Luglio 4th, 2017 Riccardo Fucile
POCHE DELIBERE E TANTI QUATTRINI: PER FARE COSA?
Oggi Il Messaggero riepiloga in un’infografica il dramma della produttività di atti che ha colpito i municipi romani da quando ci sono i grillini al governo della città .
Una morìa che colpisce soprattutto le delibere e che imbarazza se messa a confronto con quanto accade al I e al II Municipio, ovvero i due che sono a guida PD: 62 quello guidato dalla dem Sabrina Alfonsi e 8 da quello presieduto dalla collega di partito Francesca Del Bello. Quante sono state, invece, le delibere licenziate dalle squadre dei grillini?
Nei restanti 12 Municipi il numero totale di atti ammonta a 85.
Uno solo nell’VIII, nel frattempo sciolto a causa delle dimissioni di Paolo Pace: un’area verde riservata ai cani.
Insomma, nei municipi non si producono atti, ovvero l’unico metro di valutazione di un’amministrazione. In compenso però si guadagna.
Nei primi sei mesi del 2017 i consigli municipali sono costati alle casse di palazzo Senatorio più di un milione di euro. Stesso importo — circa un milione 200 mila euro — è stato invece speso dall’amministrazione capitolina per coprire i costi delle giunte. Il Campidoglio vuole correre ai ripari cedendo parte dei fondi ora in carico al bilancio comunale direttamente alle amministrazioni periferiche, che sono prime a lamentare l’assenza di risorse e gli scarsi margini di manovra.
I tempi per questo primo esperimento non saranno rapidissimi, mettono le mani avanti dal Campidoglio, perchè prima occorre mettere ancora di più in salvo i conti di Palazzo Senatorio. Ma l’idea c’è. E Virginia Raggi l’ha voluta annunciare la settimana scorsa.
I problemi intanto rimangono. E sono sempre di più gli amministratori grillini a lamentarsi, lontano dalle bacheche Facebook e consessi ufficiali, delle difficoltà per tirare avanti.
Roberto Romanella, presidente del VI Municipio (uno dei meno produttivi: solo 6 delibere di giunta in un anno), in un’intervista al Messaggero spiega però quali problemi pratici sono stati riscontrati dagli eletti all’approdo nei consigli e nelle giunte:
«Intanto c’è un problema di avvio del meccanismo: 11-12 mesi ci vogliono per capire come funzionano le cose in generale».
Quindi è solo un problema di inesperienza o c’è altro?
«Non è che stiamo andando così male, in verità . Fondamentalmente facciamo atti dove sappiamo di poterli portare avanti: spesso c’è anche un problema di soldi o di possibilità di mettere in pratica le cose che vogliamo fare».
Chiede più risorse al Campidoglio?
«Noi abbiamo impiegato larga parte del budget a nostra disposizione: 18 milioni su 21. Ma abbiamo avuto grossi problemi legati alla mancanza di alcune figure professionali adeguate».
(da “NextQuotidiano”)
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Luglio 4th, 2017 Riccardo Fucile
LA RELAZIONE DELL’INPS DIMOSTRA CHE GLI IMMIGRATI SONO UNA RISORSA PER L’ITALIA, LA SALVEZZA DEL NOSTRO SISTEMA PREVIDENZIALE
Parlare il linguaggio della verità non è mai popolare. Le circostanze talvolta impediscono
di farlo ai politici, ma per chi come Tito Boeri ha la responsabilità di tenere in piedi uno dei sistemi di protezione sociale più grandi del mondo è un dovere istituzionale.
Di fronte ai fatti di questi mesi, all’insipienza dell’Europa, all’ignavia che ha lasciato l’Italia sola ad affrontare una crisi migratoria senza precedenti, il rapporto Inps squarcia il velo dell’ipocrisia.
Gli studi dell’Istituto — corroborati dal lavoro dei ricercatori del programma VisitInps — confermano che gli immigrati non sono più un contributo alla crescita delle nostre economie, ma il necessario supporto di un sistema previdenziale sempre più appesantito dall’aumento dell’aspettativa di vita.
Non solo: i numeri dimostrano che tutto questo avviene a dispetto della leggenda secondo la quale gli immigrati tolgono il lavoro agli italiani.
Una ricerca sulla grande sanatoria del 2002 anticipata nei mesi scorsi dalla Stampa dimostra al contrario che la gran parte di loro si dimostra più flessibile e disposto ad accettare i mestieri che gli italiani non hanno più voglia di fare.
Negli ultimi anni la risposta della politica all’ondata migratoria ha risposto all’inevitabile logica dell’emergenza e ai timori legati all’estremismo islamico.
Dalla grande sanatoria del 2002 in cui furono regolarizzate nella sola industria più di 230mila persone, il numero di immigrati accolti nel mercato del lavoro italiano si è assottigliato fin quasi ad azzerarsi.
I numeri di Boeri dimostrano che così facendo stiamo mettendo un cappio al collo dell’economia e del sistema previdenziale.
Prima o poi bisognerà farci i conti.
(da “La Stampa”)
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Luglio 4th, 2017 Riccardo Fucile
SENZA I LAVORATORI DALL’ESTERO IN 22 ANNI QUESTO SAREBBE IL SALDO TRA ENTRATE E USCITE…”SERVE UN REDDITO MINIMO DI INCLUSIONE E UN SALARIO MINIMO”..ABUSO DELLE CIG: PER IL 20% DELLE IMPRESE DURA 5 ANNI
Propone di rinominare l’Inps come “Istituto Nazionale della protezione sociale”, dal momento che “solo” 150 delle 440 prestazioni erogate sono di tipo pensionistico.
E con un pizzico di orgoglio dichiara di essersi fatto tanti nemici e che la lista di chi chiede una chiusura anticipata del mandato “si è notevolmente allungata”.
Ma soprattutto nella “Relazione Annuale” presentata stamane a Montecitorio, il presidente dell’Inps Tito Boeri delinea le direttrici lungo le quali contributi, previdenza e assistenza devono muoversi nei prossimi anni, se si vuole evitare il tracollo.
A cominciare da un consistente impiego degli immigrati: chiudere loro le porte ci costerebbe la perdita secca di 38 miliardi per i prossimi 22 anni, una manovra aggiuntiva annuale.
E delle donne, anche: i costi per il loro mancato utilizzo nel mercato del lavoro sono anche più alti. Boeri chiede maggiore equità , insiste per il perfezionamento e la piena applicazione di riforme appena accennate, o rimaste a metà del guado: il ricongiungimento gratuito dei contributi, il reddito minimo d’inclusione, il salario minimo.
Bacchetta chi frena per motivi propri, come i sindacati, che non vogliono più il salario minimo per non perdere il loro cruciale ruolo contrattuale. Ricorda che il mismatch tra lavoratori e competenze utilizzate e la mancanza di formazione hanno dei costi, alla lunga, e l’Italia li sta pagando tutti.
E rivendica una gestione virtuosa dell’Inps: “Nel 2016 è costata 3.660 milioni contro i 4,531 del 2012, all’indomani dell’incorporazione di Inpdap ed Enpals”.
Le prestazioni: meno della metà sono pensioni.
L’Inps eroga 440 prestazioni, ma solo 150, ricorda il presidente Boeri, sono di natura pensionistica. Tra le ultime nate affidate all’Inps il Bonus mamma domani, l’Ape sociale e l’Ape volontaria. E tra qualche giorno l’Inps comincerà a gestire il nuovo contratto di prestazione occasionale, PRESTO. Da settembre inoltre l’Inps gestirà anche le visite fiscali nel pubblico impiego, e dal 2018 il nuovo Reddito di Inclusione.
Le forzature della Cig.
L’uso della Cassa integrazione si è da tempo snaturato. Infatti due terzi delle 350.000 imprese che nella lunga crisi 2008-2016 hanno utilizzato la cassa integrazione nelle sue varie articolazioni, ordinaria, straordinaria e in deroga, hanno avuto accesso allo strumento per più di un anno, e un quinto delle imprese addiritttura per cinque anni o più.
“Difficile pensare – osserva Boeri – che, in questi casi, si tratti di problemi temporanei, indubbio che siamo di fronte a un sussidio prolungato che riduce in modo continuativo il costo del lavoro di alcune imprese. Circa un beneficiario su quattro di cassa integrazione nel 2014 aveva ricevuto il trattamento per più di nove mesi. Tutto questo ci dice che utilizziamo per periodi molto lunghi strumenti concepiti per affrontare crisi temporanee”.
Ammortizzatori: la copertura è aumentata, ma servono più garanzie.
La copertura degli ammortizzatori sociali con le ultime riforme è aumentata, valuta l’Inps: “Noi stimiano che circa il 6% dei beneficiari Naspi nel biennio 2015-2016 non avrebbe avuto del tutto accesso ai sussidi di disoccupazione in assenza della riforma”. Ma la strada per una garanzia vera dei più deboli è ancora lunga, ricorda Boeri: “Manca ancora in Italia uno strumento universalistico per chi non ce la fa comunque a trovare lavoro al termine della durata massima dei sussidi di disoccupazione e, più in generale, per tutti coloro che finiscono in condizioni di indigenza”.
Piccole imprese crescono: le prime ricadute positive del Jobs Act.
Si proponeva di far crescere le imprese al di sopra dello sbarramento dei 15 dipendenti, e in parte il Jobs Act ci è già riuscito: l’Inps valuta che ci sia stata un’impennata nel numero di imprese private che superano la soglia dei 15 addetti, “passate dalle 8.000 al mese di fine 2014” alle “12.000 dopo l’introduzione del contratto a tutele crescenti”.
Il mismatch: un male tutto italiano. L’Ocse assegna all’Italia il “primato nella percentuale di lavoratori sbagliati al posto sbagliato”, osserva Boeri, cioè, in altre parole, nel livello di mismatch tra le competenze richieste dalle imprese e quelle offerte dai lavoratori. Per superarlo, dice il presidente dell’Inps, bisogna migliorare la transizione tra scuola e lavoro e incentivare gli investimenti in formazione sul posto del lavoro”.
Ma anche la mobilità e il turnover rapido contribuiscono a ridurre il mismatch, che infatti è più limitato tra gli immigrati, che oltre a salvare i nostri conti pensionistici sono estremamente più mobili degli italiani e pertanto migliorano notevolmente le carriere nel corso della vita lavorativa, il salario migliora del 4% per esempio se si lavora in un Comune diverso da quello in cui si è nato.
Gli immigrati: ossigeno per il sistema previdenziale.
Chiudendo le frontiere agli immigrati “rischiamo di distruggere il nostro sistema di protezione sociale”, ammonisce Boeri. I lavoratori che arrivano in Italia sono sempre più giovani, la quota degli under 25 è passata dal 27,5% del 1996 al 35% del 2015, e pertanto si tratta di 150.000 contribuenti in più l’anno, che bilanciano in parte il calo delle nascite.
Più donne al lavoro.
Però gli immigrati non bastano: bisogna varare e soprattutto applicare le politiche per far rimanere al lavoro le donne, anche quando diventano madri, sottolinea l’Inps. La nascita di un figlio per una madre con contratto a tempo determinato ha come conseguenza un calo del reddito potenziale del 35% per i primi due anni di vita del bambino. E le nuove misure per incentivare il ritorno delle madri al lavoro e il congedo di padre funzionano solo in parte, perchè solo in parte vengono applicate: due terzi dei neopadri non hanno preso il congedo nel 2015.
(da agenzie)
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Luglio 4th, 2017 Riccardo Fucile
15.000 EURO AL MESE MENTRE I BAMBINI AFFOGANO… PENSANO A COSTRUIRE MURI COME I REGIMI CRIMINALI
Jean-Claude Juncker striglia il Parlamento europeo mezzo vuoto nel giorno in cui si
discute dell’emergenza migranti. Antonio Tajani difende l’Aula che presiede. Mentre il premier maltese Joseph Muscat accusa l’Europa di scarsa solidarietà , quando Malta è stato il primo Paese a non aprire i propri porti alle navi che salvano le vite in mare. A Strasburgo l’Unione europea si produce oggi nell’ennesimo tentativo di mettere in campo una strategia per arginare i flussi migratori provenienti dalla Libia e fa emergere tutta l’ipocrisia con cui le istituzioni comunitarie hanno affrontato e continuano ad affrontare il tema delle migrazioni e le difficoltà dell’Italia.
In attesa delle “misure concrete” annunciate per oggi dalla Commissione, da questo lato del Mediterraneo quello che continua a mancare è la volontà di prendersi carico di chi è già sbarcato o è in procinto di farlo: lunedì Francia e Spagna hanno annunciato il loro no all’apertura dei porti alle navi delle ong e oggi l’Austria di è detta pronta a mandare i soldati al confine con l’Italia.
La giornata è cominciata con lo scontro andato in scena durante la plenaria al Parlamento europeo tra il presidente della Commissione Juncker e il presidente del Parlamento europeo, Antonio Tajani.
Juncker, che avrebbe dovuto parlare dei risultati della presidenza maltese e della crisi migratoria, si è lamentato per i pochi parlamentari presenti in Aula, esemplificazione plastica del disinteresse dei membri dell’Unione nei confronti della problematica. “Siete ridicoli“, ha attaccato, subito ripreso da Tajani. “Moderi i termini — l’ha interrotto — è la Commissione sotto il controllo del Parlamento non il contrario”.
Nell’immobilsmo delle istituzioni europee che sul tema dura da anni e i movimenti populisti che cavalcano la paura e il risentimento dei cittadini, il capo dell’esecutivo veste i panni dello scudisciatore nell’intento di dimostrare che il governo di Bruxelles c’è e vuole aiutare l’Italia, tentando di far dimenticare due anni di fallimenti inizati nel maggio 2015 con l’accordo mai rispettato sul ricollocamento di 40mila richiedenti asilo da Italia e Grecia.
Con quanto la Commissione europea delibererà oggi in materia di migrazioni “dimostreremo con i fatti che vogliamo rimanere solidali, soprattutto con l’Italia che dimostra un atteggiamento eroico. La solidarietà è d’obbligo”, ha detto quindi Juncker durante la plenaria riferendosi alla riunione del collegio dei commissari che oggi discuterà e presenterà una serie di misure in sostegno dell’Italia, che formeranno la base per la discussione nel prossimo Consiglio Affari Interni informale che si terrà a Tallinn giovedì.
“Viva l’Italia“, ha concluso il presidente della Commissione.
In Aula a Strasburgo ha preso la parola anche il premier maltese per fare il punto sul semestre di presidenza europeo conclusosi il 30 giugno.
Un discorso di rara ipocrisia: “Sulle migrazioni, con tutte le buone intenzioni e le dichiarazioni, quando si tratta di una solidarietà effettiva, noi, gli Stati membri dell’Ue, dovremmo vergognarci tutti di quello che abbiamo fatto. Paesi come l’Italia hanno visto centinaia di migliaia di bambini, donne e uomini raggiungere le sue coste: guardiamo a questa Europa che, su questo argomento, è un fallimento“, ha detto Muscat.
“Malta dedica il 100% delle proprie risorse militari alla cooperazione per salvare le vite dei migranti in mare — il j’accuse del primo ministro di un Paese che finora non ha accolto neanche un profugo — ma voglio essere chiaro non si può andare avanti sempre così. In assenza di vera solidarietà da parte degli altri Stati membri non si potranno poi incolpare i Paesi che decidono di tutelare gli interessi nazionali. Ma questa non è la strada che vogliamo. Siamo convinti che siamo ancora in tempo”.
“La solidarietà inizia a casa propria — ha concluso Muscat — e dovrebbe essere mostrata ai più piccoli e chi ha le crisi”.
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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