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ROBERTO FICO E LO SCANDALO DI RENZI IN BRAGHE CORTE A POMPEI MENTRE IL VESUVIO BRUCIA

Luglio 18th, 2017 Riccardo Fucile

PERCHE’ FICO NON PUBBLICA ANCHE LA FOTO DI DI BATTISTA IN PIZZERIA A NAPOLI MENTRE IL VESUVIO BRUCIAVA?

Roberto Fico, onorevole M5S e presidente della Commissione di Vigilanza RAI, su Facebook pubblica una fotografia di Matteo Renzi a Pompei e si scandalizza perchè il segretario del Partito Democratico «va in vacanza in pantaloncini mentre il Vesuvio brucia alle sue spalle».
“Il segretario del Pd è oggi in visita a sorpresa a Pompei. Va in vacanza in pantaloncini, mentre il Vesuvio brucia alle sue spalle. E questo invece di dare una mano e premere per un provvedimento che aiuti a fronteggiare l’emergenza incendi che sta devastando la Campania come altre regioni nel nostro Paese. E dopo la visita Renzi andrà  a Napoli per continuare il tour di presentazione del suo libro. Ecco le sue priorità .”
Certo, magari si potrebbe obiettare che non c’è bisogno di allarmarsi troppo per il Vesuvio visto che i Canadair ormai li ha rimediati Di Maio.
Oppure si potrebbe far notare che l’ultima fotografia pubblicata su Instagram da Alessandro Di Battista domenica scorsa ritraeva l’eroico onorevole proprio a Napoli mentre eroicamente combatteva contro le fiamme (del forno che ha cotto la sua pizza Margherita).
Oppure si potrebbe immaginare cosa avrebbero detto quelli come Fico se Renzi si fosse presentato sui luoghi dell’incendio “per intralciare i soccorsi e fare propaganda”. Ma quando il grado di infantilismo raggiunto dalla politica è così basso, forse è meglio solo stendere un velo pietoso.

(da “NextQuotidiano”)

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IL SOCCORSO GRILLINO ALLA APPENDINO: IL G7 DELL’INDUSTRIA SPOSTATO DA TORINO A VENARIA

Luglio 18th, 2017 Riccardo Fucile

IL TIMORE DI UNA NUOVA PIAZZA SAN CARLO: “SINDACO TERRORIZZATA DAGLI EVENTI IN CITTA'”

Per Chiara Appendino il vantaggio è duplice. Primo, scongiurare il rischio di altri incidenti, dopo quelli di Piazza Santa Giulia e di Piazza San Carlo.
Secondo, evitare la “resa dei conti” con il centro sociale Askatasuna, con cui i rapporti, ammiccanti durante la campagna elettorale, si sono raffreddati dopo la ferma condanna delle violenze e le ordinanze su alcool e ordine pubblico.
Il G7 dell’Industria, del Lavoro e della Scienza si terrà  a Venaria Reale e non più al Lingotto, dove era stato programmato inizialmente.
Il grande evento in calendario dal 26 al 30 settembre, era stato presentato dalla sindaca a novembre dell’anno scorso come un “riconoscimento al territorio e alle sue capacità  industriali”. Ma i tempi sono cambiati, e il clima in città  pure.
Al Viminale si è tenuta una riunione tecnica tra i capi di Gabinetto di diversi ministeri (Mise, Interno, Lavoro, Miur), del Comune di Torino e della Regione Piemonte per “valutare” l’opportunità  di concentrare i lavori del G7 alla Reggia di Venaria Reale. Un’ipotesi che in ambienti torinesi si dà  ormai per certa.
Non a caso il sindaco di Venaria, Comune a una manciata di chilometri da Torino, si è già  detto soddisfatto per la scelta della residenza sabauda come luogo dei lavori.
Un vero “soccorso” a 5 Stelle, visto che anche Venaria è guidata dai grillini: “Registriamo con piacere la volontà  da parte del Ministero di fare il G7 presso la Reggia di Venaria”, ha detto il primo cittadino Roberto Falcone. “Come Città  siamo in attesa di attivare tutte le collaborazioni necessarie per valutare i dettagli dell’evento con l’attenzione principale alla garanzia della sicurezza per i cittadini”.
Il Comune di Torino, contattato dall’HuffPost, non ha voluto commentare lo spostamento del G7 a Venaria: “Quello che c’è da sapere è nella nota concordata tra i capi di Gabinetto al Viminale”.
D’altra parte la città  della Mole, cuore pulsante della produzione industriale, era la scelta più congeniale per un evento come il G7 dell’Industria.
Ma nel frattempo l’amministrazione Appendino ha dovuto fare i conti con diversi problemi di ordine pubblico che hanno incrinato il suo rapporto con i cittadini. In primis, ovviamente, il caos e la psicosi terrorismo di Piazza San Carlo durante la proiezione della finale di Champions League tra Juventus e Real Madrid che hanno provocato una vittima e più di 1500 feriti.
Le misure di sicurezza adottate dal Comune sono finite al centro di un’indagine della magistratura e la sindaca è finita nel registro degli indagati. Di certo, quella notte segna uno spartiacque nel percorso di Chiara Appendino a Palazzo Civico.
La tensione in città  è salita e, com’è ovvio, aleggia la paura di nuovi incidenti.
Ma le difficoltà  dell’amministrazione nella gestione dell’ordine pubblico si sono ripresentate successivamente. Con le cariche tra i dehors di piazza Santa Giulia, zona di movida, dove il mese scorso ci sono stati scontri tra le forze dell’ordine e i manifestanti dei centri sociali che protestavano contro l’ordinanza della sindaca Appendino che vieta la vendita di alcolici da asporto a partire dalle ore 20.
Un clima per nulla sereno, come dimostrato anche dal flop dei festeggiamenti di San Giovanni in una Piazza Vittorio mai così vuota in occasioni simili.
Alle spalle di Piazza Santa Giulia, in Corso Regina Margherita, c’è peraltro la sede del centro sociale di Askatasuna.
Un collettivo che ha appoggiato l’ascesa di Appendino a Palazzo Civico ma, dopo i recenti problemi di ordine pubblico e l’ordinanza anti-alcool, l’idillio si è rotto. E qui c’è il secondo “vantaggio” per la sindaca.
Perchè il collettivo antagonista ha già  annunciato la sua mobilitazione in vista del G7 e, con l’aria che si respira in città , i timori a Palazzo Civico sono tangibili. Non è il momento per un altro danno all’immagine dell’amministrazione sul fronte della sicurezza.
Lo spostamento del G7 a Venaria Reale toglie quindi le castagne dal fuoco all’amministrazione Appendino, da tempo accusata di avere rapporti ambigui con i centri sociali: “La sindaca ha evitato di toccare i tasti dolenti nel suo rapporto con gli antagonisti. Dopo i fatti di Piazza San Carlo la sindaca non voleva più ospitare il G7, ma grazie alla mediazione con il Viminale si è deciso lo spostamento a Venaria”, dice Stefano Lorusso, capogruppo Pd in Consiglio Comunale. “Di cui siamo contenti, perchè un evento così importante è giusto che rimanga sul nostro territorio. Ma d’altro canto mostra quanto la Appendino sia terrorizzata dall’organizzare grandi eventi in città  che possano comportare un rischio per la cittadinanza”, conclude Lorusso.

(da “Huffingtonpost”)

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I SEI PAESI AFRICANI DA “AIUTARE A CASA LORO”

Luglio 18th, 2017 Riccardo Fucile

TUNISIA, UGANDA, KENYA, CIAD, NIGER SONO I PAESI IN CUI L’EUROPA DOVREBBE INVESTIRE

Orizzonte Africa. Obiettivo: sicurezza. La sfida: reinsediare senza deportare. Riguarda sia i Paesi di origine che quelli di transito dei rifugiati-migranti.
L’asse Macron-Merkel si è definita anche rispetto a quella che Parigi e Berlino individuano come una delle priorità  dell’agire internazionale; una priorità  che tiene assieme gli interessi europei e quelli nazionali.
Qui scatta la sfida. Perchè non è affatto semplice, nè pacifico, trovare una quadra che tenga dentro esigenze spesso in conflitto tra loro.
In Nord Africa, il Paese che più risponde ai vari criteri sopra elencati è la Tunisia, l’unica realtà  nella quale sono sopravvissuti quei principi di democratizzazione che furono a fondamento delle cosiddette “Primavere arabe”.
Per la prima volta, nel febbraio scorso, Tunisi ha accettato di ricevere migranti di qualunque nazionalità  partiti dalla Libia e intercettati in acque extraterritoriali dalle squadre italiane ed europee di salvataggio.
In contropartita l’unico governo democratico del Maghreb ottiene dall’Italia e dall’Unione Europea sostegno su alcuni fronti che lo interessano: non solo un nuovo, forte sostegno finanziario, ma anche ulteriore cooperazione degli apparati di intelligence e di polizia contro il terrorismo islamico e il rischio di destabilizzazione del Paese. Avrebbero poi diritto a ripartire verso l’Italia o il resto d’Europa, attraverso «corridoi umanitari», solo i rifugiati di cui viene accolta la domanda di asilo.
La visione che sottende questa politica di intervento a “casa loro”, è quella “di una “ownership” africana: altri due Paesi che potrebbero far parte del primo gruppo di “ownership”: l’Uganda, anzitutto.
Nel 2016 quasi 490mila profughi si sono rifugiati in Uganda a causa dei violentissimi scontri ricominciati a luglio dello scorso anno in Sud Sudan.
È un numero altissimo, se si considera che l’Uganda è destinazione anche di profughi provenienti dalla Repubblica Democratica del Congo e dal Burundi.
Per avere un’idea: nel 2016 tutte le persone arrivate sulle coste europee dopo avere attraversato il mar Mediterraneo sono state 362mila, di cui una parte ha poi lasciato i paesi costieri per andare verso nord.
L’Uganda — che è grande quanto mezza Spagna — è considerato da anni uno dei Paesi più accoglienti del mondo con i migranti. Jan Egeland, segretario generale del Norwegian Refugee Council, un’organizzazione non governativa che promuove i diritti dei migranti, ha rimarcato: “A differenza di quello che si crede normalmente, la maggior parte dei profughi non si sposta verso l’Europa. La verità  è che nel 2016 ci sono stati più profughi che hanno cercato rifugio in Uganda ogni giorno di quanti si siano diretti in alcuni dei ricchi paesi europei nel corso dell’intero anno”.
Altri Paesi del potenziale “primo gruppo” sono il Kenya e l’Etiopia, che ospitano i rifugiati somali. Con i suoi 850mila rifugiati, l’Etiopia si conferma Paese leader, in Africa, per quanto riguarda l’accoglienza di profughi.
Nel mese di aprile si è svolta ad Addis Abeba, in Etiopia, una missione operativa congiunta di Caritas Italiana e Comunità  di Sant’Egidio per aprire il primo corridoio umanitario dall’Africa.
Il Kenya ospita oltre mezzo milione di rifugiati, almeno 330.000 dei quali sono somali. Di questi, circa 260.000 si trovano nel campo di Dadaab, il più grande del mondo. La Somalia è sconvolta da oltre 20 anni di conflitto.
Gli scontri tra le forze governative, sostenute dalle truppe dell’Unione africana, e i combattenti di al-Shabaab hanno causato gravissime violazioni dei diritti umani ai danni della popolazione civile e la devastazione dei servizi e delle infrastrutture di base. Questo Paese, che oltretutto deve fare i conti con oltre 1.100.000 profughi interni, non ha le risorse necessarie per affrontare un rientro su larga scala di rifugiati da Dadaab. La mancanza del sostegno internazionale al Kenya, che si manifesta con l’insufficiente finanziamento dei programmi umanitari e le scarse opportunità  di reinsediamento per i rifugiati più vulnerabili, ha contribuito alla tremenda situazione in cui si trovano gli abitanti di Dadaab. Il Kenya è uno dei 10 Paesi che ospitano più della metà  dei 21 milioni di rifugiati del mondo.
Qualche numero rende bene l’idea. Al 31 ottobre 2016, l’appello dell’Unhcr per un finanziamento di 272 milioni di dollari era stato coperto appena per il 38 per cento. In tutto, soltanto 5001 rifugiati sono stati reinsediati dal Kenya, oltre 3500 dei quali negli Usa. Solo 671 rifugiati vulnerabili sono stati reinsediati nei Paesi dell’Unione Europea. Ora qualcosa sembra muoversi. Lo scorso febbraio, la Corte Suprema di Nairobi ha bloccato giovedì la decisione del governo del Kenya di chiudere il campo profughi di Dadaab.
Secondo, John Mativo il giudice che ha emesso la sentenza, si tratta di un provvedimento incostituzionale e che equivale alla persecuzione dei rifugiati. “È un passo molto positivo per centinaia di migliaia di rifugiati bloccati in un limbo da quando, a maggio scorso, era stato dato l’annuncio ufficiale della chiusura del campo”, ha affermato Medici senza Frontiere esortando il governo del Paese africano a “sostenere questa decisione. Qualunque ritorno dei rifugiati in Somalia deve avvenire su base volontaria”.
Msf si è opposta con forza alla chiusura di Dadaab fin dall’inizio, esortando a considerare immediatamente soluzioni alternative alla permanenza prolungata in un campo a così ampia scala, tra cui un più alto numero di reinsediamenti in paesi terzi, campi più piccoli in Kenya o l’integrazione dei rifugiati nelle comunità  del Paese.
Altra area nevralgica è quella dell’Africa occidentale.
Qui i Paesi prescelti sarebbero il Niger e il Ciad.
A fine 2016, secondo l’Ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento degli affari umanitari (Office for Coordination of Humanitarian Affairs — Ocha), nella regione di Diffa, Nel Niger, almeno 300.000 sfollati necessitavano di assistenza umanitaria. Questi comprendevano oltre 184.000 sfollati interni del Niger, 29.000 cittadini nigerini rientrati nel Paese e 88.000 rifugiati nigeriani. Molti vivevano in condizioni deplorevoli all’interno di accampamenti improvvisati.
La situazione d’insicurezza ha bloccato l’accesso a beni di prima necessità  e a servizi essenziali come cibo, acqua e istruzione, mentre il perdurare dello stato d’emergenza ha ostacolato le attività  economiche.
Il Niger accoglieva nelle regioni di Tillabèri e Tahoua almeno 60.000 rifugiati del Mali, anch’essi bisognosi di assistenza. Il numero delle persone che transitavano attraverso il Niger, nel tentativo di raggiungere l’Europa, è continuato a crescere e Agadez è divenuta il principale nodo di transito per i migranti provenienti dai Paesi dell’Africa Occidentale. A ottobre 2016, uno studio condotto dall’Iom ha rilevato che il 70 per cento delle persone arrivate in Italia via mare, molte delle quali erano transitate in Niger, era stato vittima della tratta di esseri umani o di sfruttamento, comprese migliaia di donne e ragazze costrette a prostituirsi in Libia o Europa. Nonostante l’approvazione nel 2015 di una legge contro la tratta, poco è stato fatto per prevenire questa pratica in Niger.
Altro Paese cruciale è il Ciad. “La sofferenza e la disperazione nella regione del lago Ciad sono tra le più drammatiche che abbia mai visto. I rifugiati, le persone che sono tornate nei villaggi e le comunità  ospitanti sopravvissute alla violenza e ai traumi dovuti agli attacchi di Boko Haram hanno bisogno urgentemente di aiuti”, ha rimarcato di recente l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati, Filippo Grandi.
La situazione umanitaria è gravissima, con livelli estremamente alti di malnutrizione specialmente tra i bambini. E non solo tra quelli sfollati.
Secondo l’Unicef, circa 2 milioni 200 mila bambini ciadiani sono affetti da malnutrizione. Problemi di accesso al cibo, all’acqua e alle medicine sono stati segnalati anche nel campo di Goz Amer, nel Ciad orientale, che ospita circa 35 mila profughi sudanesi. Mentre verso sud ci sono almeno 90 mila profughi provenienti dal Centrafrica.
Più le migliaia di nigeriani in fuga da Boko Haram. Solo una parte dei circa 475 mila profughi e sfollati presenti in tutto il Ciad è attualmente assistita dall’Unhcr. Tunisia, Uganda, Kenya, Etiopia, Niger, Ciad (a cui si dovrebbe aggiungere in seconda battuta il Burkina Faso).

(da “Huffingtonpost”)

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COSI’ IL PD DA’ IL VIA LIBERA A ECOMOSTRI E CEMENTO IN SARDEGNA

Luglio 18th, 2017 Riccardo Fucile

MAXI AUMENTI DI VOLUME PER HOTEL E LOTTIZZAZIONI SUL MARE… COPIATO IL PIANO CASA DI BERLUSCONI…SORU INSORGE: “IL PD HA TRADITO”

Il Pd di Berlusconi, pardon, il Pdl ha varato nel 2009 il famoso piano casa: più cemento per tutti, senza regole e senza piani urbanistici, sfruttando un sistema di aumenti automatici di volume per la massa dei fabbricati esistenti.
Ora la giunta del Pd che governa la Sardegna progetta un inatteso bis, sotto forma di piano alberghi: via libera con un’apposita legge a nuove costruzioni turistiche, ecomostri compresi, perfino nella fascia costiera finora considerata inviolabile, cioè spiagge, pinete, scogliere e oasi verdi a meno di trecento metri dal mare.
Il programma di questo presunto centrosinistra sardo è di applicare proprio il sistema berlusconiano degli aumenti di volume in percentuale fissa (che premia con maggiori quantità  di cemento i fabbricati più ingombranti) a tutte le strutture ricettive, belle o brutte, piccole o enormi, presenti o future, compresi ipotetici hotel non ancora esistenti.
Una deregulation edilizia in aperto contrasto con la legge salva-coste approvata dieci anni fa dall’allora governatore Renato Soru e dal suo assessore all’urbanistica Gianvalerio Sanna, cioè con una riforma targata Pd che nel frattempo è stata presa a modello da una generazione di studiosi, architetti, urbanisti e amministratori pubblici non solo italiani.
La contro-riforma odierna è nascosta tra i cavilli del disegno di legge approvato il 14 marzo scorso dalla giunta regionale presieduta da Francesco Pigliaru, il professore di economia eletto nel 2014 alla testa del Pd. La normativa ora è all’esame finale della commissione per il territorio: l’obiettivo della maggioranza è di portare in consiglio regionale un testo blindato, da approvare in tempi stretti, senza modifiche, subito dopo l’estate.
Sulla carta avrebbe dovuto trattarsi della nuova legge urbanistica che la Sardegna attendeva da un decennio per completare la riforma di Soru, con impegni precisi: stop all’edilizia speculativa, obbligo per tutti i comuni di rispettare limiti chiari anche fuori dalla fascia costiera, per difendere tutto il territorio, fermare il consumo di suolo e favorire il recupero o la ristrutturazione dei fabbricati già  esistenti.
All’articolo 31, però, spunta il colpo di spugna: «al fine di migliorare qualitativamente l’offerta ricettiva», si auto-giustifica il testo di legge, «sono consentiti interventi di ristrutturazione, anche con incremento volumetrico, delle strutture destinate all’esercizio di attività  turistico-ricettive».
Il concetto chiave è l’incremento volumetrico: la norma approvata dall’attuale giunta di centrosinistra, proprio come il piano-casa del governo Berlusconi, autorizza aumenti di cubatura del 25 cento «anche in deroga agli strumenti urbanistici» in vigore, compresa la legge salvacoste. Insomma, se siete in vacanza in una spiaggia immacolata della Sardegna, fatevi un bel bagno: potrebbe essere l’ultimo.
Hotel, alberghi, pensioni, residence, multiproprietà  e lottizzazioni turistiche di ogni tipo vengono infatti autorizzati non solo a gonfiarsi di un quarto, cementificando nuovi pezzi di costa, ma anche a sdoppiarsi, spostando gli aumenti di volume in «corpi di fabbrica separati».
«In pratica si può costruire un secondo hotel o residence in aggiunta al primo anche nella fascia costiera in teoria totalmente inedificabile», denuncia l’avvocato Stefano Deliperi, presidente del Gruppo d’intervento giuridico (Grig), che per primo ha lanciato l’allarme.
«Ma non basta: i nuovi aumenti di volume si possono anche sommare agli incrementi autorizzati in passato, ad esempio con il piano casa o con le famigerate 235 deroghe urbanistiche che furono approvate tra il 1990 e il 1992 dall’allora giunta sarda», sottolinea il legale, che esemplifica: «Un hotel di 30 mila metri cubi che deturpa una spiaggia, per effetto dei due aumenti cumulativi del 25 per cento ciascuno, sale quasi a quota 50 mila: per l’esattezza, si arriva a 46.875 metri cubi di cemento».
L’ex presidente della Regione, Renato Soru, spiega all’Espresso di essere «molto preoccupato per la cecità  di una classe dirigente che sta mettendo in pericolo il futuro della Sardegna».
«Con l’assessore Sanna eravamo partiti da una constatazione pratica», ricorda Soru: «Grazie ad anni di studi e ricerche abbiamo potuto far vedere e dimostrare che più di metà  delle coste della Sardegna, parlo di circa 1.100 chilometri di spiagge, erano già  state urbanizzate e cementificate. Di fronte a una situazione del genere, in una regione come la nostra, qualsiasi persona di buonsenso dovrebbe capire che i disastri edilizi del passato non devono più ripetersi. Oggi tutti noi abbiamo il dovere morale e civile di difendere un territorio straordinario che è la nostra più grande risorsa e la prima attrattiva turistica: le bellissime spiagge della Sardegna sono la nostra vera ricchezza, che va conservata e protetta per le generazioni future. Per questo la nostra legge prevede una cosa molto semplice e logica: nella fascia costiera non si costruisce più niente. Zero cemento, senza deroghe e senza eccezioni per nessuno. E in tutta la Sardegna bisogna invece favorire la riqualificazione dell’edilizia esistente, il rifacimento con nuovi criteri di troppe costruzioni orrende o malfatte. Quindi via libera alle ristrutturazioni, alle demolizioni e ricostruzioni, al risparmio energetico. Con regole certe e uguali per tutti, perchè l’edilizia in Italia può uscire veramente dalla crisi solo se viene tolta dalle mani della burocrazia e della politica».
A questo punto Soru confessa di essere uscito dai palazzi della regione, alla fine della sua presidenza, proprio «a causa dei continui scontri sull’urbanistica».
E dall’altra parte della barricata, a tifare per il cemento, non c’era solo il centrodestra, ma anche «quella parte del Pd che ora è al potere».
Da notare che Soru, per eleganza o per imbarazzo, evita di fare il nome dell’attuale presidente, anche se sarebbe legittimato ad accusarlo di tradimento politico, visto che Pigliaru era stato suo assessore ai tempi della legge salva-coste.
Oggi però lo stop al cemento sulle spiagge più belle d’Italia rischia di trasformarsi in un bel ricordo. Gli avvocati del Grig hanno già  catalogato «ben 495 strutture turistico-ricettive della fascia costiera che potrebbero approfittare dell’articolo 31.
Stiamo parlando di milioni di metri cubi di cemento in arrivo», rimarca Deliperi, evidenziando che il disegno di legge ha una portata generale, per cui si applica anche, anzi soprattutto alle strutture più contestate, quelle che si sono meritate l’epiteto di ecomostri.
Come il residence-alveare “Marmorata” di Santa Teresa di Gallura, l’albergone “Rocce Rosse” a picco sugli scogli di Teulada, la fallimentare maxi-lottizzazione turistica “Bagaglino” a ridosso delle spiagge di Stintino, i turbo-hotel “Capo Caccia” e “Baia di Conte” ad Alghero e troppi altri. Il premio percentuale infatti non dipende dalla qualità  del fabbricato, ma dalla cubatura: più l’ecomostro è grande, più è autorizzato a occupare terreno vergine con nuove colate di cemento.
Il progetto di legge, per giunta, equipara agli alberghi da allargare, e quindi trasforma in volumi gonfiabili di cemento, addirittura le «residenze per vacanze», sia «esistenti» che ancora «da realizzare», cioè quelle montagne di seconde case che restano vuote quasi tutto l’anno, arricchiscono solo gli speculatori edilizi, ma deturpano per sempre il paesaggio.
Con la nuova dirigenza del Pd, insomma, il vecchio piano casa è diventato un piano seconde case, secondi alberghi e seconde lottizzazioni.
E tutto questo in Sardegna, la regione-gioiello che tra il 2004 e il 2006 aveva saputo cambiare il clima politico e culturale sull’urbanistica, spingendo decine di amministrazioni locali di mezza Italia a imitare la legge Soru, fermare il consumo di suolo e limitare finalmente uno sviluppo edilizio nocivo e insensato.
Gianvalerio Sanna, l’ex assessore regionale oggi relegato a fare politica nel suo comune d’origine, ama parlar chiaro: «Questo disegno di legge è una vera porcata. La giunta del Pd sta facendo quello che non era riuscito a fare il governo di centrodestra. Le nostre norme, ancora in vigore, favoriscono con incentivi e aumenti di volume solo la demolizione e lo spostamento dei fabbricati fuori dalla fascia costiera dei 300 metri. Questo vale già  adesso anche per gli alberghi e i campeggi. Per allargarli e rimodernarli con criterio non c’è nessun bisogno di cementificare le spiagge».
I dati sono allarmanti già  oggi. «Le coste della Sardegna sono invase da oltre 210 mila seconde case: appartamenti sfitti, che mediamente restano disabitati per 350 giorni all’anno», enumera Sanna: «Il nostro obiettivo, condiviso da migliaia di cittadini che proprio per questo hanno votato Pd alle elezioni regionali, era di liberare dal cemento, gradualmente e armonicamente, tutta la zona a mare, che è la più preziosa. La nuova giunta sta facendo il contrario. L’edilizia è tornata merce di scambio: il piano casa, che fu giustificato da Berlusconi come rimedio eccezionale contro la crisi dell’edilizia, diventa la norma. La deroga diventa la regola. Così la politica si mette al servizio delle grandi lobby, degli interessi di pochi, a danno della cittadinanza e di tutte le persone che amano la Sardegna».
Quando allude a scambi, Sanna non usa parole a caso.
Nella minoranza del Pd rimasta fedele a Soru sono in molti a evidenziare una singolare coincidenza: la controriforma urbanistica sta nascendo proprio mentre gli sceicchi del Qatar, i nuovi padroni miliardari della Costa Smeralda, annunciano l’ennesima ondata di progetti edilizi per super ricchi, per ora bloccati proprio dalla legge Soru.
Per ingraziarsi la classe politica sarda, lo stesso gruppo arabo ha comprato dal crac del San Raffaele anche il cantiere fallimentare del nuovo ospedale di Olbia. E ora gli sceicchi sembrano aspettarsi che i politici, in cambio, aboliscano proprio i vincoli ambientali sulla costa.
«Con questa legge vergognosa il presidente Pigliaru sta contraddicendo anche se stesso», commenta amaramente Maria Paola Morittu, la combattiva avvocata di Cagliari che oggi è vicepresidente nazionale di Italia Nostra: «Per smentire la sua giunta, al professor Pigliaru basterebbe rileggere le proprie pubblicazioni accademiche, in cui scriveva e dimostrava che il consumo di suolo è disastroso non solo per l’ambiente, per il paesaggio, ma anche per lo sviluppo economico».
Carte alla mano, l’avvocata di Italia Nostra e il suo collega Deliperi passano in rassegna la successione di leggi edilizie della Sardegna, per concludere che oggi il Pd sardo sta facendo indietro tutta.
La buona urbanistica insegna come e dove costruire case sicure in luoghi vivibili senza distruggere il territorio. In Italia se ne parla solo quando si contano le vittime evitabili di alluvioni, frane, valanghe, terremoti e altri disastri che di naturale hanno solo le cause immediate.
In Sardegna, dopo decenni di edilizia selvaggia, la legge Soru e il conseguente piano paesaggistico regionale — studiato da un comitato tecnico-scientifico presieduto da Edoardo Salzano, un gigante dell’urbanistica — hanno fissato per la prima volta due principi fondamentali: basta cemento a meno di 300 metri dal mare; solo edilizia regolata e limitata in tutta la restante fascia geografica costiera, che di norma si estende fino a tre chilometri dalle spiagge.
«In campagna elettorale il Pd guidato da Pigliaru aveva promesso di estendere la legge Soru a tutta la Sardegna, obbligando anche i comuni interni ad applicare i piani paesaggistici», osservano desolati i due avvocati. Passate le elezioni, il vento è cambiato.
In Italia, prima della recessione, venivano cementificati a norma di legge oltre 45 milioni di metri quadrati di terra all’anno.
Nel 2015, nonostante la crisi, si è continuato a costruire nuovi appartamenti e capannoni per oltre 12 milioni di metri quadrati (dati Istat). «Con la legge salvacoste la Sardegna ha saputo lanciare un nuovo modello di sviluppo sostenibile», rivendica Soru. Ora la grande retromarcia della giunta seduce le lobby dei grandi albergatori, che organizzano convegni esultanti contro «l’ambientalismo che danneggia il turismo». Resta però da capire se, alle prossime elezioni, la maggioranza dei cittadini sardi si fiderà  ancora di un Pd che imita il berlusconismo, col rischio di riabilitarlo.

(da “L’Espresso”)

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IL SENSO DI CAZZULLO PER LO IUS SOLI

Luglio 18th, 2017 Riccardo Fucile

E’ TUTTA COLPA DI BALOTTELLI

Torniamo oggi ad occuparci di una delle rubriche più interessanti dell’anno. Le lettere al Corriere della Sera a cui risponde Aldo Cazzullo.
Il giornalista del Corsera è uno che già  in passato ci ha riservato parecchie soddisfazioni. E non è servito molto ai lettori per stanarlo sullo Ius Soli.
Una questione che a quanto pare per Cazzullo è parecchio spinosa. Anzi, per Cazzullo lo Ius Soli è inopportuno. A fare le spese dell’irritazione del nostro è Mario Balotelli. Secondo Cazzullo infatti è colpa di Balotelli se non abbiamo ancora una legge sullo Ius Soli.
“Se il Balotelli uomo fosse stato all’altezza del Balotelli calciatore, cioè si fosse comportato diversamente, forse lo ius soli sarebbe già  legge dello Stato”
Ora anche il lettore meno appassionato di calcio sa bene che Balotelli non c’entra nulla con la legge che il Parlamento ha deciso di non approvare.
Perchè Balotelli è diventato cittadino italiano con la legge attualmente in vigore (Legge numero 91 del 5 febbraio 1992), quella che prevede che una persona nata in Italia possa ottenere la cittadinanza italiana al compimento del diciottesimo anno d’età .
Ma Balotelli, che è un calciatore e non un attivista politico per Cazzullo avrebbe potuto fare di più. Ad esempio avrebbe potuto convincere gli italiani che lo Ius Soli temperato era ormai necessario.
A questo punto possiamo anche dire che se Cazzullo si fosse comportato diversamente forse lo Ius Soli sarebbe già  legge dello Stato.
Nel senso che a volte un personaggio simbolo può dare la spinta necessaria a un provvedimento considerato ormai maturo.
Si evince quindi che un qualsiasi calciatore italiano può comportarsi in modo bizzarro o sopra le righe (e ce ne sono stati molti, di italianissimi) senza che il suo comportamento metta in discussione alcunchè.
Al contrario se sei di origine ghanese non puoi, perchè qualsiasi cosa tu faccia avrà  effetti disastrosi sulla percezione degli stranieri da parte degli italiani.
Vale la pena di ricordare che Balotelli non ha commesso alcun reato e che in ogni caso la responsabilità  penale (e non solo) è individuale e non “etnica”.
Chissà  se Cazzullo si ricorda dei cori razzisti contro Balotelli e di quelli contro gli altri calciatori di colore.
Ma non è solo per quello, spiega Cazzullo, che lo Ius Soli non è “opportuno”.
Il motivo? «sarebbe a torto o a ragione considerato un segnale di apertura, di accoglienza; in un momento in cui i sentimenti dell’opinione pubblica, come verifico ogni giorno leggendo la posta dei lettori, sono di segno opposto».
Il che è un’argomentazione che ha la stessa forza di quella “il popolo è contro le tasse, allora il governo deve smettere di far pagare le tasse”. Ovvero vale zero.
Perchè Cazzullo ritiene che lo Ius Soli sia legato al problema degli sbarchi mentre non è così. Perchè la legge in discussione in Parlamento riguarda solo chi risiede regolarmente nel nostro Paese.
E va da sè che chi sbarca dalle navi delle Ong o di Frontex non ha un permesso di soggiorno. Potrebbe avere invece diritto all’asilo politico, ma questo è un problema che Cazzullo non si pone.
In ogni caso gli sbarchi di questi mesi non c’entrano nulla con i nuovi cittadini italiani dello Ius Soli. Perchè è evidente che un conto è nascere e studiare in Italia un conto è arrivarci. Ma questa è una distinzione che non tutti riescono a fare.
“Se poi ci danno qualche medaglia nell’atletica che i nostri figli non riescono più a vincere, tanto meglio.”
Cazzullo invita a ritornare sull’argomento tra qualche mese (come se qualche mese potesse servire a risolvere una situazione come quella delle migrazioni).
Ma non rinuncia nel finale a tenere accesa la fiamma (olimpica) della speranza: i nuovi italiani potrebbero farci conquistare qualche medaglia.
Insomma, lo Ius Soli serve come servivano gli oriundi, ovvero a dare lustro al Paese. Poco importa di tutti gli altri, cittadini “normali” che non hanno nulla a che vedere con Balotelli o con i campioni di atletica.

(da “NextQuotidiano”)

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MA CHI GUADAGNA CON I CANADAIR? SONO DEI V.D.F. MA DATI IN GESTIONE A SOCIETA’ PRIVATE

Luglio 18th, 2017 Riccardo Fucile

LA STORIA DEL NORD CHE GUADAGNA CON GLI INCENDI DEL SUD

Il Sud brucia, il Nord incassa. Così su Facebook i Briganti, nota pagina di nostalgici del Regno delle Due Sicilie che dà  la colpa alle società  del Nord per gli incendi che stanno devastando — come ogni anno — il Sud Italia.
I Briganti riprendono un post di qualche giorno fa di Gherardo Chirici (Professore associato di inventari forestali e telerilevamento perso l’Università  degli Studi di Firenze) che denunciava come la flotta dei 19 Canadair deputati allo spegnimento degli incendi boschivi sia in realtà  una flotta privata.
Segue la denuncia delle società  accusate di “guadagnare dagli incendi” il tutto soprattutto a danno degli italiani del Sud Italia.
Se non ci fossero gli incendi probabilmente nessuno pagherebbe milioni di euro a queste società  del Nord per il servizio antincendio.
Il primo errore però è che la flotta di Canadair non è privata. Gli aerei del soccorso antincendio sono infatti di proprietà  dello Stato e fanno parte della Flotta di Stato. Fino a qualche anno fa erano in capo alla Protezione Civile ma attualmente sono nelle disponibilità  del Corpo dei Vigili del Fuoco.
È sbagliato dire che la flotta aerea per la lotta agli incendi sia privata. Anche gli elicotteri (che sono di diverso tipo) sono di proprietà  dei vari corpi dello Stato.
I Vigili del Fuoco operano per la funzione specifica di antincendio gli Erikson S64, ma i VV.FF. hanno in dotazione anche altri velivoli ad ala rotante come i Drago (che sono AB206 o AB412) che sono elicotteri multiruolo che non svolgono esclusivamente servizio antincendio ma anche operazioni di soccorso.
Alcuni di questi elicotteri sono operati direttamente da personale dei Vigili del Fuoco, altri no.
Ed è qui che entrano in gioco le società  private. Che in realtà  per quanto riguarda i Canadair è solo una sola: la Babcock MCS Italia che ha vinto la gara d’appalto indetta dalla Protezione Civile per la gestione la manutenzione della flotta dei Canadair.
Si tratta di aerei le cui specifiche operative richiedono che a manovrarli sia personale esperto e appositamente addestrato che nè la Protezione Civile (in passato) nè i Vigili del Fuoco (oggi) hanno a disposizione.
Per la manutenzione e la gestione dei Canadair la Protezione Civile ha indetto una gara d’appalto che è stata vinta dalla Babcock (società  che fa servizio AIB anche per onto di altri paesi europei).
L’anno prossimo verrà  indetta una nuova gara dal Corpo dei Vigili del Fuoco. Il contratto, ha spiegato a neXtquotidiano un dirigente dei Vigili del Fuoco in forza alla gestione tecnico-operativa della flotta aerea antincendio, prevede alcuni costi fissi di gestione (gli aerei vanno revisionati e controllati periodicamente) ed altri relativi alle ore di servizio (ad esempio il costo per il carburante, l’usura meccanica delle parti, etc). I costi di esercizio che — c’è da dire — ci sarebbero anche se il servizio fosse gestito direttamente dallo Stato.
Si tratta ad ogni modo di capitoli di spesa che sono stati definiti in sede di gara.
La lotta agli incendi boschivi è di competenza regionale in base alla Legge quadro in materia di incendi boschivi del 21 novembre 2000 (legge 353/200).
Ogni anno le regioni approvano il piano di prevenzione contro gli incendi. Le regioni sono altresì tenute a dotarsi di una flotta aerea di mezzi antincendio, questa flotta può essere “di proprietà ” oppure affidata in convenzione a società  che se ne occupano.
Va tenuto presente che il ricorso ai Canadair è una misura eccezionale che viene effettuata nei casi di maggiore criticità . Ovvero quelli dove l’intervento da terra (o con gli elicotteri operati direttamente da VV.FF. e Carabinieri Forestali) non è sufficiente. Oppure dove l’incendio minaccia l’incolumità  di persone o abitazioni ed è necessario un intervento tempestivo che non può essere garantito dal dispiegamento a terra a causa delle asperità  del terreno.
A coordinare gli interventi aerei c’è il Centro operativo aereo unificato (Coau) della Protezione Civile che — in base alle esigenze e alle disponibilità  — fa richiesta dell’invio dei mezzi aerei della flotta di Stato.
La flotta aerea anti incendi boschivi (AIB) opera in concorso (ovvero a supporto) delle strutture regionali e territoriali secondo una procedura codificata e ben precisa. Il Coau non è una novità  di quest’anno ed esiste da parecchio tempo. È quella che ha consentito l’intervento dei Vigili del Fuoco e della Forestale in tutti i principali incendi boschivi sul territorio nazionale.
Le altre società  citate non operano con i Canadair e sono semplicemente delle società  di soccorso che fanno servizio di elisoccorso (ad esempio forniscono gli elicotteri e il personale del 118) e all’occorrenza di antincendio.
In quanto società  private ovviamente non lavorano gratuitamente. Ma nessuno si sognerebbe di dire che le società  di elisoccorso favoriscono un certo tipo di incidenti stradali per poter essere chiamate e quindi poter stipulare appalti con le Regioni. Come sarebbe assurdo sostenere che le società  che fanno servizio di ambulanza causano ferimenti per poter intervenire e farsi pagare.
Allo stesso modo c’è probabilmente chi crede che quando l’Esercito interviene in operazioni di protezione civile lo faccia gratis, ma non è così.
E fino ad ora nessuno ha mostrato le prove di un’eventuale responsabilità  di queste società  nella diffusione degli incendi.
Il fatto che un servizio si paghi non è una ragione sufficiente per dimostrare l’interesse a “far bruciare il Sud”.

(da “NextQuotidiano”)

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IL SUN: “NAPOLI TRA I DIECI POSTI PIU’ PERICOLOSI AL MONDO”

Luglio 18th, 2017 Riccardo Fucile

IL GIORNALE INGLESE INSERISCE LA CITTA’ PARTENOPEA NELLA MAPPA DELLE CITTA’ BORDERLINE TRA RAQQA, CARACAS, MOGADISCIO, GROZNY E SAN PEDRO SULA

Napoli inserita tra i «most dangerous corners of Earth», i posti più pericolosi del pianeta.
È l’inglese The Sun – con tanto di infografica – a piazzare la città  del Golfo sulla poco felice mappa mondiale del crimine con tanto di simbolino rosso degli omicidi e verde della droga.
Le altre città , tutte non europee, incluse sulla «cartina» sono Raqqa, Caracas, Groszny, Mogadiscio, St. Louis, Kiev, Perth, Karachi, e San Pedro Sula.
Per il tabloid il capoluogo campano primeggia in negativo sul continente europeo.
È possibile che l’estensore dell’articolo, dimenticando tutto il resto, abbia occhieggiato solo il dato locale sui morti ammazzati. In Italia, e in Europa, in effetti è il più alto. Da qui l’impietosa maglia nera.
«A Napoli è di casa la camorra», ormai indicata dai giornalisti internazionali col suo nome proprio e non più neapolitan mafia, come accadeva fino ad alcuni anni fa (e il boom mondiale di Gomorra c’entra qualcosa).
I clan partenopei – scrive il Sun -si uniscono nel Sistema («known as ‘O Sistema, The System») e si distinguono da altri consessi mafiosi italiani per l’assenza di gerarchie nell’organizzazione, «hierarchical organisation», quindi di veri boss al vertice.
Le gang, spesso baby, «crews of kids as young as 12», composte da dodicenni, compiono ogni giorno atti di microcriminalità .
Il finale non è dei più allegri, e certamente travisato: «La città  gode di una reputazione talmente brutta in Italia che la frase ‘go to Naples’ si accosta a “go to the hell’, andare all’inferno’».

(da “il Corriere della Sera”)

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MAX BIAGGI: “MI AVEVANO DATO IL 20% DI POSSIBILITA’ DI SOPRAVVIVERE, ORA VOGLIO UN FIGLIO DA BIANCA E SMETTO CON LE MOTO”

Luglio 18th, 2017 Riccardo Fucile

LA PRIMA INTERVISTA DOPO L’INCIDENTE

“Dopo l’incidente mi sono risvegliato in ospedale: avevo un dolore terribile diffuso in tutto il corpo. Ho sentito la voce del professor Giuseppe Cardillo dirmi: “Biaggi sarò sincero: lei ha il venti per cento di possibilità  di sopravvivere. La operiamo immediatamente”. In quel momento mi è apparsa una luce: mi sono rivisto da piccolino, con mia madre Olga. Avevo un cappottino verde. Poi con mio padre Piero e la prima moto. Poi il primo calcio a un pallone. Poi… poi ho voluto fermare questo “viaggio” perchè sentivo che mi stavo allontanando dalla vita. Mi sono detto: “Non deve finire”.
Così Max Biaggi racconta i drammatici momenti passati tra la vita e la morte, dopo il terribile incidente di cui è rimasto vittima mentre provava sul circuito di Latina.
Lo fa nella prima intervista esclusiva rilasciata al settimanale Chi. Un incidente dal quale si sta ancora riprendendo grazie al sostegno della sua compagna, la cantante Bianca Atzei.
“Alla mia compagna devo molto», racconta il campione.
«È stata sveglia anche quindici ore filate per accudirmi. Le parole non bastano, servono i gesti: non credo nelle nozze, ma voglio fare un figlio con lei. Anzi, magari due. La vita mi ha concesso una seconda possibilità  e io devo fare tutto il possibile per gratificarla”.
L’incidente ha messo un punto fermo anche al futuro di Max Biaggi, che ha 46 anni: “Ho chiuso con la moto, per sempre. Farò l’allenatore”.

(da “Huffingtonpost”)

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IL PIANO DI BERLUSCONI PER FREGARE SIA RENZI CHE SALVINI: MARONI CANDIDATO PREMIER E DIALOGO CON FRANCESCHINI

Luglio 18th, 2017 Riccardo Fucile

IL CAVALIERE RIGENERATO

Tra Rignano e Arcore dev’esserci un viavai di informatori. Altrimenti non si spiega perchè ieri, quasi in tempo reale, Berlusconi fosse già  al corrente di una forte irritazione renziana per i proclami di domenica («non faremo mai nessun governo con il Pd») e, soprattutto, per la voce sparsa da un personaggio addentro agli intrighi come Luigi Bisignani. Il quale va sostenendo che Silvio finge di accordarsi con Matteo sulla legge elettorale, però in realtà  traffica senza scrupoli con gli avversari interni del segretario, incominciando da Dario Franceschini.
Nell’ottica di Renzi, siamo al solito doppiogioco nel quale l’altro ricade puntualmente. Del resto, il patto del Nazareno sia era o non si era rotto perchè Berlusconi trescava con Massimo D’Alema, e aveva la faccia tosta di venirglielo a raccontare?
Stesso fastidio si coglie dalle parti di Via Bellerio a Milano, dove ha sede l’altro Matteo, cioè Salvini.
Anche qui le spie sono entrate in azione; e al leader della Lega hanno riferito che Maroni, per gli amici Bobo, è andato a cena dal Cav.
Cosa avessero da dirsi il governatore della Lombardia e l’ex premier, nessuno può saperlo tranne forse Mariastella Gelmini, la quale è stata in parte presente.
Ma un tam-tam leghista adombra il sospetto di una manovra per tagliare la strada a Salvini. In che modo? Lanciandogli tra le gambe Maroni quale possibile candidato premier del centrodestra unito.
Silvio ci aveva già  provato con un altro governatore padano, Luca Zaia, il quale però aveva subito pregato di lasciarlo in pace.
L’identikit politico di Maroni è, se possibile, più autorevole del collega veneto perchè l’uomo è stato ministro dell’Interno, del Lavoro e perfino vice-premier. Agli elettori leghisti andrebbe benone, a quelli berlusconiani idem, dunque Salvini faticherebbe parecchio a dirgli di no.
A conferma di ciò che bolle in pentola c’è un indizio: Maroni sembrava intenzionato ad anticipare le elezioni regionali lombarde, tenendole in autunno per sfruttare il vento favorevole al centrodestra. Dopo il colloquio ad Arcore, invece, non ne ha riparlato: un segnale che sta guardando ben più in alto del Pirellone.
Business con tutti
Che siano veri i sospetti di Renzi, o fondate le voci all’orecchio di Salvini, una cosa è certa: Berlusconi ha ripreso a tessere la sua rete. Fa business con chiunque, purchè i convenga. Non ci sta Renzi? Avanti Franceschini. Salvini fa il prezioso? Peggio per lui: l’alternativa è Maroni.
Ciò che rende Berlusconi così cinico è la centralità  politica ritrovata. Quasi per buona sorte; senza aver fatto nulla di speciale; semplicemente sfruttando gli scivoloni altrui. Lo Ius soli è l’esempio più clamoroso. Se il governo ha ingranato la retromarcia, per l’evidente sollievo del Colle che temeva l’incidente parlamentare, lo si deve alla ferocia con cui il centrodestra ha cavalcato il dramma dei migranti per combattere una riforma proposta nel momento meno favorevole. Più Renzi insisteva per approvare subito lo «Ius soli» e più Silvio si interrogava quasi incredulo sull’ostinazione del «giovanotto», considerandola una prova non di coerenza ma di distacco dal mondo reale.
Laddove l’ex Cavaliere, secondo la fedelissima Anna Maria Bernini, «è in questo momento il leader più calato nella società  e nei suoi umori profondi».
Al tempo stesso tempo Berlusconi si è proposto quale baluardo contro populisti, con un profilo all’apparenza moderato che per Mara Carfagna impedisce di confonderlo con Salvini.
Grazie ai buoni uffici di Antonio Tajani, presidente del Parlamento Ue, ha riguadagnato parecchio credito nelle cancellerie. Ha lanciato ponti verso Mario Draghi e Sergio Marchionne, mostrando che lui guarda ben oltre il suo partito, considerato una palla al piede per via di certe facce.
Ha colloquiato con Carlo Calenda, nonostante le smentite ufficiali. E ricomincia a esercitare un’attrazione nei confronti di chi se ne era andato.
Ad Arcore si dà  per certo che il ministro degli Affari regionali, l’alfaniano Enrico Costa, si dimetterà  dal governo e tornerà  all’ovile berlusconiano.
Sarà  questione di giorni.

(da “La Stampa”)

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