Luglio 29th, 2017 Riccardo Fucile
DECINE DI MIGLIAIA DI EURO SPESI DA UNA GIUNTA MEGALOMANE, NESSUN RITORNO TURISTICO… CHIODI CHE ESCONO, DANNI, TAPPETI ROTTI, TAPPULLI E SPORCIZIA… INTERVENGA LA CORTE DEI CONTI E MANDI LA FATTURA A CHI HA APPROVATO LA DELIBERA
Ritorniamo sul’argomenti del Red carpet senza tediarvi troppo sul suo iter che si può riassumere in poche righe.
Una spesa inizialmente minima dichiarata, poi salita a 60.000 euro (escluso collocazione a terra, fissaggio, defissaggio e rottamazione, a carico dei Comuni), presunti ritorni turistici mai avvenuti (a Rapallo calo dell 8% delle presenze il primo mese del red carpet), fatture pagate dalla Regione non al fornitore ma a “Liguria Digitale” che a sua volta compra dal fornitore (Liguria Digitale che ha per statuto compiti di informatizzazione degli enti locali, tramutata in mediatore di tappeti, Liguria Digitale che caso strano aveva come Ad l’attuale sindaco leghista di Genova Marco Bucci), fino al richiamo della Sovrintendenza per i danni arrecati dai chiodi usati per fissare il tappeto.
Poi il delirio di Toti che, come un piazzista, ha voluto distribuire 100 km di tappeto rosso in altre venti cittadine, tanto paga il contribuente.
Bene, per un attimo fingiamo di dimenticare tutto, pensiamo “all’immagine che diamo della Liguria” con questa grande iniziativa, come dice Toti.
Pubblichiamo 15 foto (sulla ns. pagina Fb ) relative a diverse località , che non hanno bisogno di commenti, su quella che Villaggio avrebbe definito “una cagata pazzesca”: era chiaro che non solo era una spesa inutile, ma che sarebbe stata controproducente.
In una foto c’è persino un marciapiede lasciato scassato ma con il tappeto rosso a fianco, massimo del delirio.
Un tappeto rosso ha senso per una cerimonia, per una giornata, poi si deteriora e rende solo l’immagine di una Liguria sporca, raffazonata e cialtrona.
A voi il giudizio.
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Luglio 29th, 2017 Riccardo Fucile
DECINE DI IMBARCAZIONI DELLA “FLOTTILLA CITTADINA” STAMANE HANNO MANIFESTATO CONTRO LA NAVE CACCIATA DA CIPRO E DICHIARATA IN ARRIVO A CATANIA (AMMESSO CHE ARRIVI MAI)
La Flottilla cittadina si è mossa stamattina dal circolo canoisti e ha raggiunto lo specchio d’acqua di fronte al lido Azzurro.
Un corteo di decine di imbarcazioni con uno striscione per dire no all’approdo in città dell’imbarcazione di Generazione identitaria.
Canoe, barche a vela, gommoni pedalò, e tutto quanto sia in grado di galleggiare (in piena sicurezza). La Flottilla cittadina ha chiuso simbolicamente il porto di Catania alla C-Star, la nave razzista.
C’erano i del circolo Canoa Catania – quelli che non sono in Polonia a partecipare ai World games – che guidavano i dragon boat da venti posti. E poi cittadini con piccole imbarcazioni e gommoni.
«Il porto si stringe attorno alle navi di soccorso delle Ong e alle operazioni umanitarie – ha detto Luca Nicotra – Noi abbiamo cominciato a organizzare questa cosa, e poi l’appoggio da parte dei cittadini catanesi è stato commovente».
«Noi chiediamo soltanto che si applichi la legge italiana – interviene l’esponente di Avaaz – Se l’attività di queste persone in mare, che è nei fatti un’azione di pirateria, causerà delle vittime, la responsabilità sarà di chi non ha agito, di chi non è intervenuto adesso».
Gli attivisti anti-migranti sono nel capoluogo etneo da giorni: aspettano l’arrivo dell’imbarcazione per poterci salire sopra, ma la nave è ancora al largo di Cipro, ci vorranno giorni, ammesso che arrivi mai.
Dopo essere stati di fatto cacciati da Famagosta come indesiderati, i pochi uomini rimasti a bordo hanno dato come destinazione Kalinik (a nord di Cipro) ma poi sono andati nella direzione opposta.
Attualmente sono ancora a sud di Cipro diretti a ovest, praticamente da giorni alla stessa altezza di Port Said d cui sono arrivati giorni fa, prima di essere beccati coi richiedenti asilo cingalesi a bordo con documenti falsi.
Ammesso che la nave arrivi mai a Catania, dove potrebbe vedersi negato l’attracco per motivi di ordine pubblico, la decina di attivisti è probabile che raggiungano l’imbarcazione al largo.
Fermo restando che entrando nelle acque territoriali italiane, data la finalità illecita dichiarata, la Guardia costiera non riceva l’imput di bloccarla, come avverrebbe nei Paesi civili.
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Luglio 29th, 2017 Riccardo Fucile
ASSE TRA DE VITO E L’ASSESSORE AL BILANCIO MAZZILLO
Con quello che sta succedendo a Roma un assessore che rimette alla sindaca la delega alle Politiche abitative non è certo una gran notizia.
Se però si tratta dell’assessore al Bilancio, cioè la persona che ha in mano i cordoni della borsa, e non rinuncia per capriccio ma per dare un segnale politico, allora la faccenda cambia.
Il suo nome è Andrea Mazzillo, e dice: “Qui serve una svolta, continuando così andiamo a sbattere. Va a sbattere tutta la città “.
Il segnale è innanzitutto per la sindaca. Ma pure a quanti hanno sempre condizionato le scelte del Campidoglio: dal direttorio della prim’ora, al direttorio bis degli onorevoli tutor di Virginia Raggi, e più su. Fino alle vere stanze dei bottoni della Capitale, quelle dell’Hotel Forum occupate di solito da Beppe Grillo e Davide Casaleggio.
E la storia si fa ancora più seria perchè non è la presa di posizione di un singolo assessore. Dietro a lui ci sarebbe infatti il pezzo di consiglio comunale che garantisce la maggioranza a Virginia Raggi.
Fra Mazzillo e il presidente dell’assemblea capitolina Marcello De Vito si è stabilito un inedito asse di ferro.
La manovra punta a riportare il potere in mano agli eletti. Gli esperti di codici grillini potrebbero interpretare ciò come un ribaltamento nei rapporti di forza. Mazzillo era considerato uno dei fedelissimi di Virginia Raggi, mentre De Vito è vicino alla ex capogruppo alla Camera Roberta Lombardi, che pubblicamente non ha mai mostrato particolare stima per la sindaca.
Se però il possibile terremoto della “discontinuità “, come la chiama Mazzillo, ma che sarebbe più giusto definire “presa di distanze” non fosse di ben più ampia portata.
Da mesi crescono i malumori nell’assemblea dove per una singolare usanza i consiglieri si fregiano come i parlamentari dell’appellativo di “onorevoli”. Il consiglio comunale lamenta di essere tagliato fuori di fatto da ogni decisione.
E l’ultimo caso, quello del direttore generale dell’Atac Bruno Rota che ha sparato dalle colonne di Corriere della sera e Fatto quotidiano una mitragliata sull’azienda pochi giorni dopo aver rassegnato le dimissioni, è solo il detonatore di una situazione esplosiva. Rota era l’ennesimo manager nordista, che in men che non si dica ha fatto le valigie.
“Le decisioni sono adottate centralmente, senza alcun confronto con l’assemblea che spesso e volentieri viene tenuta all’oscuro. Molti assessori non hanno alcun rapporto con gli eletti”, accusa Mazzillo.
Si fa presto a capire chi mette sul banco degli imputati: il vicesindaco Luca Bergamo, dai trascorsi nel Pd, l’assessora all’Ambiente Pinuccia Montanari, quella che “sostiene di non aver mai visto qui i topi per il semplice fatto che non conosce Roma”, ma soprattutto il factotum delle municipalizzate catapultato anch’egli come Rota dal Nord. Ovvero, l’ex imprenditore veneto Massimo Colomban.
Dire che Mazzillo con lui non abbia mai legato è puro eufemismo.
Il fatto è che fra le decisioni prese centralmente che provocano così tanti mal di stomaco nel consiglio comunale le più indigeste sono quelle calate dall’alto.
Tipo, appunto, le nomine delle figure chiave. Che Virginia Raggi ha sempre finito per subire.
Sono sempre arrivate direttamente dalle stanze dei bottoni del Movimento 5 stelle. E l’innesto di Colomban, rivelatosi finora privo di alcuna concretezza, viene portato come l’esempio più clamoroso. Ma non l’unico.
“Francamente non si capisce perchè si senta il bisogno di affidare certi incarichi delicati a persone che non conoscono Roma, come se in questa città non fossero reperibili determinate competenze”, argomenta Mazzillo.
La verità è che certe scelte manageriali ai vertici delle municipalizzate si sono risolte finora in autentici disastri. Ed è difficile attribuire le cause alla semplice inesperienza di politici in erba, quando invece le decisioni sono prese da altri.
Tutto questo discende da ragioni precise. Pur senza dirlo apertamente, l’assessore al Bilancio fa risalire la cosa al peccato originale: il famoso contratto che Virginia Raggi e i consiglieri comunali hanno accettato di firmare.
Una ipoteca economica pesantissima capace di menomare ogni azione politica che abbia il sapore dell’indipendenza dalle direttive dei vertici del Movimento (come sa bene la consigliera Cristina Grancio sospesa per essersi mostrata perplessa sullo stadio della Roma).
Con cui, al contrario, la sindaca di Torino Chiara Appendino non è costretta a fare i conti. E la differenza, infortuni a parte, è evidente.
La conseguenza, dice l’assessore al bilancio, è che amministrare una città come Roma in queste condizioni è una guerriglia quotidiana. “Prima non si facevano le gare. Adesso invece sono bandite regolarmente, peccato solo che spesso non si riesca ad aggiudicarle perchè i commissari si ammalano all’improvviso “, racconta Mazzillo.
E sbotta: “Nessuno si vuole assumere responsabilità . Ho dovuto richiamare la nostra compagnia assicurativa, la Adir, che l’altro giorno mi ha comunicato la decisione di non voler più dare copertura ai dirigenti del Comune. Che così hanno comprensibili difficoltà a esporsi”.
Per non parlare della meticolosità della Corte dei conti nel mettere il naso in ogni delibera. Con il paradosso che quella valanga burocratica si abbatte proprio su di lui, che di un noto fustigatore della magistratura contabile, Luigi Mazzillo, è il figlio.
Senza poi contare le tegole che cadono sulla testa quando meno te l’aspetti. Un esempio rende l’idea. “La società Investimenti spa ci ha chiamato in causa “, rivela lui, “per un arbitrato da capogiro. Chiede al Comune di Roma qualcosa come 150 milioni di danni perchè sono state ridotte le cubature dell’intervento previsto nella vecchia Fiera di Roma”. Il bello è che Investimenti spa è una società interamente pubblica, controllata al 58 per cento dalla Camera di Commercio, al 20 per cento circa dalla Regione Lazio e per il restante 22, pensate un po’, addirittura dal Campidoglio.
Un altro fulgido esempio dello Stato che fa causa a se stesso. Complimenti.
(da “La Stampa“)
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Luglio 29th, 2017 Riccardo Fucile
L’EMERGENZA IDRICA INVENTATA SI CHIUDE CON UN DISASTRO POLITICO
Ieri si è conclusa nel modo più fesso possibile la sceneggiata dell’acqua razionata a Roma.
Una finta emergenza idrica i cui contorni non si sono mai definiti e nella quale il Partito Democratico è tornato a livelli tafazziani grazie al combinato disposto degli interventi di Nicola Zingaretti e del ministro Galletti che prima hanno spiegato le imprescindibili ragioni per la chiusura dei rubinetti del Lago di Bracciano e poi, quando il Tribunale delle Acque gliele ha validate, li hanno riaperti.
Questo perchè il MoVimento 5 Stelle ha messo in campo un’offensiva che mirava a colpevolizzare Regione e governo per la chiusura dell’acqua che veniva imposta da ACEA, ovvero da un’azienda di cui il Comune di Roma possiede la maggioranza assoluta.
Il dietrofront di ieri è stato sintomatico di una situazione disperata, ma non seria.
La sindaca di Roma Virginia Raggi è apparsa in conferenza stampa sostenendo: «Adesso il Governo e la Regione devono fare la loro, si devono assumere le loro responsabilità , perchè non si può tagliare l’acqua a oltre un milione e mezzo di cittadini romani. Devono intervenire adesso entro questa sera, non domani o tra qualche giorno. I romani hanno diritto ad avere una risposta e la devono avere adesso».
Ovviamente nessuno ha obiettato che a chiudere l’acqua per otto ore al giorno alternativamente in due quadranti non erano nè governo nè Regione Lazio, ma l’ACEA.
La stessa ACEA che aveva paventato un’emergenza idrica per metà della città a fronte di prelievi dal Lago di Bracciano che soddisfacevano un fabbisogno totale dell’8%. Addirittura, l’azienda ha detto che si sarebbe tagliata l’acqua anche agli ospedali, raggiungendo livelli di terrorismo che sarebbe invece stato interessante andare a “vedere”, visto il rischio di class action e l’evidenza che finora ACEA non aveva in alcun modo comunicato ufficialmente il taglio dell’acqua, nutrendo solo le indiscrezioni dei giornali.
Governo e Regione hanno obbedito all’ultimatum della Raggi e hanno “trovato” la soluzione in serata, come aveva ordinato la sindaca.
Lo hanno fatto, a quanto pare, perchè il governo ha spinto sulla Regione che si alla fine piegata, posticipando il divieto di captazione dal lago al primo settembre e riducendo a 400 litri al secondo fino al 10 agosto e a 200 successivamente.
La conclusione “felice” della vicenda si è vista ieri in una dichiarazione di Luigi Di Maio, che ringraziava la sindaca per aver evitato l’emergenza a Roma mentre Zingaretti sulla sua pagina Facebook attaccava la Raggi perchè aveva utilizzato la tattica dello scaricabarile per portare a casa il risultato. Sarà , ma se non si va a vedere il bluff di solito si perde la mano
Il bluff emergenziale
Ed è esattamente questo che hanno fatto Regione e governo. Franco Bechis su Libero ha spiegato bene che se Bracciano è una riserva da cui si prende il 5% dell’acqua solo d’estate — e non sempre — diventa davvero difficile comprendere come la chiusura di questa possibilità avrebbe potuto negare l’acqua per otto ore al giorno a 1,5 milioni di romani sui 2,8 milioni di abitanti.
E ancora meno comprensibile è che questo scenario potesse avvenire nel mese di agosto, quando mediamente almeno il 25-30% dei romani sono in vacanza e soprattutto la stragrande maggioranza di chi viene da fuori, vi lavora e consuma anche l’acqua, è in ferie con quasi tutti gli uffici pubblici chiusi o a turnazione ridotta.
Roma avrebbe avuto anche con la chiusura di Bracciano il 95% dell’acqua a disposizione per servire però durante il mese di agosto il 60% circa dell’utenza ordinaria.
Come avrebbe mai potuto esserci emergenza?
“Il caso dunque è stato creato e cavalcato ad arte dai suoi protagonisti, ed è probabile che non sia estraneo a quel che è accaduto anche un lungo e feroce contenzioso legale fra l’Acea e la Regione Lazio…”.
Il risultato finale
E il risultato finale? Il risultato finale intanto scontenta la parte più debole della vicenda, ovvero i sindaci dei comuni vicino al Lago di Bracciano che da mesi segnalavano la situazione di emergenza e che oggi si ritrovano con la Regione che volta loro le spalle nonostante una sentenza di un tribunale le abbia dato ragione. Raggi e ACEA sono i più titolati a esultare perchè Regione e governo hanno risolto un problema che vedeva loro come primi responsabili.
Zingaretti e Galletti, poi, possono anche dire di essersi dimostrati bravi a scongiurare una figuraccia internazionale che si stava preparando per Roma.
Ma lo hanno fatto venendo meno a principi che loro stessi avevano enunciato nei giorni scorsi. Non solo: dovranno anche concedere ad ACEA di aumentare l’approvvigionamento da altre fonti (il raddoppio del Peschiera) nel medio periodo.
Se è una vittoria questa, alla vigilia delle elezioni politiche e regionali, siamo rovinati.
(da “NextQuotidiano“)
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Luglio 29th, 2017 Riccardo Fucile
IL PESO ECONOMICO DELLA CATTIVA BUROCRAZIA SULLE PMI E’ DI 31 MILIARDI E IL DEFICIT STRUTTURALE GRAVA PER ALMENO 40 MILIARDI
Le aziende italiane sono le più tartassate d’Europa: secondo i dati dell’Ufficio studi della Cgia, le nostre imprese versano al fisco 105,6 miliardi di euro l’anno: nell’Unione europea solo le aziende tedesche pagano un importo complessivo superiore, 135,6 miliardi, anche se va ricordato che la Germania conta 22 milioni di abitanti in più dell’Italia.
“Ma il carico fiscale sulle imprese italiane non ha eguali nel resto d’Europa quando misuriamo l’incidenza percentuale delle tasse pagate dalle aziende sul gettito fiscale totale. Se da noi la percentuale è del 14,9 — spiega una nota — in Irlanda e’ del 14,8, in Belgio del 12,9, nei Paesi Bassi del 12,7, in Spagna dell’11,8, in Germania e in Austria dell’11,6. La media dell’Unione europea è pari all’11,5 per cento”.
“Sebbene alle nostre imprese sia richiesto lo sforzo fiscale più oneroso d’Europa — segnala il coordinatore dell’Ufficio studi della Cgia Paolo Zabeo — la qualità dei servizi ricevuti dallo Stato è spaventosamente inadeguata. Ricordo, ad esempio, che il debito commerciale della nostra Pubblica amministrazione nei confronti dei propri fornitori è di 64 miliardi di euro, di cui 34 riconducibili ai ritardi nei pagamenti. Il peso economico della cattiva burocrazia sulle Pmi, invece, è di 31 miliardi e il deficit infrastrutturale, sia materiale che immateriale, grava sul sistema produttivo per almeno 40 miliardi di euro”.
L’Ufficio studi della CGIA fa presente che l’incidenza percentuale delle tasse pagate dalle imprese sul totale del gettito fiscale è un indicatore che aiuta a comprendere l’elevato livello di tassazione a cui sono sottoposte le aziende.
Si tenga presente che le imposte italiane considerate in questa analisi su dati Eurostat sono: l’Irap, l’Ires, la quota dell’Irpef in capo ai lavoratori autonomi, le ritenute sui dividendi e sugli interessi e le imposte da capital gain.
“Oltre a ridurre il peso delle tasse — dichiara il Segretario della CGIA Renato Mason — è necessario diminuire anche il numero di adempimenti fiscali che, invece, continua ad aumentare e costituisce un grosso problema per moltissime aziende. Non dobbiamo dimenticare che i più penalizzati da questa situazione, cosi’ come avviene per le tasse, sono le piccole e piccolissime imprese che, a differenza delle realta’ piu’ grandi, non dispongono di una struttura amministrativa in grado di farsi carico autonomamente di tutte queste incombenze”.
(da “NextQuotidiano”)
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Luglio 29th, 2017 Riccardo Fucile
“A STEFANO CONVIENE STARE ZITTO”… “QUESTI SONO DEI DELINQUENTI, E’ SCANDALOSO”
«A Stefano converrebbe continuare a stare zitto, faccia silenzio. Deve piantarla lì. Perchè sennò…». «È pazzesco, ma come si fa, questi sono dei delinquenti, è scandaloso». «Quello che mi hanno fatto lo considero un vero tradimento. Una roba che neanche all’asilo».
Il giorno dopo il suo addio all’ATAC Bruno Rota riempie di interviste le pagine di tutti i giornali d’Italia. E quello che dice dell’amministrazione di Roma e dei consiglieri probabilmente è la pietra tombale sulla gestione grillina del’azienda di trasporti romana.
Nell’intervista rilasciata ad Alessandro Trocino del Corriere della Sera Rota tiene prima di tutto a precisare com’è andata la vicenda delle dimissioni, sulle quali è scoppiato ieri un piccolo giallo.
L’ATAC ha infatti prima fatto sapere con una nota che al direttore generale erano state ritirate le deleghe, poi lui ha detto ai giornali di aver presentato le dimissioni una settimana prima.
A questo punto l’ATAC ha dichiarato che le sue dimissioni non risultavano protocollate nè comunicate all’amministratore unico Manuel Fantasia.
Oggi lui spiega: «Ma quando mai, hanno fatto i furbi. Peggio ancora. Ma chi se la beve la novella del siluramento? Questo la dice lunga sulla serietà di queste persone. È l’ennesima dimostrazione che avevo visto giusto, che ho fatto bene ad andarmene per tempo».
E ancora: «È pazzesco, ma come si fa, questi sono dei delinquenti, è scandaloso. Io le dimissioni formali le ho date il 21 luglio e la Raggi mi ha chiesto di restare e di soprassedere, almeno per portare a termine gli adempimenti più importanti. Nell’ultimo mese, verbalmente, le avevo già date più volte le dimissioni».
Rota sostiene di aver avviato le procedure per il concordato preventivo in ATAC e di aver fatto la selezione per l’advisor legale, ma anche di aver notato “manovre” intorno alla procedura: «Non mi faccia parlare, che direi cose sgradevoli e sono agitato. Quello che mi hanno fatto lo considero un vero tradimento. Una roba che neanche all’asilo».
Infine parla di Enrico Stefà no, consigliere a Roma e presidente della Commissione Mobilità , che ha accusato di avergli raccomandato persone e aziende:
Lei su Facebook ha denunciato pressioni da parte di Enrico Stefà no, consigliere M5S, che le avrebbe chiesto di promuovere i «soliti noti». Lui però smentisce e la invita a scusarsi. Cosa gli risponde?
«Questa è buona. Ma ci ha messo 24 ore a smentire, è stato muto da ieri. Ma dai, io rispondo alle cose serie».
Perchè non ha denunciato prima le pressioni di Stefà no?
«Ma perchè ho risposto a lui che mi diceva che non avevo fatto niente in azienda. Forse dovrebbe spiegare lui qualcosa dell’azienda che ho nominato. E l’ho fatto perchè lui stesso citava il sistema di bigliettazione. Ecco,magari dovrebbe spiegare perchè riceve le imprese che fanno forniture in azienda»
Bruno Rota e L’ATAC senza stipendi
Con Repubblica Rota conferma la vicenda del concordato preventivo e il fatto che ne avesse parlato con la Raggi e con gli altri: «Stavo lavorando alla procedura per il concordato preventivo sotto la vigilanza del tribunale, la procedura ritenuta da me necessaria per risanare l’azienda evitando il fallimento. Ero riuscito anche a spiegare ai grillini cos’è un concordato». Purtroppo nessuno a Roma ne ha saputo nulla, in omaggio alla trasparenzaquannocepare che è il faro che guida questa amministrazione.
Al Messaggero invece l’ex direttore generale fa sapere che ATAC non sarà in grado di pagare gli stipendi: «Qui c’è un’azienda che l’ultima volta è riuscita a pagare gli stipendi nell’ultimo quarto d’ora. È una situazione che deve essere analizzata dal tribunale fallimentare. La quantità di decreti ingiuntivi che ha accumulato è spaventosa…».
Poi dedica una serie di repliche proprio a Stefà no:
«Io non ho fatto polemica con nessuno. Sono io ad essere stato attaccato da questo ragazzotto e ho reagito, perchè non ho niente da nascondere. Non mi sposto di un centimetro da quelle affermazioni. Lui prima di rispondere ha aspettato due giorni…».
Ieri Stefano ha negato queste pressioni e ha detto che lei dovrebbe scusarsi.
«A Stefano converrebbe continuare a stare zitto, faccia silenzio. Deve piantarla lì. Perchè sennò…».
Sennò? Di che appalti le avrebbe parlato?
«A me per un mese ha chiesto come mai non mi occupassi della bigliettazione. Ma lo sappiamo bene perchè rompe le scatole sulla bigliettazione. La domanda dovreste farla voi: è normale che un politico tenga rapporti con società di bigliettazione?».
Ce lo dica lei.
«Guardi, si potrebbero incrociare anche alcune sue curiosissime affermazioni, per esempio sui nuovi bus a metano… Con tempistiche, diciamo,curiose».
Quali giovani avrebbe voluto promuovere il presidente M5S della Commissione Mobilità ?
«I nomi sono i soliti. Ma io non ho fatto nessuna promozione e non ho allontanato nessuno, perchè queste cose nelle aziende dove sono stato non succedono. Non ho mai avuto la tessera di nessun partito, ho sempre solo fatto il manager. Lo sanno tutti
«Raggi mi supplicava di restare
Rota, infine, parla anche con La Stampa: «Sì, ho approvato un regolamento di gare e contratti particolarmente rigido di cui Atac aveva bisogno. Ho ripristinato un rapporto corretto con l’autorità Anticorruzione. Ho affrontato le questioni sindacali con durezza, perchè non si poteva fare diversamente. Ad esempio la circolare di quindici giorni fa che impone regole precise per la timbratura dei cartellini agli operatori della metropolitana. Lo so che potrebbe sembrare una cosa scontata ma qui non era così. E purtroppo non è ancora così perchè alcune delle difficoltà , delle tensioni nascono proprio dal tentativo di mettere regole e farle rispettare. Per fare queste battaglie di educazione è normale che l’amministrazione ti deve sostenere il manager chiamato a questo compito. Non di nascosto o a chiacchiere ma con atti concreti».
E la polemica con Enrico Stefà no? «Il vile che cerca di tirare un calcio a chi si ritiene non in grado di difendersi c’è sempre. Gli ho risposto per le rime».
(da “NextQuotidiano”)
argomento: Roma | Commenta »
Luglio 29th, 2017 Riccardo Fucile
E SPUNTA UNA PISTA DEL TELEFONINO, MAI SEGUITA
Igor il russo potrebbe essere scappato in Brasile.
Porta direttamente in Sud America l’ultimo retroscena sulla caccia all’inafferrabile assassino, che lo scorso aprile ha ucciso due persone, ferendone gravemente un’altra tra Bologna e Ferrara.
A collocare dall’altra parte dell’oceano Norbert Feher alias Igor Vlacavic, infatti, è una “fonte confidenziale attendibile“. A riportarlo è il Corriere della Sera che racconta come a fine giugno alla procura di Bologna sia arrivata una nota del servizio centrale della polizia, direttamente da Roma.
Poche righe per dire che sul conto del “noto latitante serbo” (perchè Igor — come è noto — non è russo) c’erano importanti notizie di una “fonte attendibile” ma confidenziale che lo rintracciava in Sud America.
Secondo la ricostruzione del giornale, il pm Marco Forte ha chiesto a Roma approfondimenti, ma la relazione trasmessa non ha dettagli in più. Solo uno: un agente è stato inviato in Brasile per verificare la soffiata. Le tracce portano nel paese carioca, dunque.
Peccato che quando l’inviato è arrivato in Brasile, la fonte è stata arrestata. E ammesso che Igor sia davvero in Brasile, può continuare la sua latitanza. Ma non solo.
Perchè dai rivoli dell’indagine spuntano anche tracce mai seguite. Come per esempio la pista del telefonino mai approfondite.
Nel 2015, infatti, Igor è stato accusati da alcuni ex sodali di aver ucciso un pensionato durante una rapina, alla quale il russo non aveva neanche mai partecipato.
Fra le informazioni che gli inquirenti mettono nero su bianco, però, agli atti c’è anche un numero di cellulare. Il telefono è segnato a nome Igor Vlacavic, nato in Russia il 21 ottobre del 1976. Igor non è rintracciabile, ma non sembrano esserci stati sforzi maggiori di ricerca.
Secondo il Corriere, oggi si sa che quel numero di cellulare suggerito dai rapinatori era attivo nel momento dell’ordinanza sulle rapine del 2016. E lo è stato a lungo. Poteva dunque essere localizzato e messo sotto controllo. Resta da capire perchè non è stato fatto.
E mentre il fantasma di Igor compare dall’altra parte dell’oceano, sono solo poche decine di carabinieri quelle rimaste dagli la caccia nella ‘zona rossa’ tra Marmorta e Molinella, nel triangolo di territorio chiuso tra Bologna e Ferrara.
Il migliaio di uomini delle forze speciali radunati per la caccia all’uomo ha lasciato la zona già da un mese. Norbert Feher, 36 anni, assassino di Davide Fabbri, il barista di Budrio ucciso con un colpo di pistola nel suo locale, e della guardia ecologica Valerio Verri, è passato da ricercato a latitante: in pratica il ministero ha ritirato il grosso delle sue truppe, supponendo che tra gli acquitrini e le paludi della bassa non ci fosse più niente da cercare.
Resta da capire come abbia fatto Igor a sfuggire alla rete di ricerca e addirittura partire per il Sud America.
Nel frattempo cominciano ad arrivare i primi contributi volontari sul conto corrente bancario aperto dal Comitato degli amici di Davide Fabbri per il bando, da loro pubblicato, in cui offrono una ricompensa per la cattura del killer, fissata in 50mila euro, a chi, per primo, darà notizie certe su di lui.
La taglia viene dimezzata se invece le informazioni dovessero portare al ritrovamento del cadavere di Igor, col termine del bando fissato al 22 ottobre. Inattaccabile dal punto di vista giuridico, l’idea degli amici del barista ha però diviso i cittadini di Budrio dove il neosindaco Maurizio Mazzanti ha espresso la sua perplessità su una giustizia che ha definito “da Far West“.
La pensano diversamente i parenti delle persone assassinate da Igor. Feher è già stato condannato per alcune rapine violente nel Ferrarese nel 2015 ma questa volta, se non verrà trovato, non ci sarà alcun processo e, senza una sentenza, i familiari delle vittime difficilmente potranno accedere al Fondo statale per le vittime di reati violenti.
I parenti di entrambe le persone uccise da Igor hanno presentato un esposto alla magistratura. Quella della guardia ecologica sostiene che Verri non doveva trovarsi nella zona rossa visto che si era già a conoscenza del fatto che Feher, dopo il primo omicidio, stava fuggendo armato e pericoloso in quelle strade.
La vedova del barista di Budrio, invece, chiede giustizia per il fatto che il killer, nonostante la sua carriera criminale come rapinatore, non sia stato rintracciato ed espulso dall’Italia.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Luglio 29th, 2017 Riccardo Fucile
LEONARDO ORSINO E’ ACCUSATO DI INCENDIO BOSCHIVO
Nella vita fa il macellaio, ma a soli 24 anni ha più volte messo in pericolo l’ incolumità propria e degli altri.
E per gli inquirenti che indagano sui devastanti incendi che hanno cancellato buona parte delle aree protette del Parco nazionale del Vesuvio, è lui il piromane che ha dato il via alle fiamme.
Leonardo Orsino, raggiunto la scorsa notte da un’ordinanza di custodia cautelare in carcere del gip del Tribunale di Torre Annunziata (Napoli) su richiesta della Procura, è accusato di incendio boschivo.
È stato prelevato a casa dai Carabinieri della compagnia di Torre del Greco, e della sezione Forestali.
L’ abitazione si trova in via Sopra ai Camaldoli che era stata minacciata dalle fiamme che hanno accerchiato la città a partire dal 14 luglio, il giorno in cui il sospetto piromane è stato identificato grazie alle immagini delle telecamere di videosorveglianza ed alle intercettazioni.
Perchè il 24enne abbia appiccato il fuoco che ha devastato le aree boschive del Vesuvio minacciando decine di abitazioni, e fatto vivere giorni di paura a migliaia di cittadini, lo dovranno stabilire le indagini.
Leonardo Orsino è stato rinchiuso nel carcere di Poggioreale in attesa del processo.
Il 24enne non è un volto nuovo per le Forze dell’ordine: nel maggio 2012 la polizia lo aveva arrestato dopo averlo sorpreso a rubare cavi di rame alla stazione Fs di Santa Maria la Bruna (Napoli).
La sua “bravata” portò alla momentanea interruzione della circolazione ferroviaria nella zona.
“Auspichiamo una condanna esemplare – afferma il vicesindaco di Torre del Greco, Romina Stilo – commisurata a quanto accaduto. Oggi più che mai siamo fiduciosi nell’operato della magistratura e delle forze dell’ordine, che stanno lavorando alacremente per individuare chi ha prodotto uno scempio naturalistico di enormi proporzioni”.
A Torre del Greco è riunito anche il centro di coordinamento che lavora alla redazione del nuovo Piano Urbanistico Comunale.
“La prima cosa sulla quale stiamo riflettendo – ha detto l’assessore all’Urbanistica, Luigi Mele – è legata ai potenziali rischi in occasione dei primi eventi piovosi”.
(da agenzie)
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