Luglio 9th, 2017 Riccardo Fucile
I COMMERCIANTI PULISCONO PIAZZA MANIN… VICESINDACO E ASSESSORE PENSANO DI ESSERE ANCORA ALL’OPPOSIZIONE: DEVONO MANDARE GLI ADDETTI, NON FARSI LA FOTO RICORDO
Lo zio d’America sarà anche un manager, ma dovrebbe fornire ai suoi assessori il manuale delle competenze nella P.A. e non accontentarsi del manuale Cencelli con cui li ha dovuti lottizzare tra i famelici partiti del centrodestra, in crisi di astinenza da poltrone da decenni.
Lo spot va in onda stavolta in Piazza Manin, zona bene di Genova, approfittando di una iniziativa del neonato Civ “Manin e Dintorni” che ha organizzato una giornata dedicata alla pulizia dei giardinetti della piccola piazza (non più sporca di tante altre di Genova).
Racconta il Secolo XIX:
L’appuntamento era per le 8 nei giardini della piazza, chiusa e presidiata dalla Municipale (neanche fosse prevista la visita di Trump n.d.r.) per consentire ai volontari di lavorare senza timore di auto: presenti, oltre alla cinquantina di commercianti che hanno fondato il nuovo civ, anche la neo assessore al Commercio e al Turismo, Paola Bordilli, che in t-shirt bianca dell’associazione e bermuda ha imbracciato il rastrello e si è messa a raccattare foglie. Intorno alle 11 è arrivato anche il vicesindaco Stefano Balleari. I lavori, in programma sino alle 16, sono iniziati tra l’entusiasmo generale, con decine di palloncini colorati. “La speranza è che la pulizia di oggi, cui ne seguirà un’altra in autunno, contribuisca a rendere lo spazio più vivibile per i più piccoli” commentano quelli del Civ.
Tra i propositi del nuovo Civ, proseguire l’opera di rilancio del tessuto commerciale del quartiere, coinvolgendo non soltanto i negozianti, ma anche i residenti, in attività ed eventi.
In pratica su una iniziativa programmata da tempo, hanno pensato bene di metterci il cappello due esponenti della Giunta Bucci.
Ma sorge spontanea una domanda: gli operatori ecologici e il servizio giardini non dipendono forse dal Comune?
E se i giardini sono sporchi chi avrebbe dovuto provvedere?
Forse gli stessi che sono andati in mattinata a farsi lo spottone raccattando due foglie?
Il compito di un amministratore è quello di coordinare gli interventi dei dipendenti comunali o quello di farsi selfie celebrativi della propria inefficienza, visto che l’intervento non sarebbe stato necessario se il Comune avesse provveduto a quanto di sua competenza?
O forse siamo entrati nella fase della “rumenta di lotta e di governo” secondo convenienza.
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Luglio 9th, 2017 Riccardo Fucile
NUMERI IN CRESCITA DEL 38,7% IN 5 ANNI, QUASI 5 MILIARDI DI SOLE RITENUTE NON PAGATE ALL’ERARIO, COINVOLTI UN MILIONE E MEZZO DI CONTRIBUENTI… MA I SOVRANISTI ASOCIALI PENSANO A CACCIARE DALLA SPIAGGIA GLI AMBULANTI DI COLORE
Quasi 15 miliardi di euro di imposte nel 2014 sono state dichiarate ma mai versate l Fisco. È quanto emerge da una elaborazione dell’Adnkronos su dati della Corte dei Conti contenuti nel rendiconto generale dello Stato.
Un fenomeno, quello del mancato versamento delle imposte dichiarate, che secondo i giudici contabili rappresenta “in non pochi casi una modalità di arricchimento illecito, attraverso condotte preordinate all’insolvenza”.
Complessivamemente, il totale delle tasse che l’Erario non ha poi effettivamente incassato, è passato dai 10,7 mld nel 2009 a 14,9 nel 2014, con una crescita quindi del 38,7%.
Spicca il fenomeno delle ritenute dichiarate e non versate passate da 2,343 miliardi del 2009 a 4,918 mld del 2014 con una crescita del 109%.
In costante crescita anche i contribuenti che trattengono le imposte dichiarate: la Corte rileva le posizioni fiscali che (considerando Iva, imposte proprie e ritenute) passano da 2,325 milioni del 2009 a 2,947 milioni con una crescita del 26,9% nei 5 anni considerati.
Tenendo conto che lo stesso contribuente può aver omesso di versare sia l’Iva che le imposte proprie e le ritenute dei dipendenti la platea coinvolta, valuta la Corte, “supera il milione e mezzo di contribuenti.
Crescita più leggera per l’Iva dichiarata e non versata: si tratta di 4,950 mld nel 2009, 5,172 mld nel 2010, 5,828 mld nel 2012, 6,516 mld nel 2013 e 5,776 mld nel 2014.
Dall’analisi dei dati condotta da Adnkronos per classi di importo emerge che la gran parte delle posizioni riguarda cifre molto basse: sul totale di 2,94 milioni ben 2,38 milioni ha dimenticato di versare importi sotto i 5.000 euro.
Non mancano comunque soggetti con cifre milionarie: 360 contribuenti hanno omesso di versare nel complesso 1,8 miliardi.
Somme che però difficilmente lo Stato riesce effettivamente a incassare..
“E’ di tutta evidenza -spiega- come soltanto una parte limitata di tali somme viene poi riscosso con l’emissione delle richieste di pagamento automatizzate emesse dall’Agenzia delle Entrate e a seguito dell’attività dell’agente della riscossione. La parte prevalente diverrà poi quota inesigibile negli anni successivi”.
Il fenomeno, sottolinea la magistratura contabile, “assume rilievo strategico ai fini della riduzione dell’evasione fiscale e richiederebbe, oltre alla massima efficacia ed incisività dell’azione di recupero dei tributi non spontaneamente versati nuove strategie finalizzate a salvaguardare meglio gli interessi dell’erario già nella fase dell’adempimento spontaneo, come già avviene nel caso delle spese per ristrutturazioni edilizie e simili, assoggettate all’obbligo di pagamento tracciato con l’effettuazione della ritenuta a cura della banca”.
(da agenzie)
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Luglio 9th, 2017 Riccardo Fucile
I COLOSSI ACEA, HERA, IREN E A2 RIFORNISCONO 15 MILIONI DI PERSONE… MA NESSUNO RIESCE AD EVITARE GLI SPRECHI
Se l’obiettivo della gestione dell’acqua «privata» in Italia era quella di ridurre gli sprechi, si può ben dire che l’obiettivo sia stato mancato di gran lunga.
In Italia, secondo il Blue Book di Utilitalia, su cento litri di acqua distribuiti ben 39 si perdono per strada. Va meglio al Nord (il 29%), va malissimo al Centro e al Sud (46 e 45%).
E anche un’azienda pubblica ma gestita per produrre utili come Acea disperde circa il 40% dell’acqua.
Del resto, le reti sono stravecchie: il 60% dei tubi è stato posato più di 30 anni fa, il 25% da più di 50 anni.
Anche gli investimenti per migliorare il servizio sono scarsi: servirebbero 5 miliardi l’anno, e se ne spendono meno della metà , e di questo passo per rinnovare completamente la rete ci vorranno 250 anni. Infine, l’Europa ci massacra di sanzioni per la violazione delle regole.
È la dimostrazione del fallimento del processo di privatizzazione dell’acqua, dicono i sostenitori dell’«acqua pubblica». Sono aumentate le tariffe, arricchendo i gestori con ingenti utili, che di fatto, quando gli azionisti sono pubblici, si traducono in una tassa sui consumatori finali.
E la qualità del servizio non è affatto migliorata. Al contrario, dicono i sostenitori della gestione privata dell’acqua: non si può certo chiedere a un inefficiente e impoverito settore pubblico di cambiare le cose.
Soltanto con una gestione oculata – dicono ad Utilitalia – e con un aumento delle tariffe, che in Italia sono più basse del resto d’Europa (un metro cubo costa 6,03 dollari a Berlino, 3,91 a Parigi e 1,35 a Roma), si possono reperire le risorse per fare gli investimenti che servono.
L’acqua, diceva Stefano Rodotà , è un «bene comune»: non coincide nè con la proprietà privata nè con la proprietà dello Stato, ma è un diritto inalienabile dei cittadini.
Il giurista da poco scomparso fu protagonista del referendum del 2011 in cui prevalse il sì alla cosiddetta «acqua pubblica», un voto che impedendo la remunerazione degli investimenti di soggetti privati avrebbe bloccato l’ingresso dei capitali privati nella gestione dei servizi idrici.
Ma l’intervento del governo – con uno dei decreti Madia, poi parzialmente bloccato dalla Consulta – del Parlamento e infine del Consiglio di Stato ha di fatto azzerato il pronunciamento referendario. E ha creato un paesaggio dell’Italia dell’acqua in cui la presenza di aziende private è sempre più importante, sempre più predominante.
Esistono ancora grandi aziende interamente pubbliche, come ad esempio l’Acquedotto Pugliese, che serve il 7% circa della popolazione italiana, o l’Abc di Napoli.
Ma per circa 15 milioni di italiani i «padroni dell’acqua» sono aziende multiutilities su scala interregionale e internazionale, in alcuni case quotate in Borsa, che quasi sempre sono teoricamente controllate dagli enti locali che ne posseggono la maggioranza, ma in cui sono i partners privati a ispirarne le strategie e le politiche. Strategie «moderne», anche sul piano delle tariffe, che evidentemente puntano a generare utili oltre all’erogazione del servizio.
Aziende che integrano, oltre al servizio idrico (che continua ad essere relativamente poco remunerativo) attività nel campo dell’energia e della gestione dei rifiuti.
Tra le protagoniste di questo processo di «industrializzazione», o di «finanziarizzazione» dell’acqua ci sono certamente le cosiddette «quattro sorelle»: Acea, Hera, Iren e A2a. Quattro colossi, quotati in Borsa, che già oggi forniscono acqua a circa 15 milioni di italiani attraverso gli «Ato» che controllano (le 64 aree territoriali omogenee in cui è diviso il territorio nazionale).
In Acea il socio di maggioranza è il Comune di Roma con il 51% delle azioni, seguito dalla multinazionale francese Suez con il 23,3% e dall’imprenditore Francesco Gaetano Caltagirone con il 5,006%).
Acea è il più grande operatore italiano nel settore, con 8,5 milioni di abitanti serviti a Roma, Frosinone e altre aree di Lazio, Toscana, Umbria e Campania. Hera (dopo Acquedotto Pugliese) è il terzo «padrone dell’acqua», con il 6,1% della popolazione servita in Emilia-Romagna, Marche, Veneto e Friuli-Venezia Giulia: i principali azionisti pubblici sono i Comuni di Bologna, Imola, Modena, Ravenna, Trieste e Padova. Iren è il quarto, con il 3,8%: per il 49% è di proprietà dei Comuni di Torino, Genova, Reggio Emilia, Parma e Piacenza. A2a, infine, è per la maggioranza dei Comuni di Brescia e Milano: per ora ha numeri relativamente più piccoli, ma come le altre «sorelle» è impegnata in una massiccia campagna di acquisizioni di altre aziende del settore (come la Lrh di Como e Lecco).
Di recente Acea ha acquisito Idrolatina e gli Acquedotti Lucchesi, mentre Iren ha rilevato l’Atena di Vercelli.
Un processo di concentrazione del mercato che pare destinato a continuare.
(da “La Stampa”)
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Luglio 9th, 2017 Riccardo Fucile
IN VIAGGIO CON QUATTRO PROFUGHI SU UNA CORRIERA DEL MONFERRATO
Lo so che è una sciocchezza. Anzi: peggio, è inutile. Capovolgere il discorso, non quello che noi pensiamo dei migranti, ma tentare di definire il contrario. Cioè quello che loro pensano di noi, italiani, ospiti renitenti, samaritani ringhiosi o turbati dal dubbio di commettere, accogliendo, un errore.
Che strana domanda: a chi mai potrebbe interessare il giudizio di un migrante? Diamine: non è un turista o uno scrittore o un uomo d’affari. Un migrante.
È vero. Non bisognerebbe chiederlo: lui, il migrante, è un uomo che ha solo un minuto di speranza, di farcela di essere accettato di avere il pezzo di carta, un minuto contro, due, tre, cinque anni di disperazione. Che è il tempo del suo viaggio.
Lui vive di questo: del minuto di speranza. Come puoi chiedergli di buttarlo via con una risposta incauta? Non è molto, è una realtà quasi impalpabile.
Non sa se la mia compassione sia finta. Forse lo è. Ma come rischiare? La sua inquietudine, sì, quella è sincera e ha ben motivo di essere inquieto.
Questa volta non vado a cercarli in mare o nel deserto, non è il suo viaggio, ora, che mi interessa; è il suo specchiarsi in ciò che gli sta intorno, il Nuovo Mondo che si è conquistato con la paura, il sudore, il dolore.
Il suo Dopo nell’abnegazione di ogni istante. Non devo andare lontano: basta salire un mattino su una corriera qualsiasi di una linea locale nella zona in cui vivo, il Monferrato.
«Lì li trovi di sicuro, si spostano in bicicletta, ma qualche volta usano l’autobus se hanno un lavoro o solo per vagare in giro, qualcuno per fuggire verso qualche confine». Ci affanniamo a discutere se siano un bene o un male, e loro sono già normalità , paesaggio.
Ci sono infatti: quattro. Li ho subito ribattezzati il Grosso, il Triste, il Rasta e il Filosofo, tre gambiani e un maliano.
Si tengono insieme, muti, nell’autobus semivuoto, qualche anziano che si sposta da paese a paese e ragazzi con lo zaino che chiacchierano e ridono fitto. Nessuno, salvo me, sembra badare a loro.
Il bus avanza sulla via provinciale, una via familiare più che di transito, dove si sentono gli uomini con i loro costumi, le loro abitudini, perfino i pensieri. Le villette dei geometri degli Anni Sessanta, le cascine rimodernate, e i bar dove c’è sempre qualcuno che sembra aspetti l’arrivo di una gara. I quattro migranti non guardano quello che sfila fuori dai finestrini, forse hanno già fatto questa strada molte volte, forse ci passano solo stamane prima di fuggire.
Con i migranti non bisogna fare domande, è la polizia che fa domande: bisogna ascoltarli, parlare. Se fai domande ti risponderanno che qui tutto è magnifico, che sono felici, che la gente è buona.
Ne trovi a centinaia di migranti che ti parlano così, è umano, è normale. È parlando a se stesso che il migrante si confessa, non a te occidentale, straniero, infedele.
Hanno tutti una storia che dividono con innumerevoli sconosciuti, le cui figure tragiche e i gesti disperati si susseguono senza mai scomparire del tutto. La mutilano, la truccano la loro storia; ma sfigurarla non è per loro l’unico modo per non riconoscerla più?
Il Triste è un uomo che non potrò dimenticare. È grande, alto, eppure sta piegato, guarda sempre per terra come se avesse un gigantesco peso sulle spalle che lo opprime. Non ho mai incontrato nessuno così definitivamente vinto dalla vita, così tragicamente consapevole che ha perso la scommessa, bruciato l’unica possibilità .
È perfino difficile restituire il suo parlare, perchè è annegato in infiniti silenzi.
«Perchè sono qui? Perchè voglio ricomprare la mia casa laggiù in Gambia, la casa che non è più mia, che mi hanno preso, e metterci dentro mia madre perchè possa invecchiare e morire in pace. Mia madre! Che ha raccolto uno ad uno i soldi per farmi arrivare qui. Ho solo lei, non ho amici, non ho nessuno da nessuna parte del mondo. Tutti, nel centro dove stavo, telefonano, parlano. Io ho solo lei da chiamare, le dico che va bene, che è bello qua, che tutti sono gentili e non è del tutto vero. Io devo guadagnare quei soldi, devo. Sono qui per nient’altro. Quella casa la rivoglio. Non mi fermo, andrò in giro a cercare lavori a tempo, caporali che mi assumano in nero, va bene, così guadagnerò più rapidamente. Dormirò alla stazione, in strada, non mi importa, è la casa che devo ricomprare, la casa. Ho attraversato l’inferno, tre anni di Libia sai cosa vuol dire? Sono ancora vivo: per cosa? Per niente: ho fallito, ho perso».
Il Rasta: «Che penso dell’Italia, penso che vado via, che vado a Malta, parto lunedì! Non c’è niente qua. Che ci vado a fare? A vendere sulle spiagge, affitto una cassa di roba da uno e mi tengo una percentuale di ciò che vendo. Se ho amici laggiù? Non conosco nessuno. Tutti a dirmi: sei scemo, resta qua, hai un posto dove stare e un lavoro. Ma io voglio andare a vendere a Malta. Dio sono certo che mi farà andare perchè gliel’ho chiesto. Dio è buono, me lo deve dare. Voi italiani non capite, noi ci sentiamo sempre provvisori. Io so fare mille cose il muratore, il contadino, riparo biciclette, faccio miracoli con le nostre bici africane che non sono belle come le vostre. Ho trovato un posto in un vivaio in un paese qua vicino e ti racconto una cosa: quello che lavorava con me è italiano, ha la macchina, non mi dava un passaggio e dovevo fare venti chilometri in bici ad andare e altrettanti a tornare. Diceva che ha paura di avere guai in caso di un incidente. Solo se pioveva forte mi dava un passaggio, ma si faceva pagare la benzina».
Il Grosso: «Ero muratore al mio paese, come qui. Sì, il lavoro è lo stesso, ma non è lo stesso il resto: i soldi per esempio, franchi Cfa si chiamano, e non valgono niente. Quando c’era qualcosa da fare, facevano a metà , altrimenti niente per nessuno. Qua il padrone mi guarda e dice: i soldi, i soldi te li do a fine mese, è scritto nel tuo contratto, non siamo mica in Africa qui. Va bene: quando arriva fine mese non mi dà nulla. E dai, non c’è lavoro, mica ti devo pagare se non c’è lavoro. Voi africani siete sempre a chiedere, chiedere. Sapere se posso o non posso fidarmi di lui mi fa impazzire: forse ridacchia appena volto le spalle e le spalle me le volta sempre fingendo di avere qualcosa da fare, va su e giù, prende una martello, un secchio, fa finta lui, fa finta di essere occupato. Una volta ho fatto una prova: ho fatto un balzo in avanti e l’ho guardato. Ho visto solo un po’ di paura. Voi italiani sapete controllarvi meglio di noi, siete una cricca piena di forza e di sicurezza: noi, noi che aspettiamo, noi africani non abbiamo niente , viviamo sulla lama del coltello, ci bilanciamo da una minuto di speranza a un altro minuto di speranza. Ci tenete ben stretti al morso, due parolette e la nostra vita è di nuovo andata al diavolo. Amministrate il paradiso, amministrate la speranza, la consolazione. Avete tutto in pugno, noi possiamo solo accostare le labbra per qualche minuto».
Il Filosofo: «Tu vuoi sapere cosa pensiamo di voi? In Africa vedevamo i turisti, anche italiani; ricchi, tutti ricchi, spendevano, pagavano. Così pensiamo che da voi tutti abbiano soldi. Adesso, arrivati qui, sappiamo che non è così, ma nessuno lo racconta. Anzi si assicura che va tutto bene, stiamo come signori. C’è uno al centro di accoglienza che è andato via e ora fa il mendicante. Non ci crederai: si fa delle foto con il telefonino vicino ad auto di lusso o a ristoranti famosi e le manda a casa, perchè credano che è così che vive. Perchè? Perchè in Africa non si racconta agli altri il tuo problema, è tuo e basta, e nessuno può fare niente per noi».
(da “La Stampa”)
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Luglio 9th, 2017 Riccardo Fucile
DOMANDIAMOCI ANCORA SE QUESTO E’ UN UOMO
Attorno a noi, tra persone miti, educate, passabilmente istruite, gente di buon senso, uomini e donne che non sembrano capaci di far male a nessuno, sentiamo ogni giorno affiorare grumi di odio.
Parole di disprezzo, di fastidio verso una parte del prossimo che si dovrebbe vedere — come è – debole, disperata, umiliata da una vita di stenti, di violenze subite, di percosse e che invece si raffigura spavalda, arrogante, invadente, insolente.
E che perciò non suscita sentimenti di compassione ma di repulsione.
È l’assedio dei luoghi comuni sui migranti, delle rivoltanti banalità . Una volta mi ero occupato del Biafra… ma allora erano smunti, affamati, oggi sono grassi, stanno meglio di noi. Ora pretendono anche l’aria condizionata. Avete visto? Non gli manca certo il cellulare, il pacchetto di sigarette. Stanno tutto il giorno a far niente.
Non ci domandiamo perchè sono qui, da dove vengono, perchè sono partiti dal loro paese, perchè hanno abbandonato fratelli e genitori, hanno attraversato i deserti, hanno rischiato di soffocare nelle stive delle navi o di annegare tra le onde del Mediterraneo, di assiderarsi nel naufragio notturno, di perdere i propri bambini, di abortire nella calca dei barconi.
Facciamo finta di non sapere che una parte di loro è fuggita sotto il fragore delle bombe, mentre le case prendevano fuoco e si incenerivano, mentre sibilavano i colpi delle armi e i corpi saltavano in aria a pezzi.
Non torna alla memoria il tempo in cui le bombe piovevano sulla nostra città dal mare o dal cielo, e i vetri si frantumavano e i muri crollavano alzando il polverone e sotto le macerie si schiacciavano i morti e ti affacciavi sulla tromba delle scale e le scale non c’erano più.
O il tempo in cui i contadini dell’entroterra partivano per le Americhe perchè a maggio si pativa la fame essendo finiti i raccolti dell’anno prima e non si potevano più pagare i debiti.
Le false notizie si insediano nella mente. Rendono gli occhi incapaci di vedere, inaridiscono le emozioni , spengono l’istinto della solidarietà e il desiderio naturale di offrire protezione.
Contro il ricatto della pietà si ergono montagne di pregiudizi, di falsificazioni, di leggende.
La più importante di tutte, la barriera che permette di voltarsi dall’altra parte, di emettere sentenze di morte senza saperlo: l’invasione.
L’Africa è un continente immenso, sovrappopolato, brulicante di madri con figli in groppa, le mani tese per afferrare qualcosa. Un miliardo di persone che si agita in preda alla smania di prendersi quel che abbiamo, che si accalca per trasferirsi sulle nostre terre, che preme all’ingresso dei nostri porti e si affaccia famelica alle porte dei nostri paesi.
Si vuole svuotare l’Africa, ma come farà l’Europa a contenerla?
A soffiare sul fuoco, a gonfiare le dicerie alzando schermi e specchi deformanti , un esercito di mediocri gazzettieri del pregiudizio, di meschini ragionieri elettorali e costruttori di alibi.
Mentono sulle cifre, cancellano la memoria, spacciano le parole inquinate dell’infamia: “taxi del mare”, per gettare sospetto sulle opere di salvataggio come fossero cosa sporca, o “migranti economici”, per dire di persone che si mettono in movimento per speculazione, per venire a godere di vantaggi non meritati e vivere alle nostre spalle.
Non rifugiati, che sono pochi, pochissimi, controfigure utili agli altri per mimetizzarsi. E se il Papa predica l’accoglienza? Anche per lui c’è una casella pronta: faccia il suo mestiere (che è quello di predicare nel deserto) oppure li prenda in casa sua.
L’Europa ha già conosciuto questi fantasmi e questi mostri. Questa attitudine a voltarsi dall’altra parte.
Queste piccole bugie che diventano grandi delitti. Ha visto altre volte come è facile che una falsa notizia si trasformi in pregiudizio quando risponde a un’angoscia o a una paura e quando c’è qualcuno che la impugna come un’arma.
E come il pregiudizio sfoci in discriminazione, aggressione e eliminazione dell’altro. Oppure in passività , indifferenza di fronte all’orrore.
Poichè sono trattati come bestie, essi sono temuti come bestie, sono cacciati come bestie, sono ignorati come bestie. Bisogna respingerli, chiudere le frontiere, difenderci come si difendono gli altri, più furbi di noi. Non possiamo farci carico di tutti. Vogliono vivere a sbafo. Tornino a casa loro. Annegano? Non è colpa nostra. Perchè non prendono un biglietto aereo? Costa meno di quel che danno ai trafficanti. Fanno troppi figli. Quei bambini sono meno bambini dei nostri.
Non riconoscere nell’altro uno di noi è il principio dello sterminio.
Molti anni fa l’Europa si coprì di fili spinati difesi da torrette di avvistamento per tenere rinchiusi i sottouomini destinati a disperdersi in un filo di fumo.
Oggi si copre di fili spinati e di cortine fumogene per trincerare se stessa : per impedire ai miserabili di invadere le proprie terre e usurpare il proprio diseguale benessere.
Qualcuno muove tank. Qualcuno chiama a raccolta i valligiani per distruggere i ricoveri o manda i cani alle calcagna dei fuggiaschi che cercano una via di salvezza sui sentieri di montagna. Attenti.
Domandiamoci ancora se questo è un uomo.
(da “Il Secolo XIX”)
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Luglio 9th, 2017 Riccardo Fucile
IL GOVERNO STUDIA PROVVEDIMENTI PER L’AUTUNNO: FINITO IL DOPING DEL BONUS ASSUNZIONI AGEVOLATE SE NE CREA UN ALTRO
Gentiloni accelera sull’operazione cuneo-fiscale. Nelle ultime riunioni prima di partire per il G20 di Amburgo ha consultato tecnici e alcuni collaboratori per cominciare a mettere a punto le strategie d’autunno.
Il problema più urgente è quello del lavoro: è necessario sostituire il bonus-assunzioni da oltre 8 mila euro, nato nel gennaio del 2015, che esaurirà la durata triennale dal gennaio del prossimo anno.
A far scattare l’allarme sono stati i recenti dati di maggio sull’occupazione che hanno segnalato una marcata perdita di posti. Per correre ai ripari, e per evitare di perdere il treno della ripresa europea che ormai viaggia a quota 2%, bisogna intervenire con decisione.
Non solo sui giovani, e comunque senza disperdere risorse sull’Irpef come pure vorrebbe lo schema renziano per sfidare in campagna elettorale Berlusconi e la Lega, schierati a favore della flat tax (aliquote sul reddito proporzionali e uguali per tutti). La convinzione che è emersa a Palazzo Chigi è invece quella che bisogna puntare tutte le risorse sul cuneo fiscale: dunque impegnare 6-7 miliardi in un sol colpo sul taglio dei contributi, riducendo la differenza tra il lordo e il netto in busta paga, mettendo più soldi nelle tasche dei lavoratori dipendenti, e caricando quei 6-7 miliardi sulla fiscalità generale.
L’aumento delle risorse da stanziare – da vecchio progetto di 2-3 miliardi a 6-7 miliardi – rende possibile anche un decisivo allargamento della platea: dai 25-30 anni previsti ai lavoratori cinquantenni.
Dopo la pausa estiva, in vista della prossima legge di bilancio, il governo lavorerà così ad un provvedimento per aumentare i margini di competitività delle imprese, in modo da far spazio all’export italiano in ambito europeo e internazionale e dare fiato alla domanda interna.
Il dossier naturalmente dovrà avere il via libera del ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, che dopo aver risolto con successo la questione banche, è alle prese con la quadratura dei conti.
Già con manovrina e con la richiesta di sconti sul deficit per il prossimo anno, l’intervento per sterilizzare l’Iva si è ridotto di molto. Ma certamente altre richieste sono sul tavolo: a cominciare dai contratti della pubblica amministrazione.
Non è escluso che all’interno del governo e nella maggioranza si avanzino anche altre ipotesi relativamente ai giovani.
Le due variabili su cui si dibatte, in alternativa all’idea di Palazzo Chigi, sono la platea (“under 35” o solo “under 25”) e l’entità dello sconto contributivo.
Alcuni prevedono una contribuzione “zero” per tre anni per l’assunzione a tempo indeterminato dei giovani sotto i 25 anni: una operazione che costerebbe 2-3 miliardi che peserebbero sulla fiscalità generale.
Successivamente, per trasformare il provvedimento in strutturale, ogni lavoratore così assunto porterebbe in dote uno sconto di un paio di punti sui contributi (oggi circa 9%) che si sommerebbe ad una eguale percentuale sul carico di contributi dell’impresa (oggi 24% circa).
Un’altra ipotesi è quella di dimezzare, cioè portare intorno al 15%, la quota contributiva complessiva di imprese e lavoratori, per la platea sotto i 35 anni. Naturalmente anche in questo caso il contratto sarà a tempo indeterminato e sarà portabile (se si cambia lavoro) e consentirà all’impresa di risparmiare 3-4 mila euro all’anno per ogni nuovo assunto.
Per i primi due anni il costo è circa un miliardo, mentre a regime si ragiona su una cifra che va da 1,5 a 2,5 miliardi
Mai come oggi la caccia alle risorse è aperta. In prima linea figura il rilancio in grande stile della spending review. Non è esclusa la sforbiciata alle agevolazioni fiscali e l’introduzione della fatturazione elettronica obbligatoria tra privati.
(da “La Repubblica”)
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Luglio 9th, 2017 Riccardo Fucile
ANNI FA VOLEVA L’ACCESSO SOLO AI “BELLI”, ORA SI E’ RICICLATO IN MACCHIETTA TRA APOLOGIA DEL MANGANELLO E “ME NE FREGO”… E PENSARE CHE DE FELICE AVEVA CERCATO DI ANALIZZARE IL FENOMENO STORICO, ORMAI SIAMO AL BAGAGLINO
Il cartello all’ingresso del parcheggio parla subito chiaro. “Zona antidemocratica e a regime. Non rompete i c…”. Ma è niente rispetto a quello che si vedrà e si sentirà più avanti, sotto gli ombrelloni, tra “camere a gas”, inni al Duce e al regime fascista, scritte sessiste.
Lungo il sentiero di traversine in legno che porta verso la spiaggia altri cartelli avvisano i bagnanti: “Regole: ordine, pulizia, disciplina, severità “; “difendere la proprietà sparando a vista ad altezza d’uomo, se non ti piace me ne frego!”; “servizio solo per i clienti… altrimenti manganello sui denti”.
Poi un’insegna indica i servizi igienici: “Questi sono i gabinetti per lui, per lei, per lesbiche e gay”.
Benvenuti alla “Playa Punta Canna” di Chioggia, lido balneare da 650 lettini tra le ultime dune di Sottomarina verso la foce del Brenta. Altro che stabilimenti marini ai tempi del Ventennio: in questo vasto pezzo di arenile, se possibile, il titolare Gianni Scarpa, 64 anni, da Mirano, bandana nera e ufficio straboccante di gadget mussoliniani con tanto di cannone che spunta da una finestrella, è riuscito a fare persino meglio. “Qui valgono le mie regole”, mette in chiaro. Già .
Intanto questa mattina – dopo la denuncia di Repubblica – sulla spiaggia fascista sono arrivati agenti della Digos e della polizia scientifica, inviati dal questore di Venezia, Vito Danilo Gagliardi. Ma torniamo alle “regole”.
All’inizio il “comandamento” di “Punta Canna” era “niente bambini e buzzurri” (in effetti di bambini non se ne vedono).
Poi si è aggiunto molto altro. “La legge della giustizia nasce dalla canna del fucile”, ammonisce l’ennesima scritta choc. Di fronte c’è l’angolo doccia col nebulizzatore, protetto da una cinta di canne.
Sta di fronte alla cabina bianca dove il cartello sulla porta dice “camera a gas, vietato entrare”. Lo slogan è parte di un crescendo. A destra, prima del bar e lungo il sentiero che porta alla spiaggia, su un pannello di legno è stampata in bella vista la “summa” del lido, il pantheon del proprietario.
Sì, insomma: le sue regole. Diversi poster di Benito Mussolini e di saluti romani.
Elementi d’arredo alla cui vista i numerosi clienti del lido sono talmente abituati che nessuno – tranne qualche nuovo avventore – ci fa più caso.
Il motivo lo capisci appena prendi posto sui lettini (650 di cui 70 coperti da tende bianche tipo gazebo) tutti occupati.
Ogni mezz’ora, o comunque quando ne ha voglia, il titolare della spiaggia “intrattiene” i bagnanti alla sua maniera: con delle “comunicazioni” diffuse dagli altoparlanti, dei mini comizi da spiaggia.
Inni al regime e insulti alla democrazia (“mi fa schifo”), intemerate contro Papa Francesco (“Lui vuole costruire ponti e non muri? Gliene costruiamo uno noi da Roma a Buenos Aires, così lo rispediamo da dove è venuto”), lotta senza frontiere alla “sporcizia umana del mondo, che è il 50% e qui dentro per fortuna non entra”, “tossici da sterminare”.
Sabato pomeriggio, l’imprenditore balneare del “me ne frego” ha dato il meglio di sè sotto il sole delle tre e un quarto. Sentitelo. “Sono molto contento di avere una clientela esemplare. Guardatevi in giro, oggi siete 650, non c’è una cicca, non c’è una salvietta a terra. A me la gente maleducata mi fa schifo…a me la gente sporca mi fa schifo…A me la democrazia mi fa schifo…Io sono totalmente antidemocratico e sono per il regime. Ma non potendolo esercitare fuori da casa mia, lo esercito a casa mia. A casa mia si vive in totale regime… qui è casa mia e di conseguenza si vive a regime”. Gianni Scarpa plaude ancora ai suoi clienti esaltandone il comportamento.
Poi dalle casse spara un attacco modello Duterte. “Voi sapete che io sono per lo sterminio totale dei tossici (alcuni bagnanti sorridono). Di conseguenza penso che è meglio che girino molto al largo da qui. Chi viene qui sa come la penso io… se vuole viene se vuole non viene e io me ne frego… Perchè qui dentro voglio gente educata “.
A che cosa punta Scarpa coi suoi comizi nostalgici da spiaggia? Probabilmente solo a fare cassa.
Ma si compiace: “Sono contento di avere gente che ha capito il mio messaggio. La maggior parte l’ha capito, quelli che non l’hanno capito si autoeliminano da soli. Dovete essere anche voi orgogliosi…”.
Di che cosa? La voce arriva stentorea tra gli ombrelloni: “Immaginate 650 persone dalle altre parti… con un afflusso di gente così… quanta merda ci sarebbe in giro. Voi sapere meglio di me che il 50% della popolazione mondiale è merda. Di conseguenza io quella roba lì qui non la voglio”.
Fa fede il cartello sulla cabina accanto al bar: “Vietato entrare, camera a gas”. A “Punta Canna” è ora di tramonto e di aperitivo.
Quelli che “non hanno capito” il messaggio del “capo” in bandana una domanda se la pongono: è tutto vero quello che ho visto e ascoltato in una spiaggia in mezzo a 650 bagnanti o è stato un colpo di sole? Giriamo la domanda a chi ha una risposta da dare.
Dopo la denuncia di “Repubblica” questa mattina le autorità di Chioggia e Venezia – questura, prefettura, Comune – si sono subito attivate.
Sulla spiaggia fascista sono arrivati gli agenti della Digos e della polizia scientifica. I poliziotti – inviati sul posto dal questore di Venezia, Vito Danilo Gagliardi – hanno effettuato un servizio per acquisire materiale audio e video che confluirà nel fascicolo di denuncia a carico di Gianni Scarpa, il titolare dello stabilimento.
“Una vicenda raccapricciante”, ha commentato il questore. “Stiamo raccogliendo tutti gli elementi possibili, anche sulla concessione demaniale ottenuta dal proprietario del lido. Invieremo una denuncia alla magistratura la quale, a sua volta, prenderà i necessari provvedimenti”.
Sessantaquattro anni, Scarpa sarà quasi certamente denunciato per apologia di fascismo. Probabile anche che venga rivista la concessione del lido – un pezzo di arenile – da parte del Demanio. “Stiamo facendo tutte le verifiche – dice il vicesindaco di Chioggia Marco Veronese -. Condanniamo ogni atto che va contro la democrazia, qui c’ un reato ed è giusto venga perseguito”.
(da “La Repubblica”)
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Luglio 9th, 2017 Riccardo Fucile
DOVEVA SOMMARSI ALL’AUMENTO CONCESSO FINALMENTE DAL GOVERNO, ORA SI TRAMUTA IN FARSA
Il Fatto Quotidiano torna oggi con un articolo di Roberto Rotunno sulla vicenda dell’aumento di stipendio previsto dal nuovo contratto degli statali che causerà la perdita del bonus 80 euro.
Partiamo dall’inizio: i contratti dei 3 milioni di statali sono fermi da otto anni, motivo per cui i sindacati della funzione pubblica si sono mobilitati per tutto il 2016 chiedendo un rinnovo che contenesse gli aumenti salariali.
La ministra Marianna Madia ha continuamente rassicurato le sigle ma per arrivare all’incontro decisivo i richiedenti hanno dovuto aspettare fino al 30 novembre.
In pratica, la situazione si è sbloccata solo durante l’ultima settimana di campagna referendaria per la riforma costituzionale (comunque bocciata il 4 dicembre dal 60% dei votanti).
Nel documento sottoscritto in quella giornata, esecutivo e sindacati hanno trovato un’intesa per aumenti medi da 85 euro lordi al mese, quindi 1.105 euro all’anno considerando le tredici mensilità .
Un altro punto dell’accordo prevedeva sostanzialmen te di sterilizzare gli effetti dell’incremento in busta paga sul diritto a percepire gli 80 euro.
Questo bonus — va ricordato — è destinato ai redditi medi e bassi: a beneficiarne, infatti, sono quei lavoratori che guadagnano minimo 8 mila euro e massimo 26 mila euro all’anno.
Dai 24 mila euro in poi, il premio (che quando è pieno vale 960 euro all’anno) inizia a calare per scaglioni e passa da 720 a 480 a 240 euro annui, fino ovviamente ad azzerarsi quando si supera il tetto.
Insomma, chi passa (grazie all’aumento previsto dal nuovo contratto) da 25mila a 26 mila euro annui, dovrà dire addio al bonus.
In pratica, l’incremento salariale sarà più che dimezzato.
Il governo si era impegnato a evitare questo automatismo nel pubblico impiego, alle prese con il rinnovo, ma la direttiva non ha recepito quella parte dell’accordo.
Il testo infatti chiarisce che ci sarà una valutazione sugli effetti che gli aumenti avranno sul bonus, per proporre correttivi “solo se necessario”e“nei limiti delle risorse destinate”.
Dicitura che sembra lasciare pochi margini di manovra.
(da “NextQuotidiano”)
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Luglio 9th, 2017 Riccardo Fucile
GENOVA DEGRADATA DALLA LEGA: AUMENTANO GLI INCIDENTI MORTALI, VIGILI AGLI INCROCI NON SE NE VEDONO E L’ASSESSORE CHE VIVE SU MARTE SI DIVERTE A FARE LO SCERIFFO
Arrivano gli “sceriffi” del centro storico, così i bamboccioni padani possono passare dalle letture e dai film western alla pratica per ripristinare “il decoro” di Genova, in verità messo più in pericolo dalle ruberie delle “spese pazze” in Regione per cui sono sotto processo i due loro maggiori esponenti locali, che da qualche ambulante di colore che non rompe le palle a nessuno.
La solita marchetta a qualche bottegaio amico che pensa che il calo delle vendite sia dovuto non alla crisi economica ma alla presenza del “nero”, tanto per capirci.
Quindi ecco lo spottone della giunta Bucci che invece che creare i 30.000 posti di lavoro promessi, si appunta la stella da sceriffo al petto annunciando “pattuglie triplicate e dedicate specificamente al contrasto dell’abusivismo e del degrado”
In una città dove i reati sono calati, come ha dovuto ammettere a denti stretti lo stesso Bucci, dopo aver sostenuto tutto il contrario in campagna elettorale, ma dove “bisogna aumentare la percezione di sicurezza dei cittadini” (ovvero prenderli per il culo).
Da domani quindi “la polizia municipale si muoverà secondo un nuovo piano operativo stilato dal comandante Giacomo Tinella: più pattuglie “miste” (controllo del territorio e controllo dell’abusivismo) ma, ammette Tinella, “ciò comporterà meno controllo del traffico”. Tradotto: meno vigili agli incroci, meno multe per infrazioni al codice della strada.
In una città dove quasi ogni giorno si registra un incidente grave o mortale e i passanti corrono seri rischi di essere travolti, i guerrieri padani si divertono a dare la caccia a qualche disperato che stende un lenzuolo per ricavare di che mangiare e sbarcare il lunario.
Sembra di tornare ai tempi delle ronde padane quando una piccola corte di miracoli si aggirava di notte per la città con il fotografo al seguito e la scorta della polizia incazzata perchè doveva pure proteggerli.
Ora l’impresentabile “assessore ai bottegai” annuncia: “venerdì faremo un blitz antidroga nei luoghi della movida”.
Ma non aveva già detto che lo avrebbe fatto venerdi scorso?
Forse non ha trovato la scorta della polizia e ha paura di andare da solo come fanno tutti i genovesi senza che accada nulla?”
In compenso parla sempre di migliorare il “decoro” di Piazza della Vittoria, va beh l’hanno capito tutti che abiti lì, cercheremo di passare altrove per evitare brutti incontri.
(da agenzie)
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