Giugno 30th, 2016 Riccardo Fucile
LA POLITICA STA IMPLODENDO, L’ECONOMIA INCERTA, IL PAESE DIVISO… E SONO AUMENTATI GLI EPISODI RAZZISTI DEL 57% IN POCHI GIORNI
La politica sta implodendo, l’economia è incerta e il Paese è diviso.
Da quando il Regno Unito ha deciso di uscire dall’Ue, sono emersi vari video e testimonianze di casi di razzismo.
Forse il più scioccante è successo martedì mattina alle 07:40 su un tram a Manchester, nel nord dell’Inghilterra.
Ora di punta, il tram è pieno e 3 ragazzi, che sembra stiano bevendo birra, iniziano ad abusare verbalmente un uomo che li aveva criticati per il loro comportamento turbolento. Il tono è aggressivo e gli insulti pesanti. “Scendi da questo tram! Tornatene in Africa” e “Non rompere se no ti deportiamo”.
L’uomo in questione ha un accento chiaramente americano o canadese ed è un professore universitario che vive in UK da 18 anni. Ha anche 7 anni di esperienza nell’esercito americano e non si fa intimidire facilmente.
Gli altri passeggeri sono visibilmente impauriti ma alla fine cacciano i ragazzi dal tram gridando “Siete una vergogna per l’Inghilterra”. I tre giovani sono stati arrestati poco dopo.
Scioccante ma apparentemente non un caso isolato negli ultimi giorni. Sima Kotechi, giornalista per la BBC di origine asiatica, durante una intervista si è sentita dire la parola Pa*i – termine molto offensivo per descrivere una persona di origine pakistana. La reporter, che era nella sua città natale di Basingstoke a un’ora da Londra, ha detto che non sentiva quella parola dagli anni ’80.
Un centro culturale polacco a Londra è stato vandalizzato, e dei volantini con la scritta ‘fuori dall’UE – niente più carogne polacche’ sono state distribuite a Huntingdon, nella provincia di Cambridge.
Una reporter araba, che stava facendo una diretta TV fuori dal parlamento, è stata accostata da una donna di mezza eta’ che le ha detto “Abbiamo votato OUT e ora voi musulmani dovete andarvene”.
Una mia conoscente americana e’ scesa da un taxi in lacrime dopo che il tassista le ha detto in faccia che stranieri come lei non erano benvenuti in Inghilterra. Sempre per strada, in un litigio fra autisti uno dice all’altro di ‘tornare a casa” anche dopo che quest’ultimo spiega di essere nato in Gran Bretagna.
È difficile stabilire se ci sia veramente un aumento di razzismo o se sia aumentata l’attenzione.
Il Consiglio Nazionale dei Capi di Polizia (National Police Chiefs Council) ha detto che sul loro sito c’è stato un aumento di segnalazioni di Hate Crimes (crimini di odio – una categoria specifica in UK che include razzismo, omofobia, attacchi verso i disabili o qualsiasi crimine che sia specificamente motivato dal pregiudizio) del 57% dopo il referendum paragonato al mese precedente.
Ma anche loro ammettono che questi dati non sono abbastanza ampi o dettagliati per rappresentare il quadro nazionale.
Indubbiamente e’ in aumento la paura. Dagli italiani su Facebook che non si sentono più i benvenuti, alla signora anziana nata in Germania che si e’ messa a piangere in diretta telefonica con la radio LBC di Londra, dicendo che dopo aver vissuto qui per decenni ora aveva paura di uscire di casa.
Il Regno Unito non è cambiato il giorno dopo il referendum. Non sono nati nuovi razzisti, ma quelli che già lo erano si sentono sicuramente giustificati dalla decisione di uscire dall’Unione.
La loro ignoranza è evidente. Americani e britannici di origine musulmana non c’entrano niente con l’immigrazione massiccia dai paesi UE degli ultimi anni.
I gruppi più numerosi sono polacchi, rumeni e italiani, tutti prevalentemente cristiani. E questi esempi di ignoranza sicuramente non fanno di tutti quelli che hanno votato OUT dei razzisti.
Anche se le analisi del voto mostrano che la maggior parte del 52% OUT erano anziani, fuori Londra e con un livello basso di istruzione, conosco tantissimi londinesi benestanti, giovani e multiculturali che hanno comunque votato per uscire.
C’è sempre stato un forte sentimento anti-europeo nel Regno Unito e per quanto la questione dell’immigrazione abbia giocato un ruolo chiave, non e’ l’unica ragione per la quale il paese ha deciso di lasciare l’Unione Europea.
Il problema ora è che il risultato, e mesi di campagna elettorale controversa sull’immigrazione, sembrano aver aperto lo scrigno di Pandora.
C’è una sottile ironia nel vedere certi giornali che per mesi hanno urlato titoli allarmisti sull’immigrazione ora chiedere che tutti mantengano la calma.
Ma la calma è scarsa nel Regno Unito in questi giorni.
La politica sta implodendo, l’economia è incerta e il Paese è diviso. Ci sono tensioni e litigi per strada, al lavoro e anche in famiglia.
Chi voleva rimanere è disperato. Chi ha votato per uscire non apprezza l’etichetta di vecchio razzista ignorante.
Manifestazioni e petizioni per un secondo referendum sono inutili e potrebbero ulteriormente infiammare le tensioni visto che il risultato del referendum è chiaro e incontestabile.
Gli inglesi hanno vari difetti ma solitamente sono molto pragmatici.
Speriamo che questa qualità li aiuti nei prossimi mesi. Ne avranno bisogno.
Barbara Serra
Conduttrice Al Jazeera English
(da “Huffingtonpost”)
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Giugno 30th, 2016 Riccardo Fucile
“CHI E’ DI SPIRITO LIBERALE DEVE PENSARE AL DIALOGO”
È stato sempre vicino all’amico Silvio Berlusconi, ancora in fase di convalescenza dopo l’operazione al cuore.
Ora Fedele Confalonieri può sorridere e dire che “Berlusconi si sta riprendendo bene” ed è pronto a rientrare in campo. “Non è vero niente” replica il presidente di Mediaset a chi gli chiede di commentare le voci insistenti di una sua gestione diretta di Forza Italia insieme con Gianni Letta e Niccolò Ghedini.
In un’intervista alla Stampa, Confalonieri fa capire che la carriera politica di Silvio Berlusconi non è al capolinea. Anzi, può vivere una nuova stagione, anche bisogna vedere se la fatica e lo stress della politica saranno compatibili con le sue condizioni di salute.
“Penso che il Cavaliere debba tornare al suo ruolo di leader politico. So che tanti che gli sono vicini non la pensano così, ma sono convinto che il Paese abbia ancora bisogno di lui” […] “È stata un’operazione davvero impegnativa, ve lo immaginate che cosa vuol dire essere squartati per un intervento al cuore? Però è andata bene e la ripresa è incoraggiante. Guardi, conosco una persona di 75 anni che ha avuto lo stesso problema e dopo due mesi guidava l’auto. Altri ci hanno messo di più, però tutti dopo 6 mesi stavano meglio di prima”.
Confalonieri non entra nel merito delle cronache che parlano dello smantellamento del cerchio magico. Ma riflette sulle responsabilità di chi ha chiesto troppo a Berlusconi.
“Hanno abusato delle sue forze, facendogli fare comizi anche in piccoli centri quando già aveva problemi alla valvola mitralica” […] “Immagino un partito strutturato in maniera più tradizionale, con un’organizzazione chiara, un Congresso in cui far confrontare le varie posizioni. Un’arena in cui ci sia competizione e faccia emergere i più capaci. Con Berlusconi a fare il coach, un po’ come Antonio Conte” […] “Il ct della Nazionale si è dimostrato un bravissimo leader. Con giocatori abbastanza normali, a parte i difensori della Juve, sta ottenendo ottimi risultati. A Milano c’è un proverbio che lo esprime bene, “anca i moron fann l’uga”, anche i gelsi fanno l’uva”.
Non solo il ritorno in campo, ma anche un nuovo sostegno a Matteo Renzi.
“Credo che in questa fase si debba sostenere il governo. Il Cavaliere non la pensa così, ma io sarei per qualcosa che somigli al Nazareno. Per fronteggiare i grandi problemi che abbiamo ci vuole una base ampia. Chi, come noi, è di spirito liberale, in una fase come questa deve pensare al dialogo. Non mi spingo a evocare la “grosse koalition” alla tedesca, ma guardiamo soltanto a che cosa succede in Spagna. Per uscire dalla paralisi i due partiti tradizionali dovranno lavorare insieme, è l’unica strada”. […] “Ho sentito D’Alema in tv, molto duro contro Renzi. Io invece dico che dovremmo dargli ancora fiducia, in fondo non ha fatto male. Penso a esempio al Jobs Act. E poi, con tutti i comunisti che ha tolto dalla scena, quelli di Forza Italia dovrebbero ringraziarlo. Battute a parte, oggi governare è diventata un’impresa complicata, come districarsi nel Labirinto di Creta”.
Sostenere Renzi, secondo Confalonieri, è un dovere anche per evitare che vincano i 5 Stelle.
“Chi vota Cinquestelle o auspica collaborazioni con loro ha letto i programmi che hanno? Penso al reddito di cittadinanza e agli aumenti automatici di tasse che servirebbero per finanziarlo. È un programma dirigistico e totalitario” […] “I limiti che vogliono mettere alle televisioni sono incredibili, potremmo avere il 10% di un canale e basta. Un canale, si rende conto?”.
(da “Huffingtonpost”)
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Giugno 30th, 2016 Riccardo Fucile
NCD PRONTO AD ABBANDONARE RENZI…FORMIGONI: “FINITO IL NOSTRO TEMPO AL GOVERNO”
Se Matteo Renzi non cambia linea, il Nuovo Centrodestra è pronto a guidare la crisi. È quanto emerge da un retroscena pubblicato su Repubblica, in cui viene raccontato un vertice tra il segretario Angelino Alfano e i colonnelli di Forza Italia in Sicilia.
Ed è quanto dice, in chiaro, il senatore Ncd Roberto Formigoni in un’intervista al Corriere della Sera.
Scrive Repubblica:
“Vorrei continuare a collaborare con il Pd anche dopo le Politiche, ma questa legge elettorale non lo consente. I miei senatori, preoccupati, mi chiedono del futuro, e io cosa dovrei rispondere? È ovvio che se non introduciamo il premio di coalizione dovremo guardare al centrodestra. Non si tratta di fare la crisi domattina, ma se l’Italicum non cambia il nostro impegno si può considerare concluso con il referendum”.
Due sere fa, ristorante Pipero al Rex. Intorno al tavolo più defilato della sala Angelino Alfano si confida con Gianfranco Miccichè, plenipotenziario di Forza Italia in Sicilia. Con loro altri due politici isolani. Hanno chiesto di incontrare il ministro dell’Interno per proporgli la road map della riunificazione: «Angelino, candidati come governatore per il dopo Crocetta, e ricostruiamo assieme l’area moderata».
Sulla prima ipotesi, riferiscono, il leader sospende il giudizio, ma si impegna a ragionare comunque di un nome unitario. L’idea di tornare alleati, invece, non lascia indifferente il responsabile del Viminale.
Secondo Repubblica, sarebbero già una decina i senatori di Ncd pronti a scaricare il governo Renzi anche senza il benestare di Alfano.
Il parere di Formigoni è categorico: “Se Renzi non cambia, non possiamo più essere alleati, visto che non lo saremo alle elezioni”
Così Formigoni al Corsera:
“Credo che il tempo del Ncd al governo sia finito. Oggi, non in ottobre. Spero che anche Alfano se ne convinca. Diamo a Renzi un appoggio interno […]. Noi siamo rimasti al governo per fare le riforme. Compito finito, le riforme ci sono. E la nostra alleanza con il Pd era dettata solo dalla gravissima situazione dell’Italia. Ora, con Renzi le prospettive divergono”.
Il problema — spiega Formigoni — è il premio alle liste, ma non solo. “È chiaro che mai entreremo nelle liste Pd.: il nostro compito è organizzare il centro. Oppure, con le condizioni di Milano, potremmo far parte di un centrodestra a guida moderata”.
(da “Huffingtonpost”)
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Giugno 30th, 2016 Riccardo Fucile
IL CALVARIO DEL SEN. VACCIANO: “VOGLIO TORNARE A FARE IL BANCARIO, MA NON MI FANNO DIMETTERE”
Giuseppe Vacciano è senatore. Da un anno e mezzo chiede di lasciare il suo seggio a Palazzo Madama ma le sue dimissioni fino ad ora sono sempre state respinte.
Il Corriere della Sera racconta la storia del senatore del Movimento 5 Stelle che non riesce a dimettersi
Si legge sul Corriere della Sera:
“Giovedì potrebbe arrivare il sì tanto atteso. Giuseppe Vacciano lo aspetta dal 22 dicembre 2014, giorno in cui ha presentato le dimissioni da senatore, dopo aver lasciato i 5 Stelle. Dimettersi dall’Aula, però, non è così semplice. Non basta una lettera, serve il voto dell’Aula. Che finora le sue dimissioni le ha sempre respinte”.
Vacciano vorrebbe tornare al suo lavoro da impiegato della Banca d’Italia, da tempo lo chiede ma senza successo.
Oggi, per la terza volta, ci sarà il voto sulle sue dimissioni.
“Per lui si tratta di un ‘gesto di coerenza’. Ha lasciato i 5 Stelle nei giorni (novembre 2014) in cui veniva lanciato il direttorio: ‘Una mutazione irreversibile del Movimento dell’uno vale uno, che non prevedeva sovrastrutture’.
E ha deciso di lasciare pure il seggio: ‘Hanno votato il simbolo, non me. Voglio restituire agli elettori un rappresentante di quel simbolo, non restare attaccato alla poltrona’”.
La Costituzione, all’articolo 67, tutela tutte le scelte dei parlamentari, anche quella di lasciare il seggio, ricorda Vacciano, per il quale però l’odissea non ha ancora avuto fine.
(da “Huffingtonpost”)
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Giugno 29th, 2016 Riccardo Fucile
E AL BILANCIO UN EX ASSESSORE DI MARINO… MENTRE BERDINI E’ IN CONFUSIONE
A pochi giorni dal primo consiglio comunale del 7 luglio in Campidoglio, Virginia Raggi deve fare i conti con le polemiche per la nomina del fedelissimo Daniele Frongia come capo di gabinetto.
A contestare la scelta è il Partito democratico che lo ha accusato di non poter firmare atti di spesa o di nomina perchè la legge Severino glielo impedisce in quanto eletto un anno fa.
I dem però vanno oltre e sostengono che i poteri di firma saranno in mano al vice Raffaele Marra, entrato in Campidoglio con l’ex sindaco An Gianni Alemanno e un curriculum di incarichi in Regione con Renata Polverini e prima ancora al ministero dell’Ambiente (sempre con Alemanno):
“Cose da, anzi no, neanche da Prima Repubblica”, ha attaccato il senatore dem Stefano Esposito, “E questa sarebbe la banda degli onesti in Campidoglio: un ex fedelissimo di Alemanno e Polverini, ex assessori di Marino, i soliti fedelissimi del cerchio magico di Di Maio”.
Marra è dirigente in Campidoglio dall’epoca di Alemanno e per il momento ricopre l’incarico a interim finchè non sarà valutata la sua posizione.
“Lascia stupefatti”, ha detto la vicepresidente del gruppo Pd Alessia Morani, “vedere la nomina con lauto stipendio, di un consigliere comunale a capo di gabinetto. Come lascia interdetti l’escamotage di ricorrere a un ex fedelissimo di Alemanno per firmare quegli atti che Frongia non potrebbe sottoscrivere. Dunque Frongia, alla faccia della legalità , aggira la legge Severino. Se si aggiunge che la giunta si completa con assessori che hanno dato prova di certa omofobia e xenofobia o con figure scelte direttamente da Di Maio, certamente non siamo di fronte al tanto sbandierato nuovismo”.
A prendere tempo è stata solo la deputata M5s Roberta Lombardi, membro del mini direttorio incaricato di dare una mano sulla gestione del Campidoglio, che non ha nascosto le sue perplessità su Marra: “Ho conosciuto il dottor Marra ieri”, ha commentato a “Un Giorno da Pecora”, “ho letto anche io di questi suoi incarichi precedenti. Ora capiremo se è stata una nomina ponderata, ci sarà un approfondimento. Abbiamo anche l’umiltà di dire che, se facciamo dei piccoli errori, li rimediamo subito”.
L’aspirante assessore all’Urbanistica Paolo Berdini al Sole 24 Ore ha dichiarato che i documenti per lo Stadio della Roma sono già stati trasmessi alla Regione.
Solo qualche giorno fa aveva definito il progetto “uno scempio”. Ma dalla Regione però fanno sapere che non sono ancora arrivati i documenti.
Al di là delle polemiche, il vero problema della Raggi ora riguarda gli assessori: la giunta a pochi giorni dal via non è ancora completa e mancano alcune delle pedine fondamentali.
Tra queste quella del Bilancio che potrebbe vedere il ritorno di Daniela Morgante, ex assessore con Ignazio Marino poi dimissionaria.
Intanto la sindaca di Roma Raggi ha confermato le deleghe, conferite in precedenza dall’ex sindaco Marino e dall’ex commissario straordinario Tronca, a dirigenti e dipendenti capitolini per assicurare la continuità amministrativa.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Giugno 29th, 2016 Riccardo Fucile
USCENDO DALLA UE GLI ATENEI PERDERANNO I FONDI EUROPEI… CAMBRIDGE PERDERA’ 66 MILIONI, IL 15% DEL TOTALE… PREVISTO CALO DI ISCRIZIONI E DI ATTRATTIVITA’
Le università inglesi vivono con il fiato sospeso la stagione post Brexit.
A rischio ci sono 1,2 miliardi di sterline che ogni anno, fino ad oggi, sono stati erogati da Bruxelles agli atenei britannici. Che equivalgono al 2,6% degli introiti complessivi delle università britanniche (dati 2013-14 dell’Agenzia statistica per la Higher education).
Con l’uscita dal club europeo, i fondi rischiano di ridursi, anche se difficilmente arriveranno a zero.
Diretta conseguenza: il balzo verso l’alto, fino al raddoppio, del costo delle iscrizioni e la “brain exit”, la fuga dei giovani studiosi europei.
E il problema riguarda anche la ricerca, dove il contributo europeo pesa moltissimo: Bruxelles tra il 2007 e il 2013 ha erogato ad atenei e centri di ricerca 7 miliardi di euro, la corona inglese 4,7 miliardi di sterline.
Senza Bruxelles, rischia di sgonfiarsi anche l’impatto degli studi scientifici e con esso, in un circolo vizioso, anche la possibilità di ottenere i fondi britannici.
Con il pericolo che a perderci siano gli istituti più piccoli, meno blasonati e meno “ortodossi” nelle materie di ricerca. Il dibattito su ciò che attende la “British high education” dopo la Brexit ormai impazza anche nelle aule parlamentari, dove il Labour chiede garanzie per il futuro.
Ma nessuno si azzarda a ipotizzare risposte. E il governo prende tempo fino al 2020.
Partito il countdown per la ricerca: quattro anni alla fine di Horizon2020
Tra quattro anni si chiuderà Horizon2020, il programma dell’Unione per finanziare ricerca e innovazione, sia in ateneo, sia in consorzi con l’industria privata e agenzie governative.
È uno dei principali programmi per il sostegno della ricerca in Europa. Il parlamentare inglese Micheal Gove, conservatore, tra i più accesi sostenitori del Leave (tra i 13 firmatari tories della Letter to Leave), ha sostenuto in campagna referendaria che fino a quella data per le università non cambierà nulla. Non ha però potuto garantire che la situazione, in futuro, resti la stessa.
I 24 migliori atenei britannici hanno ricevuto 579 milioni di euro nell’ultimo anno
I più preoccupati sono i principali gruppi di interesse che rappresentano le università in Gran Bretagna.
Come The Russell Group, un network che conta 24 atenei (tra cui alcuni dei più famosi: London School of Economics, Cambridge, Edimburgo e il King’s College) che solo nell’ultimo anno accademico ha ottenuto da Bruxelles 579 milioni di fondi per la ricerca. “Per tutta la campagna entrambe le parti hanno riconosciuto l’importanza dei finanziamenti europei alle nostre università e chiederemo garanzie dal governo che ciò sia assicurato anche a lungo termine”, ha dichiarato il 24 giugno la direttrice del gruppo, Wendy Piatt. Quali siano i tempi per ottenere queste “assicurazioni” ancora è difficile saperlo.
“Non possiamo andare oltre questo comunicato stampa”, fanno sapere dall’ufficio stampa del Russell Group.
Identica risposta da Universities Uk (Uuk), il più grande tra i network di atenei britannici. “Il voto di giovedì non significa alcun cambiamento immediato per quanto riguarda programmi come Erasmus+ e Horizon2020, nè per staff e studenti provenienti dall’Unione — spiegano dall’ufficio stampa -. La nostra principale preoccupazione è fare in modo che il governo britannico prenda le decisioni necessarie per garantire che si possa continuare a lavorare in questo modo”.
In che termini e in che tempi, non si sa.
Le conseguenze per gli atenei britannici, in caso di negoziati al ribasso, sarebbero devastanti. Il settore universitario è tra più importanti del comparto pubblico inglese: il suo valore è 73 miliardi di sterline (3,7 dei quali prodotti dagli studenti che arrivano da Paesi comunitari) e conta 380 mila addetti.
Il prof di Cambridge: “Perderemo 100 milioni di sterline all’anno”
All’Università di Cambrige, il professor Ross Anderson ha provato a fare una stima di quanto possa perdere il suo ateneo. Solo per la ricerca, sarebbero il 15% dei fondi, ossia oltre 66 milioni. A questo si aggiungono le perdite di iscrizioni e la perdita di attrazione. Il conto, alla fine è 100 milioni di sterline all’anno, ossia il 10% del fatturato dell’università . E siamo a Cambridge, una multinazionale del sapere, per la quale le ripercussioni sono comunque sopportabili.
Il docente di Oxford: “Senza fondi europei avremo meno ricercatori”
Federico Varese è tra i criminologi italiani più stimati all’estero. Esperto di mafie internazionali, è professore all’Università di Oxford: “Senza dubbio le università inglesi ricevono moltissimi fondi di ricerca dall’Europa, sempre più importanti visto il taglio subito da quelli interni”, spiega. Per quanto riguarda le scienze sociali, ad esempio, “i fondi erogati dall’European Research Council (Erc) sono usati per creare posti post dottorati e borse di studio per i dottorati. Quindi se questi fondi vengono meno in un futuro prossimo, avremo anche meno studenti con borse di studio, e meno giovani ricercatori”.
“Le piccole università saranno le più penalizzate”
Questo discorso è tanto più vero per le università piccole. “Le università in Gran Bretagna sono delle aziende. Le grandi non perderanno granchè, per le piccole ci sarà un grosso problema a continuare a richiamare studenti”, commenta Daniele Tori, ricercatore esperto di finanziarizzazione dell’economia che dalla Greenwich University passerà alla Milton Kaynes University.
L’uscita dal circuito europeo potrebbe avere un doppio effetto negativo: il primo è sulla reputazione. Restare fuori dal contesto globale abbatte i punteggi che si ottengono con il Ref (Reaserch excellence framework). Cambridge e Oxford possono anche farne a meno, Greenwich no.
La conseguenza, poi, sarà il sostegno sempre delle stesse ricerche che nel “mercato interno” ottengono più punteggio, a discapito di altre di respiro maggiore e più appetibili in un ambito europeo, dove si premia molto l’originalità .
Pericolo “brain exit”, la fuga dei talenti – Il secondo pericolo è invece l’altra Brexit, la “brain exit”, ossia l’uscita dei talenti.
“Soprattutto per uno studente dell’Unione europea — racconta Tori — il prezzo d’iscrizione ad un ateneo inglese potrebbe diventare il doppio di com’era con la Gran Bretagna nell’Ue”.
Tutti rischi di cui avevano scritto in una lettera 103 rappresentanti delle università inglesi — rettori, vice rettori e direttori di network di atenei — rimasta però inascoltata.
Lorenzo Bagnoli
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Giugno 29th, 2016 Riccardo Fucile
NELLE CITTA’ GUIDATE DAGLI INDIGNADOS LE MAGGIORI FUGHE DI ELETTORI… NEI SEI COMUNI DOVE AVEVANO TRIONFATO UN ANNO FA I RISULTATI PEGGIORI
Governare non paga. Anzi, costa parecchi voti.
È una vecchia regola della politica, che evidentemente colpisce anche chi è sceso in campo proprio con l’intenzione di infrangere le vecchie regole.
Prendiamo i sei sindaci portati in trionfo da Podemos nel maggio del 2015 nei cosiddetti «Comuni del cambiamento».
A un anno dal loro insediamento, il bilancio elettorale piange. È nelle città governate dai sindaci-Indignados che Podemos registra le maggiori fughe di elettori.
Un fenomeno che andrà tenuto sotto controllo anche in Italia, dove città come Torino e Roma hanno appena voltato pagina affidandosi alle sindache del Movimento Cinque Stelle.
Sia chiaro: Podemos e M5S sono due cose molto, ma molto diverse. Però lo spirito, l’approccio e il profilo dei candidati – soprattutto a livello locale – presentano diversi aspetti in comune.
Torniamo in Spagna. Da Valencia a La Coruà±a, passando per Saragozza, Madrid e Cadiz, il calo di votanti balla tra il 4,5% (Valencia) e il 5,9% (Saragozza).
Più contenute le perdite a Barcellona: nella città di Ada Colau i numeri segnano solo una flessione dello 0,87%, ma questa è l’ulteriore dimostrazione che i fenomeni socio-politici catalani seguono strade totalmente diverse da quelle del resto della Spagna.
Fatti due conti, nelle sei città in cui governa, Podemos registra il 20% delle sue perdite totali. Un’enormità .
Il caso più clamoroso è quello di Madrid: tra dicembre e oggi se ne sono andati 107 mila elettori. Manuela Carmena, che guida la Capitale, respinge però ogni coinvolgimento.
“Io sono un sindaco indipendente e il Comune non ha partecipato alle elezioni” dice con un pizzico di sarcasmo. “E poi io non ho fatto campagna elettorale”.
Quest’ultimo discorso è vero per Carmena, ma non per gli altri sindaci: Ada Colau, così come Juan Ribà³ (Valencia), Pedro Santisteve (Saragoza), Josè Maràa Gonzalez (Cadiz) e Xulio Ferreiro (La Coruà±a) sono stati in prima linea sul palco dei comizi di Unidos Podemos. E tranne Ferreiro, gli altri erano candidati.
“Un anno di sindaci del cambiamento, più aneddoti che fatti”, titolava il mese scorso il quotidiano economico Expansià³n, che ha tracciato un bilancio di governo in queste sei città .
“I grandi progetti urbanistici avanzano lentamente o addirittura indietreggiano – notava il giornale – mentre Carmena istituiva corsi di cucina per bambini e inaugurava orti urbani”. Perchè i sindaci del cambiamento hanno subito fatto sentire la loro presenza con iniziative simboliche, come i Re Magi donna nella Capitale o i senzatetto sul palco d’onore nel Teatro di Cadiz.
Ma anche a Barcellona i dipendenti della società di trasporto pubblico sono scesi in piazza per scioperare contro Ada Colau. Che forse un anno fa avevano votato.
Marco Bresolin
(da “La Stampa”)
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Giugno 29th, 2016 Riccardo Fucile
DI MAIO SI FA SCAPPARE: “E’ UNA LEGGE CHE CI FAVORISCE”… I RETROSCENA DELL’ACCORDO
Luigi Di Maio ha detto un pezzo di verità , ieri sera, quando gli hanno posto a bruciapelo la questione, diventata improvvisamente attualissima: e se Renzi cambiasse l’Italicum?
Il candidato premier del Movimento ha detto: «Vogliono cambiare l’Italicum? Sarà il più grande boomerang politico della storia del nostro Paese. Cambiare una legge per danneggiare il Movimento cinque stelle? Fate pure. Noi abbiamo sempre combattuto l’Italicum, nonostante questa sia una legge che ci favorisca, devo pensare che lo pensino anche loro».
Forse mai aveva ammesso, come nell’inciso che sottolineiamo, che l’Italicum è una legge che favorisce il Movimento.
La conseguenza che si può trarre è inesorabile, logicamente: il Movimento, nonostante le dichiarazioni roboanti anti legge elettorale, non ha mai lottato per cambiarla; anzi. E tre scene che siamo in grado di ricostruire lo confermano oltre ogni ragionevole dubbio.
Scena prima.
Giugno del 2014, il momento cruciale del «dialogo», appena nato, tra Matteo Renzi e Luigi Di Maio sulla legge elettorale. Alla Casaleggio associati a Milano si tiene un vertice che è venuto il momento di raccontare per un dettaglio cruciale.
Il tema era, appunto: la legge elettorale, e le ipotesi di doppio turno, di preferenze, di premio (alla lista o alla coalizione?).
Accanto a Gianroberto Casaleggio e pochi altri (cinque persone, compreso il figlio Davide) c’era Aldo Giannuli, il professore che aveva seguito per il Movimento il cervellotico voto on line per elaborare la proposta di legge elettorale dei cinque stelle. Casaleggio era contrarissimo all’idea che Di Maio si sedesse a un tavolo con Renzi. Grillo, che poco ci capiva, lo era nondimeno, per istinto. E i parlamentari scalpitanti?
Raccontò Giannuli, alla fine di quel vertice: «Luigi (Di Maio) è un democristiano vero, farebbe di tutto per sedersi a quel tavolo. Non vede letteralmente l’ora».
Il capolavoro del giovane di Pomigliano fu poi battere le resistenze di Casaleggio e Grillo, e riuscire a sedersi a quel tavolo con Renzi.
Andandosi a trattare lui la legge elettorale diventava in quel momento, di fatto, il leader in pectore dei cinque stelle.
La scalata a Gianroberto Casaleggio nacque lì, e Renzi glielo consentì, pensando che il giovane fosse l’avversario battibile e malleabile. Poi venne l’Italicum. Una legge nella quale – per una serie di contingenze di quel momento – il Movimento cinque stelle viene incredibilmente premiato dal suo stesso acerrimo nemico.
Una legge che manda a nozze la propaganda cinque stelle, consentendo loro di strepitare contro qualcosa che in realtà gli va benissimo.
E qui veniamo alla scena seconda.
Un anno e un mese fa, la comunicazione dei cinque stelle aveva cominciato a diffondere – anche attraverso la coach tv Silvia Virgulti, ma non solo – le istruzioni su come comportarsi in tv in caso di discussioni sulla legge elettorale.
Ai parlamentari che venivano mandati davanti alle telecamere (via via sempre più centralizzata la scelta) fu spiegato, con queste testuali parole: «L’Italicum è una legge che ci conviene».
Bisognava contestarla a parole, ma senza spingere più di tanto nei fatti. Da qui partì nel gruppo parlamentare l’espressione di «Italicum a cinque stelle», per definire quella legge nata tra Renzi e Di Maio.
La scena terza è una carta che giace negli archivi anche se fu presto accantonata. Dicembre 2015. Alessandro Di Battista presentò alla Camera un ordine del giorno, di cui è primo firmatario, per chiedere al governo di «astenersi dall’adottare iniziative legislative recanti proposte di modifica della disciplina elettorale per l’elezione delle Camere una volta giunti all’approvazione della riforma costituzionale».
In pratica è come se Di Battista, l’amico-rivale di Di Maio, gli avesse svelato il gioco, e dicesse in pubblico a Renzi: fate come volete sulla Costituzione, ma non toccate la legge elettorale.
Era quella la ceralacca su un patto già siglato, e che doveva rimanere tale.
Jacopo Iacoboni
(da “La Stampa”)
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Giugno 29th, 2016 Riccardo Fucile
CALENDARIZZATA L’INIZIATIVA ALLA RIUNIONE DEI CAPIGRUPPI
La conferenza dei capigruppo di Montecitorio ha deciso di calendarizzare per settembre una mozione presentata da Sinistra Italiana che – si legge nel testo – «impegna la Camera a deliberare in merito» all’Italicum «al fine di eliminare dalla nuova disciplina elettorale tutti gli evidenti profili di incostituzionalità che, con ogni probabilità , ad avviso dei firmatari» della mozione, «porteranno ad una nuova pronuncia di illegittimità costituzionale da parte della Consulta».
Nella premessa della mozione, firmata dai deputati membri del gruppo SI e a prima firma del capogruppo Arturo Scotto, si sottolinea come sia «di tutta evidenza che il Parlamento, ben prima del pronunciamento della Corte Costituzionale, può intervenire sulla riforma approvata, eliminando quei palesi vizi di incostituzionalità che rendono la legge n.52 del 2015 una vera e propria controriforma elettorale destinata,, a giudizio dei firmatari del presente atto di indirizzo, a provocare una nuova pronuncia di illegittimità da parte della Consulta».
La mozione, che la conferenza dei Capigruppo della Camera ha deciso di calendarizzare a settembre, permetterà quindi all’Italicum di `tornare’ nel dibattito parlamentare e in Aula a quasi un anno e mezzo dalla sua approvazione definitiva e in un contesto nel quale cresce il `pressing’, anche nel Pd, per una sua modifica.
Tra i «vizi» sollevati la mozione fa riferimento alla sentenza della Consulta sul Porcellum sottolineando come l’Italicum, sostanzialmente, li ripresenti. I due aspetti sottolineati nel testo sono la «lesione dell’uguaglianza del voto e nella violazione del voto diretto date dall’enorme premio di maggioranza assegnato» e «la mancata previsione dei meccanismi idonei a consentire ai cittadini di incidere sull’elezione dei rappresentanti».
Quanto al primo aspetto, si legge nella mozione, esso «è macroscopicamente presente nell’Italicum soprattutto in relazione al caso in cui nessuna lista ottenga almeno il 40% al primo turno».
Quanto al secondo aspetto la mozione osserva come nell’Italicum, seppur siano ammesse le preferenze «si prevedono tuttavia capolista bloccati» con il voto di preferenza «relegato ad un ruolo subordinato rispetto ai capolista, riguardando esclusivamente la lista che vincerà conseguirà il premio».
(da agenzie)
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