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DIRITTI DEI FIGLI, QUANTA IPOCRISIA

Febbraio 1st, 2016 Riccardo Fucile

LA LEGGE SULLE UNIONI CIVILI RIPARA SOLO A UNA INGIUSTIZIA E L’ADOZIONE COPARENTALE TUTELA BAMBINI CHE GIA’ ESISTONO

Erano tutti convinti, sabato al Family Day, che riconoscere giuridicamente le unioni civili significa distruggere la famiglia tradizionale e mettere in pericolo i bambini Erano tutti persuasi che la paternità  e la maternità  sono sempre e solo biologiche.
«I figli sono un dono», recitava uno degli slogan. «L’unico diritto dei figli è avere un papà  e una mamma», diceva un altro.
Ma cos’è mai questa famiglia tradizionale? Quali bambini sarebbero in pericolo?
Quando si parla di unioni civili, la confusione e i malintesi sono molti.
Non solo e non tanto perchè la legge in discussione in questi giorni in Parlamento ha come unico scopo quello di riparare un’ingiustizia, ossia di permettere a tutte e a tutti di condividere gli stessi diritti e gli stessi doveri indipendentemente dal proprio orientamento sessuale, ma anche e soprattutto perchè la norma che riguarda direttamente i figli, ossia la stepchild adoption (l’adozione coparentale) cerca solo di proteggere tutte quelle bambine e tutti quei bambini che già  esistono, già  vivono all’interno di famiglie omogenitoriali, già  crescono e sono accuditi da due uomini o da due donne.
Sono quindi già  parte della realtà . Solo che, a differenza di tutti gli altri bimbi, non sono giuridicamente protetti.
Legati biologicamente solo a uno dei due genitori, ma affettivamente a entrambi, questi bambini non hanno la certezza, qualora dovesse accadere qualcosa al padre o alla madre naturale, di poter continuare a vivere con l’altro genitore.
Esattamente come non hanno il diritto, in caso di separazione, di continuare a essere accuditi dal compagno o dalla compagna del padre o della madre come accade invece ai figli delle persone eterosessuali.
Di cosa stiamo parlando, allora, quando si parla dei diritti dei bambini
È facile rispondere che i genitori avrebbero dovuto pensarci prima. È facile ribattere che la natura impone dei limiti e che i figli nascono sempre e solo da un uomo e da una donna. È facile parlare di “bimbi comprati” e di “donne sfruttate” facendo un corto-circuito tra famiglie omogenitoriali e gestazione per altri.
Lo sanno tutte queste persone che si scandalizzano e scagliano la pietra che la stragrande maggioranza delle coppie che hanno ricorso alla gestazione per altri sono eterosessuali e che, in quel caso, la stepchild adoption è già  possibile?
Lo sanno che, una volta nati, i bambini non possono essere considerati responsabili del modo con cui sono venuti al mondo e pagare le eventuali colpe dei propri genitori?
Lo sanno che, ammesso e non concesso che la gestazione per altri sia problematica dal punto di vista etico, tanti di questi bambini non sono il frutto di questa pratica?
Ma forse la questione più spinosa è un’altra.
Visto che dietro l’enorme ostilità  che si manifesta ogniqualvolta si parli di famiglie omogenitoriali si nascondono non solo i pregiudizi nei confronti dell’omosessualità , ma anche la tendenza a ridurre la maternità  e la paternità  alla biologia, come se il legame genetico si traducesse automaticamente nella capacità  di essere padre o madre.
Mentre lo sappiamo ormai da tempo che la paternità  e la maternità  sono dei ruoli, che una madre adottiva o un padre adottivo – che non hanno quindi nessun legame biologico con i figli – sono i veri genitori, e che non basta mettere al mondo un figlio per poi essere capace di riconoscerlo e di amarlo, e quindi di diventare padre o madre.
Certo, nessuno nega che i figli siano un dono e non un diritto. È un dono, per una donna, ritrovarsi incinta. Esattamente come è un dono raccogliere la vita di quel figlio per evitare che cada nel vuoto del non senso, che è poi una delle definizioni più belle della maternità  che ci viene dalla psicanalisi. È un dono diventare padre.
Esattamente come è un dono aiutare i figli a coniugare la legge con il desiderio, che è poi quello che ci spiega ancora una volta la psicanalisi parlando della paternità .
Ma come ogni dono, c’è chi lo riceve senza merito e senza sforzo – quante sono quelle coppie che diventano genitori per caso, solo perchè è successo, oppure che, decidendo di avere un figlio per riempire un vuoto o realizzare un sogno, lo hanno subito, senza problemi e senza attendere? – e c’è chi invece, indipendentemente dal proprio orientamento sessuale visto che esistono anche tante coppie eterosessuali sterili, deve lottare per anni, talvolta scontrandosi contro il muro della realtà , talvolta inventandosi un modo per strapparlo questo benedetto dono, e poi mostrarsi all’altezza degli sforzi fatti.
Avendo la consapevolezza che nessun bambino sceglie la famiglia in cui si ritrova. E ha tutti i diritti, certo. Primo tra i quali quello di essere accettato per quello che è, senza che i genitori gli chiedano o gli impongano di essere altro.
Ma questo è vero sempre. Indipendentemente dal genere o dall’orientamento sessuale dei propri genitori.

Michela Marzano
(da “La Repubblica”)

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I PICCIONI E LA FAVA: IL DIRITTO E’ A FAVORE DELLE UNIONI CIVILI

Febbraio 1st, 2016 Riccardo Fucile

ANZICHE’ NEGARE DIRITTI ALLE COPPIE DI FATTO, SAREBBE OPPORTUNO ALLARGARE LE OPPORTUNITA’ A QUELLE SPOSATE

C’era molta gente ieri al Family Day. Non i 2 milioni sbandierati dagli organizzatori, ma tanti. Tutti omofobi, fanatici, oscurantisti, sanfedisti? No di certo, anche se la presenza dei Gasparri, dei Giovanardi, dei Brunetta (ma non era socialista?) e dei Galletti (ministro del governo che dice di volere le unioni civili) lo faceva pensare.
Tutti ignoranti? In parte no, ma in parte anche sì a giudicare dagli slogan contro l’utero in affitto e l’eugenetica (non solo non previsti, ma esclusi e vietati dalla legge Cirinnà ).
Ora si dice che il Parlamento non può ignorare e deve ascoltare quella piazza.
Giusto, anche se a dirlo sono quelli che non hanno mai ascoltato le piazze altrettanto affollate che chiedevano una legge sul conflitto d’interessi, una Rai senza partiti, una seria lotta a corruzione ed evasione, e urlavano No all’abolizione dell’art. 18, alla cosiddetta “Buona scuola”, al Tav Torino-Lione, alle trivelle e ai gasdotti nei paradisi naturali.
Ma ascoltare non significa ubbidire.
La politica è l’arte della scelta e il momento della decisione, purchè in sintonia con il diritto e con il volere della maggioranza degli elettori.
Ora, il diritto — italiano e internazionale — è a favore delle unioni civili: ce lo dicono la Consulta, dunque la Costituzione, e la Corte europea di Strasburgo.
E le ultime elezioni le hanno vinte Pd+Sel e M5S, favorevoli alle unioni civili, mentre i contrari (centro e destra) le hanno rovinosamente perse e il cardinal Bagnasco sventuratamente non era candidato.
Quindi, Family Day o meno, la Cirinnà  va approvata subito così com’è senza tante storie: quando andrà  sulla Gazzetta Ufficiale sarà  sempre troppo tardi, visto che siamo rimasti l’unico paese d’Europa a negare i diritti elementari alle coppie gay.
Diritti che non tolgono nulla a quelle tradizionali: realizzano il principio di eguaglianza senza danneggiare nessuno.
Come si fa ad ascoltare la piazza di ieri senza ubbidirle?
Si parte dalle ragioni più serie delle famiglie tradizionali, che sfogano su un falso obiettivo (le coppie gay) la sacrosanta rabbia contro una politica che le ignora.
L’Italia, quasi sempre governata da cattolici veri o presunti (gli unici premier repubblicani dichiaratamente agnostici in 70 anni furono Spadolini, Craxi, Amato e D’Alema), è il fanalino di coda in Europa per le politiche a sostegno della famiglia.
Vi investe appena l’1% del Pil contro l’1,7% della media europea. Meno del 12% dei bimbi da 0 a 2 anni usufruisce di un asilo nido comunale.
Le madri con figli (tasso di attività  del 63%) hanno molta più difficoltà  a lavorare di quelle senza (82%). Una donna incinta su 4 perde il lavoro dopo il parto.
Del resto, la spesa pubblica per i disoccupati è metà  della media europea: 2,9% del Pil contro 5,6.
Nessuno stupore se metter su famiglia è un lusso per pochi e se, con 8,5 bambini ogni mille abitanti, siamo in fondo pure alla classifica Ue della natalità .
Anzichè negare i diritti alle coppie di fatto, sarebbe doveroso allargare le opportunità  per quelle sposate.
E, anzichè lanciare allarmi terroristici sull’utero in affitto, snellire le procedure per le adozioni, talmente difficili in Italia da essersi dimezzate in 10 anni.
Dopodichè, su questa litania di “ascoltare la piazza”, bisognerà  intendersi una volta per tutte.
Da tre anni prima Napolitano, poi Letta e infine Renzi ci rompono i timpani e le palle con la Grande Riforma Costituzionale che “gli italiani attendono da 30 anni”, o forse “da 70” (come dicono Renzi e la Boschi, ignari del fatto che la Costituzione entrò in vigore 68 anni fa). Ammesso e non concesso che milioni di italiani da decenni cingano d’assedio il Parlamento invocando un bel Senato pieno di sindaci e consiglieri regionali, nominati dalle Regioni cioè dal peggio della partitocrazia italiota, che ogni tanto vanno a Roma a fare il dopolavoro a nome di non si sa bene chi, in aggiunta a una Camera farcita di nominati dalle segreterie dei partiti, ora finalmente la Grande Riforma ha passato l’ultima lettura e può essere valutata a bocce ferme.
Il primo sondaggio, sul Corriere di ieri, è quello dell’Ipsos di Nando Pagnoncelli: il 21% è per il Sì, il 16 per il No, il 9 indeciso e il 54 non vota e/o non ha un’idea.
Solo il 7% conosce nel dettaglio la riforma, che non ha la maggioranza neppure fra gli elettori del Pd (40% Sì, 7 No, 7 indecisi, 45 astenuti e/o agnostici).
È vero che chi non va a votare non conta nulla: il referendum costituzionale oppositivo non ha quorum.
Ma si può serenamente dire che gli italiani — con buona pace di Renzi, Boschi & Napolitano — non attendevano la riforma nè da 30, nè da 70 anni: non glien’è mai fregata una cippa.
Tanto per dire l’abisso che separa il governo dai cittadini e la colossale vaccata fatta dal premier annunciando le dimissioni in caso di vittoria del No.

Marco Travaglio
(da “il Fatto Quotidiano“)

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FINANCIAL TIMES: “LA SOSTENIBILITA’ DELL’ITALIA NELL’EUROZONA E’ INCERTA”

Febbraio 1st, 2016 Riccardo Fucile

“PRODUTTIVITA’ FERMA DA 15 ANNI, ALTO DEBITO PUBBLICO, SISTEMA BANCARIO CON 200 MILIARDI DI CREDITI DETERIORATI”

L’Italia nell’Eurozona? La sua sostenibilità  a lungo termine è incerta, un po’ come quella della Grecia.
A scriverlo sulle colonne del Financial Times è Wolfgang Munchau.
L’analista tedesco mette in evidenza come, dopo le turbolenze della Grecia, in difficoltà  sia dal punto di vista economico sia da quello della gestione dell’immigrazione, il sistema europeo potrebbe essere messo a rischio anche dall’Italia. Oltre ai punti critici, Munchau parla anche degli sforzi del governo italiano nel cercare un’inversione di rotta alzando la voce nei confronti di Bruxelles e di Berlino.
La Grecia può essere l’esempio più brutale, ma non è l’unico paese esposto a crisi sovrapposte. Non è nemmeno il più importante davanti a questo dilemma. Questo sarebbe l’Italia.
Mentre i problemi di Roma sono diversi da quelli della Grecia, la sostenibilità  a lungo termine del paese nella zona euro è allo stesso modo incerta, a meno che non si creda che la sua performance economica possa miracolosamente migliorare quando non c’è nessun motivo per farlo.
Secondo il Financial Times l’Italia è in affanno nell’affrontare il nodo immigrazione e la crisi del sistema bancario.
L’Italia è stata sopraffatta dalla crescita di profughi provenienti dal Nord Africa lo scorso anno.
Oltre a questo, l’Italia si trova ad affrontare problemi economici irrisolti – la crescita della produttività  ferma per 15 anni; un grande debito pubblico che lascia il governo praticamente senza margine di manovra; e un sistema bancario con 200 miliardi di crediti deteriorati, più altri 150 miliardi di debito classificato come problematico. Bisogna poi prendere in considerazione che i tre principali partiti di opposizione hanno, in vari momenti , messo in discussione l’appartenenza del paese all’Eurozona. Anche se nessuna di queste forze politiche sembra avere possibilità  di arrivare al futuro nel prossimo futuro, è chiaro che l’Italia ha un tempo limitato per risolvere i suoi molteplici problemi.
Dopo aver elencato come Roma sta affrontando le questioni economiche, e non giudicandole particolarmente efficienti, l’editorialista del Finacial Times ricorda come il governo italiano si stia rapportando con le istituzione europee, anche sulla questione migranti.
Ci sono segnali che ci dicono che la pazienza dell’Italia con la Ue e la Germania, in particolare, si sta esaurendo. Il primo ministro Matteo Renzi ha attaccato apertamente le politiche della Ue in materia di energia, sulla Russia, sul deficit di bilancio e sul dominio tedesco dell’intero apparato.
Non è solo la crisi dell’euro che ha portato l’Italia sull’orlo di mettere in discussione la sua posizione nell’Eurozona. Si tratta di una combinazione di più crisi ed è probabile che crescerà  dal dibattito sulla Brexit.

(da “Huffingtonpost”)

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“SPARARE AI PROFUGHI”: SDEGNO IN GERMANIA PER L’INFAME PORTAVOCE DI ALTERNATIVE FUER DEUTSCHLAND

Febbraio 1st, 2016 Riccardo Fucile

FRAUKE PETRY, LEADER DELL’ULTRADESTRA, SOTTO ACCUSA: “ABBIAMO GIA’ VISSUTO UNA PAGINA BUIA IN PASSATO, PAROLE INUMANE”

Sdegno in Germania per le dichiarazioni della leader del partito di estrema destra “Alternative fuer Deutschland” Frauke Petry secondo la quale la polizia dovrebbe essere autorizzata a sparare contro i profughi che cercano di entrare nel Paese.
Dichiarazioni che hanno provocato l’immediata reazione del vicecancelliere Sigmar Gabriel, il quale ha detto di avere «enormi dubbi» sul sostegno dell’Afd al «libero ordine democratico».
“L’agenzia che in Germania controlla gli estremisti, ha aggiunto, dovrebbe tenere d’occhio il partito”.
Frauke Petry aveva dichiarato al quotidiano Mannheimer Morgen che la polizia «dovrebbe mettere fine agli ingressi illegali alle frontiere, anche facendo uso delle armi da fuoco».
Joerg Radek, vice presidente di un sindacato di polizia, ha definito le dichiarazioni di “Petry” «radicali e inumane» e l’ha accusata di cercare «di sfruttare la polizia».
«È qualcosa che la Germania ha già  vissuto nella sua storia e non vogliamo che avvenga più», ha aggiunto Radek.
Ieri, invece, Angela Merkel aveva previsto che molti degli 1,1 milioni di profughi giunti lo scorso anno in Germania dalla Siria e dall’Iraq torneranno nel loro paese una volta finita la guerra.
Parlando a membri della Cdu nella città  di Neubrandenburg, la Cancelliera ha detto che ci fu un’esperienza analoga con i profughi giunti in Germania dai Balcani negli anni Novanta. «Ci aspettiamo che, se ci sarà  di nuovo la pace in Siria e se l’Isis sarà  sconfitto in Iraq, torneranno in patria con la conoscenza acquisita qui», ha affermato.

(da agenzie)

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IL PAPA IGNORA IL FAMILY DAY: ECCO I TRE MOTIVI

Febbraio 1st, 2016 Riccardo Fucile

IL GRANDE FREDDO TRA FRANCESCO, IL FAMILY DAY E I VESCOVI…PAPA FRANCESCO NON INTENDE FARSI MANIPOLARE DAI POLITICI PRESUNTI CATTOLICI A CORRENTE ALTERNATA

I giorni della merla del gennaio 2016 vedono andare in scena il grande freddo tra papa Francesco e il Family Day, e in qualche modo anche tra il papa e i vescovi italiani.
Il papa avrebbe avuto occasione di parlare del Family Day prima e anche dopo la manifestazione di ieri al Circo Massimo.
Ma anche all’Angelus di oggi domenica 31 gennaio il papa non ha fatto menzione alcuna di un evento ispirato dai vescovi e guidato dal movimentismo cattolico che si oppone alla legge sulle unioni omosessuali.
Al contrario, all’Angelus Francesco ha sottolineato che “nessuna condizione umana esclude dall’amore di Dio” (lo ha ripetuto due volte).
Tra i molti possibili motivi di questa distanza tra il papa e un evento auspicato e benedetto dai vescovi italiani, ce ne sono tre di particolare importanza.
Il primo è che papa Francesco evita qualsiasi occasione che possa prestarsi a una manipolazione politica della sua persona e parola: uno sguardo alla provenienza ideologica dei politici al Circo Massimo ieri (la stessa di quella del Family Day 2007, tranne Matteo Renzi che allora sostenne la manifestazione) fa capire perchè.
Il secondo motivo è che il linguaggio e lo stile di papa Francesco sono molto diversi da quelli visti al Family Day, nonostante il tentativo degli organizzatori di dare un messaggio positivo e non “contro” qualcuno.
Il terzo motivo è che papa Francesco ha ridefinito il suo rapporto con i movimenti cattolici in generale: nei suoi discorsi ai movimenti (CL, Neocatecumenali, etc.) Francesco ha sempre invitato queste aggregazioni a non costruirsi come èlite separate. La chiesa di Francesco è una chiesa di popolo e non di èlite politiche o culturali.
Questo detto, la settimana appena passata – il Consiglio permanente CEI, il Family Day, e l’Angelus del papa – ha dato il quadro di una chiesa italiana dal volto profondamente diverso rispetto a solo pochi anni fa.
È una situazione di grande ambiguità  da un lato e di grandi possibilità  dall’altro.
I vescovi italiani hanno dato sostegno al Family Day, ma senza comparire direttamente.
Gran parte dei movimenti ecclesiali hanno declinato l’invito ad andare al Family Day (CL, Agesci, Focolari), ma altri movimenti sono andati, come sono andati a Roma anche membri di quei movimenti che ufficialmente non c’erano (come i ciellini).
I Neocatecumenali sono parte dell’anima del Family Day ma il fondatore Kiko Arguello non si è visto (e ha accusato di essere stato censurato) data la gaffe (per così dire) di cui si era reso protagonista qualche mese fa.
A questo punto, in una chiesa ancora in gran parte plasmata culturalmente dal trentennio di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, è lecito chiedersi ora chi siano i cattolici di papa Francesco.
Non sono i vescovi, o almeno non la maggior parte di essi.
Non sono i cattolici organizzati in associazioni e movimenti che scendono in piazza, visto che usano slogan e parole d’ordine che non fanno parte dello stile di Francesco. Non sono i politici, visto che papa Francesco tiene molto alla distanza tra il papato e la politica interna italiana.
Il Family Day ha menzionato pochissimo papa Francesco, e Francesco non ha mai menzionato il Family Day.
L’elezione di Francesco e il suo pontificato hanno chiuso l’era del linguaggio dei “valori non negoziabili” e dell’omosessualità  come “intrinsecamente disordinata”.
Ma una parte del cattolicesimo italiano è ancora legata a quelle parole d’ordine: i vescovi sono in mezzo al guado tra un laicato organizzato che ancora crede nelle tattiche del trentennio precedente, e un papa che sta innovando profondamente non solo il linguaggio ma anche le priorità  dell’azione pubblica della chiesa, nonchè il ruolo del papato all’interno della chiesa.

M. Faggioli
(da “Huffingtonpost“)

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