Novembre 24th, 2016 Riccardo Fucile
L’APPELLO DEGLI ESPERTI: CONTROLLARE VOTO ELETTRONICO IN MICHIGAN, PENNSYLVANIA E WISCONSIS… IPOTESI ERRORI E SABOTAGGI
Proprio sicuri che abbia vinto Trump? Cresce ora dopo ora la pressione per spingere Hillary Clinton
a chiedere ufficialmente il “Recount”, il riconteggio dei voti elettronici che ne hanno decretato una più che sorprendente sconfitta di stretta misura in tre Stati chiave: Michigan, Pennsylvania e Wisconsin.
Il sospetto, sollevato da un gruppo di esperti americani guidato dall’avvocato specialista nel diritto di voto John Bonifaz e dal direttore del Centro per la sicurezza elettronica dell’Università del Michigan, J. Alex Halderman, è che a promuovere il tycoon non siano stati gli elettori ma un errore elettronico, forse una cospirazione messa a segno da hacker stranieri (russi, secondo un lungo copione di accuse) per ribaltare il risultato.
Analisti, universitari e attivisti democratici stanno preparando un rapporto destinato alle autorità parlamentari e federali sulla vulnerabilità del sistema e sulle imprevedibili stranezze verificatesi in alcune contee dei tre Stati in cui il passaggio al voto elettronico ha stravolto a vantaggio dei repubblicani il tradizionale esito del voto fedele ai democratici.
I sabotatori, secondo loro, avrebbero potuto agire via Internet dove il sistema è connesso; ma avrebbero potuto colpire anche dove non lo è, attraverso un virus informatico.
Per il momento, lo staff di Hillary Clinton non ha presentato alcuna richiesta ufficiale di riconteggio. Ma secondo il New York Magazine, che per primo ha rivelato l’esistenza della campagna a favore del “Recount”, il capo della campagna elettorale della candidata sconfitta ha incontrato il gruppo di esperti e ha discusso “privatamente sulla correttezza del risultato del voto” con la presidentessa del Comitato nazionale democratico, Donna Brazile.
Mentre monta l’onda di chi chiede a Hillary di avanzare una richiesta formale di riconteggio, tuttavia, la clessidra per proporre il ricorso sta inesorabilmente esaurendo la sabbia: in tutti e tre gli Stati la “dead line” è nei prossimi giorni.
La prima – per il Wisconsin – è addirittura imminente.
Si tratta di sospetti nati dall’incrocio tra quattro fattori: il margine sottilissimo; i precedenti (come la Contea di Palm Beach in Florida, quando nel 2012 il risultato di due consigli comunali cambiò colore e vincitore dopo la verifica sul cartaceo dell’esito ufficiale elettronico); la labilità del sistema, che gli esperti considerano elevata (soprattutto in Pennsylvania dove il 96 per cento delle schede elettorali non ha una traccia cartacea di supporto e verifica, a differenza del Wisconsin e soprattutto del Michigan considerati più sicuri); infine, la perplessità di un risultato che ha virato a vantaggio di Trump nonostante la netta vittoria di Hillary nel voto popolare, con 64.227.373 voti ottenuti contro i 62.212.752
Un risultato simile, un presidente eletto con 1,5% di voti in meno dello sfidante battuto in virtù del complesso sistema elettorale americano, non si vedeva dal 1876. E allora furono venti, i collegi elettorali in cui si aprirono dispute sul vincitore.
(da agenzie)
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Novembre 24th, 2016 Riccardo Fucile
LA VOTAZIONE: GLI ISCRITTI POSSONO SOLO DIRE SI O NO, VOILA’ LA DEMOCRAZIA DIRETTA
Beppe Grillo ha messo in votazione il collegio dei probiviri, segnalando che il nuovo regolamento appena entrato in vigore li prevede perchè devono “fare da paravento” al Capo Politico.
In origine la votazione avrebbe dovuto essere tra una rosa di nomi scelta dallo stesso Grillo. Invece no: il comunicato appena uscito sul blog di Beppe spiega che i nomi sono stati già scelti (sempre da Grillo, come da regolamento) e gli iscritti, probabilmente in nome della democrazia e del pluralismo, potranno solo dire sì, ci stanno bene o no, non ci stanno bene.
I tre nomi proposti da Grillo sono Nunzia Catalfo, Riccardo Fracccaro e Paola Carinelli.
Secondo quanto scritto oggi da Repubblica, avrebbe dovuto far parte della terna anche Riccardo Nuti, fedelissimo siciliano di Beppe e Gianroberto, ma ormai caduto definitivamente in disgrazia dopo la storia delle firme false e il rifiuto di autosospendersi.
Il regolamento prevede una prima decisione del collegio dei probiviri, che deve ascoltare gli interessati, e poi una seconda, su eventuale richiesta degli interessati, da parte del comitato di appello.
Il comitato di appello è attualmente composto da Roberta Lombardi, Vito Crimi e Giancarlo Cancelleri.
Lo stesso regolamento spiega che nei casi più gravi (e probabile che a Palermo si rientri in questa casistica) il collegio dei probiviri ha facoltà di disporre la sospensione cautelare dell’iscritto, dandogliene comunicazione a mezzo e-mail.
Poi ci sono i poteri speciali di Beppe:
Il capo politico del MoVimento 5 Stelle, laddove sia in disaccordo con una sanzione irrogata dal collegio dei probiviri o dal comitato d’appello, ha facoltà di annullarla e, ove la sanzione risulti inflitta dal comitato d’appello, può irrogarne una più lieve.
In ogni caso, il capo politico del MoVimento 5 Stelle, laddove sia in disaccordo con una decisione del collegio dei probiviri o del comitato d’appello, può rimettere la decisione ad una votazione in rete di tutti gli iscritti al MoVimento 5 Stelle.
La decisione dell’assemblea degli iscritti è definitiva ed inappellabile, anche se intervenuta su decisione del collegio dei probiviri.
In ogni caso di sospensione o di espulsione, il gestore del sito provvede alla disabilitazione dell’utenza di accesso.
(da “NextQuotidiano”)
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Novembre 24th, 2016 Riccardo Fucile
I DEPUTATI MANNINO E NUTI NON NE VOGLIONO SAPERE DI AUTOSOSPENDERSI… LA BUSALACCHI ALLONTANATA DALL’ARS
Sono dieci gli indagati M5S per le firme false a Palermo: ieri la Digos ha notificato gli avvisi a
comparire (che contengono gli avvisi di garanzia) ai parlamentari Riccardo Nuti e Claudia Mannino, al deputato regionale Giorgio Ciaccio, al cancelliere Giovanni Scarpello, all’avvocato Francesco Menallo, candidato alle Comunali del 2012 e oggi fuori da M5S. Gli indagati sono in totale 10.
Salvo Palazzolo su Repubblica Palermo racconta che «in queste ultime settimane sono state ascoltate 400 persone in questura, oltre cento hanno messo a verbale il loro disconoscimento della firma. Dopo gli interrogatori, i magistrati potrebbero aprire anche altri filoni d’inchiesta, per accertare la provenienza di alcuni nominativi finiti fra i 1.900 della presentazione delle candidature: nomi rubati, dalle liste per il referendum, e forse anche da altri elenchi su cui si sta indagando».
Non solo: Samantha Busalacchi è stata allontanata dalla collaborazione del gruppo all’Assemblea Regionale Siciliana, come racconta sempre Repubblica Palermo:
Ieri i deputati e i dipendenti, molto legati all’ala che fa riferimento a Giancarlo Cancelleri e Gianpiero Trizzino, e di cui Ciaccio e La Rocca fanno parte, hanno deciso di allontanare Busalacchi.
La collaboratrice Busalacchi nei giorni scorsi ha avuto momenti di tensione con La Rocca, che l’ha apertamente invitata a collaborare sulla vicenda firme false.
Al gruppo non è piaciuta la chiusura assoluta della Busalacchi a qualsiasi collaborazione, a differenza di La Rocca che è stata la prima ad andare a parlare con i magistrati per raccontare quanto accaduto nel 2012 per la presentazione delle liste alle Comunali. Busalacchi ieri è stata convocata da deputati e altri dipendenti dei 5 stelle all’Ars e le è stato comunicato l’invito a non frequentare più gli uffici e a restituire il badge.
Lei, visibilmente colpita, ha svuotato i suoi cassetti ed è andata via. Continuerà a lavorare ma come collaboratrice di Ciaccio, che a sua volta si è autosospeso e da tempo è assente per motivi personali.
Busalacchi comunque è considerata una delle attiviste più presenti, non solo al gruppo ma anche nelle attività della base e in questi giorni è stata presente a Palermo ai banchetti per sostenere il No al referendum costituzionale.
Anche questa una presenza che qualcuno ai vertici non ha gradito, proprio mentre infuria la bufera sulle firme false che la coinvolge.
Intanto Nuti e Mannino non ne vogliono sapere di autosospendersi, come racconta Annalisa Cuzzocrea:
Ma Mannino e Nuti, viene raccontato da alcuni colleghi, vedono nell’autosospensione una sorta di ammissione di colpevolezza, mentre i due continuano a dichiararsi estranei alla vicenda che vede finora dieci indagati. E sono pronti a spiegarsi davanti ai magistrati che li interrogheranno nel fine settimana o all’inizio della prossima.
In realtà , anche lo stesso gruppo parlamentare M5S è diviso sulla vicenda. Il caso firme false, sul quale aveva già indagato la Procura nel 2013 giungendo a un’archiviazione, nasce da una guerra interna al meetup palermitano, e il timore di molti è che la storia finisca in una bolla di sapone, creando però fratture insanabili.
Del resto, Nuti era stato presidente del gruppo M5S alla Camera, rivestendo un ruolo di estrema fiducia. Fiducia che ora, evidentemente, è venuta meno.
E Grillo è determinato a spingersi fino all’allontamento dei suoi portavoce. Così, il movimento è tornato ieri a minacciare gli indagati che non fanno un passo indietro: «Da noi chi sbaglia va via, senza sconti», scrive il blog di Grillo.
Per loro quindi interverrà presto il collegio dei probiviri, che non era ancora stato eletto in occasione della votazione per il nuovo regolamento entrato in vigore alla fine di ottobre.
In più i grillini, prima di affrontare le comunarie, dovranno risolvere un altro problema: chi è la talpa del MoVimento 5 Stelle?
La storia è venuta fuori grazie all’elenco con le firme false inviato alla trasmissione tv di Mediaset, a Luigi Di Maio via mail e alla procura di Palermo.
Ma niente è accaduto per caso: chi si è mosso lo ha fatto con il chiaro intento di danneggiare i parlamentari “romani” e la loro “corrente” in occasione delle comunarie di Palermo.
Per questo in tutto questo bailamme rimane ancora aperta la domanda: chi ha materialmente inviato i fogli che stanno mandando a puttane le Comunarie e il M5S a Palermo?
E visto che un documento del genere non può non essere posseduto da un “interno” al gruppo che forse già era interno nel 2012, quale convenienza ne ha avuto o ne avrà ?
(da “NextQuotidiano”)
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Novembre 24th, 2016 Riccardo Fucile
“HO PRESO UN MODULO PER LA RACCOLTA FIRME E L’HO PORTATO A CASA PER CHIEDERE LA FIRMA ALLA MIA VICINA, POI LORO AVREBBERO SISTEMATO TUTTO”
Ballano trenta firme irregolari e quattro falsificazioni nell’inchiesta sulle firme a Bologna che ha coinvolto ieri il MoVimento 5 Stelle e che per ora conta quattro indagati tra cui Marco Piazza, vicepresidente del Consiglio comunale a Bologna, e il suo collaboratore Stefano Negroni.
Secondo l’indagine assegnata alla pm Michela Guidi e seguita dal procuratore Giuseppe Amato, sarebbero diverse le irregolarità riscontrate anche se si tratterebbe di un numero contenuto rispetto alla mole di firme depositate a suo tempo (350 in più del necessario).
Tania Fiorini e Giuseppina Maracino sono le altre due sotto indagine: la prima delle due ha parlato con Repubblica Bologna, confermando in pratica tutte le accuse della procura sull’irregolarità delle procedure nella raccolta delle firme:
«Ho preso un modulo per la raccolta firme e l’ho portato a casa, è vero. Ho chiesto la firma ad una mia vicina, pensavo si potesse fare, mi sono fidata, pensavo che loro poi avrebbero sistemato tutto, coordinava tutto Serena Saetti. Ero anche a Roma, sono passata alla manifestazione del circo Massimo e ho visto che raccoglievano le firme per le regionali anche lì, ma non avevo idea di come si facessero queste cose».
Tania Fiorini, candidata alle ultime Regionali nella lista dei 5 Stelle, e oggi uscita dal Movimento, conferma l’ipotesi investigativa messa in piedi dai magistrati della procura.
Indagata nell’inchiesta sulle firme raccolte irregolarmente dai grillini in vista delle Regionali del 2014 ammette, di fatto, di aver fatto firmare una conoscente in assenza di certificatori.
Conferma, inoltre, che a Roma furono chieste le firme per le Regionali. Un’ammissione piena, oltre la quale aggiunge che lei dei meccanismi di raccolta delle firme non sapeva nulla e che quindi si era fidata dei vertici bolognesi del movimento. Fiorini, sentita da Repubblica, va anche oltre e spiega: «Certo mi stupisce che tra gli indagati non ci sia anche Massimo Bugani, visto che ha sempre condiviso tutto insieme a Marco Piazza».
E rincara la dose: «C’era molta paura di non fare in tempo a presentare la lista, molta disorganizzazione. Quando ho visto che, alla fine, avevano raccolto tante più firme del necessario ho immaginato che quelle raccolte come nel mio caso, non sarebbero state consegnate».
Conclude: «La Saetti si occupava di questa cosa e non solo a me ha chiesto di raccogliere le firme. In quanti lo abbiano fatto non lo so»
Ieri Marco Piazza, uomo di fiducia del plenipotenziario emiliano Max Bugani, ha annunciato l’autosospensione dal movimento («non appena riceverò l’avviso di garanzia»).
Lo stesso Bugani ha invece continuato a parlare di “trappolino” accusando Andrea Defranceschi e gli altri “ribelli” di Bologna.
L’ex consigliere regionale escluso dalle liste intanto ricorda: «Dopo le dimissioni del presidente Vasco Errani — racconta Defranceschi — il tempo stringeva. Ho scritto al Movimento, nessuno mi ha mai risposto».
È solo nella mattina di settembre 2014 in cui si apre il voto on line per le primarie dei candidati che Defranceschi scopre di non essere “votabile”.
È infatti stato indagato con l’accusa di peculato, accusa da cui poi sarà assolto nell’inchiesta sulle “spese pazze”.
(da “NextQuotidiano”)
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Novembre 24th, 2016 Riccardo Fucile
L’AUTORE DELL’ESPOSTO: “BUGANI SAPEVA E MISE IL LIKE… FAVIA COMMENTA: “E’ L’ARROGANZA DI CHI SI SENTE POTENTE”
Nella storia degli indagati M5S per le firme a Bologna, inutile girarci intorno, è Massimo Bugani
l’uomo politicamente nel mirino.
È uno dei tre membri dell’Associazione Rousseau (assieme a Davide Casaleggio e all’europarlamentare David Borrelli).
Ha un ruolo importante nella piattaforma informatica. È stimato da Casaleggio junior, che lo considera persona di fiducia.
Bugani, ha osservato ieri, ritiene che ci siano «giochetti in corso contro di noi a Bologna», per colpire lui e direttamente Beppe Grillo e Davide Casaleggio; e si sfoga tornando a evocare anche il «sabotaggio».
Grillo sul blog fa una difesa d’uffico ma poi dice: «Anche qualcuno di noi a volte sbaglia, ma state sicuri che pagherà , come sempre è accaduto e come sempre accadrà »: un modo per fare quadrato, sì, ma non una difesa senza se e senza ma di nessuno.
Segno di una differenza da cogliere, tra il fondatore e il giro di Davide Casaleggio.
La tesi di Bugani è che «siamo caduti o in un banale errore o in una trappola tesa da ex esponenti del Movimento allontanati».
La sua testimonianza è che «Marco (Piazza, il suo braccio destro indagato) è scrupolosissimo. Se è accaduto qualcosa è stato fatto in assoluta buona fede, senza che lui ne sapesse nulla, o per danneggiarlo».
Dice che loro sono prontissimi ad andare dagli inquirenti. E minaccia querele contro i suoi accusatori politici. Piazza fa sapere che se c’è l’avviso di garanzia si autosospenderà .
Gli accusatori però non arretrano affatto, per la minaccia di essere querelati. Anzi. Stefano Adani, uno dei due che materialmente hanno presentato l’esposto, ci dice: «Innanzitutto non sono episodi isolati. Ne citiamo quattro. Il banchetto al Circo Massimo, dunque con autenticatore fuori Regione, cosa vietata dalla legge. Due episodi a Bologna, di cui uno al circolo (usa proprio questa parola, «circolo») Mazzini, dove si raccoglievano firme che venivano autenticate dopo: è vietato. E almeno un altro accaduto a Vergato, comune dell’Appennino bolognese, dove arrivò un autenticatore da un altro paesino».
Bugani cosa c’entra? Risponde Adani: «Fa parte dell’esposto che Bugani sapesse di almeno una delle cose illegali avvenute: su Facebook gli scrisse un militante mandandogli la foto della sua firma al Circo Massimo, e Bugani mise il like. C’è lo screenshot, pubblicato da Radio Città del Capo due anni fa. Poi il like Bugani l’ha cancellato, sostenendo che il suo tablet era finito nelle mani di un collaboratore che era d’accordo con noi. Cosa ovviamente non vera».
Toccherà naturalmente ai magistrati verificare chi abbia ragione, sarebbe un caso di «like a sua insaputa».
Potrebbe finire dunque anche il braccio destro di Casaleggio nelle indagini?
Adani non vuole rispondere sui nomi del suo esposto, ma aggiunge un dettaglio: «Non ci sono solo i quattro indagati: gli episodi dell’esposto documentano anche altre persone. E pensare che noi anni fa a Bologna andavamo ai banchetti del Pd per verificare e contestarle a loro, le firme false; poi nel Movimento c’è chi si è messo a fare le stesse cose».
C’è mai stato un incontro tra loro e Bugani o Piazza? «Glielo abbiamo chiesto, non ci ha mai risposto».
Bologna e l’Emilia sono terre fondative, dei cinque stelle.
Terre di guerre interne, di storie brutte come la lapidazione sessista di Federica Salsi, o come quella di Giulia Sarti messa sotto attacco per le mail.
Una terra di grandi divisioni dentro il Movimento, tra ciò che poteva essere e ciò che è stato. Favia versus Bugani su tutte, con Favia che finisce fuori, il volto delle origini, il pupillo di Grillo.
Ora Favia ci dice: «Il gruppo di Bugani non può sperare di cavarsela con l’ingenuità o l’ignoranza: vi dico per certo che sono persone che conoscono benissimo le leggi sulla raccolta delle firme. Perchè fanno queste cose? Per l’arroganza di chi si sente ormai potente e può tutto».
Jacopo Iacoboni
(da “La Stampa”)
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Novembre 24th, 2016 Riccardo Fucile
LA STORIA DELL’ACCOUNT SU TWITTER QUERELATO PER DIFFAMAZIONE DA LOTTI… CADONO LE ACCUSE SULLO SPECTRE, RESTA LA QUERELA
Si chiama Tommasa Giovannoni Ottaviani, è conosciuta sui giornali come Titti, la moglie di Renato Brunetta (si sono sposati nel luglio 2011) e ha rilasciato un’intervista a Libero rivelando di essere la proprietaria dell’account intestato a Beatrice Di Maio, accusato di attaccare il governo all’interno di un Sistema controllato da Oscuri Poteri.
La storia dell’indagine sugli account della Rete («la procura deve indagare anche su questo») si è rivelata “esagerata”, visto che agli atti dei PM di Firenze c’era una semplice denuncia per diffamazione.
Ma Franco Bechis, che sul blog di Grillo aveva difeso Beatrice Di Maio definendola «una brunetta di 25 anni» (cosa che ha spinto la donna a confessare, visto che ha visto in quell’accenno non un’informazione errata data al giornalista di Libero, ma un riferimento al marito), ha raccolto le sue confessioni in forma di intervista mentre lei ha sospeso l’account:
L’ha fatto dopo che le ho mandato un messaggio privato su twitter, al termine di una lunga ricostruzione, di decine di testimonianze raccolte e ovviamente della soffiata giusta ricevuta. «Cara Bea (non so se il tuo vero nome è questo, o Tommasa o altro…). Mi piacerebbe sentirti…». L’intuizione era giusta. A quel punto ho cercato e trovato la persona che immaginavo si nascondesse dietro quel nome. Non ha 25 anni, ma essendo una bella donna non ha età . E ovviamente non gliela chiedo. Eccola.
Beatrice di Maio, quale è il suo vero nome?
«Tommasa Giovannoni Ottaviani, donna e mamma di due ragazzi. Arredatrice di interni…».
Aggiungo io, Tommasa detta Titti. E il nuovo cognome che ha: Brunetta. Titti la moglie di Renato Brunetta… (Risata)
«Sì, ma lui non c’entra con questa storia. Non ha mai saputo nulla di quello che facevo. Ho deciso da sola di entrare su twitter, di usare ovviamente un nickname…».
…Di Maio, il cognome di Luigi Di Maio che molti militanti hanno adottato da tifosi…
«A dire il vero l’avevo scelto casualmente, e quando nell’aprile 2015 ho aperto il mio account twitter, non c’erano tanti Di Maio in giro. Ho usato quel cognome perchè mi ricorda una persona cara».
Bene, adesso sappiamo che lei non era in cima a quella spectre messa in piedi da Beppe Grillo e dalla Casaleggio associati. Sono circolate evidentemente un po’ di sciocchezze. Lei è grillina?
«Ho le mie idee. Non sono una militante del Movimento 5 stelle, non conosco nessuno personalmente. Ho fatto amicizia virtuale con tanti, e altre persone che avevano idee simili. Quello che pensavo ho scritto, sempre con ironia. Molte volte si trattava di battute, di satira, con la libertà tipica della rete. Non ho giocato, ero io con il mio animo, le mie passioni politiche, il mio impegno civile e i miei rapporti di affettività . Io sono Bea e porto nel cuore questa esperienza…».
Lei la porta nel cuore, ma Lotti la porta in tribunale…
«Ho fatto una battuta sarcastica, paradossale. Se Lotti si è sentito offeso, mi dispiace e me ne scuso. Ho letto il suo appello, dott. Bechis, al presidente Matteo Renzi sulla libertà di satira, e la ringrazio. Come ringrazio Beppe Grillo per averlo condiviso sul suo blog. Grazie per la solidarietà che mi avete dato senza sapere chi fossi».
Quella che avete letto sopra è soltanto una parte della lunga intervista che potete leggere sul quotidiano in edicola.
Se la storia è vera, in primo luogo possiamo calcolare l’esatto computo di voti totali che Brunetta, con la sua presenza, porta a Forza Italia: uno, il suo.
In secondo luogo, possiamo perfettamente comprendere dove finisca la Struttura della Spectre che le era stata costruita addosso grazie all’«analisi matematica» i cui confini però l’autore non aveva mai rivelato.
Così come sarà divertente se tutta la solidarietà (#IOSTOCONBEA) espressa in questi giorni dagli account amici di Beatrice Di Maio verrà confermata dopo la scoperta dell’identità della persona che si trova dietro l’account.
Nel frattempo è curioso segnalare che nelle molte biografie on line la Titti veniva definita come portatrice di «un carattere più docile e diplomatico» rispetto a quello del marito:
Lei svolge la professione di arredatrice d’interni ed è nata a Roma nel 1963, ed ha raccontato che il primo incontro con il marito è stato in un vivaio, visto che entrambe amano molto il giardinaggio. Lei gli ha dato un passaggio, e da lì è iniziato il loro rapporto.
La coppia vive in una villa sull’Ardeatina, e nonostante la bassa statura del marito Titti è nota per indossare sempre dei tacchi vertiginosi. Lei segue con discrezione l’attività politica di Brunetta, smussandone il temperamento focoso con il suo carattere più docile e diplomatico.
È proprio vero che Internet ti rovina!
(da “NexrQuotidiano“)
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Novembre 24th, 2016 Riccardo Fucile
SARANNO OSPITI SU DOMENICA LIVE MA NIENTE FACCIA A FACCIA… ED E’ LOTTA PER CHI PARLERA’ PER ULTIMO
Una sfida a distanza nel salotto più visto della domenica pomeriggio, dove in passato hanno
spopolato tra selfie con la conduttrice e racconti su Dudù.
Entrambi a caccia del ghiotto pubblico di Barbara D’Urso, Matteo Renzi e Silvio Berlusconi dovrebbero essere entrambi ospiti del popolare programma di Canale 5 nell’ultima domenica utile prima del referendum.
Il condizionale è d’obbligo, mancando le conferme ufficiali, ma che il premier si accomoderà nello studio di Domenica Live lo ha svelato Paolo Liguori a TgCom definendo il contenitore pomeridiano di punta delle reti Mediaset come “la trasmissione preferita” di Renzi.
Mentre da fonti di Forza Italia si apprende che l’ex Cavaliere sfrutterà lo stesso palcoscenico per uno degli ultimi appelli in favore del No.
Niente faccia a faccia, questo è certo: il duello, se si farà , sarà ‘in differita’.
Si alterneranno di fronte alla conduttrice, prima l’uno e poi l’altro.
Ma chi si parlerà per primo?
È attorno a questo che a Mediaset si ragiona in queste ore. Ed è poi il motivo della mancanza di certezze.
Perchè esordire o chiudere lo spazio che Domenica Live sta dedicando da settimane al referendum del 4 dicembre cambia — e non poco — la faccenda: significa avere la possibilità di ribattere alle ragioni espresse da chi ha parlato prima.
Quando sono iniziate le ospitate politiche di Barbara D’Urso, come spiegato in diretta dalla stessa conduttrice, è infatti stato effettuato un sorteggio per decidere chi tra gli esponenti del Sì e del No dovesse aprire le danze.
Toccò a Daniela Santanchè, quindi nelle settimane successive si è andati avanti per alternanza. Secondo questo principio, domenica toccherebbe a Renzi parlare per primo e solo a seguire entrerebbe Berlusconi. Renzi e l’ex Cavaliere sono entrambi d’accordo? E lo è anche Mediaset?
Il Biscione sta nel mezzo, in situazione delicata.
Da una parte, c’è il padrone di casa e dall’altra il presidente del Consiglio. Che il suo network ‘tifi’ per il Sì, lo ha spiegato lo stesso Berlusconi a Porta a Porta con schiettezza: “Hanno paura della possibile ritorsione di chi ha il potere. Ho avuto discussioni a questo livello e ho dovuto accettare questo fatto essendoci dentro le aziende i risparmiatori e devo prendere atto che le dichiarazioni del presidente Mediaset sono attribuibili alla difesa di questi risparmiatori — è stato il suo ragionamento davanti a Bruno Vespa — Se il governo dovesse vincere ci sarebbero conseguenze negative per le nostre aziende e per le altre”.
Ecco quindi che a Domenica Live — prodotto da Videonews, che è una testata giornalistica — si gioca una partita nella partita, una sorta di braccio di ferro, per avere più presa possibile su una fetta di elettorato difficilmente raggiungibile attraverso talk show e programmi politici, oltre che ampia. Molto ampia.
Basti pensare che nell’ultima puntata, la trasmissione ha fatto registrare oltre 2.8 milioni di telespettatori dalle 17 in poi.
Chi parlerà per primo rischia di avere meno presa, perchè confutato subito dopo dall’altro.
A una settimana dalle urne, l’occasione di lasciare il segno su un pubblico così vasto e variegato è troppo ghiotta per non calcolare tutto nei minimi dettagli.
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Novembre 24th, 2016 Riccardo Fucile
PERSONE CHE L’HANNO PENSATA NELLO STESSO ORA SI TROVANO SU FRONTI OPPOSTI E NASCONO PERSINO RISENTIMENTI
Un sottile veleno si è insinuato all’ombra del referendum: la netta frattura fra chi l’ha sempre pensata allo stesso modo, fra chi ha condiviso per lunghissimi anni una comunanza di opinioni e di credenze.
Ora tutto questo è finito per sempre
Confesso che per la prima volta in vita mia sto sperimentando questa insana frattura, che si misura più su una scelta ideologica (sì o no al referendum) che non su indirizzi concreti di politica economica, ovvero su che cosa fare in pratica per migliorare il paese
Trovo molti amici su un fronte opposto, e a volte non c’è verso di instaurare uno straccio di confronto: su tutto predomina un giudizio aprioristico sulla bontà di un Sì o di un No.
E non c’è dubbio: emerge anche un sottile senso di risentimento.
Schierarsi da una parte o dall’altra è obbligatorio, visto che il referendum ci sarà .
Ma un assenso o un diniego al cambiamento della Costituzione così come è stato proposto è riduttivo sia per gli uni che per gli altri.
I fautori del Sì molto spesso conoscono, ma minimizzano li rischio di eccessivo accentramento dei poteri (anche in relazione alla legge elettorale Italicum), i sostenitori del No sanno che ci sono molte cose buone nella riforma costituzionale, ma ritengono che manchi nel nuovo quadro istituzionale un corretto bilanciamento dei poteri.
Vien da pensare: ma se invece di fare una riforma a colpi di maggioranza si fosse lavorato un anno in più per trovare un più largo consenso?
In questo caso non soltanto si sarebbe evitato un referendum che è solo la subordinata della linea principale di una revisione effettuata con l’assenso dei due terzi del Parlamento, ma si sarebbe evitato di creare ulteriori lacerazioni in una cittadinanza sempre più disorientata e confusa da spinte e controspinte dove ormai i demagoghi la fanno da padroni.
Bisognerebbe invece ricordare che è naturale e giusto dividersi sulle cose da fare, e che fa parte del normale corso della democrazia, che è conflittuale per definizione.
La quale dovrebbe progredire verso un allontanamento dall’ideologia per chiarire le ragioni profonde, umane ed economiche ma razionali, che sostengono certe scelte piuttosto che altre.
Con il referendum, invece, si è tornati indietro.
Adriano Bonafede
(da “Huffingtonpost”)
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