Luglio 27th, 2017 Riccardo Fucile
SULLA LIBIA BASTEREBBE CAPIRE COSA HA REALMENTE DETTO, SU FINCANTIERI ERA SUO DIRITTO AVANZARE LA PRELAZIONE E RINEGOZIARE L’ACCORDO SE NON LO RITENEVA VANTAGGIOSO PER LA FRANCIA… DEVE SOLO FAR SEGUIRE ALLE PAROLE I FATTI, FINORA NON L’HA FATTO, MA CHE LO CRITICHINO I MAGLIARI DELLA POLITICA ITALIANA E’ PATETICO
Lo stivale bucherellato italico pare sia scosso da un nuovo spirito nazionalistico: politici di tutti i variopinti colori, media e tuttologi hanno trovato un comune nemico oltralpe in Emmanuel Macron.
Tutti zitti quando respinge i profughi a Ventimiglia perchè ciriticarlo non procurerebbe i voti del borghese benpensante sovrappeso per eccesso di benessere, ma tutti scatenati patrioti per difendere l’acquisizione dei cantieri di Saint-Nazare, come se fosse la drogheria sotto casa.
Ma i fatti sono altri, basterebbbe un po’ di buona fede.
Mentre in Italia siamo abituati alle litanie di Gentiloni e Minniti, ai loro inutili tavoli con le tribù libiche, alle cazzate sul codice di condotta delle Ong perchè non abbiamo le palle di non pagare più la quota Ue fino a quando degli Stati canaglia continueranno a non prendere in carico la quota che loro spetta o incapaci di concedere a tutti i migranti un permesso provvisorio e vadano dove vogliono, Macron almeno ha una idea.
Che la persegua seriamente o meno è prematuro giudicare, ma è stato chiaro: la Francia è disposta ad accogliere altri richiedenti asilo ma non quelli economici, è riuscito a ottenere il cessate il fuoco tra le due fazioni libiche, indica negli hot spot in Libia, Ciad e Mali la soluzione del problema.
E non è fantascienza, è quello che da tempo indicano le organizzazioni umanitarie: togliere i profughi dalle galere libiche, creare dei campi dignitosi, esaminare le richieste di asilo all’origine e accogliere chi ha titolo andandoli a prendere con navi adeguate.
In pratica questi corridoi umanitari farebbero cessare gli interessi dei trafficanti, tutto sarebbe legale.
Ovvio che serva stabilire quanti accoglierne ogni anno, con quote tassative per tutti i 27 Paesi, ovvio che occorra stabilizzare i governi, porre fine ai conflitti interni e investire in occasioni di lavoro per tacitare i migranti economici.
Ma Macron ha indicato la strada, mentre l’Europa dorme e l’Italia è incapace di uscire dall’impasse del surplus di profughi compressi nel suo territorio.
Veniamo ai cantieri e al libero mercato: la Francia ha fatto investimenti in Italia per 50 miliardi, noi in Francia solo per 5.
Da qui qualcuno dice che non c’è reciprocità : balle.
In regime di libero mercato la Francia, investendo in aziende italiane (vedi caso Parmalat con Lactalis) spesso ha salvato posti di lavoro italiani che l’imprenditoria nazionale aveva ridotto sul lastrico.
E il libero mercato fa sì che le acquisizioni avvengono se qualcuno (gli italiani) vendono e incassano soldi dal miglior offerente.
Fermo restando che ogni governo ha diritto a ritenere certi settori “da tutelare per l’interesse nazionale”.
Fincantieri ha fatto bene a cercare di acquisire i cantieri Stx raggiungendo un pre-accordo con Hollande, ma sapeva benissimo di trattare con un presidente in scadenza e che l’ultima parola sarebe spettata al nuovo presidente.
Se avesse vinto Marine Le Pen, Stx sarebbe stata nazionalizzata, ma anche Macron aveva fatto capire che riteneva “strategici” quei cantieri.
Quindi evitiamo di cascare dal pero: o forse era “etico” che un 10% delle quote andasse a una banca triestina come previsto dal piano Fincantieri per “nascondere” che l’azienda italiana aveva la maggioranza delle quote?
Macron ha proposto un 50% a testa, come suo diritto fare: se non va bene, Fincantieri può ritirarsi, dove sta il problema?
In ogni caso pare intenzionato a rinegoziare, non a dire di no, cosa che avviene in tutte le grandi operazioni finanziarie.
In un Paese che ha la peggiore imprenditoria in termini di innovazione e ricerca (salvo lodevoli eccezioni) stiamo a meravigliarci che prendiamo delle facciate?
Fincantieri è un’azienda all’avanguardia, se non con Stx farà ottimi affari con altri, non esiste un diritto divino all’acquisizione di aziende.
E se altre aziende italiane hanno partecipazioni per 5 miliardi in Francia vuol dire che nessuno le ha osteggiate.
Semmai siamo noi a investire poco sui mercati esteri perchè non ne abbiamo la mentalità , legati a un modello logoro e superato di imprenditoria.
E da buoni provincialotti stiamo a piangerci addosso e a trovare il capro espiatorio nel “cattivo” Macron che ci ha rotto il giocattolo.
Andate alla “Befana dei bimbi”, ne troverete altri.
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Luglio 27th, 2017 Riccardo Fucile
UN’OPERAZIONE CHE SENZA LA CREAZIONE DI HOT SPOT SOTTO L’EGIDA E IL CONTROLLO DELL’ONU E CANALI UMANITARI PER I RICHIEDENTI ASILO, EQUIVARREBBE SOLO A CREARE ALTRI CAMPI DI CONCENTRAMENTO IN LIBIA
Una nave «comando» e almeno cinque navi leggere per pattugliare le acque libiche e fornire supporto ai mezzi della guardia costiera locale: è questa la missione militare che l’Italia sta organizzando dopo aver ricevuto la richiesta del premier Fayez al-Sarraj con una lettera recapitata il 23 luglio scorso dopo una trattativa gestita direttamente dal premier Paolo Gentiloni e dal titolare del Viminale Marco Minniti.
Il consiglio dei ministri potrebbe esaminare già domani la delibera preparata dallo staff del ministro della Difesa Roberta Pinotti in coordinamento con i colleghi di palazzo Chigi, Interno ed Esteri.
Tempi strettissimi nel tentativo di ottenere l’approvazione del Parlamento prima della pausa estiva anche se i nodi da sciogliere sono ancora diversi.
Chiaro appare invece l’obiettivo: fermare le partenze dei migranti dalle coste della Libia e far finire in retroguardia le ong ch e si dedicano alle operazioni di soccorso e salvataggio di chi si imbarca su gommoni e pescherecci anche a rischio naufragio pur di raggiungere l’Italia e così entrare in Europa.
Per questo si prevede di utilizzare nel controllo del Mediterraneo anche aerei, elicotteri e droni in un’operazione che alla fine potrebbe impegnare tra i 500 e i mille uomini.
L’assetto navale
Il modello da utilizzare è quello della «missione Alba» che nel 1997 riuscì a frenare il flusso migratorio dall’Albania alla Puglia. In questo caso non ci saranno interventi a terra, ma i mezzi schierati in mare saranno una nave di grandi dimensioni come la San Giorgio o la San Marco, e altre leggermente più piccole.
A bordo ognuna avrà tra i 50 e i 200 uomini. Entro qualche giorno il governo di Tripoli definirà l’area di intervento e questo consentirà di individuare l’assetto più idoneo
Sul territorio sarà invece schierata una task force che dovrà coordinarsi con il comando libico per guidare le operazioni in mare e soprattutto coordinare i vari interventi «coadiuvando le forze locali nello svolgimento delle attività di polizia marittima» e soprattutto collaborando «al controllo dei confini per sostenere le prerogative della sovranità dello Stato» e dunque cercando di rafforzare proprio il ruolo di al-Sarraj.
Le regole di ingaggio
Un compito che – secondo quanto concordato dai vari ministri con il premier Paolo Gentiloni – dovrà comunque rispondere a precise regole d’ingaggio, soprattutto per tutelare il personale militare in territorio straniero. Per questo si utilizzerà il modello “Sofa” della Nato che ha lo scopo di «concedere ai militari presenti nei Paesi ospiti la massima immunità possibile rispetto alle leggi locali»
Le navi dovranno fermare le imbarcazioni che tentano di oltrepassare il confine libico, ma – questo sarà specificato nella delibera – «non effettueranno respingimenti»: concetto ipocrita, visto che sarà demandato alla guardia costiera libica.
Dunque, in caso di pericolo dovranno occuparsi del salvataggio e del trasferimento degli stranieri a terra. Anche se in questo caso la terra sarà libica e non italiana.
Ma appare evidente che ciò potrà avvenire soltanto dopo aver ottenuto la garanzia che il trattamento riservato alle persone rimpatriate sia rispettoso dei diritti umani.
Una condizione che il governo guidato da al-Sarraj dovrà mettere nero su bianco e che dovrà essere verificato anche a livello internazionale.
Le garanzie dell’Onu
Non a caso nelle scorse settimane Pinotti aveva già affrontato la questione relativa a una presenza in Libia dell’Alto commissariato per i rifugiati con il segretario generale delle Nazioni Unite Antà³nio Guterres.
L’istanza di Tripoli non era ancora arrivata, ma il governo italiano aveva comunque sollecitato l’apertura di uffici dell’Unhcr per agevolare la possibilità che i richiedenti asilo presentino richiesta in territorio libico e possano essere trasferiti direttamente negli Stati indicati.
In conclusione: prima a Onu e Unhcr dovrebbe essere affidata la gestione dei centri di accoglienza e poi semmai intervenire con le navi militari. Farlo solo per “respingere” i disperati nelle galere libiche, in balia di sfruttatori e tangentari sarebbe solo da criminali.
(da “il Corriere della Sera”)
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Luglio 27th, 2017 Riccardo Fucile
DOPO CHE IL CONS COM GRILLINO STEFANO LO AVEVA ACCUSATO DI “PARLARE E NON FARE”, LA REPLICA DEL DG E’ MICIDIALE
Poco fa il consigliere M5S e presidente della Commissione Trasporti in Campidoglio Enrico Stefano ha voluto replicare a Bruno Rota, direttore generale scelto da Virginia Raggi per ATAC.
Su Facebook Stefà no ha attaccato Rota accusandolo di parlare e di non fare e lamentandosi del fatto che Rota ha parlato con i giornali.
“Apprendiamo dai giornali che il DG di Atac Bruno Rota denuncia una situazione disastrata dell’azienda. Ne siamo più che consapevoli, e abbiamo scelto un DG tramite procedura ad evidenza pubblica proprio per affrontarla. Il mero elenco dei problemi non è sufficiente ed è necessario aggredirli e provare a risolverli.
Magari in questi primi tre mesi poteva cominciare a dare dei segnali, ad esempio rimuovendo i dirigenti responsabili di questo disastro o quelli completamente inutili, come lo abbiamo invitato a fare più volte. O avviando le procedure per rendere più moderno ed efficiente il sistema di bigliettazione e aumentare così la liquidità di cui
l’azienda ha tremendamente bisogno.
A differenza della vecchia politica che ha portato Atac nel baratro, e che oggi ancora si permette di proferire parola, abbiamo dato a lui come al suo predecessore, carta bianca per risanare l’azienda e prendere le decisioni più giuste, garantendogli sempre il massimo sostegno.Una occasione unica per agire, che ci domandiamo se voglia cogliere o meno.”
Velocissima, e direttamente su Facebook, è arrivata la risposta di Bruno Rota che ha accusato il consigliere di avergli raccomandato una società e di avergli parlato di “giovani da promuovere, sempre i soliti”:
«So del vivo interesse del consigliere Stefano alle soluzioni della società Conduent Italia che si occupa di bigliettazione e che mi ha invitato ad incontrare più volte. Più che di dirigenti da cacciare, lui, e non solo lui, mi hanno parlato di giovani da promuovere. Velocemente. Nomi noti. Sempre i soliti. Suggerisco a Stefano, nel suo interesse di lasciarmi in pace e di rispettare chi ha lavorato. Onestamente. Sempre i soliti».
(da “NextQuotidiano”)
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Luglio 27th, 2017 Riccardo Fucile
PROSTITUZIONE, LAVORO NERO E ACCATTONAGGIO: UNA VITTIMA SU QUATTRO E’ UN ADOLESCENTE
Gli schiavi invisibili sono sempre di più. E sempre più giovani.
Sfruttati nel lavoro, costretti a prostituirsi, mandati in strada a chiedere l’elemosina da organizzazioni criminali.
Un esercito di bambini o adolescenti perduti, senza futuro, senza nessuno a cui chiedere aiuto.
Il rapporto di Save The Children in vista della Giornata internazionale contro la tratta di esseri umani non lascia dubbi: più di una vittima su quattro al mondo è un minore. Un fenomeno che riguarda soprattutto chi sbarca in Italia senza accompagnamento, adolescenti nigeriane inghiottite dal racket della prostituzione, minori bengalesi sfruttati nel lavoro nero, ragazzini bloccati nelle città o alle frontiere senza accesso al ricollocamento in Europa.
ALLARME EUROPA
I dati disponibili sui casi emersi in 106 paesi indicano chiaramente un allarme senza precedenti. Su 63.251 casi rilevati, infatti, ben 17.710 riguardano bambini o adolescenti, con una larga prevalenza di genere femminile (12.650).
E i minori rappresentano il secondo gruppo più numeroso tra le vittime di tratta dopo le donne. Il fenomeno si dimostra ben radicato anche nei paesi dell’Unione Europea, dove nel 2016 risultano almeno 15.846 vittime accertate o presunte, di cui le donne rappresentano il 76% e i minori il 15% (pari a 2.375), mentre le forme di sfruttamento principali emerse sono la prostituzione forzata (67%) e lo sfruttamento lavorativo (21%) soprattutto in ambito agricolo, manifatturiero, edile, nei servizi domestici e nella ristorazione.
I NUMERI ITALIANI
In Italia, nel 2016, le vittime di tratta censite e inserite in programmi di protezione sono state 1.172, di cui 954 donne e 111 bambini e adolescenti, in gran parte di genere femminile (84%).
Le vittime under 18 sono soprattutto di nazionalità nigeriana (67%) e rumena (8%), e, anche se lo sfruttamento in economie illegali come lo spaccio (10% circa), lo sfruttamento lavorativo (5,4%) e l’accattonaggio (3,6%) sono abbastanza frequenti, lo sfruttamento sessuale rappresenta quasi la maggioranza dei casi (50%).
Tratta e sfruttamento hanno coinvolto circa 15 mila minori, il 50% tra i 16 e i 17 anni, e sono in maggioranza italiani (10.990, comprese 1.167 minori femmine), originari di alcuni paesi dell’Africa (1.551, di cui 73 femmine), ma anche rumeni (747 maschi di cui 156 femmine).
Gli adulti sospettati o incriminati per reati connessi alla tratta o allo sfruttamento sono 324, in maggioranza uomini e di origine rumena (89), nigeriana (85) e italiani (47).
I MINORI NON ACCOMPAGNATI
Il bacino dei minori stranieri non accompagnati giunti via mare in Italia è più che raddoppiato nel 2016 (25.846) rispetto all’anno precedente.
Spesso si tratta di ragazzi e ragazze molto giovani che pur di proseguire il viaggio verso il nord Europa si consegnano nelle mani di trafficanti e passeur. Sono loro il volto più frequente tra le vittime di un business criminale che nel mondo muove un giro d’affari di 32 miliardi di dollari (seconda fonte di reddito per le organizzazioni criminali dopo il traffico di droga), e in Europa conta almeno 12.760 adulti offender sospetti o incriminati.
LA PROSTITUZIONE
Nel 2016 il numero dei minori soli nigeriani arrivati via mare in Italia è triplicato (3.040), e si è registrata una presenza crescente di adolescenti e bambine anche di 13 o 14 anni, generalmente reclutate con l’inganno nel loro paese di origine, a Benin City o nelle aree rurali e nei villaggi più remoti degli stati dell’Anambra, del Delta e del Lagos. Subiscono violenze durante il viaggio, nel quale vengono vendute e ricomprate, e una volta in Italia sono obbligate a restituire un debito che può arrivare a 40-50.000 euro. Inoltre devono pagare alle maman anche vitto e alloggio, bollette, vestiti e fino a 150-200 euro al mese per il posto in strada in cui sono costrette a prostituirsi. In pratica saranno schiave per sempre se non troveranno il coraggio di ribellarsi.
Ma non meno preoccupante è il fenomeno che riguarda le ragazze rumene. Si tratta in prevalenza di adolescenti provenienti da contesti socio-economici molto poveri, come le regioni della Muntenia e Moldova, nei distretti di Bacau, Galati, Braila, Neamt e Suceava, attratte e manipolate sulla base di proposte di lavoro fasulle. Entrare in Italia su mezzi privati via Trieste, finiscono sulla strada spesso sotto il controllo di fidanzati-sfruttatori, in un continuo stato di sopraffazione e paura, nel quale sviluppano spesso dipendenza da droghe, alcol e abuso di medicinali.
IL LAVORO NERO
Il numero dei minori non accompagnati bengalesi ed egiziani giunti via mare in Italia è cresciuto progressivamente in modo significativo. Nella maggioranza dei casi provengono da contesti familiari molto poveri e da famiglie numerose con scarsa scolarizzazione, e sono vere e proprie vittime della tratta per lo sfruttamento lavorativo da parte di connazionali, italiani o cinesi, per i quali lavorano fino a 12 ore al giorno per 6 giorni di seguito e una paga misera in piccole attività commerciali o come ambulanti. In molti casi, purtroppo, si rendono anche disponibili a svolgere attività illegali, come lo spaccio di droga, o vengono adescati e sfruttati sessualmente nel circuito della pedofilia e pedo-pornografia.
LA FILIERA CRIMINALE
“La lotta ai trafficanti e agli sfruttatori dei minori deve essere ferma e inflessibile, a partire dai paesi di origine e di transito dei tanti bambini e adolescenti che raggiungono l’Europa, e invece della sicurezza e di una opportunità di futuro si ritrovano nelle mani di chi è pronto a sfruttarli e approfittare di loro” dice Raffaela Milano, direttrice dei Programmi Italia-Europa di Save the Children. “Le evidenze ci dicono, purtroppo, che c’è una vera e propria filiera criminale sempre più organizzata, che adesca all’origine i minori e li sposta attraverso i confini, dove quasi tutti, e soprattutto tutte, subiscono violenze di ogni tipo. Poi arrivano in Italia dove il sistema di accoglienza e protezione, e quello di contrasto alla tratta e allo sfruttamento, non riescono ancora a intervenire efficacemente per strapparli alle mani dei loro aguzzini e dei “clienti” che abusano di loro sia nello sfruttamento sessuale che lavorativo”.
(da “La Stampa”)
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Luglio 27th, 2017 Riccardo Fucile
IL FALLIMENTO DEL JOBS ACT CHE PREVEDEVA ESPERTI CHE AIUTASSERO A TROVARE UN IMPIEGO E SUSSIDI CONDIZIONATI: UN PROGETTO MAI DECOLLATO
«Siamo spiacenti, il numero chiamato è inesistente». Questo si sente rispondere da un paio di settimane chi prova a contattare il centro per l’impiego di Petilia Policastro, diecimila abitanti aggrappati ai monti della Sila, in Calabria. Ci sarebbe da ridere, se la situazione non fosse tragica.
Perchè questo vecchio edificio grigio e squadrato, che prima fu convento monacale e poi sede del municipio, è oggi il luogo che dovrebbe aiutare gli abitanti locali a trovare impiego nella provincia (Crotone) con il più alto tasso di disoccupazione d’Italia, dove un lavoro ce l’ha ufficialmente solo un cittadino su tre.
Missione impossibile da affrontare senza nemmeno un telefono. Non solo perchè qui le imprese principali sono una manciata di segherie. Il problema è che a Petilia Policastro il centro per l’impiego è allo sbando. E nel resto del Paese le cose non vanno tanto meglio.
È una mattinata torrida di metà luglio in questo angolo desolato della provincia italiana. Andrea Ruberto, responsabile della struttura, ci accoglie nell’ufficio mostrando i segni dell’incuria. Intonaci che si staccano. Macchie gialle di umidità . In alcuni angoli sta crescendo addirittura il muschio.
«Ora ci hanno tagliato il telefono e siamo costretti a usare i nostri cellulari», si sfoga, «ma la situazione è grave già da parecchio. Lo vede questo computer? Me lo sono dovuto portare da casa, perchè quello aziendale si è rotto e nessuno lo sostituisce. Per non parlare delle pulizie: le dobbiamo fare noi, la Provincia non ha più soldi per pagare un’impresa. Altro che politiche attive, qui siamo in totale emergenza».
1 MILIONE DI POSTI DISPONIBILI
Le politiche attive del lavoro per anni sono state la parte mancante del Jobs Act. Una serie di misure attraverso cui il disoccupato può migliorare il proprio curriculum, cercare offerte di impiego e, se tutto va bene, tornare sul mercato.
Se con la legge voluta dal governo Renzi perdere il posto è infatti diventato un po’ più facile rispetto al passato, lo Stato deve impegnarsi per aiutare chi resta a casa. Guardando i dati sull’occupazione verrebbe da dire che in teoria è tutto giusto, ma se poi il lavoro non c’è, le politiche attive servono a poco.
Il luogo comune si sgretola davanti ai risultati di una ricerca di Face4Job , portale che incrocia domande e offerte di impiego.
A fronte di circa 3 milioni di disoccupati ufficiali, al momento in Italia ci sono 1.007.835 di posti disponibili.
E non sono nemmeno tutti, perchè lo studio considera solo le proposte pubblicate sui siti aziendali, non per esempio quelle sponsorizzate dalle agenzie interinali.
Va detto che buona parte di queste occupazioni arriva dal Nord e dal Centro, mentre al Sud le opportunità scarseggiano.
La sostanza però non cambia: il lavoro in Italia ci sarebbe anche, magari non per tutti, ma per guadagnarselo bisogna avere le competenze richieste, oltre che la voglia.
Ecco allora l’utilità delle politiche attive, ufficialmente in vigore da ormai un anno e mezzo sulla falsariga di quanto avviato dodici anni fa in Germania dal governo socialdemocratico di Gerhard Schrà¶der, che per dare un taglio ai sussidi a pioggia decise di creare un patto tra lo Stato e il disoccupato.
Patto che suona più o meno così: se vuoi l’aiuto economico, caro cittadino, devi venire al centro per l’impiego, seguire i corsi che ti proponiamo, accettare le offerte in linea con le tue caratteristiche. Altrimenti l’assegno te lo puoi scordare. In gergo tecnico si chiama condizionalità .
MODELLO TEDESCO
Anne Jakob, 36 anni, assicura che «è anche grazie a questo se oggi la Germania ha un tasso di occupazione altissimo».
La incontriamo a Berlino, a pochi metri dal Checkpoint Charlie, simbolo della divisione della città ai tempi della Guerra Fredda.
Riccioli rossi e occhi azzurri, laureata in management dell’amministrazione pubblica, Frau Jakob è una orientatrice del centro per l’impiego di Friedrichshain-Kreuzberg, il distretto più popoloso della capitale tedesca.
È insomma una di quelle persone – in Germania sono 25mila, guadagnano tra i 1.700 e i 2.200 euro netti al mese e devono avere almeno una laurea triennale; in Italia non esistono dati ufficiali ma sono molti meno e lo stipendio va da 1.200 a 1.500 euro – che si dedica a rimettere in carreggiata i disoccupati.
«I nostri iscritti sono 38 mila: noi siamo 700 impiegati, tra cui 250 orientatori», spiega Jakob.
A Petilia Policastro, tanto per fare un esempio, gli utenti sono 25 mila. La differenza è che i dipendenti sono solo sei e fra questi non c’è nemmeno un orientatore.
Risultato? Il patto di servizio, quello che prevede la condizionalità , oggi lo firmano anche i disoccupati italiani. Il problema è che poi da noi quasi nessuno lo fa rispettare.
Per capire perchè bisogna scendere dalla Sila e puntare verso il Mar Tirreno.
Vibo Valentia è il capoluogo di un’altra provincia italiana con tassi di disoccupazione da record. Quando arriviamo al centro per l’impiego, la sala d’attesa è piena. Sono quasi tutti precari della scuola. Lavorano da settembre a giugno, poi campano con il sussidio fino all’inizio del nuovo anno.
DIPENDENTI SENZA STIPENDIO DA 4 MES
«Ieri ero qui, a un certo punto Internet si è bloccato e ci hanno chiesto di tornare oggi», dice con un sorriso desolato Giuseppe Fiumara, 40 anni, che da oltre un decennio fa il maestro d’italiano precario nelle elementari del Nord.
«Nelle private non voglio andare e altri lavori non mi interessano: io voglio insegnare nelle scuole pubbliche», scandisce, «e spero prima o poi di essere stabilizzato».
Non si capisce allora perchè Giuseppe – come le altre migliaia di precari della scuola o del turismo – debba passare intere giornate al centro dell’impiego per firmare il patto di servizio. Perchè con questo documento l’utente promette di attivarsi per trovare un lavoro. Ma se tutti sanno già che tra qualche mese tornerà in cattedra, perchè intasare gli uffici per firmare accordi che nessuno farà rispettare?
Uno sforzo dannoso, oltrechè inutile. Tanto più in un luogo come Vibo, dove per mancanza di soldi la situazione è imbarazzante.
Linee telefoniche tagliate, collegamento internet a singhiozzo, computer antidiluviani. E dipendenti che non ricevono lo stipendio da quattro mesi. «Siamo qui ad aiutare i disoccupati e ci lasciano senza paga: è una vergogna, io ho tre figli e il mio è l’unico reddito della famiglia», sbotta Giovanna Marasco, addetta all’accoglienza utenti.
Quello di Vibo Valentia è un caso limite. Una situazione causata dallo stato di dissesto finanziario della Provincia, governata per anni dal centro sinistra. Il punto è però un altro, e coinvolge tutto il sistema delle politiche attive.
Chi le decide? Chi controlla il rispetto delle regole?
La riforma costituzionale voluta da Renzi prevedeva, oltre all’abolizione definitiva delle Province, l’esclusione delle Regioni da queste decisioni, con la conseguenza che la materia sarebbe diventata di competenza esclusiva dello Stato. Anche per questo è stata creata l’Anpal , l’agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro.
Visto che però la riforma è stata bocciata con il referendum, oggi le politiche attive sono in balia del caos. Le decisioni sono di competenza congiunta di Stato e Regioni, e i centri per l’impiego sono formalmente ancora sotto il controllo delle Province, di fatto però svuotate di competenze e quattrini.
«In pratica», riassume Romano Benini, direttore del Master universitario in politiche del lavoro alla Link University di Roma, «i dipendenti dei centri per l’impiego non sanno chi li comanda, ogni Regione fa come le pare e nessuna istituzione investe sugli orientatori, figure essenziali per lo sviluppo delle politiche attive».
Lo dimostra quanto sta succedendo a Roma. «Qui da noi», racconta sotto anonimato un orientatore della capitale, «la sproporzione fra dipendenti e utenti è talmente grande che non facciamo rispettare la legge. Tutti quelli che percepiscono una forma di sostegno al reddito dovrebbero essere contattati da noi per dei colloqui, oltre che per eventuali corsi formativi, e nel caso non si presentino dovremmo segnalarli all’Inps per fargli tagliare il sussidio. Ma questo non avviene quasi mai perchè siamo sommersi dal lavoro burocratico, e io sinceramente sto iniziando a guardarmi in giro per cambiare posto».
QUESTIONE DI SOLD
I numeri parlano ancora più chiaro. Germania e Italia investono più o meno le stesse cifre per pagare sussidi ai disoccupati (politiche passive) e incentivi per le nuove assunzioni (politiche attive). La differenza sta nella spesa per i cosiddetti “servizi per il lavoro”, cioè il denaro usato per pagare gli orientatori. Qui i tedeschi investono quasi quindici volte più degli italiani. E i risultati danno ragione a Berlino.
Per fortuna non tutta l’Italia è messa male. Alla periferia est di Milano, zona Giambellino, c’è la sede centrale di uno dei centri per l’impiego più virtuosi. Si chiama Afol Metropolitana e vanta numeri da record: il 23 per cento degli utenti riesce a trovare un nuovo impiego, mentre la media nazionale è ferma all’1,5 per cento. Al primo piano troviamo una decina di operatori impegnati a far firmare patti di servizio. Al secondo piano c’è l’incarnazione di ciò che dovrebbero essere le politiche attive
Pina e Ilir, entrambi classe ’54, stanno dialogando seduti a una scrivania. Lei è un’orientatrice, lui un ingegnere italo-albanese rimasto senza lavoro. Progettava macchine per l’imballaggio di prodotti alimentari. Due anni e mezzo fa la sua azienda ha chiuso e a lui non è rimasto che il sussidio. Grazie all’aiuto del centro per l’impiego milanese, però, Ilir non ha perso le speranze.
L’Afol gli ha offerto due corsi d’inglese e diversi colloqui individuali. Incontri in cui Ilir è stato aiutato a riscrivere il curriculum, a preparare una lettera motivazionale, a valorizzare le sue esperienze da progettista ma anche quelle da mediatore culturale. «Questo signore ha fatto per anni volontariato aiutando gli stranieri appena arrivati in Italia, e ha sviluppato così capacità che in questo momento sono richieste dal mercato. Ecco, io l’ho aiutato a capire meglio le sue potenzialità , gli ho dato qualche consiglio pratico, poi il resto ovviamente spetterà a lui», dice la dipendente pubblica.
Se a Milano le cose funzionano meglio che in Calabria (e in tante altre zone d’Italia), il merito non è soltanto dei milanesi. Giuseppe Zingale, calabrese trasferitosi al Nord e diventato direttore generale di Afol Metropolitana, spiega che la particolarità di questo centro è la sua natura ibrida: «Pur essendo una struttura pubblica, ci collochiamo in un regime concorrenziale con gli operatori privati, e la partecipazione ai bandi regionali, nazionali ed europei ci consente di reperire risorse utili ad ampliare l’offerta di servizi per i cittadini in difficoltà occupazionale».
Conseguenze: a Milano ci sono più orientatori rispetto al resto d’Italia e la condizionalità si applica davvero.
Se quella di Zingale e colleghi punta a diventare la normalità , qualcuno dovrà intervenire al più presto. Il fallimento della riforma costituzionale ha però mantenuto invariato il potere degli enti locali, evitando la creazione di un’unica regia sulle politiche del lavoro.
Giuliano Poletti, ministro competente in materia, finora non è riuscito a mettersi d’accordo con le Regioni, che combattono contro il governo centrale per gestire autonomamente i soldi destinati alle politiche attive.
Un contrasto che finora ha impedito l’assunzione di 1.000 nuovi dipendenti dei centri per l’impiego, decisione annunciata per la prima volta quasi cinque mesi fa e non ancora realizzata.
GENTILONI PRONTO AL COLPO DI MAN
Secondo una fonte che sta seguendo da vicino la vicenda, il premier Paolo Gentiloni potrebbe decidere di farsi carico direttamente del problema, proponendo alle Regioni un compromesso del genere: a voi la gestione finanziaria, a noi quella sulle politiche attive. Uno scambio finalizzato a sbloccare la paralisi, ma che potrebbe portare qualche governatore a impugnare la decisione davanti alla Corte Costituzionale.
Di certo per tradurre in pratica una riforma che finora è rimasta solo sulla carta serve soprattutto una cosa: i soldi. Quelli necessari per assumere orientatori, a partire dai 2.500 precari che si trovano in una situazione paradossale. «Dobbiamo aiutare le persone a trovare un lavoro, ma abbiamo paura che l’anno prossimo il lavoro non ce l’avremo nemmeno noi», spiega Alessandra Neri, precaria del centro per l’impiego di Reggio Calabria.
È però solo grazie a queste persone, e all’applicazione della condizionalità , che le politiche attive possono trasformarsi in qualcosa di utile per ridurre il problema della disoccupazione. Lo dimostra il caso della Germania. Un successo che nasconde una trappola politica. Da quando hanno varato le riforme, i socialdemocratici tedeschi non hanno più governato.
Che sia questo il vero freno a una svolta sulle politiche del lavoro in Italia?
(da “L’Espresso”)
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Luglio 27th, 2017 Riccardo Fucile
IL PARTITO MINACCIA DI PUBBLICARE SUL SUO SITO L’ELENCO DI CHI NON VERSA 1.500 EURO AL MESE
Il Partito Democratico ora passa alle minacce. Ogni eletto dem, secondo il regolamento, deve al partito 1.500 euro al mese ma sono un centinaio i deputati e senatori morosi: se non si metteranno in regola il PD pubblicherà i nomi sul sito.
Dell’ideona, facendo anche alcuni nomi, parla oggi Claudio Bozza sul Corriere della Sera:
Ma la campagna elettorale è alle porte e Renzi, che si giocherà il suo futuro, sta già organizzando una «macchina» che si preannuncia assai costosa.
Oltre al sostegno della Fondazione Open, dove dopo l’addio a Palazzo Chigi i finanziatori sono crollati, serve quindi un partito«in salute». Così Bonifazi ha accelerato anche sul recupero crediti verso deputati e senatori.
Ognuno di loro, da regolamento, deve al partito circa 1.500 euro al mese. Tra i morosi ci sono anche nomi eccellenti. Il senatore Sposetti, che detiene le chiavi della cassaforte ex Ds, dovrebbe oltre 75 mila euro; l’ex ministro dell’Istruzione Giannini circa 40 mila; il deputato Gutgeld (inventore degli 80 euro) 40 mila.
Ci sono poi i parlamentari Martino (75mila) e Valiante, fedelissimo di Emiliano, con un debito simile; mentre Khalid Chaouki sarebbe in rosso per oltre 50mila euro.
Ad aprile il tesoriere Bonifazi ha inviato a tutti i morosi una lettera per invitarli a mettersi in regola: tra questi anche ministri, che hanno rimediato.
Quella missiva ha fruttato però soli 500mila euro: ne mancano ancora 3 milioni.
La «pena» per chi non paga? L’articolo 40 dello statuto parla chiaro: la lista completa dei morosi sarà pubblicata sul sito del partito.
(da “NextQuotidiano”)
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Luglio 27th, 2017 Riccardo Fucile
PERQUISIZIONI NELLA SEDE ROMANA, SEQUESTRATI DOCUMENTI RELATIVI AI PRELIEVI
Acea Ato 2 Spa – la società operativa del Gruppo Acea che gestisce il servizio idrico a Roma e in altri 111 Comuni del Lazio – è indagata per inquinamento ambientale in relazione alla crisi idrica del lago di Bracciano.
A indagare è la Procura di Civitavecchia, che ha disposto una perquisizione presso gli uffici di Acea Ato 2 Spa in piazzale Ostiense a Roma. Lo comunicano in una nota i carabinieri del Noe, a cui sono delegate le indagini. Avviso di garanzia anche per il presidente di Acea Ato2 Paolo Saccani.
“Con riferimento alla criticità ambientale che sta interessando il lago di Bracciano, oggetto negli ultimi giorni di enfasi mediatica, si rappresenta che sono state presentate più denunce alla Procura della Repubblica di Civitavecchia che ha delegato le indagini ai Carabinieri del Nucleo Operativo Ecologico (Noe) di Roma – si legge nella nota – disponendo la contestuale esecuzione di una perquisizione locale, previa notifica di avviso di garanzia per inquinamento ambientale, presso gli uffici di Acea Ato 2 S.p.A. siti a Roma in piazzale Ostiense n. 2, al fine di sequestrare documentazione relativa alla captazione di acqua dal bacino lacustre”.
Tribunale Acque respinge ricorso Regione per stop alle turnazioni. Il Tribunale delle acque a quanto si apprende ha rigettato il ricorso fatto da Acea sulla sospensiva dello stop ai prelievi dal lago di Bracciano ordinato dalla Regione Lazio.
La turnazione dell’acqua agli utenti non è una conseguenza imposta in via esclusiva dall’ordinanza impugnata. Per questo il tribunale delle Acque ha respinto la richiesta di sospensiva, formulata da Acea Ato2, dell’ordinanza con cui la Regione Lazio ha disposto lo stop delle captazioni dal lago di Bracciano.
Nel dettaglio il tribunale ha respinto la richiesta cautelare “evidenziato che la dedotta impossibilità di effettuare l’inevitabile turnazione nell’erogazione del servizio di distribuzione dell’acqua a parte dei cittadini del comune di Roma Capitale appare una conseguenza non imposta in via esclusiva dall’ordinanza impugnata da quest’ultima invero – si legge nel provvedimento – si evince che Acea Ato2 potrà adottare ‘misure compensative’ per contrastare gli effetti dell’azzeramento del prelievo in contestazione, con ciò volendosi riferire alla possibilità di individuare, eventualmente con l’ausilio di altre autorità competenti in materia, anche altri rimedi purchè compatibili con il veduto divieto di prelievo”.
(da agenzie)
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Luglio 27th, 2017 Riccardo Fucile
FANATISMO CATTOLICO, LA CHIESA SI DISSOCIA… QUANDO SI IMPARERA’ AD AVERE RISPETTO DEGLI ALTRI SARA’ SEMPRE TROPPO TARDI
Sabato prossimo a Rimini ci sarà una strana concomitanza di iniziative.
Si terrà , infatti, sul lungomare, il Rimini Summer Pride e, contemporaneamente, il Comitato ‘Beata Giovanna Scopelli’ ha organizzato una ‘Processione di riparazione pubblica per il gay Pride di Rimini’ a cui chiama a raccolta tutti i fedeli “per mondare e riparare, per pregare ed elevare la giusta lode riparatoria a Dio”.
“Nei peccati contro natura — spiega la locandina che dà notizia della processione — in cui viene violato l’ordine naturale, viene offeso Dio stesso in qualità di ordinatore della natura”.
Per ‘fare ammenda’, la tanto discussa associazione ripete la manifestazione del 3 giugno scorso a Reggio Emilia, quando parteciparono in più di 250 per riparare al Pride cittadino.
La processione, a Rimini, prenderà il via sabato alle 10.30 di fronte alla chiesa di San Giuliano e sfilerà per le vie del centro con preghiere e canti fino a raggiungere la chiesa di San Bernardino.
“Torniamo a pregare pubblicamente nel silenzio e nel raccoglimento — spiega l’associazione presentando l’iniziativa — perchè sono calate le tenebre”.
L’iniziativa, però, oltre a suscitare lo sdegno dell’Arcigay, è stata disconosciuta proprio dal parroco della chiesa di San Giuliano, don Cristian Squadrani.
“Non è una nostra iniziativa — precisa -, non della parrocchia nè della Diocesi, nè intendiamo incentivarla”.
La sua contrarietà non ha però dissuaso gli organizzatori che stimano la partecipazione di almeno un centinaio di persone.
Evidentemente il rispetto per le opinioni e le scelte degli altri per certi fanatici religiosi è ancora un optional.
(da agenzie)
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Luglio 27th, 2017 Riccardo Fucile
ORA SI SCOPRE CHE SI ERA INVENTATO TUTTO, CALUNNIANDO UN GIOVANE DEL GAMBIA… MA IL RE DELLA PATACCA SI GUARDA BENE DAL CHIEDERE SCUSA PER AVER DIFESO UN MILLANTATORE REO CONFESSO
Davide Feltri, capotreno di Trenord che oggi ha confessato di aver inventato un’aggressione sul treno, il 19 luglio scorso, non appena era circolata la notizia, aveva ricevuto la pronta e totale solidarietà di Matteo Salvini, che sulla sua pagina Facebook non aveva esitato a schierarsi:
Gli chiede il biglietto, l’altro lo accoltella con violenza mirando all’addome. Ora è in fuga… Solidarietà al controllore e a tutti coloro che lavorando su treni, autobus e metropolitane ormai ogni giorno rischiano la pelle.
VI PARE NORMALE? Gli italiani sono STANCHI di farsi mettere i piedi in testa da questi delinquenti. Per quanto mi riguarda, quando saremo al governo, #tolleranzazero e #stopinvasione, senza se e senza ma!
Naturalmente Matteo Salvini non fu l’unico.
Anche la Segretaria Generale della Cisl, Annamaria Furlan, aveva espresso solidarietà : “Un paese civile non può consentire le aggressioni ed i continui episodi di violenza nei confronti del personale delle ferrovie e degli autobus durante lo svolgimento del normale servizio a bordo”.
Anche il presidente della Regione Lombardia Roberto Maroni, appena appresa la notizia del ferimento del capotreno, aveva fatto sapere di essersi “subito messo in contatto con il direttore dell’ospedale di Lodi, Giuseppe Rossi, dove il ferito è stato ricoverato”.
Il parlamentare di Forza Italia Maullu era invece scandalizzato: “Perchè si è consentito a un immigrato armato di coltello di salire a bordo di un treno? Com’è possibile che sia riuscito a salire a bordo indisturbato, in mezzo a decine di passeggeri? Si è evitata una strage per un pelo. E un capotreno potrebbe addirittura perdere la mano: a lui e alla sua famiglia va tutta la mia solidarietà ”.
Il loro “eroe” aveva anche accusato ingiustamente un ragazzo del Gambia estraneo alla vicenda (infatti è anche indagato per calunnia) per coprire la propria versione taroccata.
Qualcuno pensa che certi cialtroni che sul web hano istigato per giorni all’odio razziale oggi abbiano chiesto scusa?
(da “Nextquotidiano”)
argomento: denuncia | Commenta »