Luglio 8th, 2017 Riccardo Fucile
SCARSI CONTROLLI, I VIGILI SONO TROPPO POCHI… I COMMERCIANTI PROTESTANO E SI ORGANIZZANO
Zero controlli, nessun risultato concreto.
L’ordinanza anti-alcool della sindaca Virginia Raggi, così come le precedenti degli altri sindaci, fa flop nel giorno del suo esordio.
Il Messaggero racconta che nel primo giorno della sua entrata in vigore non è andata benissimo per le regole al debutto che saranno in vigore fino al 31 ottobre.
Nel 2016 era arrivata a stagione inoltrata, oggi i vigili che dovrebbero controllarne il rispetto non avevano a disposizione personale anche perchè i turni straordinari vengono organizzati con largo anticipo.
«Si tratta dell’ennesima ordinanza che piove come competenza sul nostro Corpo -aggiunge Stefano Giannini del Sulpl- ma non è che il personale viene aumentato».
Dal comando di piazza della Consolazione sono comunque uscite diverse squadre che hanno passato in rassegna le piazze principali, con riguardo soprattutto a Corso Vittorio, via IV Novembre e Trastevere, riempiendo i primi verbali.
Preferendo controlli mirati a verificare l’adeguata informazione da parte degli esercenti rispetto a “sparare” nel mucchio dei ragazzi che bevono. Le regole sono regole d’altronde e andrebbero rispettate a prescindere dai controlli, almeno in una città ideale.
Ma è bastato farsi un giro per capire che il self-control a Roma non funziona.
Un tappeto di bottiglie a San Lorenzo e tutti seduti sulla fontana di piazza Santa Maria in Trastevere a consumare birra in bottiglia.
In una traversa di Fontana di Trevi alle 23. 30 il bengalese al minimarket vende birre in vetro a una coppietta della Cecchignola: «Ma quale ordinanza? — dicono i due — non ne sappiamo nulla».
In via Urbana acquistiamo una birra da un altro bengalese che, però, stavolta viene multato. Nelle piazze della movida, da Montial Pigneto,fino all’Eur, i locali si stanno organizzando in tutta fretta. Molti hanno convertito bottiglie e bicchieri di vetro in plastica.
C’è chiprevede un boom di bevitori nel XIV Municipio, quello di appartenenza della Raggi, l’unico escluso dall’ordinanza.
(da “NextQuotidiano”)
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Luglio 8th, 2017 Riccardo Fucile
MAGGIORE DEL 27,8% DELLA MEDIA UE… STESSI RISULTATI PER IL GAS
Secondo i dati elaborati dall’Ufficio studi della Cgia, per le piccole imprese italiane i costi dell’energia elettrica e del gas sono tra i più elevati in Ue.
Rispetto alla media dei paesi dell’area euro, infatti, l’energia elettrica costa, per ogni 1.000 Kw/ora consumati (Iva esclusa), 155,6 euro: la tariffa più elevata tra tutti i 19 paesi messi a confronto che ci costringe a pagare il 27,8 per cento in più della media Ue.
Va un po’ meglio, invece, il risultato che emerge dall’analisi del prezzo del gas: sempre tra i paesi dell’area euro, le Pmi italiane sono al terzo posto (dopo Paesi Bassi e Portogallo) per il costo più elevato.
Se la nostra tariffa ogni 1.000 Kw/ora (Iva esclusa) consumati è pari a 55,5 euro, scontiamo un differenziale di prezzo rispetto alla media dei paesi presi in esame del +13,7 per cento.
Dalla Cgia ricordano che le piccole imprese, indicativamente quelle con meno di 50 addetti, danno lavoro al 65,3 per cento degli italiani occupati nel settore privato e costituiscono il 99,4 per cento del totale delle imprese presenti nel nostro Paese.
“Grazie soprattutto alle piccole imprese — segnala Paolo Zabeo coordinatore dell’ufficio studi della Cgia— siamo, dopo la Germania, il secondo Paese manifatturiero d’Europa. Nonostante la crisi e le difficoltà che le assillano, le nostre attività hanno continuato a conservare la posizione e si sono rafforzate soprattutto nei mercati internazionali, sebbene i costi energetici siano tra i più elevati d’Europa”.
La componente fiscale, ovviamente, è una delle cause che contribuisce a mantenere le tariffe così alte in Italia, segnala l’Ufficio studi della Cgia.
Per la bolletta elettrica, ad esempio, ogni 100 euro di costo a carico delle Pmi, 43,5 euro sono ascrivibili a tasse e oneri: la media dell’Area euro, invece, è del 34,1 per cento.
Sul fronte del gas, invece, le cose migliorano: se nel nostro Paese l’incidenza percentuale della tassazione sul costo totale a carico delle aziende è di 18,6, nell’Area euro si attesta al 13,5 per cento.
Gli svantaggi in capo alle nostre Pmi, avvertono gli analisti della Cgia, “non sono solo nei confronti delle attività di pari dimensioni presenti in Ue, ma anche verso le poche grandi imprese rimaste nel nostro territorio”.
Nel campo dell’energia, ad esempio, lo studio rileva che se le piccole imprese italiane con un consumo medio annuo compreso tra i 500 e i 2.000 Mw/ora ‘sopportano’ un costo di 155,6 euro ogni 1.000 Kw/ora, le grandi imprese, con consumi tra i 70.000 e i 150.000 Mw/ora, pagano ‘solo’ 95,6 euro: in altre parole, il 62,8 per cento in meno delle piccole imprese.
Anche per quanto concerne il gas, infine, il divario di costo è a vantaggio delle imprese di grande dimensione.
Secondo le fasce di consumo annuo, una piccola impresa con consumi inferiori a 26.000 metri cubi (mc) sostiene un costo pari a 55,5 euro ogni 1.000 Kw/ora (Iva esclusa).
Se i consumi, invece, sono all’interno del range tra 26.000-263.000 mc, il prezzo scende a 40,4 euro per diminuire a 27,3 euro per coloro che operano nella fascia 263.000-2.627.000 mc.
Per le grandi imprese, che registrano dei consumi annui tra i 2.637.000 e i 26.268.000 mc il prezzo è di 23,2 euro. “Come è possibile che non si intervenga in maniera decisa per tagliare efficacemente i costi energetici a chi costituisce l’asse portante dell’economia del Paese?” è la domanda che pone il coordinatore dell’ufficio studi della Cgia, Paolo Zabeo.
E più in generale, sollecita ancora Zabeo, “come fa la Commissione europea ad accettare che nell’area euro, ad esempio, la piccola impresa paghi l’energia elettrica mediamente il 60 per cento in più delle grandi aziende se, anche in questi ultimi 10 anni, la stragrande maggioranza dei nuovi posti di lavoro in Europa sono stati creati dalle Pmi?”.
Sebbene il Governo Renzi nella primavera del 2014 abbia ridotto la spesa elettrica dei soggetti collegati in media e bassa tensione con una potenza impegnata superiore ai 16,5 Kw, secondo le stime della Cgia, questo provvedimento ha interessato poco più di 700.000 aziende: solo il 15 per cento circa del totale delle imprese presenti in Italia.
(da “La Repubblica“)
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Luglio 8th, 2017 Riccardo Fucile
I RISULTATI DELLA SUA FATICA LETTERARIA E IL MAGRO BOTTINO PER LA DONAZIONE
La Repubblica Roma racconta com’è andato il libro di Davide Barillari, consigliere regionale nel Lazio, “Verso un governo a 5 Stelle”.
Il libro del consigliere regionale ed ex candidato del Movimento alla guida della Regione Davide Barillari, non è certo un caso editoriale.
Neppure l’introduzione firmata dal garante in persona, da Beppe Grillo, ha avuto il potere di trasformarlo magicamente in un best seller.
A farsi i conti in tasca è stato lo stesso portavoce pentastellato: dalle vendite del volume pubblicato nell’aprile del 2016 ha ricavato 95,57 euro di diritti d’autore. Bottino magro.
Finito, però, tutto in beneficenza: l’autore ha versato l’intera cifra ad Emergency.
«Promessa mantenuta», scrive Davide Barillari su Facebook.
E a chi gli chiede perchè la cifra sia tanto esigua, neppure arrotondata a 100 euro, risponde attraverso il profilo aperto per pubblicizzare il libro dato alle stampe dall’editore Dissensi lo scorso anno: «Diritti d’autore spettanti dal totale delle vendite».Barillari spiega il perchè della cifra così esigua a chi gliene chiede conto nei commenti
(da “NextQuotidiano”)
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Luglio 8th, 2017 Riccardo Fucile
IL MAGISTRATO HA SEGNALATO CHE A SAPERE DELLE INDAGINI ERANO ANCHE SCAFARTO E UN FINANZIERE… E PARLA DELLO STRANO INVITO IN UN BAR
Henry John Woodcock, nella posizione di indagato, è stato interrogato dal procuratore Giuseppe Pignatone, dall’aggiunto Paolo Ielo e dal sostituto Mario Palazzi, titolari del procedimento CONSIP e di quello sulla fuga di notizie dopo la trasmissione degli atti da Napoli per competenza territoriale.
Woodcock ha ribadito di non essere la “gola profonda” che consentì a Marco Lillo de “Il Fatto Quotidiano” di rivelare, nel giornale andato in edicola il 22 dicembre scorso, gli sviluppi dell’inchiesta sulla centrale di acquisti della pubblica amministrazione culminata nelle iscrizioni, fatte il giorno precedente, dell’attuale ministro dello Sport Luca Lotti, del comandante generale dell’Arma dei carabinieri Tullio Del Sette e del comandante dei carabinieri della Legione Toscana, generale Emanuele Saltalamacchia, per rivelazione del segreto d’ufficio.
Ma c’è qualcosa in più. Woodcock, assistito dall’avvocato Bruno La Rosa, ha offerto anche elementi utili alla ricostruzione di chi era a conoscenza delle informazioni finite sul quotidiano.
Oltre ad avere fornito un elenco delle persone a conoscenza di quanto avvenne, il pm inquisito ha ricostruito i suoi movimenti fra Napoli e Roma in quelle stesse ore, sostenendo che nei momenti in cui Lillo parlò con la Sciarelli, lui non si trovava con lei; a dimostrazione di questo, avrebbe anche citato un prelievo da uno sportello bancomat distante dal luogo in cui si trovata la giornalista mentre era al telefono con Lillo.
La sua ricostruzione è partita dal mattino del 20 dicembre, ovvero dal momento in cui i carabinieri del NOE e un ufficiale della Guardia di Finanza scoprono delle microspie disinnescate in CONSIP.
Viene interrogato Luigi Marroni, che dice di aver saputo delle microspie da Luca Lotti, Emanuele Saltalamacchia, Luigi Ferrara e Filippo Vannoni. Qui la ricostruzione del Fatto Quotidiano:
Il capitano del Noe Scafarto, insieme con i colleghi presenti all’interrogatorio,chiude il verbale e telefona ai pm Woodcock e Celeste Carrano. Woodcock racconta che fu proprio Scafarto a chiamarlo, chiedendo ai pm di recarsi immediatamente a Roma, perchè era necessario che la Procura interrogasse Marroni. Woodcock sottolinea però un dettaglio: Scafarto, per il loro incontro a Roma, non li invita direttamente in caserma, ma in un bar, in una piazza di Roma. I tre s’incontrano. Prendono un caffè. Parlano di quel che è accaduto durante la perquisizione in Consip.
Fu solo un caso, quell’invito al bar, prima di recarsi in caserma?
Oppure, a posteriori, quell’in vito al bar è un tassello utile a ricostruire la fuga di notizie? Da dove arrivava Scafarto? Dov’era Lillo in quel momento?
Sono alcune delle domande più logiche, per gli investigatori, dopo il dettaglio raccontato da Woodcock. Fatto sta che i pm e Scafarto, dopo il caffè, si recano in caserma. Dove avviene il secondo interrogatorio di Marroni. Questa volta dinanzi ai pm. E Marroni nella sostanza conferma.
Woodcock successivamente informa i pm romani della necessità di iscrivere Lotti, Saltalamacchia e Del Sette nel registro degli indagati. E qui c’è ancora qualcosa di nuovo
A questo punto, Woodcock sottolinea ai pm romani un fatto a loro già noto, ovvero che anche Scafarto rientra a Napoli, dove assiste agli interrogatori di Marroni e Ferrara. Il 21 Woodcock rientra a Roma e, ai colleghi romani, consegna gli atti personalmente proprio perchè — racconta — vuol essere certo che non vi siano fughe di notizie.
Poi aggiunge un altro dettaglio su Scafarto: Woodcock sostiene di aver saputo che anche il capitano del Noe ritorna a Roma. Secondo il pm, avrebbe preso due corse precedenti il suo treno. Perchè, se quanto sostiene Woodcock è vero, l’ufficiale rientra a Roma? Anche su questo, adesso, la Procura di Roma intende fare accertamenti.
Una presa di distanza, con la rivendicazione di aver sempre rispettato le regole, già espressa da Woodcock non appena ricevuto l’invito a comparire nel quale si ipotizza la violazione dei doveri di riservatezza per il tramite della conduttrice di “Chi l’ha visto” Federica Sciarelli, a sua volta indagata e già interrogata a piazzale Clodio dove ha negato l’addebito.
Un indizio che si collega a quanto detto dalla stessa Federica Sciarelli in un articolo pubblicato su La Verità a firma di Giacomo Amadori, che per primo parlò dell’affare CONSIP raccontando di un’inchiesta che veniva da Napoli e che preoccupava Tiziano Renzi, basandosi evidentemente su fonti toscane.
«Quel giorno Lillo ha telefonato a me e io ho telefonato a Henry. Risultato: hanno indagato me ed Henry. Secondo me lui fa la telefonata a noi e poi contatta la vera fonte…», avrebbe detto la Sciarelli ad Amadori.
E ancora: «Mi dicono che tutti sanno chi sia stato, che è stato un carabiniere… Lillo non lo può rivelare? Ho capito, ma quello a noi ci ha messo nella m…a».
(da “NextQuotidiano”)
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Luglio 8th, 2017 Riccardo Fucile
IL CAVALIERE LEADER PER IL 38%, SALVINI AL 35%, MELONI AL 13%, TOTI AL 7%, ZAIA AL 4%
Nando Pagnoncelli pubblica oggi sul Corriere della Sera i risultati di un sondaggio IPSOS che concentra l’attenzione sul nuovo centrodestra formato da Silvio Berlusconi, Matteo Salvini e Giorgia Meloni: tra gli elettori di centrodestra, all’incirca due su tre sono convinti che la lista unica si farà : i più ottimisti sono soprattutto gli elettori di FdI (80%) e di FI (72%), mentre tra i leghisti, pur prevalendo gli ottimisti (49%), uno su tre non crede al progetto unitario (36%).
Molto interessanti anche i risultati che riguardano la linea e il leader del centrodestra a tre:
Ciascuno immagina o, sarebbe meglio dire, auspica che prevalga la propria linea, pertanto l’81% degli elettori di FI ritiene che prevarrà la linea morbida mentre l’86% dei leghisti e il 59% dei sostenitori della Meloni pronosticano la linea più radicale che nell’insieme dell’elettorato dei tre partiti si afferma 53% a 41%.
E nell’ipotesi di primarie per la leadership della lista unica ogni elettorato fa prevalentemente una scelta «di bandiera»: l’80% degli elettori di FI voterebbe per Berlusconi (e il 9% per Toti), il 76% dei leghisti indicherebbe Salvini (e il 9% Zaia) e il 78% degli elettori di FdI voterebbe per la Meloni (e l’11% Berlusconi). Nell’insieme Berlusconi prevale su Salvini 38%a 35%, staccando nettamente Meloni (13%) Toti (7%) e Zaia (4%).
Un dato importante riguarda le alleanze: secondo il 46% degli italiani la lista unica di centrodestra non dovrebbe allearsi con nessuno, anche a costo di non formare una maggioranza di governo e di rimanere all’opposizione, il 17% ritiene che dovrebbe allearsi con il M5S e il 9% con Pd.
Poco più di un elettore di centrodestra su due (52%), anche nel caso di vittoria preferirebbe stare all’opposizione piuttosto che allearsi con altri soggetti.
Tra gli altri prevale il favore ad un’alleanza con i 5 Stelle (28%) – in particolare tra i leghisti, ma anche in FI – rispetto ad una con il Pd (10%).
(da agenzie)
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Luglio 8th, 2017 Riccardo Fucile
COMMERCIO, CLIMA, MIGRANTI, SOLO PASSI INDIETRO… TORNANO IN AUGE DAZI E COMBUSTIBILI FOSSILI… FALLE NELL’ORDINE PUBBLICO, CENTINAIA DI MIGLIAIA DI PERSONE CONTESTANO FUORI
Trovare una notizia positiva al termine del G20 di Amburgo è come cercare un ago in un pagliaio. E Angela Merkel, risoluta com’è, non ci prova nemmeno.
Conferenza stampa in giacca verde per recuperare forse un filo di quella speranza naufragata in questi giorni di summit tormentato dalle proteste in piazza e le tensioni interne.
La Cancelliera non ammette il fallimento, sarebbe troppo, ma elenca le difficoltà rimaste pressochè immutate in due giorni di discussione. Anzi per alcuni versi peggiorate su molti dossier.
Peggio di Taormina. Ed è tutto dire. Visto che già il G7 a presidenza italiana in Sicilia si è chiuso male: con la defezione degli Usa sugli accordi climatici, formalizzata qualche giorno dopo ma già chiara nei giorni del summit.
Ad Amburgo i Grandi si salutano senza segnare passi in avanti sul clima. “Ci siamo resi conto che dove non c’è un consenso bisogna esprimere il dissenso nel comunicato — ammette Merkel – Sappiamo che gli Usa hanno detto che vogliono uscire dall’accordo sul clima, ma io sono lieta di dire che tutti gli altri sono concordi sul fatto che non si possa tornare indietro”. Ottimista su una marcia indietro di Trump? “Non sono ottimista”, altra resa.
E in effetti non ci sono i margini. Non solo hanno confermato il loro no agli accordi di Parigi: ad Amburgo gli Stati Uniti sono riusciti ad inserire nel documento finale il riferimento ai combustibili fossili sul quale hanno insistito sin da ieri.
“Gli Stati Uniti – si legge – dichiarano che si sforzeranno per lavorare a stretto contatto con altri Paesi, per aiutarli ad accedere e ad utilizzare combustibili fossili in modo più pulito ed efficiente e a dispiegare energie rinnovabili e da altre fonti pulite, data l’importanza dell’accesso all’energia e alla sicurezza nei loro contributi determinati a livello nazionale (questo caveat è probabilmente frutto della mediazione operata dalla presidenza tedesca del G20, ndr)”.
Il perchè è presto spiegato: gli Usa con Trump non solo vogliono incrementare la produzione di carbone, ma anche esportarlo. In barba agli obiettivi di riduzione delle emissioni nocive siglati a Parigi dal suo predecessore Obama: alla Casa Bianca quegli accordi non esistono più, al di là delle prospettive economiche sulla produzione dei fossili che comunque tutte da verificare in futuro.
Trump decide unilateralmente. E si impone. Il G20 di Amburgo segna il trionfo — l’ennesimo – dei modi spicci di ‘The Donald’, la sua sfrontatezza nel portare la figlia Ivanka al tavolo ufficiale dei leader e insieme quell’approccio candido che fa finta di niente ma intanto vince e lascia sbiancare le vecchie diplomazie, Angela che resta a bocca asciutta.
“Voglio ringraziare la cancelliera Merkel per quello che ha fatto qui, è davvero incredibile il modo in cui le cose vengono gestite. Non c’è niente di facile, ma c’è tanta professionalità , senza troppe interruzioni, malgrado un buon numero di persone che sembrano seguire il vostro G20 qui in giro, ma siete stati incredibili e avete fatto un lavoro spettacolare. La sua leadership è assolutamente fantastica…”, dice Trump mentre fuori Amburgo brucia.
E che dire del commercio? Paolo Gentiloni, in conferenza stampa al termine del vertice, lo dice chiaramente. “Si è trovato un compromesso, un po’ sulla scia di quello trovato a Taormina, il G20 si pronuncia contro le politiche di protezionismo e contro i comportamenti scorretti nel commercio, tipo il dumping. Ma — ammette – rispetto a Taormina c’è qualche concessione in più”.
Il riferimento è alle “misure difensive” previste nella dichiarazione finale, formula che in un futuro anche prossimo potrebbe legittimare l’introduzione di dazi da parte degli Stati di Uniti di Trump. Teme dazi sull’acciaio, presidente? “Certo che temo misure unilaterali…”, riconosce ancora Gentiloni.
A Taormina Vladimir Putin non c’era, dalla crisi ucraina del 2014 la Russia è fuori dal G8 diventato appunto G7.
Quindi sull’Ucraina non si possono fare paragoni col summit in Sicilia. Eppure persino su questo tema il vertice di Amburgo segna passi indietro, invece che in avanti. E’ un’altra penosa ammissione della Merkel a darne contezza. “Ci siamo resi conto che i progressi sono molto lenti, in alcuni punti c’è una stagnazione se non addirittura una regressione”, sono le parole della Cancelliera che stamane ha anche riunito Putin e Macron alla ricerca di un risultato. Niente.
Bilaterale tra Merkel e Erdogan: niente anche lì. La Cancelliera conferma le “profonde divergenze” tra Germania e Turchia. Lontani i tempi dell’intesa per frenare l’immigrazione dai Balcani: si tratta di un accordo europeo che ha salvato la Germania dai flussi migratori, intesa che resta in piedi. Ma il presidente turco non perdona al governo di Berlino di avergli vietato di parlare agli immigrati turchi in Germania durante la campagna per il referendum costituzionale in Turchia.
Come abbiamo scritto ieri, solo sulla lotta al terrorismo i 20 trovano l’unanimità .
Ma questo è successo anche a Taormina. “Senza che le diverse visioni geopolitiche abbiano pesato”, aggiunge Gentiloni che non può essere più sconfortato di così sulla materia che sta più a cuore all’Italia: l’immigrazione.
E’ vero che al G20 se n’è parlato solo stamane nell’ambito della “sessione dedicata alla cooperazione e lo sviluppo in Africa”. Ma ieri il summit si era aperto con l’annuncio del presidente del Consiglio Europeo Donald Tusk: “Proporrò sanzioni Onu contro i trafficanti”. Bene: “Dentro al vertice non se n’è parlato — racconta Gentiloni — se n’è parlato solo a livello di sherpa”. Ed è rimasto lì. Nessun avanzamento.
Dentro al vertice si lancia in un estremo appello accorato. “Siamo tutti consapevoli della differenza giuridica tra rifugiati e migranti economici. Ma questi sono oltre l’85% degli arrivi e quindi gestire e contenere i flussi è e sarà sempre più una sfida europea e globale”.
E ancora: “I Paesi impegnati a salvare e accogliere i migranti non vanno lasciati soli. L’Italia rivendica il lavoro fatto in questi anni, ma questo impegno o è una sfida globale o alla lunga è difficile da sostenere”.
Poi ha anche modo di parlarne direttamente con Macron, l’indiziato numero uno, il no che pesa di più alla richiesta di aiuto italiana sull’emergenza profughi. I francesi “hanno un punto di vista diverso, confido nel fatto che l’Italia è dalla parte della ragione”, dice poi il premier, a prescindere dai “passi in avanti del tutto insufficienti”.
Da Parigi “non mi aspetto conversioni improvvise… Ma l’Italia sta facendo un sforzo importante e io lo rivendico a testa alta. Senza l’Italia non ci sarebbero state le operazioni internazionali di ‘search and rescue’ ma contemporaneamente i nostri vicini sanno che questo sforzo non può essere illimitato e fatto solo da noi. Da parte dei paesi europei sarà difficile sfuggire alla responsabilità di un’azione più solidale e concertata”.
La chiave, per quanto poco consolatoria, gliela dà il presidente messicano Enrique Peà±a Nieto.
Gentiloni ha un bilaterale anche con lui, oltre che con il primo ministro indiano Narendra Modi, con cui tesse la ricucitura diplomatica ufficiale dopo le tensioni sul caso dei due marò. “Il presidente del Messico mi diceva che adesso il saldo tra i messicani che vanno negli Usa e quelli che tornano è piatto, il numero degli emigrati è lo stesso di quelli che tornano in Messico, ma ci sono voluti 20 anni…”, dice il premier italiano.
Ci vuole tempo. Ma allo stesso tempo il mondo gira e non aspetta. Gentiloni tenta di dare una spiegazione realistica: “Siamo in un contesto internazionale con contraddizioni evidenti, siamo in una fase di assestamento, si tratta di capire se le spinte positive all’economia riusciranno ad avere la meglio sulle dinamiche unilaterali. Se sarà così, potremo guardare ai risultati di questo G20 come a un compromesso temporaneo con sviluppi positivi. Se invece prevarrà la tendenza alla chiusura e al protezionismo, i compromessi di Amburgo saranno ricordati come anticamera di passi indietro non positivi per il contesto internazionale”. Di certo, oggi non ci si poteva aspettare “risultati scoppiettanti”.
Le delegazioni lasciano Amburgo. Fuori dalla zona rossa sfila un corteo di centinaia di migliaia di persone:
“Solidarietà senza confini invece che G20”, è lo slogan. E’ una manifestazione pacifica, ma la città è devastata. Tipo Genova 2001, con la differenza che stavolta non c’è il morto. Merkel promette un “risarcimento” per chi ha subito danneggiamenti. E si prepara a gestire le polemiche sull’ordine pubblico che la accompagneranno certo fino alle elezioni di settembre. Prossimo G20 fuori dai centri urbani? “Non sta a me dirlo…”, si limita Gentiloni.
Nel 2018 la presidenza sarà dell’Argentina ed è già deciso: i Grandi andranno a Buenos Aires.
(da “Huffingtonpost”)
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Luglio 8th, 2017 Riccardo Fucile
“UN TENTATIVO MALDESTRO DI DARE IN PASTO UNA RISPOSTA ALLA FEROCIA DELLA PIAZZA”
“Quanta ipocrisia dunque nell’affermare di voler aiutare i migranti a casa loro. Ma attenzione, quella di Matteo Renzi non è una gaffe o un errore di comunicazione, è piuttosto un frettoloso e maldestro tentativo di dare in pasto una risposta alla ferocia della piazza”. Lo scrive su Facebook Roberto Saviano.
“Mi permetto di parafrasare così le parole del segretario del partito di centrosinistra, ossatura della maggioranza di governo – continua- se vi considerate di sinistra non dovete sentirvi moralmente in colpa se iniziate ad avvertire impulsi razzisti. Non siete voi a essere razzisti, sono i negri a essere troppi. Ma vi assicuro che continuerò ad avere moralmente a cuore gli affari di chi tra voi produce armi da vendere ai paesi in guerra, impedendo che si creino condizioni di vita accettabili per i negri ‘a casa loro’. Per Renzi dunque l’Italia non ha il ‘dovere morale di accogliere’ ma di ‘aiutare a casa loro'”.
Eppure, aggiunge, Saviano sul social network, “Renzi sa perfettamente che l’Italia realizza l’esatto contrario perchè aiuta sì chi decide di lasciare il proprio paese, ma ad ammazzarsi a casa propria. La prova? Le esportazioni di armi italiane. 2,7 miliardi di euro nel 2014. 7,9 miliardi di euro nel 2015. 14,6 miliardi di euro nel 2016. Queste cifre mostrano come è cresciuto negli ultimi 3 anni (e Renzi ne è al corrente) il valore complessivo delle esportazioni di armi dall’Italia”.
“Ma il dato politicamente importante – sottolinea ancora lo scrittore – è il boom di vendite verso paesi in guerra in violazione della legge 185/1990, che vieta l’esportazione e il transito di armamenti verso paesi in stato di conflitto e responsabili di gravi violazioni dei diritti umani. L’Italia nel 2014-2015 è stato l’unico paese della Ue ad aver fornito pistole, revolver, fucili e carabine alle forze di polizia e di sicurezza del regime di al Sisi (con quale faccia chiedono verità per Giulio Regeni!). Nigrizia denuncia forniture militari a paesi dell’Africa settentrionale, a regimi autoritari, all’Arabia Saudita, condannata dall’Onu per crimini di guerra e per la quale il Parlamento europeo ha chiesto un embargo sulla vendita di armamenti”.
(da “Huffingtonpost”)
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Luglio 8th, 2017 Riccardo Fucile
IL COLLOQUIO CON IL PAPA A SANTA MARTA “TEMO IL PERICOLO DI ALLEANZE TRA GRANDI POTENZE”
Giovedi scorso ho ricevuto una telefonata da Papa Francesco. Era circa mezzogiorno e io ero al giornale, quando è squillato il mio telefono e una voce mi ha salutato: era di sua Santità .
L’ho riconosciuta subito e ho risposto: Papa Francesco, mi fa felice sentirla. “Volevo notizie sulla sua salute. Sta bene? Si sente bene? Mi hanno detto che qualche settimana fa lei non ha scritto il suo articolo domenicale, ma poi vedo che ha ripreso”
Santità , ho tredici anni più di lei. “Sì, questo lo so. Deve bere due litri d’acqua al giorno e mangiare cibo salato”. Sì lo faccio.
Sono seguiti altri suoi consigli ma io l’ho interrotto dicendo: è un po’ che non ci parliamo, vorrei venire a salutarla, vado in vacanza tra pochi giorni ed è parecchio che non ci vediamo. “Ha ragione, lo desidero anche io. Potrebbe venire oggi? Alle quattro?”. Ci sarò senz’altro.
Mi sono precipitato a casa e alle tre e tre quarti ero nel piccolo salotto di Santa Marta. Il Papa è arrivato un minuto dopo. Ci siamo abbracciati e poi, seduti uno di fronte all’altro, abbiamo cominciato a scambiare idee, sentimenti, analisi di quanto avviene nella Chiesa e poi, nel mondo.
Il Papa viaggia incessantemente: a Roma, in Italia, nel mondo. Il tema principale della nostra conversazione è il Dio unico, il Creatore unico del nostro pianeta e dell’intero Universo.
Questa è la tesi di fondo del suo pontificato, che comporta una serie infinita di conseguenze, le principali delle quali sono l’affratel-lamento di tutte le religioni e di quelle cristiane in particolare, l’amore verso i poveri, i deboli, gli esclusi, gli ammalati, la pace e la giustizia.
Il Papa naturalmente sa che io sono non credente, ma sa anche che apprezzo moltissimo la predicazione di Gesù di Nazareth che considero un uomo e non un Dio.
Proprio su questo punto è nata la nostra amicizia. Il Papa del resto sa che Gesù si è incarnato realmente, è diventato un uomo fino a quando fu crocifisso. La ” Resurrectio” è infatti la prova che un Dio diventato uomo solo dopo la sua morte ridiventa Dio.
Queste cose ce le siamo dette molte volte ed è il motivo che ha reso così perfetta e insolita l’amicizia tra il Capo della Chiesa e un non credente.
Papa Francesco mi ha detto di essere molto preoccupato per il vertice del “G20”. “Temo che ci siano alleanze assai pericolose tra potenze che hanno una visione distorta del mondo: America e Russia, Cina e Corea del Nord, Putin e Assad nella guerra di Siria”.
Qual è il pericolo di queste alleanze, Santità ?
“Il pericolo riguarda l’immigrazione. Noi, lei lo sa bene, abbiamo come problema principale e purtroppo crescente nel mondo d’oggi, quello dei poveri, dei deboli, degli esclusi, dei quali gli emigranti fanno parte. D’altra parte ci sono Paesi dove la maggioranza dei poveri non proviene dalle correnti migratorie ma dalle calamità sociali; altri invece hanno pochi poveri locali ma temono l’invasione dei migranti. Ecco perchè il G20 mi preoccupa: colpisce soprattutto gli immigrati di Paesi di mezzo mondo e li colpisce ancora di più col passare del tempo”.
Lei pensa, Santità , che nella società globale come quella in cui viviamo la mobilità dei popoli sia in aumento, poveri o non poveri che siano?
“Non si faccia illusioni: i popoli poveri hanno come attrattiva i continenti e i Paesi di antica ricchezza. Soprattutto l’Europa. Il colonialismo partì dall’Europa. Ci furono aspetti positivi nel colonialismo, ma anche negativi. Comunque l’Europa diventò più ricca, la più ricca del mondo intero. Questo sarà dunque l’obiettivo principale dei popoli migratori”.
Anch’io ho pensato più volte a questo problema e sono arrivato alla conclusione che, non soltanto ma anche per questa ragione, l’Europa deve assumere al più presto una struttura federale. Le leggi e i comportamenti politici che ne derivano sono decisi dal governo federale e dal Parlamento federale, non dai singoli Paesi confederati. Lei del resto questo tema l’ha più volte sollevato, perfino quando ha parlato al Parlamento europeo.
“È vero, l’ho più volte sollevato”.
E ha ricevuto molti applausi e addirittura ovazioni.
“Sì, è così, ma purtroppo significa ben poco. I Paesi si muoveranno se si renderanno conto di una verità : o l’Europa diventa una comunità federale o non conterà più nulla nel mondo. Ma ora voglio farle una domanda: quali sono pregi e difetti dei giornalisti?”.
Lei, Santità , dovrebbe saperlo meglio di me perchè è un assiduo oggetto dei loro articoli.
“Sì, ma mi interessa saperlo da lei”.
Ebbene, lasciamo da parte i pregi, ma ci sono anche quelli e talvolta molto rilevanti. I difetti: raccontare un fatto non sapendo fino a quale punto sia vero oppure no; calunniare; interpretare la verità facendo valere le proprie idee. E addirittura fare proprie le idee di una persona più saggia e più esperta attribuendole a se stesso.
“Quest’ultima cosa non l’avevo mai notata. Che il giornalista abbia le proprie idee e le applichi alla realtà non è un difetto, ma che si attribuisca idee altrui per ottenere maggior prestigio, questo è certamente un difetto grave”.
Santità , se me lo consente ora vorrei io porle due domande. Le ho già prospettate un paio di volte nei miei recenti articoli, ma non so come Lei la pensa in proposito.
“Ho capito, lei parla di Spinoza e di Pascal. Vuole riproporre questi suoi due temi?”.
Grazie, comincio dall’Etica di Spinoza. Lei sa che di nascita era ebreo, ma non praticava quella religione. Arrivò nei Paesi Bassi provenendo dalla sinagoga di Lisbona. Ma in pochi mesi, avendo pubblicato alcuni saggi, la sinagoga di Amsterdam emise un durissimo editto nei suoi confronti. La Chiesa cattolica per qualche mese cercò di attirarlo nella sua fede. Lui non rispondeva e aveva disposto che i suoi libri fossero pubblicati soltanto dopo la sua morte. Nel frattempo però alcuni suoi amici ricevevano copie dei libri che andava scrivendo. L’Etica in particolare, arrivò a conoscenza della Chiesa la quale immediatamente lo scomunicò. Il motivo è noto: Spinoza sosteneva che Dio è in tutte le creature viventi: vegetali, animali, umani. Una scintilla di divino è dovunque. Dunque Dio è immanente, non trascendente. Per questo fu scomunicato.
“E a lei non sembra giusto. Perchè? Il nostro Dio unico è trascendente. Anche noi diciamo che una scintilla divina è dovunque, ma resta immune la trascendenza, ecco il perchè della scomunica che gli fu impartita”.
E a me sembra, se ben ricordo anch’io, su sollecitazione dell’Ordine dei Gesuiti.
“All’epoca di cui parliamo i Gesuiti erano stati espulsi dalla Chiesa, poi furono riammessi. Comunque, lei non mi ha detto perchè quella scomunica dovrebbe essere revocata”.
La ragione è questa: Lei mi ha detto in un nostro precedente colloquio che tra qualche millennio la nostra specie si estinguerà . In quel caso le anime che ora godono della beatitudine di contemplare Dio ma restano distinte da Lui, si fonderanno con Lui. A questo punto la distanza tra trascendente e immanente non esisterà più. E quindi, prevedendo questo evento, la scomunica si può già da ora dichiarare esaurita. Non le sembra, Santità ?
“Diciamo che c’è una logica in ciò che lei propone, ma la motivazione poggia su una mia ipotesi che non ha alcuna certezza e che la nostra teologia non prevede affatto. La scomparsa della nostra specie è una pura ipotesi e quindi non può motivare una scomunica emessa per censurare l’immanenza e confermare la trascendenza”.
Se Lei lo facesse, Santità , avrebbe contro di sè la maggioranza della Chiesa?
“Credo di sì, ma se solo di questo si trattasse ed io fossi certo di ciò che dico su questo tema, non avrei dubbi, invece non sono affatto certo e quindi non affronterò una battaglia dubitabile nelle motivazioni e persa in partenza. Adesso, se vuole, parliamo della seconda questione che lei desidera pormi”.
Porta il nome di Pascal. Dopo una gioventù alquanto libertina, Pascal fu come improvvisamente invaso dalla fede religiosa. Era già molto colto, aveva letto ripetutamente Montaigne e anche Spinoza, Giansenio, le memorie del cardinale Carlo Borromeo. Insomma, una cultura laica e anche religiosa. La fede a un certo punto lo colpì in pieno. Aderì alla Comunità di Port-Royal des Champs, ma poi se ne distaccò. Scrisse alcune opere tra le quali i “Pensieri”, un libro a mio avviso splendido e religiosamente di grande interesse. Ma poi c’è la sua morte. Era praticamente moribondo e la sorella l’aveva fatto portare nella propria casa per poterlo assistere. Lui voleva morire nell’ospedale dei poveri, ma il suo medico negò il permesso, gli restavano pochi giorni di vita e il trasporto non era fattibile. Chiese allora che un povero tratto da un ospedale che gestiva i poveri pessimamente, anche in fin di vita, fosse trasportato nella casa dove stava e con un letto come quello che aveva lui. La sorella cercò di accontentarlo ma la morte arrivò prima. Personalmente penso che uno come Pascal andrebbe beatificato.
“Lei, caro amico, ha in questo caso perfettamente ragione: anch’io penso che meriti la beatificazione. Mi riserbo di far istruire la pratica necessaria e chiedere il parere dei componenti degli organi vaticani preposti a tali questioni, insieme ad un mio personale e positivo convincimento”.
Santità ha mai pensato di mettere per iscritto un’immagine della Chiesa sinodale?
“No perchè dovrei?”.
Perchè ne verrebbe un risultato abbastanza sconvolgente, vuole che glielo dica?
“Ma certo mi fa piacere anzi lo disegni”.
Il Papa fa portare carta e penna e io disegno. Faccio una riga orizzontale e dico questi sono tutti i vescovi che Lei raccoglie al Sinodo, hanno tutti un titolo eguale e una funzione eguale che è quella di curare le anime affidate alla loro Diocesi. Traccio questa linea orizzontale poi dico: ma Lei, Santità , è vescovo di Roma e come tale ha la primazia nel Sinodo perchè spetta a Lei trarne le conclusioni e delineare la linea generale del vescovato. Quindi il vescovo di Roma sta sopra la linea orizzontale, c’è una linea verticale che sale fino al suo nome e alla sua carica. D’altra parte i presuli che stanno sulla linea orizzontale amministrano, educano, aiutano il popolo dei fedeli e quindi c’è una linea che dall’orizzontale scende fino a quello che rappresenta il popolo. Vede la grafica? Rappresenta una Croce.
“È bellissima questa idea, a me non era mai venuto di fare un disegno della Chiesa sinodale, lei l’ha fatto, mi piace moltissimo”.
Si è fatto tardi. Francesco ha portato con sè due libri che raccontano la sua storia in Argentina fino al Conclave e contengono anche i suoi scritti che sono moltissimi, un volume di centinaia di pagine. Ci abbracciamo nuovamente. I libri pesano e li vuole portare lui.
Arriviamo con l’ascensore al portone di Santa Marta, presidiato dalle guardie svizzere e dai suoi più stretti collaboratori.
La mia automobile è davanti al portico. Il mio autista scende per salutare il Papa (si stringono la mano) e cerca d’aiutarmi a entrare in automobile.
Il Papa lo invita a rimettersi alla guida e ad accendere il motore. “L’aiuto io” dice Francesco. E accade una cosa che secondo me non è mai accaduta: il Papa mi sostiene e mi aiuta a entrare in macchina tenendo lo sportello aperto.
Quando sono dentro mi domanda se mi sono messo comodo. Rispondo di sì, lui chiude la portiera e fa un passo indietro aspettando che la macchina parta, salutandomi fino all’ultimo agitando il braccio e la mano mentre io – lo confesso – ho il viso bagnato di lacrime di commozione.
Ho scritto spesso che Francesco è un rivoluzionario.
Pensa di beatificare Pascal, pensa ai poveri e agli immigrati, auspica un’Europa federata e – ultimo ma non ultimo – mi mette in macchina con le sue braccia.
Un Papa come questo non l’abbiamo mai avuto.
(da “La Repubblica”)
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Luglio 8th, 2017 Riccardo Fucile
DALLA MAREMMA A HOLLYWOOD, ORIGINI UMILI, GRANDE CLASSE E BELLEZZA… DIVENNE MANNEQUIN GRAZIE A CAPUCCI, POI IL SALTO NEGLI STATI UNITI
È morta nella sua casa romana l’attrice Elsa Martinelli. Aveva 82 anni. Era malata da tempo. Nel corso della sua carriera aveva lavorato con registi come Orson Welles, Howard Hawks, Mario Monicelli e recitato con – fra gli altri – Marcello Mastroianni, Robert Mitchum, John Wayne.
Sposata nel 1957 con il conte Franco Mancinelli Scotti di San Vito, ha avuto una figlia, Cristiana, anch’essa attrice.
Nel 1968 si era risposata con il fotografo e designer Willy Rizzo. I funerali si terranno a Roma l’11 luglio nella chiesa di Santa Maria del Popolo.
Quella di Elsa Martinelli è una delle storie del “sogno italiano” del dopoguerra.
Di origini umili, sei sorelle e un fratello, padre ex contadino maremmano trasferitosi a Roma a fare l’usciere delle Ferrovie, era nata a Grosseto nel gennaio del 1935 ed era approdata con la famiglia nella capitale quando aveva nove anni.
Gli studi si erano fermati alla quinta elementare, poi subito al lavoro. Prima in un negozio di cappelli, poi come commessa in un bar del centro, poi cassiera in un altro bar, dalle parti di via Po.
Ma qualcosa in lei la destinava a un futuro diverso da quello di tante ragazze dell’epoca. Un fisico longilineo e lontano dal clichè della “maggiorata” che sarebbe esploso di lì a breve, un’eleganza naturale.
Rivoluzionaria fin nell’altezza, un metro e 76, non proprio una statura da italiana dell’epoca. La svolta arrivò quando – così raccontava – un giorno in una boutique di via Frattina viene notata dallo stilista Roberto Capucci. Il couturier perde la testa per lei. Il colpo di fulmine la catapulta al volo sulle passerelle dell’alta moda.
Il salto nel glamour internazionale è dietro l’angolo.
Kirk Douglas la vede sulla copertina di Life e la vuole per Il cacciatore di indiani. È il 1955 e lei conquista Hollywood a soli vent’anni. Inizia una carriera lunga una settantina di film.
Ai registi piace quella ragazza originale, quasi androgina, sofisticata e un po’ maschiaccio, che conosce le lingue ma le parla con una voce roca, profonda, sensuale, sa muoversi davanti alla macchina da presa e si mostra perfettamente a proprio agio sul palcoscenico del jet set internazionale.
È “moderna” e anticonformista, un po’ Audrey Hepburn ma decisamente molto più cool. “È stata la più sexy di tutte”, disse una volta di lei Carlo Vanzina.
Da attrice convince anche la critica più severa, nel 1956 vince l’Orso d’argento al Festival di Berlino come migliore attrice grazie a Donatella di Monicelli, in cui interpreta una ragazza romana la cui vita cambia radicalmente grazie all’incontro con una ricchissima signora americana.
Un anno dopo – è il 1957 – cambia anche la sua vita privata: sposa il conte Franco Mancinelli Scotti di San Vito dal quale ha una figlia, Cristiana, nata nel 1958, anch’essa attrice. Poi divorzia e dieci anni dopo ha un nuovo marito, il fotografo e designer Willy Rizzo.
In mezzo, una vita di viaggi, party, eventi internazionali, mondanità . Serate di champagne con Gary Cooper. Notti di passione con Frank Sinatra.
Nella sua carriera commedie e film drammatici e d’avventura, sempre in volo fra Cinecittà e Hollywood.
Un curriculum che comprende Costa Azzurra di Vittorio Sala (1959) e Un amore a Roma di Dino Risi (1960), Hatari! di Howard Hawks (1962), Il processo di Orson Welles (1962), La decima vittima di Elio Petri (1965), Sette volte donna di Vittorio De Sica (1967) per citare solo alcuni dei titoli della sua lunga filmografia.
Fra i suoi partner di scena Robert Mitchum, Anthony Perkins, Charlton heston, Richard Burton, Gerard Philiphe, Jean Marais.
Incide un disco come cantante, si cimenta come presentatrice del Festival di Sanremo nel 1971 insieme a Carlo Giuffrè, si diverte come giornalista.
Dagli anni Settanta comincia a dire molti no e lascia quasi del tutto il grande schermo ma continua a essere presente in tv, spesso ospite di talk show o con cameo di lusso nelle fiction.
Nel 1995 si racconta nell’autobiografia Sono come sono. Dalla Dolce vita e ritorno. Dopo una lunga assenza (l’ultimo film fino ad allora era stato Sono un fenomeno paranormale, 1985, regia di Sergio Corbucci) nel 2005 torna in tv, in prima serata su RaiUno nella terza stagione della miniserie Orgoglio, è una duchessa cattivissima, tessitrice di intrighi terribili.
“D’altronde – raccontò – ho il fisico del ruolo: sono così alta, così magra, così altera, non potevo certo fare la suora o la nonna…”
(da “La Repubblica”)
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