Settembre 21st, 2015 Riccardo Fucile
LA NOSTRA SOLIDARIETA’ A ERRI DE LUCA
In uno Stato dove nessuno persegue esponenti politici che istigano ogni giorno all’odio razziale e in cui sui social si leggono migliaia di insulti razzisti senza che nessuno intervenga, si vuole colpire uno scrittore, reo di aver sempre solidarizzato pacificamente con i fautori di una giusta battaglia, quella dei No Tav.
Si vuole colpirne uno per educarne cento: in questo Paese gli spazi di dissenso e di libertà si vanno sempre più riducendo nell’indifferenza dei più.
Non ha rilevanza come la pensi Erri, noi non guardiamo logore etichette, difendiamo il diritto al civile dissenso.
Didendiamo il diritto delle minoranze criminalizzate, come lo siamo stati noi negli anni in cui “uccidere un fascista non era reato”.
Coerenti ora come allora e con le carte in regola sul fronte della difesa della libertà di espressione contro l’arroganza di un sistema che vuole solo esecutori e servi.
Ecco perchè Erri e’ uno di noi.
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Settembre 21st, 2015 Riccardo Fucile
BERSANI: “UN’APERTURA SIGNIFICATIVA”
Di lavoro da fare ce n’è ancora molto, e toccherà ai senatori farlo nei prossimi giorni. Ma dal punto di vista politico, sul delicatissimo tema delle riforme, la direzione sembra aver consolidato l’intesa dentro il Pd.
Un’intesa che, ironia della sorte, prende la forma di “lodo Tatarella”, dal nome dell’ex leader di An che inventò, insieme a Leopoldo Elia, la legge regionale del 1995, la prima volta che gli elettori designarono il presidente della Regione.
“Designarono” e non “elessero”, e in queste due parole c’è la soluzione.
Renzi, infatti, in direzione ha accolto la proposta avanzata domenica dal senatore ribelle Vannino Chiti, che aveva appunto fatto riferimento alla legge Tatarella: una legge in cui il presidente della Regione veniva scelto dagli elettori, ma nominato formalmente dai consigli regionali.
È lo stesso destino che, se l’intesa passerà al vaglio dell’Aula del Senato, toccherà a quei consiglieri regionali che saranno scelti come senatori.
Nella relazione, il premier ha parlato esplicitamente di “designazione”.
Nelle conclusioni, Renzi ha chiarito bene il punto: “Quando mi riferisco a Tatarella, intendo dire che c’è una designazione dei senatori da parte degli elettori, come accadde ai presidenti di Regione nel 1995. In Emilia Romagna i cittadini scelsero Bersani, che poi fu eletto formalmente dal consiglio regionale. Lo stesso in Toscana con Vannino Chiti”.
A stretto giro arriva la risposta di Pier Luigi Bersani, a Modena per partecipare alla festa dell’Unità . “Mi pare che Renzi abbia fatto un’apertura significativa: se si intende che gli elettori scelgono i senatori e i consigli regionali ratificano va bene, perchè è la sostanza di quello che abbiamo sempre chiesto. Meglio tardi che mai: vedremo al Senato come verrà tradotta questa indicazione”.
Allo stato attuale, non c’è alcuna ipotesi su come questi senatori saranno eletti.
Renzi ha chiarito che non c’è alcuna ipotesi sui meccanismi elettorali, e che il riferimento a Tatarella non era ai listini di consiglieri che venivano affiancati al nome del candidato a governatore.
La nuova Costituzione affiderà a una legge ordinaria le modalità di elezione dei senatori: una legge quadro, votata da Camera e Senato, che rimanderà per alcuni aspetti alle singole regioni le modalità di scelta.
Per la minoranza dem, che pure ha deciso di non partecipare al voto finale della direzione, si registra un netto passo avanti.
Un’intesa praticamente chiusa.
“La proposta di Chiti, ha detto in direzione Gianni Cuperlo (anche a nome dei bersaniani), “può rappresentare il punto condiviso, che riconosca l’utilità e l’opportunità di un criterio più diretto di selezione da parte degli elettori, con una rappresentanza legittimata da un voto popolare, mantenendo ai consigli regionali il compito di una formale ratifica. Su questa base possiamo mandare all’esterno un messaggio di unità ”.
Lo sbocco pare proprio il “lodo Tatarella” enunciato da Renzi.
“Non ci sono scalpi da esibire”, ha detto Cuperlo. “Non è in corso un braccio di ferro o una prova muscolare e non ci devono essere diktat. Bisogna trovare uno sbocco da rivendicare come successo comune”.
Morbido anche il bersaniano Miguel Gotor: “Se le parole di Renzi significano che i cittadini decidono chi sarà senatori e i consigli regionali ratificano la volontà popolare per noi va bene”, spiega a Huffpost.
L’ipotesi a questo punto è quella di un emendamento di maggioranza, a prima firma Zanda, che dia forma all’intesa tra i dem e la allarghi anche altri partner di governo.
Si tratta di una modifica al comma 5 dell’articolo 2 del ddl Boschi: “La durata del mandato dei senatori coincide con quella degli organi delle istituzioni territoriali dai quali sono stati eletti sulla base della designazione degli elettori”.
L’intesa è tutta nelle ultime sei parole in corsivo.
Al comma 2, infatti, i senatori sono eletti “dai consigli regionali con metodo proporzionale”.
Al comma 5 la volontà popolare rientra dalla finestra. “In fondo”, spiega ad Huffpost Giorgio Tonini, senatore renziano e protagonista della mediazione insieme a Vannino Chiti al sottosegretario Luciano Pizzetti, Zanda e Finocchiaro, “è lo stesso metodo che si usa per eleggere il presidente degli Usa: anche in quel caso l’elezione popolare è mediata dal voto dei grandi elettori”.
“Nel caso italiano”, aggiunge Tonini, quella che fanno gli elettori è “una designazione pesante, di cui i consigli regionali sono obbligati a tenere conto”.
Nella minoranza, che non ha partecipato al voto, resta ancora qualche dubbio sulle reali disponibilità del premier.
“Se nelle parole di Renzi si intende che decidono i cittadini, cioè che i senatori non sono scelti nel chiuso di una stanza, ma sono decisi dai cittadini e poi c’è una ratifica dei Consigli regionali, siamo secondo me di fronte a un vero e positivo passo avanti”, spiega Roberto Speranza.
L’intesa dunque è vicinissima. Resta sullo sfondo molta diffidenza tra le due parti.
E del resto il premier nella sua relazione è stato molto duro con la minoranza.
E a D’Attorre che l’ha accusato di aver proceduto nelle riforme a colpi di diktat, ha risposto a muso duro: “Dire questo significa fare a pugni con la realtà ”.
(da “Huffingtonpost”)
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Settembre 21st, 2015 Riccardo Fucile
LA VITTORIA DI TSIPRAS E LA SCONFITTA DI UNITA’ POPOLARE METTE ALL’ANGOLO CHI VUOLE USCIRE DALL’EURO: GLI ELETTORI VANNO NELLA DIREZIONE OPPOSTA
Il tracollo degli anti-euro è la principale ragione per cui il voto di ieri in Grecia è importante per tutta l’Europa.
Gli scissionisti che avevano abbandonato Alexis Tsipras rifiutando l’accordo con i creditori, pronti a tornare alla dracma e a non pagare i debiti, non riusciranno nemmeno a entrare in Parlamento.
E sì che la scissione di «Laikì Enòtita» (Unità popolare) era stata dolorosa.
Aveva sottratto a Sà½riza un deputato su sei tra gli eletti del 25 gennaio scorso, almeno un quarto dei militanti e l’intero movimento giovanile.
Ma gli elettori sono andati nella direzione opposta. Hanno apprezzato la scelta responsabile di Tsipras: restare nell’euro anche a prezzo di nuovi sacrifici.
L’uscita dall’euro non attrae nemmeno i cittadini del Paese che dalla crisi dell’unione monetaria ha più sofferto, per un misto di errori dell’Europa e dei suoi passati governanti. E’ risultato evidente che avrebbe soltanto accresciuto ancor più la miseria.
Gli stessi ideologi di «Unità popolare» a tratti ne parevano coscienti; volevano però correre il rischio come via per uscire dal capitalismo.
La forza politica degli anti-euro, che un anno fa pareva emergere in molte parti d’Europa talora con un volto di estrema sinistra, talvolta di destra, talvolta non si sa come il Movimento 5 stelle, è ora in rapida caduta.
L’unico vero fenomeno nuovo a sinistra, Podemos in Spagna, si è schierato con Tsipras, e comunque è sceso ora nei sondaggi al 16-17%, terzo partito.
Detto questo, sia in Grecia sia nel resto dell’area euro restano tutti i problemi di prima.
Il governo Tsipras 2 si formerà probabilmente con la stessa maggioranza del Tsipras 1: ovvero con l’appoggio di un piccolo partito della destra nazionalista la cui affinità con i marxisti di Sà½riza è difficilissima da comprendere fuori dai confini ellenici.
Ringalluzzito dal successo, il quarantunenne leader ripeterà che quell’accordo lui lo ha firmato ma non ci crede.
Tra gli eletti del suo partito vi sono ancora massimalisti che potrebbero rifiutarsi di votare alcune misure.
Dal punto di vista dell’Europa, sarebbe stato meglio uno Tsipras con meno deputati, costretto a fare coalizione di governo con i partiti riformisti del centro-sinistra.
Il caso greco resta dunque anomalo.
La popolarità di Sà½riza anche dopo la scissione poggia assai più sul discredito dei governanti in carica ad Atene negli anni scorsi che sulla credibilità delle sue proposte (vaghissime tra l’altro in questa campagna elettorale).
Non sarà facile per l’Europa gestire il seguito della vicenda.
Per tutta l’area euro invece gli eventi dell’estate, dagli sbarchi dei migranti alle nuove incertezze sull’economia mondiale, rendono obsolete molte vecchie regole.
Il nostro governo ne sembra cosciente ma invece di proporre una discussione chiara cerca solo di ottenere un trattamento di favore per l’Italia che ci consenta per il 2016 di sfuggire agli obblighi del rigore.
Cosicchè al nocciolo della questione si arriverà come al solito troppo tardi, forse sotto la spinta di un’altra crisi.
Stefano Lepri
(da “La Stampa”)
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Settembre 21st, 2015 Riccardo Fucile
FLESSIBILITA’ A COSTO ZERO… FORTI PENALIZZAZIONI SE SI ESCE A 62 ANNI
L’avvertimento è arrivato nell’intervista a «Repubblica» del ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan: attenti ad intervenire sulle pensioni perchè «l’equilibrio di finanza pubblica va mantenuto » e non possiamo far saltare i conti.
Ma il presidente del Consiglio Matteo Renzi sembra intenzionato ad andare avanti: flessibilità in uscita in cambio di riduzione dell’assegno per chi vuole andare in pensione passando attraverso le maglie rigide della legge Fornero. Renzi lo ha scritto l’altro giorno nella sua rubrica sull’«Unità », ma il suo progetto non è nuovo.
Già nel maggio scorso, anche dopo il «siluro» della Corte costituzionale che ha ripristinato l’indicizzazione delle pensioni con il costo di un paio di miliardi sul conto-previdenza dello Stato, aveva annunciato per la legge di Stabilità del 2016 un intervento.
«Libertà e disponibilità per la nonna che si vuole godere il nipotino», aveva detto con la solita efficace immagine.
Per la soluzione flessibilità del resto pressano sindacati e minoranza interna del Pd. Senza contare che una delle proposte di legge più discusse nelle ultime settimane porta due firme di peso: del presidente della Commissione Lavoro della Camera Cesare Damiano e del sottosegretario all’Economia Pier Paolo Baretta.
Il problema sono i costi: il testo prevede di poter anticipare a 62 anni, invece che agli attuali 66 anni e tre mesi (66 e sette mesi nel 2016) l’uscita in pensione.
L’opzione per la flessibilità costerebbe il 2 per cento per ogni anno e dunque qualora fosse esercitata per quattro anni comporterebbe una penalizzazione dell’8 per cento. Su costo si discute, ma si dovrebbe andare, secondo i proponenti, sotto i 4 miliardi (tenendo conto solo dei pensionati che aderiranno)
Un po’ troppo, e allora si guarda all’altro progetto sul campo, nato dagli ambienti tecnici e che viene definita proposta-Boeri.
Si tratterebbe, nella versione che circola, di estendere a chi va in pensione anticipata un calcolo interamente contributivo invece che il più generoso retributivo anche se mitigato dal sistema pro-rata.
In questo caso il taglio dell’assegno potrebbe arrivare complessivamente fino al 30 per cento. Il costo sarebbe vicino allo zero.
L’impatto immediato tuttavia non sarebbe indolore: il primo anno potrebbero essere molti coloro che potrebbero approfittare della opportunità e il peso per le finanze pubbliche si farebbe sentire
La coperta è corta, tant’è che il Def non fa cenno alla questione della flessibilità in uscita: tanto più che già la lista della spesa arriva a 27 miliardi, il cantiere della spending review è ancora aperto e la flessibilità attende un via libera da Bruxelles. Tuttavia i tecnici del governo sono al lavoro per una soluzione di compromesso che potrebbe conciliare l’esigenza di «costo zero», sulla quale sembra siano attestati Palazzo Chigi e Via Venti Settembre, accontentando al tempo stesso la nonna che si vuole godere i nipotini.
L’idea è quella di lavorare sulla percentuale di penalizzazione: dal 2 per cento di cui si è parlato fino ad oggi si potrebbe salire il 3-4 per cento l’anno raggiungendo una penalizzazione massima su quattro anni del 12-15 per cento.
L’età rimarrebbe a 62 anni e in questo modo — ma si stanno facendo i conti — si potrebbe raggiungere un punto di equilibrio tra costi e risparmi.
Roberto Petrini
(da “la Repubblica“)
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Settembre 21st, 2015 Riccardo Fucile
IL COSTITUZIONALISTA LUDOVICO PACE: “IL DISEGNO DI LEGGE BOSCHI E’ UN TRUCCO, ALTRO CHE BUNDESRAT”
In un articolo intitolato “Perchè è meglio indiretta”, apparso di recente su Il sole 24 Ore, Roberto D’Alimonte, autorevole ed ascoltato studioso di sistemi elettorali, ha ribadito la sua contrarietà all’elezione diretta del Senato sulla base di due concisi argomenti: 1) L’elezione indiretta è da preferire perchè su 28 paesi dell’Unione europea, 15 hanno un sistema monocamerale, 8 prevedono l’elezione indiretta e solo 5 l’elezione diretta. Pertanto “la proposta in discussione al Senato” non costituirebbe affatto “un’anomalia”;
2) Quanto al modello indiretto di elezione, per D’Alimonte “non è semplice rispondere” se sia meglio il modello previsto per il Bundesrat della Repubblica federale tedesca — nel quale sono i Governi locali a rappresentare i Là¤nder — oppure il modello Boschi, nel quale sono i consigli regionali e i consigli provinciali di Trento e Bolzano ad eleggere i senatori: 74 tra i consiglieri regionali e 21 tra i sindaci dei comuni capoluogo.
Pertanto, non essendo semplice rispondere al quesito, è opportuno non “rinviare sine die una riforma che il paese attende da più di trenta anni”
In apertura, D’Alimonte rileva che “sui metodi di elezione delle seconde camere in Europa si sta facendo in questi giorni parecchia confusione”. Il che è vero.
È però altrettanto vero che uno dei maggiori motivi di confusione sta proprio nell’inesattezza della locuzione “elezione indiretta” generalmente utilizzata per designare sia il modello tedesco, sia il modello previsto dalla riforma Boschi.
Infatti, se i cittadini eleggono i consiglieri regionali e provinciali, e questi a loro volta eleggono i senatori, non si può dire, per la proprietà transitiva, che i cittadini eleggano (indirettamente) anche i senatori.
Sono infatti esclusivamente i consigli regionali e provinciali ad eleggere i senatori. Quindi è solo per intenti mistificatori, per ignoranza oppure per addolcire la pillola che si allude alla futura elezione dei senatori come se saranno indirettamente scelti dai cittadini. Si badi bene:se tale tesi rispondesse a verità , si dovrebbe allora concludere che anche il Presidente della Repubblica è eletto indirettamente dal popolo.
Mentre è a tutti noto che le Camere in seduta comune sono liberissime nella loro scelta. Del pari inesatto è sostenere che l’elezione dei componenti del Bundesrat sarebbe indiretta.
Il modello vigente costituisce una conseguenza dell’ordinamento federale instaurato dalla Costituzione imperiale del 1871,che mantenne invita gli Stati preesistenti trasformandoli in Là¤nder, mentre l’unificazione monarchica italiana li soppresse del tutto (di qui la difficoltà storica più che giuridica di trasformare il nostro Senato in una specie di Bundesrat).
Il Bundesrat tedesco è quindi costituito non da parlamentari, ma dai 16 Là¤nder rappresentati dai rispettivi Governi, nella persona di uno o più rappresentanti, che, a seconda dell’importanza del Land, hanno a disposizione da 3 a 6 voti per ogni deliberazione.
Quand’è, allora, che si può correttamente parlare di“modello indiretto”?
Risposta: solo quando i cittadini eleggano i Grandi elettori, e questi, a loro volta, eleggano i senatori (Leopoldo Elia).
Il che appunto avviene in Francia, dove sono i cittadini ad eleggere i 150 mila Grandi elettori che dovranno eleggere i 348 Senatori, laddove in Italia non sarebbero i cittadini, ma poco più di mille consiglieri regionali e provinciali a dover eleggere solo 95 senatori.
In conclusione, le ragioni in base alle quali il Senato dovrebbe continuare ad essere direttamente eletto sono assai serie.
Direi, anzi, indiscutibili.
Esse discendono da ciò: poichè anche dalla riforma Boschi gli è riconosciuta la spettanza delle funzioni legislativa e di revisione costituzionale, sarebbe manifestamente incostituzionale se le rispettive deliberazioni, vincolanti per tutti i cittadini, non rinvenissero la loro legittimazione nel voto dei cittadini.
Nel proclamare che “La sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”, l’articolo 1 della nostra Costituzione garantisce infatti che la funzione legislativa e la funzione di revisione costituzionale — massime espressioni della sovranità popolare — debbano essere riconducibili “alla volontà dei cittadini espressa attraverso il voto, che costituisce il principale strumento di manifestazione della sovranità popolare” (così la Corte costituzionale nella sentenza n. 1 del 2014).
Alessandro Pace
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Settembre 21st, 2015 Riccardo Fucile
E’ GESTITO DA UN GIOVANE REGISTA AFGHANO GIUNTO ANCHE LUI IN ITALIA COME RICHIEDENTE ASILO
Orient experience è uno dei tanti ristoranti veneziani ma ha qualcosa di speciale, non solo il menu, che propone piatti della tradizione medio orientale, ma anche il personale: tutti ragazzi arrivati in Italia come profughi e che in laguna hanno trovato l’approdo per una nuova vita
L’idea di un ristorante etnico-solidale è venuta ad Hamed Ahmadi, 34 anni, regista e imprenditore afghano giunto in Italia proprio come richiedente asilo.
Nel 2006 Hamed viene invitato alla Mostra del cinema di Venezia per presentare un documentario e dopo il festival si ferma nella Penisola e chiede lo status di rifugiato. Otto mesi in un centro d’accoglienza a Tessera e poi il tirocinio come giardiniere al Guggenheim.
Racconta Ahmadi: “Nel 2007 è cominciato l’esodo dei miei connazionali in fuga dalla guerra causata dalla insurrezione talebana. La cooperativa che gestiva il centro di Tessera mi chiese dunque di lavorare come mediatore culturale per i ragazzi appena arrivati, soprattutto minori dai 15 ai 17 anni”.
Hamed ripercorre insieme a loro la strada che dal Medio Oriente li ha portati in Europa.
Un cammino lungo, che dura tanti mesi e molto costoso, fino a 10mila euro.
“La maggior parte dei profughi non può permettersi di affrontare questo viaggio in una volta sola. Molti si fermano lungo il tragitto, chiedono appoggio a parenti e amici e lavorano per un periodo. È molto comune — racconta il regista — che trovino posto in un ristorante o che per risparmiare imparino a cucinare”.
Hamed chiede agli ospiti del centro di raccontare il viaggio attraverso il cibo, piatti pakistani con influenze turche o pietanze irachene con tracce di Grecia.
Sessanta ricette diverse che Hamed e i ragazzi rivisiteranno fino ad arrivare a un menu di quindici piatti.
“Per avvalorare il risultato della nostra ricerca culinaria, ogni domenica organizzavamo delle feste al centro d’accoglienza e invitavamo alla nostra tavola tutti i cittadini che volevano assaggiare un piatto diverso”, racconta Hamed, che precisa: “Il fenomeno migratorio degli ultimi anni è sempre associato alla tragedia ma chi è riuscito ad arrivare, nonostante le difficoltà , è vivo e non c’è nulla di più vitale del cibo. Mangiare e condividere parte della propria cultura è un modo per rimanere legati alle proprie radici favorendo l’integrazione”.
I veneziani accolgono con entusiasmo le specialità di Ahmadi e i suoi ragazzi e, contatto dopo contatto, con l’aiuto di chi vede la lungimiranza di un progetto, Hamed trova un locale da prendere in affitto e fonda una società .
Ecco come è andata: “Abbiamo aperto Orient experience di Cannaregio nel 2012, in piena recessione, ma grazie a un menu economico e al duro lavoro siamo stati ripagati, il ristoro ha avuto un successo esponenziale e due anni dopo abbiamo inaugurato un altro Orient experience in Santa Margherita. A Natale — spiega Hamed — sarà la volta di Africa experience, stessa formula ma, come suggerisce il nome, il menu seguirà le tappe di un’altra rotta di migranti”.
Ahmadi conclude la sua storia augurandosi che possa essere un esempio positivo e replicabile: “Vorrei che questa idea venisse esportata in tutta Italia. I governi e le istituzioni dovrebbero spingere le persone a ragionare sull’immigrazione anzichè giocare sulla paura dello sconosciuto. Oggi si dice che gli stranieri siano mantenuti dalla collettività e domani che ci rubano il lavoro. L’immigrazione — precisa il regista — è sempre esistita e non dovrebbe essere trattata in termini politici bensì economici. Negli otto mesi trascorsi nel centro d’accoglienza ho calcolato che sono stati spesi per me 10-12mila euro in aiuti. L’anno scorso però, ho pagato 47mila euro di tasse”.
Valentina Avoledo
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Settembre 21st, 2015 Riccardo Fucile
OSPITE IN CITTA’ DI UN CONVEGNO DI PARTITO ESCE CON UN “NON SO NEPPURE DOV’E'”…E IL PUBBLICO NON GRADISCE
«Il centrodestra riparte da Lanciano. Ah, saperlo. Antonio Razzi non lo sapeva».
Sulle tante cose che non sa Antonio Razzi, senatore ex dipietrista e ora convintissimamente berlusconiano («Berlusconi è come la Ferrari», «Se Berlusconi me lo comanda sono pronto a votare Totò Riina»), si potrebbe scrivere un libro.
Per esempio: dov’è Lanciano, di grazia?
«Che ne so io di Lanciano, non so manco dove sta: per venirci ho dovuto mettere il navigatore».
Non era Crozza che imitava Razzi, ma Razzi in persona, ed era proprio a Lanciano, quel sabato 19 settembre: parlava a un incontro ufficiale organizzato da Forza Italia, “Il centro destra riparte da Lanciano”.
Gelo in platea, ovviamente tutta di lancianesi. Come, che ne so io di Lanciano? «E’ stato un apriti cielo. E qualcosa di più: un simpatizzante di Forza Italia, tale Tonino detto il Pesante per la corporatura e non per altro, ex pugile, si è avventato contro il senatore e avrebbe sicuramente menato le mani se non lo avessero fermato», riferisce in “Cose da Razzi” il blog “maperò” della giornalista abruzzese Lilli Mandara.
Chiaro che, a Lanciano, Antonio Razzi rischia di non avere molti voti, alle prossime elezioni. Ma aspettate a ridere.
Perchè qui sotto, forse, c’è del genio. Prima del 19 settembre, infatti, Razzi a Lanciano c’era stato diverse volte: nel luglio dello scorso anno ci aveva portato l’ambasciatore della Corea del Nord in Italia, Kim Chun Guk; nell’aprile scorso, si era fatto notare allo stadio durante Lanciano-Pescara, incontro finito male (0-1) per un Lanciano che però, parola del senatore, «ha giocato bene e meritava il pareggio».
Perchè, allora, sabato ha rischiato di farsi prendere a ceffoni da Tonino detto il Pesante?
E, ancor peggio, giocarsi il voto di una città di 36 mila abitanti? Semplice: come Virna Lisi nella vecchia pubblicità di un dentifricio, con quella bocca Razzi ormai può dire ciò che vuole. Anzi, deve.
E più grossa la spara, meglio è. Sulla sua ignoranza esibita («io Lanciano non so manco dove sta»), sul suo italiano sgrammaticato («quello che io faccio non ho mai pentito»), sulle sue grevità dialettali («fatti li cazzi tua»), persino sulla sua presunta corruzione a opera di Berlusconi («sono stato eletto senatore perchè di fame si muore»), l’astuto Razzi, ex operaio tessitore ed ex emigrante in Svizzera, si è costruito un’epopea, una carriera e un business. Anche fuori dal Parlamento. «Quest’estate, tra Pescara e Francavilla, c’è stata gente, e non poca, disposta a pagare fino a 40 o 50 euro per avere l’onore di andare a cena con lui», racconta Lilli Mandara.
Cosa sono 40 o 50 euro, in fondo, per sentirlo raccontare dal vivo le sue visite ad Arcore, o per vederlo esibire in “Famme cantà ”, la geniale canzone sulle sue gesta politiche che dal 18 febbraio a oggi ha avuto ben 224.784 visualizzazioni su youtube, più altre 1.682 nella versione Beach Remix?
Di quella canzone è stato pure fatto un disco, che lui assicura venduto per beneficenza, e dalla canzone e dal disco sono nate pure delle serate in pubblico.
Più che da politico, ormai, Razzi pensa e si muove da star.
Non si sa chi gli abbia ripulito l’italiano della sua biografia, “Le mie mani pulite” (edizioni Il Borghese).
Sono però le sue sgrammaticature insistite (ci gioca, ormai) e la sua ignoranza esibita (idem) a fargli da vero marchio di fabbrica, quasi da testimonianza di autenticità . Razzi è un testimonial che può vendere di tutto, come il Montepulciano “d’ Abruzzo” o il Pecorino spumante che un’azienda abruzzese commercializza col suo nome, al grido di «Fatti una cantina di Vino Razzi tutta tua, così gli altri sono invidiosi!», «Poi glie lo rivendi a peso t’oro e questi… poh… poh…poh..», «Fai la crana a palate, altro che vitalizio!». Send’ammè.
A 14,90 euro la bottiglia il vino vende bene, tanto che da quest’anno Razzi firmerà pure una nuova linea di olio extravergine e di «prodotti di altissima qualità e prestigio, la Riserva del Senatore».
Ma già pensa ancora più in grande. Libro, canzone, serate, commercio, politica, ancora non gli bastano: all’orizzonte ha agli affari con la Corea del Nord, di cui vanta urbi et orbi le «serre di pomodori grandissime, mai viste di così grandi» che i maligni scambiano «per lager».
E’ un grande amico del regime di Kim Jong-un, e agli amici assicura che, un giorno o l’altro, l’embargo contro Pyongyang finirà .
Bene, quel giorno lui sarà lì, pronto a fare da tramite per gli imprenditori interessati a quel grande mercato vergine.
Perchè «Io mi faccio li cazzi mia». S’era capito, no? Anche se, ripete lui, «disinteressatamente».
Anna Morgantini
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Settembre 21st, 2015 Riccardo Fucile
HA AMMESSO DI AVER FALSIFICATO I DATI GRAZIE A UN SOFTWARE CHE ALTERAVA I TEST
Volkswagen rischia fino a 18 miliardi di dollari di multa negli Stati Uniti, il grande mercato dove già è in difficoltà .
Per Martin Winterkorn, numero uno del colosso di Wolfsburg destinato a rimanere al timone fino al 2018 dopo aver vinto il “braccio di ferro” con il patriarca Ferdinand Piech, e per Herbert Diess, l’ex top manager Bmw da qualche mese a capo del marchio VW, una grana di proporzioni colossali.
Anche perchè la notizia dell’inchiesta delle autorità americane dell’Environmental Protection Agency (EPA) si è abbattuta mentre il gruppo esibiva al Salone di Francoforte il suo volto migliore — nuovi modelli e più ecologici — dopo aver chiuso il semestre inaugurale del 2015, per la prima volta nella storia, in testa alla classifica di vendite grazie al sorpasso a spese di Toyota.
Secondo l’Epa, il gruppo aveva impiegato un particolare software che permetteva di ottenere dati in linea con i parametri richiesti per i veicoli a gasolio solo nel corso dei test, mentre nella guida reale le emissioni reali potevano superare fino a 40 volte quelli dichiarati.
Poco meno di un anno fa, Hyundai e Kia erano state multate per dati non veritieri con un’ammenda di 100 milioni di dollari: si trattava della più alta sanzione mai comminata per un’infrazione di questo genere.
La possibile cifra che Volkwagen rischia di pagare fa impallidire rispetto a quella versata dai coreani.
“Mi rincresce profondamente aver deluso i nostri clienti e l’opinione pubblica”, ha dichiarato Winterkorn. Il caso è stato elevato a “priorità assoluta” dallo stesso numero uno, che potrebbe venire chiamato a rispondere personalmente poichè è stato responsabile del marchio per anni.
Oltreoceano è stata già bloccata la vendita di alcuni modelli a gasolio.
A giudizio di Ferdinand Dudenhà¶ffer, studioso ed esperto del ramo automotive, il ruolo di Winterkorn non è sostenibile per il gruppo perchè o sapeva della manipolazione oppure i suoi manager gliela tenevano nascosta, due situazioni non compatibili con il suo mandato di CEO.
“Nessun politico potrebbe rimanere al suo posto in circostanze come queste”, ha ammonito Dudenhà¶ffer.
Volkswagen ha fatto sapere di collaborare con le autorità : un atteggiamento che solitamente contribuisce almeno a ridurre l’impatto della sanzione.
Secondo la normativa americana, inasprita dopo la vicenda che ha riguardato General Motors (che ha appena accettato di pagare una multa di 900 milioni, che molti osservatori ritengono insolitamente bassa), per ogni vettura coinvolta la sanzione può raggiungere i 37.500 dollari.
I modelli per i quali sarebbe stato impiegato il sistema in grado di “taroccare” i dati sarebbero Jetta, Passat, Beetle, Golf e anche Audi A3 (lo riferisce la Sueddeutsche Zeitung) prodotti tra il 2009 ed il 2015 per un totale di 482.000 unità .
Volkswagen ha ammesso la contestazione (“i fatti sono veri”).
Si tratterebbe di una violazione del “Clean Air Act”. Cynthia Giles, portavoce dell’EPA, ha già stigmatizzato il comportamento del costruttore tedesco. Parlando del software, ha dichiarato che “impiegare simili metodi per aggirare i parametri sulla protezione ambientale è illegale e significa mettere a rischio la salute pubblica”.
Lo “scandalo Volkswagen” è una delle notizie principali in Germania, dove si aprono nuovi interrogativi.
E cioè se il software sia stato sistematicamente impiegato anche altrove e per altri modelli e se in altri paesi verranno svolte verifiche.
Una situazione pesante per Volkswagen e, in particolare, per i modelli alimentati a gasolio.
Un colpo durissimo all’immagine di efficienza e di credibilità della Germania dell’auto o, almeno, del suo marchio più venduto. Che negli Stati Uniti ha contabilizzato da inizio anno una flessione del 2,8%.
Oltre alla multa, Volkswagen deve dare per scontata anche una causa collettiva (class action) da parte dei consumatori, così come un tracollo in borsa.
Lunedì mattina il titolo è scivolato fino a -22% sul listino di Francoforte, per attestarsi poi su -20 percento: è il peggior tracollo mai registrato da ottobre 2008.
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Settembre 21st, 2015 Riccardo Fucile
IL RAPPORTO DELLA GDF E DELLA CORTE DEI CONTI RIVELA ENORMI LIVELLI DI CORRUZIONE IN TUTTI I SETTORI, MA LA DESTRA IN ITALIA STA A PARLARE DEI PROFUGHI
In appena sei mesi hanno sottratto allo Stato oltre tre miliardi di euro.
Sono 4.835 dipendenti pubblici che hanno rubato o sperperato i soldi della collettività . Funzionari, medici, politici, impiegati di primo livello: tutti citati adesso in giudizio dalla Corte dei conti, chiamati a restituire il maltolto.
È il rapporto della Guardia di Finanza sui danni erariali contestati tra il 1 gennaio e il 30 giugno 2015 a rivelare quanto profondo sia il «buco» nei conti causato dai lavoratori infedeli.
Con un dato che fa impressione: più di un miliardo di euro è stato perso con la cattiva gestione del patrimonio immobiliare.
Case concesse in affitto a prezzi stracciati, terreni mai utilizzati, edifici svenduti rappresentano la voce più consistente della relazione.
Corrotti e truffatori
Sono 1.290 le segnalazioni inviate dalla magistratura ordinaria o direttamente dagli stessi finanzieri ai giudici contabili.
I numeri dimostrano come nei primi sei mesi di quest’anno ci sia stata una vera e propria impennata con contestazioni pari a un miliardo e 357 milioni di euro, il 13 per cento in più di tutto il 2014.
Vuol dire che aumenta il malaffare, ma anche che l’attività di controllo delle Fiamme gialle diventa più incisiva, si concentra in quei settori ritenuti maggiormente a rischio rispetto alla possibilità di un arricchimento personale.
Le accuse per i dipendenti pubblici sono corruzione, concussione, truffa, ma anche turbativa d’asta, appropriazione indebita, abuso d’ufficio.
Nell’elenco compare anche chi, per inerzia o incapacità ha provocato un disservizio e quindi deve essere sanzionato.
Appartamenti a 7 euro
Sono migliaia gli immobili dai quali lo Stato potrebbe ricavare guadagno e invece si trasformano addirittura in un costo.
Un capitolo a parte riguarda le case popolari.
Da Lecce ad Aosta i finanzieri sono impegnati in indagini e verifiche per stanare i morosi e tutti i privati che versano canoni irrisori. Perchè in questi casi bisogna accertare se si tratti esclusivamente di cattiva gestione o se, come è stato scoperto in Puglia, la concessione dell’immobile sia in realtà una contropartita, ad esempio per ottenere voti alle elezioni.
I casi sono diversi, la somma provoca una voragine nei conti.
C’è il Comune in provincia di Bolzano che non riscuote l’affitto per l’occupazione di suolo pubblico e perde 350 mila euro, ma c’è anche il direttore dell’Agenzia territoriale di Asti noto per l’accusa di aver sperperato 9 milioni di euro.
È ancora in corso la verifica sulle case del Comune di Roma affittate a sette euro al mese, e quella sul patrimonio dell’Inps, ma è già finita l’indagine sul Comune di Nepi, in provincia di Viterbo, dove «reiterati episodi di “mala gestio” tramite una serie di artifizi, raggiri e ammanchi di cassa al patrimonio» avrebbero causato un danno di un milione e 200 milioni di euro».
I manager della sanità
Quello della sanità si conferma un settore dove continuano sprechi e abusi, non a caso in appena sei mesi il danno contestato supera gli 800 milioni di euro.
Gli investigatori delle Fiamme gialle hanno aperto 264 pratiche, 2.325 sono le persone denunciate o arrestate.
Un accertamento svolto in 18 Regioni dal «Nucleo speciale spesa pubblica» della Finanza ha consentito di individuare 83 dirigenti medici che hanno provocato un danno al servizio sanitario di 6 milioni di euro.
Due le contestazioni principali: «Mancato rispetto degli obblighi di esclusività delle prestazioni da parte dei dirigenti medici per aver accettato incarichi extraprofessionali non autorizzati preventivamente dall’ente di appartenenza e impiego presso altre strutture private convenzionate».
All’ospedale di Gallarate, in provincia di Varese, è stato raddoppiato il valore di un appalto a una società esterna incaricata della manutenzione passando da 15 milioni e mezzo di euro a ben 36 milioni per poter – questa è l’accusa per i manager dell’azienda sanitaria – ricavare una sostanziosa «cresta».
I corsi di formazione
La creatività nel settore della Pubblica amministrazione evidentemente non ha limiti.
E così è diventato un caso da manuale quello del dipendente di un ente di Catanzaro che per sette anni ha percepito stipendio e pensione.
Pochi giorni dopo essere stato congedato per limiti d’età e aver cominciato a incassare l’assegno dell’Inps «ha presentato domanda di riammissione in servizio presso la sua azienda confidando che le esigenze di organico gli avrebbero consentito di tornare immediatamente al proprio posto, cosa che è effettivamente accaduta».
Il problema è che nessuno tra i dirigenti si è preoccupato di segnalare la nuova assunzione all’Istituto previdenziale e l’uomo ha incassato illecitamente ben 700 mila euro.
Quello dei mancati controlli è uno dei problemi che emerge con evidenza nel dossier della Guardia di Finanza perchè provoca danni immensi.
Basti pensare a quanto accaduto in Sicilia con 47 milioni di euro sprecati tra il 2006 e il 2011 per corsi di formazione finanziati con soldi pubblici e in realtà mai svolti.
La Polonia e i treni
Emblematico è il caso scoperto a Bari dove i manager delle Ferrovie Sudest hanno speso 912 mila euro per l’acquisto di 25 carrozze passeggeri, le hanno rivendute a una società polacca «incaricata di eseguire interventi di ristrutturazione per 7 milioni di euro» e qualche tempo dopo hanno deciso di riacquistarle a 22 milioni e mezzo di euro provocando un danno alla società pubblica che la Corte dei conti ha stimato in oltre 11 milioni di euro.
Fiorenza Sarzanini
(da “il Corriere della Sera”)
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