Luglio 28th, 2017 Riccardo Fucile
IL QUOTIDIANO LOCALE YENIDUZEN SMONTA LE BALLE “IDENTITARIE” DELL’ARMATA BRANCALEONE RAZZISTA
Comunque andrà la missione di Defend Europe questa 48 ore cipriota sarà difficile da dimenticare.
Se la società civile di mezzo Continente temeva (o auspicava, dipende dai punti di vista) giungesse dal Djibouti una pericolosa e agguerrita invincibile armata “anti-invasione” è stata grande la sorpresa di assistere ad una sequela di fantozziani scivoloni di un’armata Brancaleone.
Chi spiegherà , ora, agli ultrà dell’identitarismo che l’operazione di salvataggio delle “nostre tradizioni” messa in piedi dai crociati 2.0 era stata esternalizzata ad una ciurma composta, praticamente, solo da cittadini dello Sri Lanka, come riporta la stampa locale.
Per l’avvocato cipriota Faika Pasha che ha seguito la vicenda minuto per minuto e alla stampa turco-cipriota, oltre a 29 cingalesi, all’arrivo sarebbe sbarcato solo un cittadino tedesco.
Se l’obiettivo era quello di perorare la causa (identitaria) della minoranza Tamil l’operazione è riuscita in pieno; se al contrario, lo scopo era quello di confondere i “pro immigrazione” scegliendo un porto meno battuto come punto d’incontro per i neo crociati, il risultato è stato mancato miseramente.
Sarcasmo a parte, ciò che rimane di questa grottesca avventura è una lunga lista di domande senza risposta.
La prima è cosa sia davvero successo con i cingalesi: “praticanti” o irregolari trasportati al costo di 10mila euro a testa?
Le versioni dell’ong locale per i migranti e di Defend Europe sono diametralmente opposte.
Gli identitari accusano l’organizzazione dell’avvocato Pasha di aver “corrotto” i cingalesi per chiedere asilo. Ma perchè mai cinque cittadini dello Sri Lanka avrebbero dovuto accettare denaro per chiedere asilo in un paese, la repubblica turca di Cipro nord, dove l’asilo — inteso con lo standard internazionale riconosciuto — non esiste ?
Alla parte non riconosciuta dell’isola, quella delimitata dopo l’invasione di Ankara del ’74, non si applicano le regole di Dublino e non è quindi prevista alcuna possibilità di essere trasferiti in Europa.
Per i cinque cingalesi qualora il governo del nord dovesse riconoscere una qualche forma di tutela, non rimarrà che muoversi nello stretto perimetro della Repubblica di fatto, riconosciuta solo dalla Turchia.
Ci sarebbe poi da chiarire il perchè degli arresti.
Cipro nord non è una Repubblica delle banane: la stampa è libera, a differenza che in Turchia, e l’operato delle sue istituzioni è monitorato tanto dall’Ue quanto dall’Onu.
Quindi Defend Europe potrà parlare di complotto quanto vuole ma per il giudice locale i documenti dell’equipaggio cingalese e dell’imbarcazione erano falsi: d’altronde la nave non è stata lasciata andare con tante scuse ma cacciata via come sia fa con gli ospiti non graditi.
Gli identitari non sono stati tecnicamente espulsi, ha detto la polizia turco cipriota, ma “accompagnati fuori dalle acque territoriali per comportamenti sospetti”, come riporta il quotidiano Yeniduzen.
La ragione principale sono cavilli legali: la Repubblica turco cipriota non ha relazioni diplomatiche con lo Sri Lanka, come d’altronde con nessun altro Stato, e indagini approfondite sarebbero state impossibili.
Inoltre, scrive ancora il quotidiano di Famagosta, le autorità non hanno potuto processare il gruppo per traffico di essere umani perchè il codice penale di Cipro nord non prevede un reato specifico.
I cinque cingalesi che hanno chiesto asilo, d’altronde, insistono: abbiamo pagato 10mila dollari affinchè ci portassero in Italia.
L’unico elemento certo è che ad oggi l’imbarcazione pro Europa delle nazioni ha lasciato Cipro con appena 1 europeo su 10 membri e che la prima missione di salvataggio (questo era l’obiettivo degli identitari, o no?) si conclude con cinque richiedenti asilo trasportati alle porte dell’Europa.
Un inizio promettente, speriamo continuino così.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Luglio 28th, 2017 Riccardo Fucile
SCELTO DAL M5S E GIA’ FATTO FUORI: “MI ERO DIMESSO UNA SETTIMANA FA CON FOGLIO PROTOCOLLATO, CONTINUANO A FARE PROPAGANDA”
Sono state ritirate le deleghe al direttore generale di ATAC, Bruno Rota. A quanto apprende l’agenzia di stampa AGI la decisione è stata comunicata oggi dai vertici aziendali al manager .
L’amministratore unico Manuel Fantasia ha ritirato le deleghe secondo l’ANSA.
Rota ha fatto sapere di aver presentato on realtà le dimissioni sette giorni fa con una lettera datata 21 luglio 2017, (Protocollo n. 0117314): “Con la presente rassegno le mie dimissioni da dipendente di Atac e cesso da ogni incarico. Sono disponibile a concludere la mia prestazione il giorno 4 agosto, come previsto dalla lettere di assunzione che mi impone una lettera di preavviso. Resta inteso il mio fermo interesse a concludere, anche in una data precedente, se ovviamente ciò non comporta oneri da parte mia”, si legge nella lettera.
“Ho mantenuto la notizia riservata, come mi era stato richiesto. Vedo però che questa correttezza viene ripagata con comportamenti non di pari correttezza e quindi sono costretto a precisare questa circostanza. Come si possa silurare un manager che ha dato le dimissioni da sette giorni resta un mistero dell’amministrazione capitolina. O forse l’ennesimo tentativo di ingannare l’opinione pubblica senza rispettare dignità e lavoro“, dice Rota evidentemente piuttosto arrabbiato all’ANSA.
Rota dice che oggi le dimissioni sono state accettate: “’Egregio dottor Rota, facendo seguito alla sua lettera, prendiamo atto delle sue dimissioni che accettiamo con decorrenza dal 2/8 o altra data antecedente lei riterrà opportuna. Protocollo 0120875′. Così Atac mi ha comunicato oggi di aver accettato le mie dimissioni”.
Bruno Rota, che aveva parlato di “errori anche del M5S” nella gestione dell’azienda in un’assemblea dei grillini a Brescia (è anche attivista M5S), nell’intervista ha raccontato di una «situazione dell’azienda assai pesantemente compromessa e minata, in ogni possibilità di rilancio organizzativo e industriale, da un debito enorme accumulato negli anni scorsi»; aveva poi aggiunto che «l’effetto combinato dell’anzianità del parco mezzi e l’impossibilità di fare interventi di manutenzione, dato che non si trovano fornitori disposti a darci credito, fa sì che non si riesca a far fronte alle esigenze di normale funzionamento».
Poi aveva ribadito di far fatica anche “a pagare gli stipendi” e detto che occorrevano quindi “misure serie e immediate” e “un sistema di controllo sulle regole che pur ci sono ma da tempo nessuno rispetta, per cui ognuno fa ciò che gli pare”.
A partire da quelle sulle presenze: “I dipendenti in un certo senso mancano, visti i tassi di assenteismo consolidati nel tempo. Oggi si fa fatica a coprire i turni. Si parla di turni massacranti e c’è gente che non arriva a tre ore effettive di guida, quando le fanno”.
Perplessità anche sui sindacati: “quando ho incontrato i loro rappresentanti ho avuto l’impressione che che non avessero fino in fondo la percezione della gravita’ e della dimensione del problema”.
Servono quindi decisioni, e fondi, subito: “I modi per affrontare questo debito spaventoso sono nell’ordinamento italiano, si tratta di percorrerli con trasparenza, coraggio e rapidità . Ma sono scelte dell’azionista”
Bruno Rota aveva accusato il consigliere M5S Stefano di avergli raccomandato una società e di avergli parlato di “giovani da promuovere, sempre i soliti”: «So del vivo interesse del consigliere Stefano alle soluzioni della società Conduent Italia che si occupa di bigliettazione e che mi ha invitato ad incontrare più volte. Più che di dirigenti da cacciare, lui, e non solo lui, mi hanno parlato di giovani da promuovere. Velocemente. Nomi noti. Sempre i soliti. Suggerisco a Stefano, nel suo interesse di lasciarmi in pace e di rispettare chi ha lavorato. Onestamente. Sempre i soliti».
D’altro canto non è la prima volta che il M5S finisce nelle polemiche per il suo interesse nei confronti del personale ATAC.
Il precedente direttore generale Marco Rettighieri se ne andò sbattendo la porta dopo aver denunciato un’ingerenza dell’assessora Linda Meleo su un lavoratore sottoposto a provvedimento disciplinare.
Il sanzionato era Federico Chiovelli, rimosso — e poi reintegrato — dal vertice della ferrovia Roma-Viterbo, simpatizzante Cinquestelle e parente di un’assessora M5S.
(da NextQuotidiano”)
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Luglio 28th, 2017 Riccardo Fucile
PER STABILIZZARE LA LIBIA OCCORREREBBERO FORZE SUPERIORI… E PER STARE SICURI SERVE IL PLACET DI HAFTAR
Puntualizzare le regole d’ingaggio, va bene. Delimitare la portata dell’intervento, ancor meglio. Tuttavia, il rischio che l’Italia finisca per impaludarsi nel “pantano libico”, è tutt’altro che fugato. Soprattutto se si scegliesse di rincorrere la Francia su una strada senza uscita.
Vale la pena ricapitolare in cosa consista il caos libico.
Ecco una breve sintesi: c’è il governo presieduto da Fajez al-Serraj, poi c’è quello che regge di fatto la Cirenaica, che ha come leader il generale Haftar, c’è l’Isis casa madre, le milizie islamiche, Fajr, e i mujaheddin filo-Isis, la Brigata Battar, gli Islamici di Ansar al Sharia e gli uomini del Consiglio rivoluzionario, c’è Ali Qiem Al Garga’i e due emissari di al-Baghdadi, i Fratelli musulmani di Al Sahib, gli ex membri del Gruppo combattente libico pro al Qaeda, una formazione più estrema della Fratellanza, c’è Omar al Hassi sponsorizzato dalla Turchia, i mujaheddin del Wilayat Trabulus, le milizie di Zintan e una massa di altre 200 organizzazioni oltre le 140 tribù.
Se si vuole stabilizzare per davvero la Libia, spiega il generale Fabio Mini, ex comandante Nato, ora brillante saggista, servirebbero “come minino 50 mila uomini per controllare il territorio, fermare le auto, sorvegliare gli spostamenti, schedare le persone”.
E occorrerebbe mettere in conto almeno 50 morti a settimana.
Quando l’allora presidente francese, Francois Hollande, decise che la risposta più appropriata ai terrificanti attacchi terroristici a Parigi compiuti dell’Isis fosse sganciare bombe su Raqqa, la capitale dello Stato islamico in Siria, Matteo Renzi, a quei tempi a Palazzo Chigi, affermò che per contrastare il terrorismo jihadista non servivano “spot militari”.
Senza una strategia politica, era l’assunto del premier italiano, lo strumento militare rischia di rivelarsi non solo fallimentare ma controproducente. Questo discorso può essere oggi allargato dalla Siria alla Libia.
Ora, l’analisi militare non sarà una scienza esatta, ma ci va vicino.
E l’aspetto militare andrebbe reso funzionale al fine politico che s’intende perseguire. Per quanto riguarda l’Italia, la notizia del giorno è che il Consiglio dei ministri ha dato il via libera alla missione in Libia con le navi italiane che entreranno nelle acque di Tripoli per supportare il lavoro della Guardia costiera locale. “È un’operazione di supporto e non contro” ha tenuto a precisare il premier italiano Paolo Gentiloni al termine del Cdm: “Quello che abbiamo approvato non è nè più nè meno quel che ci è stato richiesto dal governo libico”.
Non sfugge il silenzio di Serraj e soprattutto quello, molto più significativo e inquietante, del vero uomo forte della Libia: il generale Khalifa Haftar. Ora, puntualizzazioni a parte, se si vuole per davvero contrastare gli scafisti, è d’obbligo operare come si fa quando si è alle prese con una operazione di polizia internazionale, per non usare il termine, forse più appropriato, di azione di guerra.
Per contrastare gli scafisti occorre implementare un blocco navale, dentro o fuori le acque costiere libiche.
Ebbene, per implementare il blocco navale – rileva un report del GeopoliticalCenter – devono essere impiegati almeno 5000 uomini sul terreno, a difesa delle struttura strategiche, 4/6 droni da media e bassa quota per la sorveglianza delle coste, una nave con funzioni di comando e capacità di appoggio aereo per la quale immaginiamo la portaerei Cavour, due cacciatorpediniere per la protezione aerea nel caso in cui un Mig libico volesse compiere un attacco contro la nostra portaerei, una decina di unità minori, corvette e pattugliatori per imporre fisicamente il blocco navale e chiare regole di ingaggio, onde evitare che i nostri uomini diventino bersagli impotenti di terroristi e scafisti.
A questo si potrebbe aggiungere un intervento, in accordo con la Libia, delle forze speciali italiane, che potrebbero contribuire in loco all’individuazione dei luoghi di detenzione dei migranti e all’arresto dei malviventi che fanno parte delle organizzazioni criminali che operano le partenze.
Quanto alle rotte dei barconi, direzione Italia, i punti di partenza sulla costa ad ovest di Tripoli sono Zuara, Sabratha, Sourman e Zanzur. Alle porte della capitale gli imbarchi avvengono a Tagiura e verso Misurata a Tarabuli.
Tutte zone che sfuggono al controllo dell’improbabile esercito del governo Serraj.
I clan criminali che si occupano materialmente della tratta pagano il pizzo alle milizie che controllano il territorio. A Zuara, lo snodo più importante, ogni viaggio genera un giro d’affari medio di 150mila euro. Il pizzo ai miliziani è di 18mila euro, poco più del 10 per cento.
C’è poi l’aspetto umanitario. “L’Unione Europea e i suoi Stati membri devono prendere atto della realtà . La Libia non è un Paese sicuro, per questo non possiamo considerare questa proposta come un approccio umano alla migrazione”, ha affermato Arjan Hehenkamp, uno dei direttori generali di Msf, di ritorno da una missione in Libia, dove ha visitato molte persone detenute a Tripoli.
Gli fanno eco in una dichiarazione congiunta Oim e Unhcr: “Chiediamo che in Libia venga immediatamente abbandonata una gestione dei flussi migratori basata sulla detenzione automatica di rifugiati e migranti in condizioni disumane, e si costruiscano, invece, adeguati servizi di accoglienza. I centri di prima accoglienza devono offrire condizioni sicure e dignitose, anche per i minori e le vittime di tratta, e rispettare le garanzie di protezione fondamentali. Siamo fermamente convinti che, data la situazione attuale, non si possa considerare la Libia un Paese terzo sicuro nè si possano avviare procedure extraterritoriali per l’esame delle domande di asilo in Nord Africa”.
L’Italia, spiegano alla Farnesina, alla Difesa e al Viminale, è impegnata a rafforzare le capacità operative della Guardia costiera libica e la nostra sarà un’azione di supporto. Solo che “In Libia è improponibile parlare di Guardia costiera, ma di un’istituzione che rimane espressione delle realtà locali”, spiega Gabriele Iacovino, esperto di Libia del Centro di studi internazionali (CeSI).
“Una cosa è la guardia costiera di Misurata, un’altra quella di Zawiya. In particolare, in questa regione della Libia, i poteri locali sono nemici delle milizie che controllano Tripoli”.
E poi, ancora, c’è la domanda di fondo: con quale visione, non emergenzialista, si intende oggi affrontare “l’avventura libica”?
La risposta ufficiale è: per rafforzare il Governo di accordo nazionale guidato da Serraj e operare per la stabilizzazione del Paese nordafricano.
Nobile intento, ma che ha il difetto di scontrarsi con una realtà che va in tutt’altra direzione.
L’ambizione del generale Haftar va molto al di là dell’ipotetico incarico di ministro della Difesa, alle dipendenze di quello che, nei colloqui privati anche con diplomatici occidentali, così come in dichiarazioni pubbliche, solo un pochino più edulcorate, continua a definire come una “nullità ” (Serraj).
L’uomo forte della Cirenaica ha ritagliato per sè il ruolo di “al-Sisi libico”, ricevendo il sostegno, politico e militare, dell’al-Sisi autentico, il presidente-generale dell’Egitto.
Se l’Italia vuole stare al sicuro è a lui, al generale Haftar, che deve chiedere il via libera per l’intervento anti-scafisti nelle acque libiche, altrimenti prepariamoci al peggio.
Perchè delle due, l’una: o la nostra azione è un buco nell’acqua — tanto per far vedere che ci siamo pure noi – oppure rischiamo di immergerci nel “pantano libico”, che può rivelarsi anche peggiore di quello afghano.
(da “Huffingtonpost”)
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Luglio 28th, 2017 Riccardo Fucile
FAREMO COME AL SOLITO DA SUPPORTO ALLA GUARDIA COSTIERA LIBICA SENZA ULTERIORI RUOLI O CHIAMATE ALLE ARMI, UNA FARSA
Molto probabilmente si tratterà di una nave sola, una di quelle impegnate nell’operazione Mare Sicuro, già attiva nel Mediterraneo centrale e già finanziata per un costo di 83 milioni di euro per quest’anno.
La missione italiana di supporto alla guardia costiera libica, varata stamane dal consiglio dei ministri e martedì all’esame del Parlamento, non costerà un euro di più, riferiscono ad Huffpost fonti di governo.
Al netto di accordi annunciati e frenati, comunicati che sembrano smentite ma che in realtà sono trovate tattiche, come quello del premier libico Fayez al-Serraj ieri sera, parte la prossima settimana la “nuova” missione italiana in Libia.
Entro martedì, quando le commissioni riunite Esteri e Difesa di Camera e Senato esamineranno la delibera varata oggi dal consiglio dei ministri, l’esecutivo conta di sapere nel dettaglio le richieste dei libici.
Ma a grandi linee nelle acque della Libia con lo scopo di sostenere la guardia costiera locale nella lotta ai trafficanti di esseri umani sarà mandata una delle tre navi al momento attive per Mare Sicuro, l’operazione anti-terrorismo avviata nel 2015 (prevede un massimo di 4 navi, al momento opera con 3).
Paolo Gentiloni non è rimasto sorpreso dalla dichiarazione di al-Serraj che ieri sera tardi sembrava a prima vista smentire l’accordo preso a Roma solo mercoledì scorso. Una mossa a uso interno, l’hanno valutata a Palazzo Chigi, sicuri dell’intesa sull’invio di navi italiane come deterrente per frenare le partenze dalla Libia.
Insomma, il premier del governo di Tripoli ha dovuto frenare per mettere a tacere le polemiche interne e chiarire che non si tratta di una missione di guerra, nè di una intromissione italiana nella sovranità nazionale libica che già sta in piedi a fatica.
Intorno all’ora di pranzo si presenta davanti a telecamere e cronisti per sottolineare che il governo ha deciso “nè più, nè meno di quanto ci è stato chiesto dall’esecutivo di al-Serraj” e la missione varata “non è certo un’iniziativa che si prende contro la sovranità libica”.
Mentre a Roma il consiglio dei ministri è riunito, da Tripoli il ministero degli Esteri diffonde un altro comunicato sull’accordo con l’Italia.
Per specificare che si tratterà di un supporto “solo logistico e tecnico alla guardia costiera libica al fine di aiutare a prevenire il flusso di migranti e la tratta di essere umani e salvare vite”.
La missione prevede che sarà la guardia costiera libica a effettuare salvataggi e riportare i soccorsi sulla terraferma in Libia. La nave italiana sarà lì solo di supporto e controllo. Nessuna novità
Sulla terraferma l’Alto commissariato Onu per i Rifugiati (Unhcr) e l’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) si occuperanno di allestire campi profughi. “Nel rispetto dei diritti umani”, dice Gentiloni. Il resto è affidato alla speranza che questa missione produca un qualche risultato.
E poi c’è il nuovo codice per le ong attive a salvare vite nel Mediterraneo. Codice che però rischia di non introdurre grosse novità . Mentre a Palazzo Chigi il governo vara la delibera sulla Libia, al Viminale si riuniscono i tecnici del ministero degli Interni, degli Esteri e della Guardia Costiera con i rappresentanti di 9 organizzazioni non governative.
Il testo proposto dal ministero viene emendato con i rilievi proposti dalle ong. E lunedì verrà firmato molto probabilmente da tutte le organizzazioni. Dunque in teoria a nessuna di loro verrà impedito l’accesso ai porti italiani. Ma c’è un nodo ancora da sciogliere.
Le ong hanno accettato di accogliere poliziotti a bordo ma hanno chiesto che non siano armati. Un punto formalmente accolto all’incontro di oggi.
(da “Huffingtonpost”)
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Luglio 28th, 2017 Riccardo Fucile
L’EX AN E FLI: “CHIEDERO’ LA CITTADINANZA SPAGNOLA”
“Io sono uno perbene, non ho mai preso un’auto blu in vita mia”. Enzo Raisi, ex onorevole An, poi Pdl e uno di quelli che seguì Fini dopo la rottura con Berlusconi, risponde al telefono dalla Spagna dove vive e lavora. “Per la miseria, io sono onesto”, dice mentre parla con “il gozzo in gola”.
Due giorni fa, mentre in Aula si discuteva del ricalcolo dei vitalizi, ha scritto un post su Facebook: “Ho fatto male a fare politica e a non rubare”.
Da lì a diventare l’emblema del politico della casta sono passati pochi clic. In rete è stato sommerso dagli insulti (ma anche da 500 “mi piace”), in privato ha ricevuto telefonate dagli ex colleghi che gli facevano i complimenti: “Io sono qui che mi espongo e loro zitti. Se devono andare in Parlamento senza palle che stiano a casa. Ma io non sono un Di Maio, un Salvini, una Meloni o un Richetti che è in aspettativa dalla provincia di Modena e si fa pagare i contributi dallo Stato. Io ho un lavoro“. Raisi smise di pagare i contributi all’Inps una volta in Parlamento, e ora con la nuova legge avrebbe un vitalizio mensile di mille euro lordi circa.
Per questo dice di essere pronto a rinunciare, a patto che gli vengano dati indietro i soldi che ha versato. “La legge è giusta anche se è sbagliata la sua applicazione”.
Ma che ne pensa veramente dei vitalizi? “Garantiscono l’indipendenza. Quando cercarono di comprarmi per stare in maggioranza con Berlusconi io resistetti anche per questo”. E se passa la legge? “Rinuncerò alla cittadinanza italiana”.
Raisi quindi si rimangia la frase “dovevo rubare”?
Era una provocazione. Io volevo dire che in questo Paese le persone oneste pagano sempre e sono trattate da delinquenti. Io non sono uguale a tutti gli altri. Dovete dirlo che Raisi non è un Razzi.
Quanti insulti ha ricevuto per quelle parole
Non solo. Ci ho pensato due volte prima di scrivere il post, sapevo che la gente non avrebbe capito. Però ero troppo arrabbiato. In rete è successo di tutto, ma ho anche ricevuto telefonate da parlamentari di tutti i partiti.
Che le hanno detto?
Mi hanno fatto i complimenti. Ma bravo andatelo a dire a un altro. Perchè io sono fuori e dico queste cose, loro stanno lì zitti. Se vanno in Parlamento senza le palle è meglio che stiano a casa. Non devono chiamare me, devono votare secondo coscienza. Meloni e Salvini hanno mai lavorato? Berlusconi? E’ ricco. Chissà cosa se ne fa lui del vitalizio, al massimo può spenderlo in un bunga bunga. Capisco, devono pensare ai voti: la gente vuole il sangue e loro gli danno il sangue.
Ora lei cosa fa?
L’imprenditore in Spagna. Io lavoro. Sono una persona perbene, io non ho mai preso un’auto blu in tutta la mia vita.
E scusi ora che non è più un politico non pensa che sia giusto che i parlamentari abbiano una pensione calcolata come quella di un normale dipendente?
La legge è giusta nel principio, ma non nell’applicazione. Io che sono sempre stato onesto vengo schiaffeggiato e dileggiato con questa norma, divento un paria. Cioè ho meno diritti di un cittadino normale. Perchè? Qualcuno si alza e me lo dice per favore?
Qual è la discriminazione?
Ho sempre avuto un lavoro, non ho vissuto di politica come Di Maio, Salvini o la Meloni. O Richetti che si è fatto assumere dalla provincia di Modena, si è messo in aspettativa e si fa pagare i contributi dallo Stato.
E lei no?
Io sono uno che fino a 39 anni ha fatto il dirigente: quando sono entrato in Parlamento, dopo aver pagato per 20 anni le tasse, ho lasciato il mio mestiere. Una volta in Parlamento mi hanno detto che dovevo pagare per un vitalizio che mi sarebbe stato dato a 65 anni e ho smesso di pagare l’Inps perchè sono contro il cumulo delle pensioni. Poi sono uscito dal Parlamento nel 2013 e ho ricominciato da capo pagando le tasse alla Spagna. Dopo che ho fatto tutto questo, arriva la legge.
Quindi cosa vuole?
Che facciano il ricongiungimento delle casse considerando tutti i contributi che ho versato, o che mi ridiano indietro i soldi. Non lo fanno perchè la Camera ha la cassa vuota. Stanno illudendo i cittadini che i soldi risparmiati andranno a loro: è una baggianata. Io rinuncio al vitalizio. Ma se facciamo un contratto e a 56 anni cambia, ho il diritto di dire che voglio indietro i miei soldi.
Però è contro i vitalizi?
Il vitalizio serve per garantire indipendenza. Io come tanti parlamentari di Fli nel 2010 ho avuto sul tavolo l’offerta di qualche centinaio di migliaia di euro per stare nella maggioranza con Berlusconi. Sa cosa ho risposto? No, grazie. Perchè ho avuto la forza? Avevo un vitalizio. Oggi i grillini possono alzarsi e dire a Grillo io non sono d’accordo? No, perchè se no tornano a fare quello che facevano prima, cioè niente. Sono tutti dei soldatini. Così saranno quelli della Lega e di Berlusconi. Non c’è più la libertà di espressione.
Scusi ci ricordi, chi cercò di comprarla
Non mi faccia parlare, io non voglio più fare politica. Io rinuncio a tutto, però non voglio essere inchiappettato. Chiedo di avere quello che mi spetta. Io non mi sono messo in aspettativa per farmi pagare i contributi come Richetti, io mi sono dimesso. Lui si dimetta dalla provincia di Modena e poi voglio vedere se trova un lavoro quando esce dal Parlamento.
E quindi cosa intende fare?
Niente.
Si commuove Raisi?
E’ dura subire questo linciaggio, dopo tutto. Mi viene il gozzo in gola. Sono stanco. Io continuerò a lavorare e, visto che ho diritto alla cittadinanza spagnola perchè mia madre era spagnola, ne farò richiesta. Finora non lo avevo fatto perchè comporta rinunciare a quella italiana, ma se passa la legge lo faccio. E’ uno schiaffo tale per chi ha servito lo Stato italiano…
Può stare tranquillo, in Senato non ci sono i voti.
La legge passerà perchè hanno tutti paura, come nel ’92. Forse la bloccherà la Corte costituzionale, anche perchè i giudici della Consulta sanno che loro sono i prossimi.
Cosa prevede?
L’Italia in futuro avrà un Parlamento di dipendenti pubblici come Richetti, di pensionati, di nullafacenti come Di Maio, oppure avrà dei ricchi come Berlusconi. Manager come me che decidono di mettersi in politica a queste condizioni non se ne troveranno. Se li trovano rido fino a domani.
Voterà alle prossime elezioni?
No. Io sono di destra e cerco un uomo nuovo che non c’è. Tra l’altro, nella pochezza generale, non c’è alternativa a Berlusconi.
Ce la farà di nuovo?
E’ un imprenditore con carisma e ha una potenza mediatica che non ha nessuno. E’ stato un cretino il mio presidente Fini a fare la guerra a lui, noi con la fionda e lui con i cannoni. Infatti ci ha raso al suolo.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Luglio 28th, 2017 Riccardo Fucile
PRIMA SPECULA SULLA NOTIZIA TAROCCA, POI SVICOLA “CORAGGIOSAMENTE” COME SEMPRE
“Il capotreno della Trenord che si è inventato l’accoltellamento di un migrante e invece si è ferito da solo? Mica posso rispondere di un capotreno, se uno si accoltella da solo non è un problema mio“.
Così, ai microfono di Ecg Regione (Radio Cusano Campus), il leader della Lega Matteo Salvini risponde ai tanti internauti che gli hanno chiesto di rettificare il suo post del 19 luglio a difesa di Davide Feltri, il capotreno che, mentendo, aveva denunciato di essere stato accoltellato da un immigrato su un treno regionale Trenord sulla tratta Piacenza-Milano.
Il capo del Carroccio rincara: “Non sanno più che pesci pigliare. Se si accontentano della caccia al post di Salvini su Facebook, poveretti, son messi male perchè non hanno idea della vita reale (quella dove ci sono i ballisti come lui n.d.r.). Stanno sottovalutando la rabbia della gente perbene, di avvocati, di medici, di operai, di insegnanti, di poliziotti, di infermieri, di pensionati che mi dicono che gli prudono le mani e mi invitano a fare in fretta, altrimenti vien fuori un casino. Lo ricorda anche la Bibbia: quando si incazzano i buoni sono dolori”.
Infatti è uno dei motivi per cui dovrebbe stare attento, i “buoni” degli istigatori all’odio ne hanno piene le scatole.
(da agenzie)
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Luglio 28th, 2017 Riccardo Fucile
SERVA DA MONITO A QUEI SINDACI CHE PARLANO DI DECORO: PENSATE A DARE LORO UN ALLOGGIO INVECE CHE MULTE
Non è reato e non può essere condannato chi vive per strada, “su di un marciapiede con i cani, in una baracca precaria di cartoni e pedane in legno”.
Anche se vige un’ordinanza del sindaco in tal senso.
Così la Cassazione ha assolto un uomo, condannato a pagare mille euro a Palermo nei primi due gradi di giudizio
Il fatto era successo nel capoluogo siciliano nel dicembre 2010. Un 45enne italiano che viveva su un marciapiede insieme ai suoi cani era stato condannato dal tribunale di Palermo a pagare 1000 euro per inosservanza dei provvedimenti dell’Autorità , reato previsto all’articolo 650 del codice penale, visto che non aveva rispettato l’ordinanza del sindaco di divieto di bivaccare e predisporre accampamenti di fortuna per non alterare il decoro urbano ed essere d’intralcio alla pubblica viabilità .
Il difensore ha rilevato, nel ricorso in Cassazione, che l’uomo senza fissa dimora “versasse in stato di necessità , situazione tra le quali doveva essere compresa l’esigenza di un alloggio”.
Osservazione che ha trovato d’accordo la Cassazione.
Secondo la prima sezione penale (sentenza n.37787), l’ordinanza del sindaco è “una disposizione di tenore regolamentare data in via preventiva ad una generalità di soggetti, in assenza di riferimento a situazioni imprevedibili o impreviste”, e “non è sufficiente l’indicazione di mere finalità di pubblico interesse”.
La Corte ha quindi annullato la condanna perchè il fatto non sussiste.
(da “Huffingtonpost”)
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Luglio 28th, 2017 Riccardo Fucile
A PALERMO IL QUARTIERE FESTEGGIA GLI ARRESTI DOMICILIARI DI MAURIZIO DE SANTIS
Quella che si dice un’accoglienza col botto per il boss del pizzo scarcerato. Anzi con i botti. I fuochi d’artificio sono stati riservati a Maurizio De Santis, titolare del ristorante “Il Bucatino”, tornato a casa sebbene agli arresti domiciliari.
Un trattamento d’onore scattato nei pressi della sua abitazione, in via Bazzano, fra i quartieri della periferia di Palermo Settecannoli e Brancaccio, regno della vecchia e potente mafia dei Graviano, e vicino alla via intitolata a padre Giuseppe Puglisi, il martire beato ucciso da Cosa nostra nel giorno del suo compleanno, il 15 settembre 1993: un affronto nell’affronto, insomma.
Il video è stato postato la sera dell’11 luglio su Facebook da un parente del mafioso-ristoratore arrestato nel 2014 e che nel 2015 ha subito un sequestro di 10 milioni di euro: in poco tempo ha collezionato diverse centinaia di visualizzazione e like, quasi un modo per partecipare alla festa per l’uscita dal carcere dell’influente controllore del racket delle estorsioni.
Poi non lamentiamoci se l’immagine dell’Italia all’estero continua a essere disastrosa.
(da agenzie)
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Luglio 28th, 2017 Riccardo Fucile
CITTADINI DIVISI TRA INDIGNAZIONE E RASSEGNAZIONE
Nel giorno in cui tutto sembra congiurare a favore della chiusura dei rubinetti, lo sgomento e l’indignazione dei cittadini romani di fronte all’annuncio di un’altra chiusura estiva (quella di metà linea della metro A) è stato di per sè una notizia.
Una reazione che forse i vertici dell’Atac non avevano preventivato, affidando l’informazione a un tweet inviato alla chetichella e con poco anticipo, probabilmente confidando in un’assuefazione ai disservizi ormai incapace di generare sussulti di civismo.
E invece, proprio mentre il Dg Rota certificava lo stato comatoso della municipalizzata e l’inadempienza contrattuale di un numero non trascurabile di dipendenti, l’azienda comunale è riuscita a suscitare una reazione, mentre tentava forse con destrezza di spostare ancora più avanti l’asticella della tolleranza degli utenti, già sfiancati da mesi di interruzioni di servizi per mancanza di vetture, di suicidi assistiti per autocombustione dei veicoli più vecchi e, soprattutto, da una miriade di scioperi proclamati spesso da sigle dotate di rappresentanza pari a una famiglia allargata.
Perchè, entrando nel merito della questione, le cose che non quadrano in questa maxi-sospensione estiva del servizio sono più di una, e convergono tutte nella misteriosa entità dei lavori di innesto della nuova linea C nella A, all’altezza di San Giovanni.
Chi ha potuto sbirciare la stazione (aperta fugacemente per due giorni la scorsa primavera con tanto di fiera incursione della sindaca Raggi) non riesce a capacitarsi di quali possano essere lavori che tengono fermi per 35 giorni un tratto pari a dieci stazioni, soprattutto se si tiene contro del fatto che il servizio della linea C è già da tre mesi limitato alle 20.30 (e lo sarà fino addirittura a fine ottobre) proprio per “lavori in vista dell’apertura del prolungamento e dell’intercambio a San Giovanni”.
Tre mesi, che diventeranno sei, e si sovrapporranno al mese di stop totale decretato ieri per la A. Tempi e modi che non hanno riscontro in paesi con reti di metropolitana molto più complesse di quella romana.
La voce di popolo, che spesso è lo stadio ancestrale delle fake news, nel caso in cui attribuisce le sospensioni di servizi alle ferie di massa dei lavoratori comunali, induce a una riflessione seria.
Ogni estate si procede da anni alla sospensione di questo o quel servizio, con motivazioni ogni volta straordinarie ma ricorrenti: basta andare a visitare lo sciatto sito web dell’Atac e andare a ritroso, per quanto possibile nel tempo, constatando che la straordinarietà degli interventi che ha fatto cessare il servizio di metro, tram e bus periferici si è sempre concentrata nel mese di agosto, a scapito di altre categorie di lavoratori, in questo caso evidentemente stakanovisti.
Così come, negli ultimi anni, l’emergenza rifiuti, che pure affonda le radici nel malfunzionamento di tutto il ciclo di smaltimento, ha superato il livello di guardia in corrispondenza dei principali ponti e delle festività pasquali e natalizie, e qualche volta anche in estate, a dispetto del minor consumo dei cittadini.
La vicenda dei vigili urbani che hanno marcato visita in massa nel Capodanno del 2015, in questo senso, è fortemente simbolica.
Ed è il paradosso di una città nella top five del turismo mondiale che nei periodi di maggior afflusso di ospiti invia un segnale di chiusura, esatto opposto di ciò che razionalmente ci si attenderebbe.
Si mandano in black-out servizi già di base scarsi e inefficienti o si mettono in atto misure di prevenzione ingiustificate dai fatti come la draconiana ordinanza anti-alcool estesa a tutto il territorio urbano, contro la quale gli esercenti hanno fatto ricorso al Tar.
Ma soprattutto, la via crucis cui è sottoposta una cittadinanza che ha ormai messo a punto tecniche di sopravvivenza materiale e nervosa, come testimonia l’approccio alla questione del razionamento dell’acqua, che nessun romano in cuor suo ha ancora seriamente considerato un’eventualità concreta (forse vedendo fiumi d’acqua sgorgare dalle tubature colabrodo) preferendo pensare a un’escalation puramente polemica. Quello che una volta, se non si rischiasse di toccare un altro tasto dolentissimo in questa nefasta estate romana, si sarebbe chiamato fuoco di paglia.
(da “Huffingtonpost”)
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