c’ero”.
Il botta e risposta tra Graldi e Fini, è invece filato via senza colpi di scena, tra una domanda sul “virus esistente nelle vene della politica, in maniera trasversale, che porta alla divisione” e un quesito sui temi caldi immigrazione e identità della destra del futuro.
Dal canto suo, il fu ministro degli Affari Esteri del governo Berlusconi II e III, ha definito la parcellizzazione delle forze politiche “un trend inevitabile”, un frutto dei tempi, “effetto del superamento delle contrapposizioni ideologiche proprio della società post ideologica in cui viviamo”.
A parere di Fini, se si vuole tornare a definirsi “comunità che sta a destra”, è prima necessario “definire cos’è la destra”, di modo che non sia un semplice “distintivo da appuntarsi al petto”.
Riprendendo le fila del dibattito che aveva preceduto l’intervista, l’ex leader di An ha ribadito che “in un momento storico in cui la democrazia è senza demos, la destra ha bisogno di approfondimenti, di comprendere il presente partendo dal passato” nella convinzione che “le radici non gelano quando sono profonde”.
Sull’inevitabile domanda circa il futuro di un soggetto politico unitario a destra Fini, ha auspicato la nascita di una “casa comune, che sia uno spazio libero in cui esprimersi”, uno spazio però che non lo vedrà politicamente protagonista a quanto pare, dal momento che poco dopo ha precisato che “non vorrò nè tessere nè candidature, nè tantomeno direzioni di alcun tipo”.
Inevitabile, nel dialogo tra Graldi e Fini, è giunta la domanda sui temi di più stringente attualità politica: immigrazione, Europa, riforma del Senato.
Con essi, non è mancato il riferimento alla Lega di Matteo Salvini e ai suoi rapporti con la “destra dei sogni” di Fini.
“Un giudizio di destra sulla riforma della seconda Camera — ha risposto Fini — dovrebbe partire dalla tradizionale avversione rispetto al bicameralismo paritario, per giungere sino alla proposta di abolizione del Senato”.
Sul tema immigrazione invece, l’ex ministro si è contrapposto decisamente alla Lega e a Salvini, interprete di “timori esistenti nella società ” ma colpevoli “di soffiare sul fuoco”.
Un soggetto politico di destra dovrebbe essere consapevole dei pericoli che certi fenomeni migratori comportano, ma anche realisti sul fatto che le uniche risposte efficaci possono essere di portata europea.
“Bisogna avere il coraggio di sfidare la Lega e i suoi insulti, un partito di destra dovrebbe battersi per una società multietnica, che è diverso da dire multiculturale”. Secondo Gianfranco Fini, chi arriva in Italia e decide di restare, “deve riconoscersi in una Comunità , a prescindere dalle sue origini”.
Sempre sul tema, quello che fu il delfino di Giorgio Almirante ha dichiarato “l’asticella del dibattito sull’immigrazione — secondo Fini — deve essere elevata proprio dalla destra, che deve colmare di contenuti il vuoto culturale in cui la Lega si è inserita”.
Una destra europeista, sostenitrice di una “sovranità condivisa, perchè o l’Unione cambia passo o implode”, ma una destra anche critica verso gli slogan e portatrice di contenuti culturali, quella immaginata da Fini.
Sul sostegno di Angelino Alfano, a suo dire subalterno alla linea dettata dal Pd di Matteo Renzi, “fortunato a gestire la cosa pubblica dopo il picco della recessione”, Fini ha le idee chiare: “Piuttosto che domandargli di revocare il sostegno al governo, vorrei chiedergli ‘cosa ci sei andato a fare?’”
Francesco Altavilla
(da “Estense”)
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Settembre 12th, 2015 Riccardo Fucile
OPERAZIONE DA 200 MILIONI DI DOLLARI PER UN A330… CIRCA 300 POSTI NELLA VERSIONE NORMALE
Era probabilmente il leader del G8 con l’aereo presidenziale più piccolo, una sorta di Cinquecento degli Airbus, un A319 CJ che ha costretto per anni i presidenti del Consiglio di turno, da Monti a Letta, da Prodi e D’Alema a Berlusconi, a fare scalo ogni cinque ore, o poco più, se gli impegni internazionali reclamavano una presenza a una distanza superiore a sei meridiani rispetto all’Italia.
Ora Matteo Renzi ha deciso di cambiare e prendere una «berlina» dei cieli: anche se a Palazzo Chigi non confermano e non commentano, e anche se alcune fonti dicono che la pratica sia stata avviata da Enrico Letta, il premier ha deciso di dare il via libera all’ordine di un nuovo mezzo per i suoi spostamenti: grande il doppio e cinque volte più capiente dell’attuale, valore stimato in circa 200 milioni di dollari (oltre 175 milioni di euro), secondo indiscrezioni un A330, capace del medio e del lungo raggio.
Insomma non ci sarà più bisogno di fare rifornimento in Siberia, o in Kazakhstan, in alcuni casi in entrambi i Paesi, quando ci sarà da spostarsi in Asia, con tappe notturne obbligate e magari anche un meeting ad Astana alle quattro del mattino, come capitò fra gli altri a Mario Monti.
Ogni rifornimento era anche un bilaterale, alle prime luci dell’alba, con Nazarbayev.
E la cosa varrà ovviamente anche andando verso Ovest: a ottobre Renzi dovrebbe fare un giro dell’America Latina, ma non dovrà fare carburante in un’isola dell’Atlantico.
Capace di circa 300 posti, nella versione normale, l’aereo è stato ordinato in leasing (nessun aereo oggi si compra, anche le compagnie di linea hanno flotte in leasing).
Il costo mensile sul mercato varia da 700 mila a un milione di euro, dovrebbe esser pronto fra qualche settimana, non in tempo comunque per la trasferta a New York, a fine mese, per l’Assemblea generale delle Nazioni Unite.
«Sarà molto più tecnologico dell’attuale e connesso a Internet», ha rivelato lo stesso Renzi, a luglio, nel corso del viaggio in Etiopia.
Ovviamente verrà configurato in modo diverso dai voli di linea, come per l’A319: ci sarà almeno una camera matrimoniale con bagno, per il presidente del Consiglio e la sua consorte, degli spazi di lavoro con divanetti e tavolini per il suo staff, la possibilità , come fanno altri presidenti, di imbarcare i giornalisti che seguono l’agenda internazionale di Palazzo Chigi.
Qualcuno dirà che magari un A330 è troppo grande, certamente è più adeguato alle esigenze e ai tempi del capo del governo.
Per anni gli ufficiali del 31esimo Stormo, che gestiscono e pilotano l’aereo del presidente, hanno invidiato quelli degli altri leader, europei e non: di taglie e modelli diversi, ma tutti più grandi.
Oltre che più stabili in volo. Cosa che comunque non impediva di eseguire con l’A319 persino una sorta di atterraggio tattico, quando la pista era quella della base di Herat, in Afghanistan.
Berlusconi portava i cronisti a bordo raramente, solo nei Paesi non raggiungibili con i voli di linea.
Monti invece ci provò in un viaggio con più tappe fra Cina e Giappone: trovarono un giornalista che faceva fotografie nella sua stanza matrimoniale, l’idea di rendere costante la prassi venne immediatamente depennata.
L’A319 attuale non era in leasing e sarà venduto, decisione annunciata due anni fa da Letta.
Marco Galluzzo
(da “il Corriere della Sera“)
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Settembre 12th, 2015 Riccardo Fucile
ALLA PRIMA NOMINA IN REGIONE LIGURIA VANNO PROPRIO A INDICARE UNO DEI TRE “SOCI” DEL MOVIMENTO
L’8 settembre, nel giorno dell’anniversario del Vday di Bologna, mentre tutto il Movimento cinque stelle dimenticava di celebrare il glorioso giorno – di quella data resta una pagina di giornale ingiallita incorniciata e appesa nella sala riunioni della Casaleggio associati – il M5S indicava e portava a casa una nomina importante nel sistema delle società partecipate italiane: la nomina di Enrico Maria Nadasi nel cda di Filse.
E cos’è Filse? E poi, chi è Enrico Maria Nadasi?
Filse è la società partecipata della Regione Liguria per l’attuazione della politica regionale in campo economico e sociale.
Tradotto, è la finanziaria della regione, una potente cassaforte degli investimenti (dunque delle politiche e del consenso) regionali, è stata la chiave di volta vera (e la camera di compensazione) del sistema di potere trasversale di Burlando (quella rete che dal Pd lambiva la destra di Scajola, la curia, la Banca a Genova).
Il M5S aveva preso una valanga di voti in Liguria proprio contro quel sistema di potere, superando la cifra del 25 per cento, risultando primo partito, determinante nell’affossare il Pd del sistema-Burlando.
Naturale che tutti lo attendessero alla prova del rinnovamento e della lotta ai sistemi di potere trasversali e alle reti amicali.
Ma la nomina nel cda di Filse, come consigliere di opposizione che dovrà controllare gli atti della società , di Nadasi, sta facendo discutere.
Lui ha un curriculum eccellente, è laureato in economia aziendale, master in contenzioso tributario alla Scuola superiore di economia e finanze del ministero delle finanze, e una carriera lunga e stimata di consulenze economiche alle spalle.
Ma alcuni ritengono sia in conflitto d’interessi: è infatti il commercialista di fiducia di Beppe Grillo, e è anche – nell’atto costitutivo del Movimento (sì, anche il Movimento ne ha uno) – uno dei tre firmatari, assieme a Beppe Grillo stesso (il presidente) e al nipote Enrico Grillo (vicepresidente).
Formalmente, anche solo formalmente, Nadasi è oggi il “segretario” del Movimento.
«Scegliendo il commercialista di Grillo – ci spiega la fonte che ci racconta questa storia, esponente di primissimo livello nel centrodestra ligure – il M5S regala a tutti noi un’arma formidabile sul piano nazionale: la prima volta che parleranno contro i familismi e le reti di potere noi risponderemo “la prima cosa che avete fatto voi è stata indicare il commercialista di Grillo”».
Il centrodestra non ha posto alcun ostacolo alla scelta di Nadasi.
Lo ha fatto all’inizio solo Raffaella Paita, ma poi il Pd ligure – debolissimo dopo la batosta elettorale – ha votato assieme al M5S.
L’operazione-Nadasi in cda è stata materialmente gestita da Alice Salvatore, la candidata del M5S alle ultime regionali in Liguria, che ha riscosso un notevolissimo successo elettorale.
Ci dice: «Noi Filse la vogliamo chiudere. Grillo non sapeva una cippa della nomina di Nadasi; siamo stati noi a pensare che avesse il profilo giusto».
Alice è stata molto sostenuta in campagna elettorale da Luigi Di Maio, che per lei si è speso: andando in Liguria, facendo iniziative insieme (sul microcredito e altro), mettendoci tanto la faccia; cosa che sceglie di fare quando è particolarmente convinto della bontà di un candidato.
Naturalmente una cosa del genere, se può passare sotto silenzio in Liguria (notata soprattutto da astuti anziani navigatori del centrodestra), è invece una contraddizione rumorosa a Roma: dove tantissimo movimento – eletti e militanti – continua a sperare che l’8 settembre non sia la data di un’abdicazione.
Jacopo Iacoboni
(da “La Stampa”)
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Settembre 12th, 2015 Riccardo Fucile
KIEV NON HA GRADITO LA PRESENZA DI UN EX PREMIER DI UNO DEI PAESI CHE APPLICA LE SANZIONI CONTRO MOSCA SU UN TERRITORIO CHE CONSIDERA ANCORA PARTE DEL PROPRIO STATO
Mentre le truppe russe affluiscono in Siria e nel Donbass, nonostante i patti di Minsk, si continua a sparare, Berlusconi si fa immortalare dai fotografi e dai cameramen in Crimea a fianco di Putin.
Il pretesto è apparentemente innocuo. Una piccola commemorazione celebrata in modo ufficioso: rendere omaggio alle vittime italiane della guerra di Crimea, quella combattuta (1853-1856) dai bersaglieri del Regno di Sardegna assieme all’Austria, la Francia, l’Inghilterra e l’Impero ottomano contro lo zar Nicola I.
I due hanno seguito un cerimoniale piuttosto dimesso, sono arrivati in elicottero e hanno deposto un mazzo di rose rosse sul memoriale inaugurato nel settembre del 2004.
Però le immagini dell’evento sono state sollecitamente diffuse dai media russi. Non a caso.
Il gesto dell’ex premier italiano — deliberato? — rischia di provocare qualche problema alla nostra diplomazia.
Certo non aiuta la Farnesina renziana, tantomeno agevola Federica Mogherini, la commissaria europea che dovrà fornire spiegazioni sul contraddittorio comportamento degli italiani.
Kiev non ha affatto gradito — per usare un eufemismo — la presenza dell’ex primo ministro di uno dei paesi che applica le sanzioni contro Mosca su un territorio che considera ancora parte integrante dell’Ucraina: come del resto la gran parte della comunità internazionale che non riconosce la Crimea come russa.
Uno schiaffo, dunque, vedere il sorridente Berlusconi camminare a Sebastopoli, terra strappata con la forza a Kiev.
La penisola dove trascorse i suoi ultimi giorni Togliatti e che Mosca ha pienamente cooptato nella Federazione russa, è diventata una sorta di “passerella” privilegiata dove Putin conta, oltre ad esibire, gli amici e gli alleati. Berlusconi è il primo degli amici. Ed è pure il suo cavallo di Troia in Occidente.
L’agenzia Ria-Novosti pubblica una vignetta di Berlusconi che si guarda allo specchio mentre indossa una cravatta coi colori della bandiera russa.
Alle sue spalle, in un cestino, i vecchi panni di (ex) padre della patria italiana, con la coroncina d’alloro che spunta fuori.
Il Cavaliere in realtà la cravatta non l’ha messa per visitare venerdì il cimitero italiano della guerra di Crimea, Putin, addirittura indossava blue-jeans chiari e consunti sotto una giacca color canna di zucchero.
Aldilà dell’aspetto assai informale, non sfugge a nessuno l’ennesimo colpo dello scorpione di Berlusconi.
Per l’ennesima volta si pone quale elemento di disturbo dello scenario politico internazionale, consapevole di suscitare polemiche e critiche, a cominciare da Washington, Berlino e Londra, allarmatissime dall’intensificazione della presenza militare russa in Siria, con le stesse modalità che portarono all’annessione della Crimea e al separatismo del Donbass.
E’ impensabile comunque non immaginare un silenzio-assenso di Renzi, probabilmente avvertito da Berlusconi, che già qualche giorno fa aveva accennato alla necessità di porre fine alle sanzioni, dannose a Mosca ma anche all’Occidente, opinione condivisa dal presidente francese Hollande.
Quanto a Putin, la Crimea comincerà a creargli qualche fastidio.
Entro la fine del mese pare che i tatari bloccheranno le vie d’accesso alla penisola per non aver mantenuto nessuna delle promesse del 2014.
Leonardo Coen
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Settembre 12th, 2015 Riccardo Fucile
“SE NON LO AVESSI FATTO IO, LO AVREBBERO FATTO ALTRI” LA SINGOLARE GIUSTIFICAZIONE… IMMEDIATAMENTE SOSPESA
Il governo francese, tra non pochi imbarazzi, è stato costretto a sospendere il proprio console onorario nella città portuale turca di Bodrum dopo che un servizio della Tv France 2 l’ha sorpresa a vendere barconi ai migranti diretti alle isole greche.
Nelle immagini, riferisce la Bbc, si vede la signora Francoise Olcay vendere in un negozio di sua proprietà imbarcazioni e giubbotti salvagenti.
Olcay si è difesa sostenendo che se non lo avesse fatto lei, altri avrebbero venduto l’occorrente per il viaggio ai disperati, ed ha anche chiamato in correo le autorità locali turche, che secondo lei, sono coinvolte nel traffico.
Proprio su una spiaggia accanto a Bodrum venne ritrovato la scorsa settimana il corpicino senza vita del bimbo curdo di tre anni Alan Kurdi.
L’immagine del corpo riverso sulla battigia, un pugno nello stomaco all’Europa ma non solo, ha dato il via alle nuove iniziative di accoglienza Ue.
Ad imbarazzare ulteriormente il governo di Parigi, nel video di France 2 si vede che sull’ingresso del negozio di materiale nautico della Olcay è esposta la targa ufficiale “Agence Consulaire de France” con tanto di tricolore e il motto “Libertè-Egalitè-Fraternitè”. stemmi ufficiali.
Il tutto accanto gommoni identici a quelli usati dai migranti e ritrovati sulla spiaggia di Bodrum.
Il ministero degli Esteri francese – sottolinea France 2 – ricorda che l’incarico di console onorario è volontario, non retribuito e compatibile con lo svolgimento di altre attovità incluse quelle commerciali.
Il reporter di France 2, Franck Genauzeau, con una telecamera nascosta pone alcune domande alla ormai ex console onorario, dopo aver fatto con lei un giro nel suo negozio. Quando le chiede: “Lei è consapevole che questa gente che va a morire con questi oggetti che lei vende?”. La replica è: “Assolutamente”.
E quando il reporter le fa notare, “Lei è console onorario di Francia e sta alimentando il traffico (di esseri umani)”, la signora alza le spalle e risponde “si” salvo poi aggiungere che “il sindaco alimenta il traffico, la capitaneria di porto alimenta il traffico, il viceprefetto alimenta il traffico”.
“In che senso?”, chiede Genauzeau.
“Che lasciano fare, lasciano passare” i migranti, conclude la Alcoy.
(da “La Repubblica”)
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Settembre 12th, 2015 Riccardo Fucile
RICHIESTO PER LUI IL PERMESSO DI SOGGIORNO STRAORDINARIO
Affronta a mani nude un rapinatore armato. In una violenta colluttazione, gli strappa dalle mani un fucile a canne mozze costringendolo alla fuga.
Il tutto sotto l’occhio delle telecamere di un supermercato. Adan, nome di fantasia, è un altro cittadino imigrato eroe: il giovane albanese ha sventato una rapina in un supermercato di Villa Briano, in provincia di Caserta.
Il suo atto di coraggio ricorda quello di Anatolij, l’ucraino morto a fine agosto nel tentativo di sventare una rapina in un supermercato di Castello di Cisterna, in provincia di Napoli
Adan vive da pochi mesi in Italia eppure non ha esitato un attimo a intervenire per proteggere le persone del posto.
l video dei carabinieri del Comando provinciale di Caserta mostra chiaramente la dinamica dell’azione dal minuto
Il rapinatore tenta di irrompere nel market a volto coperto e imbracciando il fucile. Durante il colpo si accorge che alcuni clienti hanno dato l’allarme. Tenta di scappare ma nella fuga s’imbatte nel giovane albanese. Adan insegue il criminale armato, lo getta a terra e riesce a disarmarlo mettendo in fuga il rapinatore e il suo complice.
Oggi però l’immigrato è intimorito e fugge i riflettori per lo spettro di ritorsioni. In virtù del coraggio dimostrato riceverà un permesso di soggiorno straordinario per motivi di giustiza, forse già dalla prossima settimana.
Intanto, in seguito alle indagini condotte con la procura di Napoli Nord, i carabinieri di Casal di Principe guidati dal comandante Michele Centola hanno arrestato cinque persone con l’accusa di rapine aggravate, detenzione e porto illegale di armi.
In particolare, attraverso intercettazioni telefoniche e ambientali sarebbero stati raccolti gravi indizi a carico di due dei cinque indagati per quattro rapine avvenute con la stessa modalità in esercizi commerciali della provincia di Caserta.
Tra i colpi, ci sarebbe anche quello del supermercato sventato dal giovane cittadino albanese.
“Il ragazzo ha compiuto un gesto di eccezionale coraggio, in pochi sarebbero intervenuti al suo posto – commenta il capitano Michele Centola, comandante della compagnia di Casal di Principe – Il suo gesto ricorda quello del povero Anatolij. Il rapinatore disarmato dal giovane albanese – prosegue il militare – in un colpo precedente non ha esitato a sparare in aria. Poteva finire male. Abbiamo chiesto immediatamente un permesso di soggiorno per motivi straordinari”
Anna Laura De Rosa
(da “La Repubblica”)
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Settembre 12th, 2015 Riccardo Fucile
JEREMY CORBYN, VETERANO DELLA SINISTRA SOCIALISTA, E’ IL NUOVO SEGRETARIO DEL LABOUR PARTY INGLESE
Terremoto nella sinistra inglese. Jeremy Corbyn è il nuovo segretario del Labour Party e prende il posto di Ed Miliband, dimessosi dopo la sconfitta alle elezioni politiche di maggio.
Corbyn ha preso il 59,5 per cento dei voti. Il vicesegretario è Tom Watson, ‘bestia nera’ di Rupert Murdoch.
Il primo atto del nuovo leader del Labour sarà una manifestazione in favore dei rifugiati, e contro la linea dura del governo conservatore. “Vogliamo dimostrare come i rifugiati devono essere trattati” e accolti, ha detto nel discorso della vittoria.
Dare “speranza alla gente comune che è piena fino qui di ingiustizie, disuguaglianza, povertà non inevitabile”. È questo l’obiettivo di Corbyn.
Il suo è stato un discorso unitario, ma con chiari riferimenti a temi come ambiente, pace, welfare, parità e immigrazione.
Rivendicato il legame “organico” con il sindacato e denunciata come un “attacco alla democrazia” la riforma messa in cantiere dal governo conservatore per limitare il diritto di sciopero.
Corbyn “il rosso”, 66 anni, incarna poco il politico tradizionale, un esponente di sinistra che divide il partito, uscito scosso dalla sconfitta alle elezioni di maggio.
Il barbuto esponente anti-austerità , secondo gli analisti, ha raccolto le preferenze di chi vuole dare una scossa ai laburisti britannici.
Ma secondo un sondaggio pubblicato in esclusiva dell’Independent, per il 66% degli intervistati non sarebbe in grado di portare alla vittoria il partito nel voto del 2020. Corbyn, che condivide le idee dei greci di Syriza, vuole porre fine alla politica di austerità del governo, imporre più tasse ai più ricchi e rinazionalizzare alcune industrie come quella ferroviaria.
Tra i principali oppositori di Corbyn ci sono i grandi nomi del passato del Labour come l’ex primo ministro Tony Blair, che è sceso apertamente in campo contro la sua candidatura e che ha consigliato a quanti si sono lasciati conquistare il cuore dal “vecchio socialista”: “Fatevi un trapianto”.
Venerdì un duro attacco al partito laburista è arrivato dal primo ministro britannico David Cameron, che si è detto “esterrefatto” dalla campagna per la leadership del Labour e in particolare dalle sue proposte economiche.
“Chiunque sia il vincitore, il Labour è un partito che ha completamente abbandonato il dibattito sulle idee e che non rappresenta più i lavoratori”, ha detto Cameron nel corso di una visita a Leeds, nel nord dell’Inghilterra.
“Il suo discorso estremista promette solamente più spese, più debiti e più tasse”, ha aggiunto, affermando che i laburisti “costituiscono una minaccia per la sicurezza finanziaria di tutte le famiglie nel Regno Unito”.
(da “Huffingtonpost”)
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Settembre 12th, 2015 Riccardo Fucile
SE IL CANDIDATO DEL CENTRODESTRA FOSSE SALVINI 4 ELETTORI DI FORZA ITALIA SU 10 PIUTTOSTO VOTEREBBERO RENZI
L’Italicum ancora non c’è: entrerà in vigore alla metà del 2016, e solo per la Camera. Tuttavia, salvo improvvise accelerazioni elettorali, sarà il nuovo sistema a decretare il vincitore delle prossime consultazioni.
Per questo è utile interrogarsi fin d’ora sull’esito dell’eventuale ballottaggio, formulando diverse ipotesi di confronto “a due”
Il Pd è oggi lontano dalla soglia del 40%, utile a “evitare” il secondo turno.
Il M5s è, di gran lunga, favorito per conquistare la seconda piazza.
Dunque, in base alle regole dell’Italicum, ballottaggio tra il partito di Renzi e quello di Grillo (e Di Maio).
Risultato: Pd al 53.4%, M5s al 46.6%.
Sette punti di distacco: abbastanza, ma non tanto da far dormire sonni tranquilli al premier-segretario.
In questo scenario, il Pd sarebbe penalizzato dalle scelte di molti elettori di destra (oltre il 50%, nel caso della Lega) pronti a dirottare le proprie preferenze sul M5s.
Oltre a fare il pieno di voti (70%) nel bacino centrista, il maggiore partito riuscirebbe ad attrarre la maggioranza (relativa) della sinistra radicale e dei forzisti.
Il M5s prevarrebbe, però, fra gli under-45 e nelle categorie sociali più in sofferenza (disoccupati, operai, lavoratori autonomi e piccoli imprenditori).
Il partito di Renzi, per contro, staccherebbe gli avversari tra gli anziani, i pensionati e le casalinghe
Molto più netto, sulla base dei test condotti da Demos, l’esito di uno “spareggio” tra Pd (62.7%) e Lega (37.3%).
In questo caso, il partito di Salvini pagherebbe anzitutto le esitazioni di molti elettori di FI: più di quattro su dieci, di fronte all’ipotesi di uno schieramento a trazione leghista, si dicono pronti a confluire nell’area renziana.
Nei ballottaggi che non lo vedono protagonista, l’elettorato 5 stelle tende a sua volta a dividersi: un quinto si asterrebbe; la porzione rimanente propenderebbe (ma di poco) per il Pd
L’ultimo scenario testato prevede il confronto tra il Pd e una lista unitaria formata dai due maggiori partiti di centro-destra: cartello del tutto ipotetico, ancora privo di nome e leadership.
Una alleanza forza-leghista potrebbe, ciò nondimeno, ricompattare il bacino di centro- destra (anche se oltre il 40% dell’elettorato Ncd resterebbe fedele al patto di governo con il Pd).
Si riprodurrebbe, in parte, la tradizionale competizione fra centro-destra e centro-sinistra, che si aggiudicherebbe il ballottaggio con il 53.9%.
La lista di centro-destra otterrebbe il 46.1%, prevalendo tra gli elettori che si collocano a destra del centro, nelle categorie del lavoro autonomo e tra gli imprenditori.
Propendono invece per il Pd le aree che vanno dal centro alla sinistra e, in generale, le fasce più istruite della popolazione. In tutti i più verosimili scenari di ballottaggio, dunque, il Pd partirebbe oggi in vantaggio.
Ma, sia nel confronto con il M5s sia in quello con una lista di centro- destra, il margine sarebbe esiguo. Al punto da rendere per ora azzardata qualsiasi previsione.
Roberto Biorcio e Fabio Bordignon
(da “La Repubblica”)
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Settembre 12th, 2015 Riccardo Fucile
CLAMOROSA SVOLTA SUI PROFUGHI: IL 61% DEGLI ITALIANI VUOLE ACCOGLIERLI, SOLO IL 32% E’ PER RESPINGERLI
La marcia di Matteo Renzi al governo procede senza scosse e senza accelerazioni particolari. Da tempo non riesce più a sollevare entusiasmo.
Le speranze, attorno a lui, si sono raffreddate. Ma, per ora, non sembra in pericolo.
Le vicende politiche interne e le emergenze esterne – per prima: la vicenda drammatica dei profughi – non hanno indebolito il sostegno al governo.
Questa, almeno, è l’idea che si ricava dal sondaggio dell’Atlante Politico condotto nei giorni scorsi da Demos.
Oggi, infatti, Renzi appare un leader senza alternativa, anche se è incalzato da opposizioni che hanno basi ampie e radicate.
Il PD resta, comunque, il primo partito, fra gli elettori. Conserva il livello di consensi rilevato prima dell’estate. Anzi, lo migliora, seppure di poco.
Supera, infatti, il 33%. Seguito, a distanza, dal M5s. Che si avvicina al 27%, il dato più elevato, da quando è sorto (secondo l’Atlante Politico).
Dietro di loro, la Lega di Salvini staziona, intorno al 14% e supera Forza Italia. Più che per meriti propri, per demerito del partito di Berlusconi, che scivola all’11%.
Il minimo da quando, oltre vent’anni fa, è “sceso in campo”, trainato dal suo leader e padrone. Tra le altre forze politiche, si osserva il declino dei centristi NCD e Udc. Ormai ridotti ai minimi termini (meno del 3%).
Anche il PD di Renzi, in caso di elezioni con il nuovo sistema elettorale, l’Italicum, appare comunque lontano dal 40%.
La soglia prevista per conquistare la maggioranza dei seggi al primo turno.
Dovrebbe, dunque, affrontare un ballottaggio, nel quale, secondo le stime del sondaggio di Demos, nessuno dei possibili sfidanti sembra in grado di batterlo.
Tuttavia, solo nei confronti della Lega il distacco del PD appare largo. Quasi 30 punti.
Di fronte al M5s oppure contro un “cartello” di destra, che riunisse Lega e FI, il PD si affermerebbe, ma non di larga misura. Sfiorando il 54%.
Nell’insieme, non si colgono segni di svolta nè di grande cambiamento, in questo sondaggio. Semmai, la conferma di una fase di fragile stabilità .
Ribadita dagli orientamenti verso i principali leader.
Anche in questo caso, Matteo Renzi primeggia. Ma si attesta sugli stessi livelli degli ultimi mesi. Il 42%. È, dunque, il “preferito” fra gli elettori.
Davanti a Matteo Salvini, in sensibile calo (-6) di gradimento personale. E a Giorgia Meloni. Che dispone di un consenso assai maggiore del proprio partito.
È, invece, interessante osservare come Luigi Di Maio ottenga un indice di fiducia superiore a Beppe Grillo, fra gli elettori nell’insieme.
Nella base del M5s, il fondatore – e “amplificatore” – risulta, però, ancora il più apprezzato (da circa il 70%).
Ma Di Maio, il successore più accreditato, dispone anche qui di un livello di gradimento, comunque, ampio, prossimo al 60%. Segno che il M5s si è, in parte, autonomizzato da Grillo.
Comunque, non è più identificato solo con la sua figura. E, probabilmente, anche per questo mantiene una base di consensi molto ampia.
Così, Renzi e il suo governo procedono in mezzo a molte difficoltà , ma non ne sembrano penalizzati in misura eccessiva.
Il gradimento del governo, come quello personale del premier, è sceso di oltre 10 punti rispetto a un anno fa. Ma dall’inizio dell’anno appare stabile. E, negli ultimi mesi, perfino in lieve crescita. Sopra il 40%.
La valutazione sulle principali politiche del governo, peraltro, non è peggiorata. In alcuni casi, anzi, è perfino migliorata. In tema di lavoro, di fisco.
Ma, soprattutto, in tema di immigrazione. Argomento della lettera inviata dal premier a Repubblica.
L’ondata degli sbarchi, l’emergenza dei profughi, negli ultimi mesi, non sembrano aver danneggiato l’immagine del governo e di Renzi. Al contrario.
Infatti, la quota di cittadini che vede negli immigrati un “pericolo per la sicurezza” oggi è poco più di un terzo della popolazione. Il 35%. In giugno era il 42%.
Le immagini del grande esodo dall’Africa e dalla Siria verso l’Europa hanno modificato il sentimento popolare, oltre che l’atteggiamento di molti leader di governo (per prima: Angela Merkel).
Così, alla paura e all’ostilità si sono sostituite l’apertura e la pietà . E se, fino a pochi mesi fa, tra gli italiani gli sbarchi erano considerati un’invasione, da respingere, erigendo muri e barriere, oggi prevale il sentimento – e l’orientamento – di “accoglienza”.
Sostenuto da oltre il 60% degli intervistati: ben 20 punti in più rispetto a giugno. Una vera “svolta d’opinione”.
Nella politica italiana, dunque, si annuncia un autunno tiepido.
Con un leader solo al comando, circondato da opposizioni che faticano a presentarsi come vere alternative di governo.
Il M5s: è canale dell’insoddisfazione popolare. Ma anche soggetto di controllo democratico a livello centrale e locale. La Lega di Salvini: appare sempre più Ligue Nationale. Versione italiana del Front National di Marine Le Pen. Che, tuttavia, si è affermata interpretando le paure degli elettori moderati.
Forza Italia, infine, declina, in modo inevitabile e inesorabile, insieme al leader che l’ha inventata. E da cui non può prescindere.
Matteo Renzi, dunque, prosegue la sua marcia. Aiutato dalla ripresa positiva del mercato e dell’economia. Dalla timidezza degli avversari. Visto che l’opposizione più insidiosa, oggi, appare quella “interna” al PD
Così, il 46% degli elettori, ormai, ritiene che governerà fino alla scadenza naturale della legislatura.
Il dato più elevato da quando è in carica. A differenza del passato, paradossalmente, ciò avviene proprio quando sembra avere smesso i panni del velocista.
Del leader ipercinetico, sempre in movimento, una riforma dopo l’altra, un “fatto” dopo l’altro.
Mentre, al contrario, ha rallentato la corsa, ridimensionato le pretese. Un premier (più) lento, che riflette il sentimento di un Paese stanco.
Di miracoli e di promesse.
Ilvo Diamanti
(da “La Repubblica”)
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