Novembre 26th, 2016 Riccardo Fucile
LO SCRITTORE NON SALVA NULLA DELLA STORIA CASTRISTA
“Morto Fidel Castro, dittatore. Incarcerò qualsiasi oppositore, perseguitò gli omosessuali, scacciò un presidente corrotto sostituendolo con un regime militare. Fu amato per i suoi ideali che mai realizzò, mai. Giustificò ogni violenza dicendo che la sanità gratuita e l’educazione a Cuba erano all’avanguardia, eppure, per realizzarsi, i cubani hanno sempre dovuto lasciare Cuba non potendo, molto spesso, far ritorno”.
Con questo post su Fb, Roberto Saviano commenta la morte di Fidel Castro.
Lo scrittore non concede nulla al lider maximo, mettendo in evidenza tutte le ombre che hanno accompagnato gli anni di gestione del potere.
(da agenzie)
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Novembre 26th, 2016 Riccardo Fucile
DA MINA’ ALLA CARRA’ AL RAPPORTO TRA PCI E CUBA… CONTA PIU’ QUELLO CHE RAPPRESENTA DI QUELLO CHE E’ STATO
Il grande equivoco romantico è che Cuba fosse la trasposizione fisica e geografica di Macondo. 
E che Fidel fosse l’incarnazione storica di Aureliano Bendìa, che aveva promosse guerriglie e sommosse a decine, dove la vittoria bastava fosse ideale.
E infatti il luogo e l’eroe di Cent’anni di solitudine avevano fatto del suo autore, il sommo Gabriel Garcia Marquez, l’amico e il garante della purezza di Cuba.
Ancora, infatti, fra i sostenitori del piccolo stato caraibico contro il Golia americano anche in Italia c’erano (o ci sono) molti campioni della cultura e dello spettacolo, prima ancora che dei partiti. Gianni Minà era il totem, diciamo così, attorno a cui ruotavano il filosofo Gianni Vattimo e il maestro Claudio Abbado, il riverito giornalista Alberto Ronchey e l’illuminato editore Giangiacomo Feltrinelli, la popstar Zucchero e la decana dell’entertainment a colori, R affaella Carrà .
E poi ancora Gina Lollobrigida, che all’elogio del rivoluzionario faceva precedere quello delle mani, «così belle», e Carla Fracci, cosciente del regime dittatoriale cubano, e però niente poteva prevalere sulla «grande considerazione che il balletto gode nei paesi socialisti».
E dunque tutti castristi, per ragioni diverse, e con diverse intensità , talvolta rafforzate e altre indebolite dal tempo, dall’annacquarsi dell’utopia, e così anche il più giovane dei castristi, Gennaro Migliore, ora nel Pd, fu visto una sera a Milano ad ascoltare con attenzione Mario Vargas Llosa, Nobel per la letteratura e irriducibile nemico di Garcia Marquez.
È che il rapporto fra il Pci e Cuba non è mai stato semplicissimo: grande attenzione e simpatia all’inizio, poi una certa diffidenza proprio per la natura un po’ eccentrica del comunismo cubano: andarono sull’isola Enrico Berlinguer e Luigi Pintor, Pietro Ingrao e Rossana Rossanda, tornando sempre con più perplessità che entusiasmi.
E lasciando progressivamente il castrismo e il guevarismo alle fascinazioni sessantottine, e poi ai partiti minori della seconda Repubblica, dove si ricorda un «lunga vita, caro comandante», spedito da Fausto Bertinotti a Castro per i suoi ottant’anni nel 2006.
In fondo conta più quello che rappresenta di quello che è stato, purtroppo, così anche oggi non soltanto l’eterno Marco Rizzo, rivalutatore di Stalin, ma pure il sindaco di Napoli, Luigi De Magistris, possono ricordarlo come un liberatore, piuttosto che come un tiranno.
Mattia Feltri
(da “La Stampa”)
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Novembre 26th, 2016 Riccardo Fucile
CON FIDEL PATRIA E RIVOLUZIONE ERANO UNA IDENTITA’ UNICA… ORA IL CONTROLLO DEL PAESE E’ NELLE MANI DELLE FORZE ARMATE
Quanto lontana ci sembra, oggi, questa morte di Fidel Castro, lontana da un nostro tempo ora affannato, travolto da guerre e migrazioni che ne mutano storia, equilibri, futuro.
Che c’entra più quel Fidel rivoluzionario con Putin, con Trump, anche con Jinping o Assad.
Oggi la «rivoluzione» stenta a identificarsi, ha connotazioni e spasmi che si consumano nei torcimenti di bandiere nere nel vento di un misticismo illusionista, o vaga miseramente nelle frustrazioni di brandelli marginali di società esclusi dalle accelerazioni del tempo elettronico.
E com’era patetico l’annuncio che Raàºl faceva in televisione della morte del fratello, quando il rituale d’una liturgia ormai fatta di sola retorica gli imponeva di terminare la breve lettura con le parole di un’eternità che non esiste più: «Hasta la victoria siempre».
La realtà stringe e domina, amara, spietata, che di un’utopia presto impossibile fa una realtà da tempo stanca e spassionata, una routine di sopravvivenza quotidiana che seppellisce il mito con la cremazione del Làder Mà¡ximo, un leader che però «massimo» lo era ormai soltanto nelle parole stinte di una devozione che ha la stessa scoloritura degli slogan rivoluzionari sui muri del Malecà³n, consumati dal vento indifferente che monta su dall’oceano.
Con Miami e «el imperialismo» ad appena un soffio di brezza.
Integrando nazionalismo (il nazionalismo di Josè Martà e Manuel de Cèspedes) con la rivolta degli esclusi dalla Storia, i dannati della terra, Fidel Castro aveva costruito una società dove patria e rivoluzione avevano una identità unica, che prometteva a portata di mano il riscatto felice dalle oppressioni della esistenza comune, individuale e collettiva.
Poi però, presto, la rivoluzione-progetto diventò rivoluzione-regime; l’illusione si spense amaramente nella chiusura d’ogni spazio di dibattito liberale, ma conservando comunque alcune reali conquiste sociali, che hanno fatto di Cuba un’isola preziosa nella miseria diffusa di un Terzo Mondo schiacciato ovunque dalla repressione: quella «democrazia sociale» sostenuta da una (tendenzialmente) equa distribuzione delle poche risorse, la cura attenta per la salute di tutti, una istruzione pubblica gratuita e garantita come strumento reale di crescita.
Questo, resta. È l’eredità di Fidel, il suo lascito a quella Storia che lui chiamava a giudice finale del proprio operato.
Ma è una eredità che non basta a reggere i conti spietati d’una economia fatta di troppe ambizioni (e troppi errori) per le misere risorse d’una autarchia che si misura nei processi della globalizzazione, e paga la sua asfittica produttività con il bisogno di investimenti che irridono «el socialismo» degli slogan.
Se questa morte di Fidel fosse arrivata una decina di anni fa, forse anche più, tutta l’impalcatura della Revolucià³n avrebbe subito una scossone drammatico, al rischio di metterne in crisi la stessa capacità di sopravvivenza. –
Da qualcuno si sarebbe temuta, e anche sperata, una rivolta interna, scontri sociali destabilizzanti, forse anche le armi.
Ma quel tempo è finito: la normalizzazione con gli Usa, la visita di Obama, la bandiera americana che sventola sul Malecà³n, hanno disarmato i furori dell’anticastrismo, e Putin ha ben altre ambizioni che risollevare dalla polvere il mito dell’internazionalismo comunista.
Gli esuli cubani che ballavano felici per le strade della Little Habana, a Miami, celebravano il rituale del sacrificio ma erano consapevoli ch’era soltanto un rituale; la controrivoluzione non si fa con un ballo.
Gli yacht e le grandi barche approntati nei porti di Key West e Miami per trasbordare a Cuba le ondate di esuli all’assalto del regime, dopo l’annuncio della morte di Fidel, ora resteranno all’attracco a consumare dondolando le illusioni di un tempo che non c’è più.
E cosa riserva, questo nuovo tempo, a Cuba, oggi, con la morte del simbolo della Revolucià³n.
Certamente la continuità , ma una continuità che ha appena l’ombra del gattopardismo di Tomasi: il controllo del paese è saldamente nelle mani delle forze armate, e le forze armate sono saldamente nelle mani di Raàºl.
Il regime tiene; ha bisogno di risorse, di aiuti, di investimenti, ma tiene.
E Raàºl ha preparato da tempo il cambio, all’interno di un «modello» che è più vicino ad Hanoi che a Pechino ma, comunque, fonda la propria sopravvivenza sul controllo fermo dello spazio politico e però, contemporaneamente, offre aperture e incentivi sui processi economici.
L’integrità del modello subirà certamente erosioni e mutamenti progressivi, proprio come effetto della sua stessa dinamica; ma intanto appare solido, inattaccabile, all’interno come anche nei suoi spazi esterni.
E le spinte «controrivoluzionarie» – comunque sicuramente attive, operanti — dovranno subire la realtà di un regime che ha cambiato pelle pur mantenendosi dentro il simulacro della propria storia.
Qualche ragione Raàºl doveva averla, l’altra notte, quando — la voce spezzata da un pianto di fratello — chiudeva il suo annuncio: «Hasta la victoria siempre».
Mimmo Cà ndito
(da “La Stampa”)
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Novembre 26th, 2016 Riccardo Fucile
AVEVA 90 ANNI, E’ SOPRAVVISSUTO A DIECI PRESIDENTI DEGLI STATI UNITI… DALLA RIVOLUZIONE AL DISGELO CON WASHINGTON
L’ex presidente cubano Fidel Castro, leader della rivoluzione comunista dell’isola è morto all’età di
90 anni. Lo ha annunciato la tv di stato cubana.
«Oggi, 25 novembre, alle 10:29 della notte è morto il Comandante in Capo della Rivoluzione Cubana Fidel Castro Ruz»: lo scrive il sito web ufficiale Cubadebate.
Il corpo di Fidel Castro sarà cremato nelle prossime ore, ha detto Raul Castro annunciando in tv la morte del fratello.
Cuba ha dichiarato nove giorni di lutto nazionale. I funerali si terranno domenica 4 dicembre.
TUTTA LA VITA DI CASTRO
Fidel Castro, eroe per la sinistra nel mondo e dittatore sanguinario per i nemici, è stato protagonista di una piccola isola caraibica per quasi sessant’anni, sulla scia della sua tenace battaglia contro la maggior potenza del mondo, gli Stati Uniti.
Nato a il 13 agosto 1926 a Biran, figlio del proprietario terriero spagnolo Angel Castro e della cubana Lina Ruz, ha studiato prima nei collegi La Salle e Dolores di Santiago de Cuba, poi, dal 1941 al 1945, a L’Avana, nella prestigiosa scuola gesuita di Belen, periodo che incide fortemente nella sua formazione culturale, così come in quella del fratello, Raul.
Qualche anno dopo la laurea in legge si candida alle presidenziali, progetto subito frustrato per il golpe del 10 marzo di Fulgencio Batista.
La sua risposta è l’assalto alla Caserma della Moncada, il 26 luglio 1953.
Per Fidel fu un disastro: i ribelli vennero catturati e 80 di loro fucilati. Catro è condannato a 15 anni di prigione e, nella sua difesa finale, pronuncia il famoso discorso su «La storia mi assolverà », in cui delinea il suo sogno rivoluzionario.
Dopo il carcere, amnistiato, va in esilio negli Usa, poi in Messico: è qui che conosce Ernesto Guevara.
Insieme al Che, Raul ed altri 79 volontari, nel’56 sbarca nell’isola a bordo del Granma.
Il gruppo, sorpreso dalle truppe di Batista, viene decimato: in 21 riescono a rifugiarsi nella Sierra Maestra. I due anni di guerriglia mettono alle corde il dittatore. Il 1/o gennaio 1959, i barbudos entrano trionfalmente a L’Avana. Castro lo fa qualche giorno dopo.
Fino al trionfo della revolucion, l’isola viveva del commercio con Washington. Dopo la presa del potere di Fidel, il paese divenne un campo di battaglia della guerra fredda. Cuba riesce comunque a resistere al duro embargo americano e ad un attacco militare, quello della Baia dei Porci, organizzato dalla Cia formato da cubani reclutati all’estero.
È poi stata al centro della crisi dei missili nel 1962 che ha rischiato di trascinare il mondo in una guerra nucleare mondiale.
Forte di un inossidabile carisma e affascinante capacità oratoria, Fidel è stato per decenni il `nemico numero uno’ di Washington: con il risultato che, mentre accresceva la sua dipendenza dall’Urss, appoggiava i movimenti marxisti e le guerriglie in America Latina ed in Africa, diventando tra i leader del movimento dei Paesi non Allineati.
Nel frattempo, si sposa con Dalia Soto del Valle. Hanno cinque figli: Alexis, Alexander, Alejandro, Antonio e Angel.
Il lider maximo, con una vita privata nella quale realtà e mito s’intrecciano, è sopravvissuto a dieci presidenti Usa e – ha più volte ricordato – a 600 attentati.
Perfino nel crepuscolo del suo mandato, Fidel e il sistema politico cubano sono riusciti nel bene e nel male a resistere alla disintegrazione socialista e al crollo dell’Urss nel ’91.
Per i cubani, Castro è stato il Comandante, oppure semplicemente Fidel, sul quale sono state costruite tante storie: «non dorme mai», «non scorda nulla», «è capace di penetrarti con lo sguardo e sapere chi sei», «non commette sbagli».
Castro ha d’altro lato esibito una devozione per le cifre e dati, nascondendo caratteristiche come il pudore e lo scarso interesse, raro per un cubano, per la musica e il ballo.
Ha sempre avuto una salute di ferro fino all’improvvisa e grave emorragia all’intestino avuta al rientro di un viaggio dall’Argentina poco prima di compiere 80 anni.
Malato, dopo aver delegato il potere al fratello Raul – prima in modo provvisorio il 31 luglio 2006, poi definitivamente nel febbraio 2008 – ha così cominciato il conto alla rovescia verso la fine di una vita leggendaria.
L’era di Fidel si scioglie lentamente, in mezzo a una nuova Cuba ogni volta più `raulista’, tra una serie di riforme economiche e la mano ferma del potere sul fronte politico: di sicuro una transizione, la cui portata è però difficile da capire.
La data chiave della nuova era è il 17 dicembre 2014: quel giorno, a sorpresa e con la mediazione di Bergoglio, L’Avana e Washington annunciano il `disgelo’ bilaterale. Fidel assiste da lontano al `deshielo’, ogni tanto scrive qualcosa ribadendo concetti quali la `sovranità nazionale’ e il `no all’impero’. Ma in sostanza a dettare il ritmo dei cambiamenti ormai è Raul.
Con lunghi periodi di assenza dal pubblico, i limiti al suo mandato Fidel li aveva fissati nel 2003, dirigendosi ai cubani: «Rimarrò con voi, se lo volete, finchè avrò la consapevolezza di potere essere utile, se prima non lo decide la stessa natura. Nè un un minuto prima nè un secondo dopo».
(da “La Stampa”)
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Novembre 26th, 2016 Riccardo Fucile
FIGLIO DI FAMIGLIA BENESTANTE, MEDIE DAI PRETI, BOY SCOUT COME RENZI, A 18 ANNI FREQUENTA IL LEONCAVALLO, POI LA TRASFORMAZIONE IN COMUNISTA PADANO E INFINE IL SALTO A PROIBIZIONISTA
C’è stato un tempo in cui Matteo Salvini, oggi segretario della Lega Nord, era favorevole alla legalizzazione delle droghe leggere.
Era il 1998, 18 anni fa.
Al giornale il Sole delle Alpi l’allora leader dei “Comunisti padani” diceva: “Noi ci rapportiamo alle tematiche classiche della sinistra, dalla forte presenza statale alla liberalizzazione delle droghe leggere”.
Allora era statalista e non federalista, per la liberalizzazione degli spinelli e non per la loro proibizione.
Non a caso, da buon figlio di famiglia benestante (il padre era dirigente d’azienda, con seconda casa a Recco, in riviera) era un assiduo frequentatore del centro sociale milanese Leoncavallo che, si capisce, non era proprio un salotto di trinariciuti reazionari.
Anzichè laurearsi – dopo le Medie dai preti e relativa frequentazione della parrocchia dei Santi Narbore e Felice, dove aveva debuttato come boy scout come Renzi, e il liceo classico al Manzoni , penso’ bene di piantare le tende alla Facoltà di Storia, raccogliendo il record di 14 anni fuoricorso.
A vent’anni (1993) entra in Consiglio comunale, rimanendoci per diciannove primavere di fila e trova finalmente uno stipendio, l’equivalente di 800 euro il mese.
A Palazzo Marino arrivò il primo Sindaco leghista della storia milanese, Marco Formentini e Salvini divenne in poco tempo “il suo pupillo”, anche se in via Bellerio non se lo filava nessuno.
Per farsi notare senza dimenticare le sue origini da sinistrorso barricadero, oltre l’orecchino alla Vendola , nel 1997, fondò i “Comunisti padani”, corrente che gli permise di entrare nel “Parlamento della Padania”, una assemblea separatista formata da 200 leghisti in cui tutte le “varie anime della Lega” erano rappresentate, come ha raccontato a Rivista Studio l’ex Presidente federale della Lega Angelo Alessandri.
Raccolse una percentuale quasi da prefisso telefonico, ma cominciò così la scalata alle poltrone che lo porterà ad assommare anche gli stipendi da parlamentare europeo e italiano.
Poi un’altra giravolta e la svolta a destra: addio indipendenza della Padania e federalismo e diventa lepenista più di Marine.
E dall’ auspicare la liberalizzazione delle droghe leggere eccolo diventare proibizionista quando ancora nell’autunno del 2014, Salvini si era detto possibilista sulla legalizzazione durante un’intervista su La7.
Legalizzare le droghe leggere? «Parliamone» aveva dichiarato alla trasmissione “Coffee Break”.
Adesso invece la sua Lega ipotizza addirittura una “rivoluzione antropologica” che agisce “per disarticolare i nessi e i legami della nostra idea di comunità ” e di una “provata escalation” che inizia con le droghe leggere e si conclude con la “dipendenza da droghe pesanti, come l’eroina.
Quanto tempo è passato da quel lontano 1998… del Matteo leoncavallino e comunista padano rimane un ricordo sbiadito, come la rara foto che pubblichiamo.
Come rimane ben poco della coerenza di un opportunista politico che ha cambiato “pelle” ogni qualvolta poteva trarne vantaggio.
Uno dei tanti bluff della politica italiana che solo una destra in disfacimento ideale può ergere a riferimento.
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