Luglio 10th, 2017 Riccardo Fucile
NEI PRIMI 4 MESI DELL’ANNO SONO PASSATE DA 202 A 159, IL DATO PIU’ BASSO DEGLI ULTIMI DUE ANNI…CERTO CHE LA “PERCEZIONE DI SICUREZZA” AUMENTEREBBE SE SI DIFFONDESSERO I DATI REALI E NON LE BALLE PADANE
E adesso pover’uomo?
Appena insediato a Palazzo Tursi con il 25% dei consensi dei genovesi, lo zio d’America in salsa leghista aveva dovuto ammettere che a Genova “i reati sono effettivamente diminuiti, ma bisogna agire sulla percezione di sicurezza” segnalando in particolare come reato diffuso quello delle truffe agli anziani a cui la sua Giunta avrebbe dato risposta (come non si sa, visto che per i reati è competente la locale Questura).
Dopo una campagna elettorale basata sulla “sicurezza”, quasi che Genova fosse il Bronx, il sindaco Bucci si era aggrappato almeno all’odioso reato degli anziani abbindolati da truffatori di pochi scrupoli.
Ma oggi è arrivata la ferale notizia rappresentata dai numeri forniti dalla Divisione Anticrimine della questura di Genova che raccoglie le denunce di ogni forza di polizia nella provincia di Genova.
Confrontando i primi 4 mesi risulta che quest’anno sono stati segnalati 159 raggiri ai cittadini mentre nel 2016 erano stati 202.
Il calo è più evidente analizzando gli ultimi 2 mesi in esame quest’anno: marzo e aprile infatti registrano 37 e 21 truffe che sono i numeri più bassi in assoluto segnalati nei medi degli ultimi due anni presi in esame.
I numeri sulle truffe agli anziani sono stati resi noti dal dirigente dell’Ufficio Prevenzione Generale della questura di Genova Alessandra Bucci, giusto per la precisione.
Insomma non solo i reati in generale sono diminuiti in città del 10%, ma proprio quello indicato da Bucci come ultima spiaggia è pure calato del 20%.
Peggio non poteva andare.
Con una osservazione finale che ci sentiamo di suggerirgli: la “percezione di sicurezza” aumenterebbe se si diffondessero i dati reali e non le balle elettorale per carpire la buona fede altrui.
(da agenzie)
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Luglio 10th, 2017 Riccardo Fucile
LA SUA PROPOSTA SUL DEFICIT INCASSA IL GELO UE E NON CAMBIA L’AGENDA DEL GOVERNO
Renzi attacca, anche in modo un po’ duro, il presidente dell’Eurogruppo Jeroen Dijsselbloem. “Ha un pregiudizio anti-italiano”. Renzi rivanga addirittura un’antica polemica: “Gli spiegai che le donne noi non le paghiamo, a differenza di alcuni di loro”.
E poi una valanga di frasi, contro l’austerità , contro il rigore perchè “di rigore si muore” e contro gli “euro-burocrati”, contro il fiscal compact.
Con toni da comizio cerca la polemica con l’Europa e l’alimenta: “Basta cura dimagrante”. A ogni ora da un palco radiofonico diverso. Renzi è a Radio-Montecarlo di pomeriggio, a Zapping sul far del tramonto. E domani stessa cosa, altre radio, per presentare il libro
È semplicemente l’inizio della campagna elettorale, pensata e programmata sul 24 settembre e poi diventata più lunga per necessità : le anticipazioni sui giornali, le radio, il treno a settembre.
C’è tutto: una proposta (alzare il deficit al 2,9 per abbassare le tasse), uno slogan (superare il fiscal compact, anche se non si spiega come e con chi), il nemico (i sordi burocrati di Bruxelles), i voti da cercare al centro in nome della critica all’Europa e rispolverando antichi slogan del centrodestra (“giù le tasse”).
E c’è soprattutto, come ben raccontano quelli che gli stanno attorno, quel desiderio diventato quasi un’ossessione di tornare al centro della scena, dimostrando — dopo la sconfitta epocale — che la politica è ancora, come prima del 4 dicembre — “renzicentrica”.
E invece, in questo anticipo di campagna elettorale a 40 grandi all’ombra, la notizia è proprio questa, a vedere le reazioni a tanto attivismo.
La proposta viene presa per quello che è: un’idea “per la prossima legislatura” — così ha più volte detto Renzi — e dal sapore elettoralistico.
Il governo continua per la sua strada senza neanche che si senta una voce per valorizzarla neanche in prospettiva, Moscovici liquida in modo tranchant proposta e proponente, governo ed Europa dialogano e trattano sulla prossima legge di bilancio. “Temi per la prossima legislatura” dice sbrigativamente Padoan, evidentemente nell’intento di evitare che la campagna elettorale di Renzi aggravi il negoziato in corso sulla legge di bilancio.
Perchè il punto è proprio questo. Il lavoro che sta facendo il governo Gentiloni a Bruxelles per la manovra di autunno è assai diverso, nella logica e nel merito, rispetto al piano illustrato da Renzi: Padoan sta negoziando il rientro, dunque una riduzione del deficit.
L’ex premier propone un aumento del deficit che altro non è che aumento della spesa pubblica, con l’idea di elargire un bonus per famiglie, anch’esso dal sapore elettoralistico.
E la riposta dell’Europa mostra il vero punto debole dell’idea, ovvero l’assenza di alleanze e l’isolamento.
Le parole di Moscovici, che ricorda la flessibilità di cui beneficiò il governo di Renzi, sono piuttosto indicative della freddezza attorno all’idea.
E per cambiare i trattati come il fiscal compact servono alleanze tra paesi membri, capacità negoziale e un minimo di condivisione.
Altro discorso è una campagna elettorale impostata con l’obiettivo di contendere voti a Grillo e Salvini.
(da “Huffingtonpost”)
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Luglio 10th, 2017 Riccardo Fucile
PREVISTO VERTICE A TRIESTE MERKEL- MACRON – GENTILONI
Alla vigilia del vertice di Varsavia sui migranti, da Bruxelles arriva un’altra doccia gelata sull’Italia.
Fonti Ue hanno fatto sapere che l’operazione Triton (di cui l’Italia ha chiesto la rinegoziazione la scorsa settimana per evitare che tutte le navi di soccorso sbarchino in Italia) è fin dall’inizio un’operazione a guida italiana, e voluta dal nostro Paese.
E che le imbarcazioni degli Stati membri dell’Unione Europea che partecipano all’operazione Triton nel Mediterraneo centrale “intervengono solo su richiesta delle autorità italiane”.
Ancora: “Triton è un’operazione che esiste in accordo con le autorità italiane”, hanno sottolineato dalla capitale belga.
E soprattutto, la missione “non è stata imposta” ma “è stata chiesta” dall’Italia.
Sulle modalità operative e gli sbarchi dei migranti “sono gli italiani che definiscono la magnitudo dell’operazione e il numero di persone di cui ha bisogno”.
Le imbarcazioni della missione Triton quindi “non intervengono direttamente” ma “solo su richiesta delle autorità italiane”.
Anzi è proprio la nostra Guardia costiera che “da ordini alle imbarcazioni di Triton”. Come a dire: l’avete voluta voi. Triton siete voi.
In ogni caso la Commissione Ue non parteciperà domani all’incontro di Varsavia, dove il governo italiano rimetterà sul tavolo la questione della regionalizzazione degli sbarchi.
È previsto però il 12 luglio prossimo, a margine del vertice dei Balcani occidentali, un incontro trilaterale tra Gentiloni, Merkel e Macron.
Secondo quanto si apprende il premier italiano, la cancelliera tedesca e il presidente francese si incontreranno per affrontare alcuni dei principali dossier europei, a partire da quello dell’immigrazione
Quello che si riunirà invece nella capitale polacca sarà solo di un tavolo tecnico . Per il Viminale sarà presente il prefetto Giovanni Pinto, capo della direzione centrale dell’Immigrazione e della polizia delle Frontiere al Ministero dell’Interno, l’alto funzionario che il 4 luglio scorso ha firmato la lettera per cercare di coinvolgere gli altri paesi europei negli sbarchi.
Ma il punto centrale della questione è che nell’ambito delle missioni di Frontex “gli sbarchi avvengono solo nello Stato membro ospitante”, hanno ricordato ieri le fonti Ue.
Ecco, l’Italia dal novembre 2014, è proprio questo, in base al regolamento UE 656/2014 del 15 maggio 2014 entrato in vigore a novembre dello stesso anno: “Stato membro ospitante” dei migranti.
Adesso, con ai confini della Libia centinaia di migliaia di persone che premono per imbarcarsi (secondo fonti dei servizi segreti, citati in un editoriale da Le Monde domenica scorsa) l’ obbiettivo del ministro Marco Minniti è quello di alleggerire la pressione migratoria sul nostro territorio, visto che non si tratta solo di prendere in mare e far sbarcare a terra ( e in quattro anni anni gli arrivi sono stati oltre il mezzo milione di persone), ma curare , accudire , integrare per mesi e mesi se non anni (nell’ultima legge di stabilità il bilancio dello Stato prevede una spesa pari a 4 miliardi di euro).
Tra l’altro con questo regolamento l’Italia è andata ben al di là degli accordi di Dublino e persino della legge internazionale del mare ( in base alla quale coloro che sono soccorsi in mare su un’imbarcazione battente la bandiera di un determinato paese si intendono arrivati in quel Paese).
L’accordo venne illustrato dall’allora ministro dell’Interno Angelino Alfano al Comitato Schengen presieduta da Laura Ravetto, il 22 ottobre 2014.
Intanto al Viminale è pronta la bozza di Codice di comportamento per le ONG ( Codice su cui la Ue ha dato il via libera nell’incontro di Tallin, giovedì scorso).
Si tratta di alcune misure ( divieto per le imbarcazioni delle Ong di entrare in acque libiche, ordine di non spegnere i transponder per evitare di farsi localizzare, regole sulla trasparenza finanziaria e obbligo, se richiesti , di collaborare con l’autorità giudiziaria nelle indagini contro il traffico di esseri umani, anche facendo salire a bordo ufficiali di polizia giudiziaria).
Un ‘ipotesi presa in considerazione è il trasferimento forzato dei migranti nei Paesi di origine delle ONG.
La bozza sarà sottoposta alle ONG la prossima settimana e poi entrerà in vigore rapidamente. Intanto crescono le proteste in alcune regioni italiane contro l’aumento del numero degli hotspot per l’identificazione e il rimpatrio dei migranti. Ad esempio in Calabria.
(da “Huffingtonpost”)
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Luglio 10th, 2017 Riccardo Fucile
LA ONLUS CHE SI BATTE PER LA DIFESA DELLA “FAMIGLIA TRADIZIONALE” SI DICHIARA APARTITICA E APOLITICA, MA GLI INTRECCI SONO NUMEROSI: DAL PORTAVOCE, FIGLIO DI ROBERTO FIORE, ALL’AZIENDA CHE NE DISTRIBUIVA IL NOTIZIARIO, GUIDATA DALLE SUE SORELLE, ALL’EDITORE CANDIDATO CON FN
Quando i contribuenti hanno scelto a chi destinare il 5 per mille del loro Irpef, hanno forse fatto caso – tra le tante onlus che li hanno sollecitati a donare – a un’associazione, Pro Vita.
L’onlus che organizza ogni anno la Marcia per la Vita e che opera, recita il suo sito, «in difesa dei bambini» e «della vita dal concepimento alla morte naturale», sostiene «la famiglia fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna» e difende «il diritto dei genitori a educare i propri figli».
Fin qui tutto ok, se non fosse che dietro agli allegri baffoni del presidente Toni Brandi – un simpaticone che a Radio24 ha affermato che «i gay hanno tendenze pedofile, rompono i coglioni e possono essere curati» – c’è ben altro.
Anche se Pro Vita chiede fondi (pubblici e privati) e si spaccia per un’associazione apartitica e apolitica, è legata a Forza Nuova.
Ha potuto così essere sentita nelle audizioni della Commissione Giustizia sulle unioni civili e di recente ha spedito una lettera a tutti i parlamentari sulla legge sul biotestamento, riuscendo a compiere un’azione di lobby su parlamentari e persone che mai ascolterebbero un partito di estrema destra come Forza Nuova
Via Cadlolo 90
Il primo indizio degli stretti legami tra Pro Vita e Forza Nuova sta nel portavoce: Alessandro Fiore, figlio maggiore di Roberto Fiore, leader di Forza Nuova anche lui molto impegnato sul fronte «pro vita» e imprenditore nel turismo giovanile, con ramificazioni estere.
A distribuire nella fase di avvio il notiziario di Pro Vita è Rapida Vis srl, azienda guidata – come risulta da una visura in possesso del Corriere, foto sotto – da Carmen e Beatriz Fiore, altre figlie di Fiore.
Rapida Vis è un’azienda che fornisce servizi postali. La sede legale era a Roma, in via Cadlolo 90. Peccato che allo stesso indirizzo, Via Cadlolo 90, sia situata la sede di Forza Nuova. Curiose coincidenze.
La versione di Brandi
Toni Brandi tiene a dire che con il periodo iniziale di Pro Vita non c’entra nulla: «L’unico distributore di Notizie Pro Vita è Poste Italiane». Precisa: «I mezzi utilizzati dal precedente editore sono fuori dalla mia cognizione». E nega legami diretti tra le due realtà : «Tra Pro Vita e Forza Nuova non vi sono rapporti, vi è solamente uno storico rapporto di amicizia tra me e Roberto Fiore, attuale segretario nazionale di Forza Nuova, nonchè padre di Alessandro Fiore»
Un po’ di storia
Vediamo un po’ di storia. Notizie Pro Vita nasce alla fine del 2012. L’editore all’epoca è M.P., «Società Cooperativa Giornalistica Arl», una cooperativa giornalistica di Merano che nel 2011 era stata rilevata da giovani di Benevento (i quali chiedono anche i contributi pubblici all’Agcom).
Ne diventa presidente Beniamino Iannace, allora giovane attivista di Forza Nuova, molto vicino a Roberto Fiore
L’ex candidato di FN
Iannace, oggi 36enne, da San Leucio del Sannio (Benevento), si è poi trasferito a Roma dove ha lavorato presso uno studio legale e nel giugno 2009 ha partecipato alle elezioni europee come candidato nelle liste di Forza Nuova.
In passato si è definito «Italiano per grazia di Dio, fascista per irrinunciabile scelta», e insieme a Fiore, segretario di Forza Nuova, nel 2010 si è anche recato alla bielorussa Minsk State Linguistic University, in un’area geografica dove gli attivisti «pro life» sono molto attivi.
Ora minimizza: «Sì, sono stato presidente della cooperativa MP per qualche mese nel 2012-2013. C’erano con noi Toni Brandi e dei ragazzi di Benevento. Iniziammo le nostre attività con la testata il Duende, poi con Notizie Pro Vita, che è continuata da sola ed è diventata onlus nel 2014. Sì, con noi c’era anche Roberto Fiore, ma è stato sempre un po’ fuori… Ora MP non è più editore di Pro Vita. Sì, io ero anche in Rapida Vis, una società che faceva servizi postali e distribuzione della rivista Notizie Pro Vita. Poi ho creato una mia società , la Italiana Servizi Postali».
E il rapporto tra Pro Vita e Roberto Fiore? Iannace ammette: «Tra Pro Vita e Roberto Fiore c’è un rapporto, una conoscenza di base nota a tutti, non te lo devo dire io , ma sono cose a parte…».
Ora però Iannace sostiene di essersene allontanato: «Ormai non sono più vicino a Forza Nuova. Sì, 4 o 5 anni fa ero vicino a Fiore, ma adesso faccio l’imprenditore»
L’altro socio (e altro ex candidato…)
Italiana Servizi Postali di Iannace è una società piccola ma dinamica, tanto che ora si occupa anche di «dematerializzazione della corrispondenza» per conto di Poste Italiane. E nel febbraio 2016 ha ottenuto il riconoscimento della Regione Lombardia nella lista dei Franchisor per il Progetto Pilota Regionale «Fare Franchising in Lombardia», ricevendo contributi derivanti dai 500 mila euro a Fondo Perduto messi a disposizione dalla Regione per la crescita del settore del franchising.
«I soci di Italiana Servizi Postali siamo io e Fabio Infante, esperto di software per la digitalizzazione e originario di Massa Carrara. Con lui e Poste italiane abbiamo avviato Mailnet il progetto per la demateralizzazione della corrispondenza». Tutto confermato dalle visure camerali. C’è però un piccolo dettaglio interessante: Fabio Infante nel 2013 è stato candidato alla Camera per Forza Nuova.
Il terzo socio
Nel piccolo network imprenditoriale non manca il caporedattore di Pro Vita, Alessandro Fiore. Italiana Servizi Postali è infatti anche un franchising e se si fa la visura della Italiana Servizi Postali di Ceppaloni (Benevento) si scopre che il terzo socio, insieme a Iannace e Infante, è proprio il figlio del leader di Forza Nuova, Alessandro, portavoce di Notizie Pro Vita (nonostante Brandi sostenga che Fiore non faccia più parte della società ).
Sui rapporti Tra Iannace e Pro Vita, Toni Brandi ha una versione diversa: «Iannace non è vicino a Pro Vita Onlus in quanto non ha mai avuto rapporti con quest’ultima, tranne nell’occasione della cessione della testata Notizie Pro Vita, avvenuta con regolare contratto di acquisto. Conobbi il Sig. Iannace nel 2012, nel momento in cui iniziai, in qualità di redattore, a collaborare con la rivista Notizie Pro Vita, all’epoca edita dalla cooperativa presieduta dallo stesso Iannace».
I proventi dell’attività editoriale
Il notiziario della onlus Pro Vita, oltre che strumento di battaglia «valoriale» e politica, è anche una fiorente attività editoriale.
«Notizie Pro Vita viene stampata in 100 mila copie, per 11 numeri l’anno», spiega Andrea Giovanazzi, attivista della galassia tradizionalista cattolica che da Rovereto (Trento) cura la distribuzione della rivista.
Quattro le tipologie di adesione: promotore (50 euro), benefattore (100 euro), sostenitore (250 euro), protettore della Vita (500 euro). Contributi esentasse, perchè Pro Vita dal 2014 è una onlus.
Ai soldi che entrano grazie all’esile foglio si sommano quelli che Pro Vita riceve grazie al 5 per mille: 1.757,69 euro nel 2014 (anno di inizio) ma già 14.662,89 nel 2015 (otto volte tanto) a riprova che i contribuenti vicini a Pro Vita crescono vorticosamente di anno in anno. E con essi gli introiti.
Brandi dà numeri diversi da quelli del suo collaboratore: «Il numero di copie stampate è, generalmente, di 3.000 al mese, ma la tiratura può aumentare a seconda delle iniziative a cui diamo spazio o alle quali partecipiamo come la Marcia per la Vita, i Family Day, le nostre attività contro la maternità surrogata, contro l’educazione obbligatoria del gender nelle scuole e altre ancora. Riceviamo donazioni continuative o legate alla singola campagna, per le varie attività di tipo culturale, sociale, legislativo o giuridico che portiamo avanti. Perciò non possiamo assegnare un ammontare alla rivista perchè la stessa è solo un veicolo di informazione, come lo è il nostro sito»
Il libro sulla famiglia
Notizie Pro Vita è stata editore – come segnala Amazon – del libro The attack on the family and the european response: l’introduzione è di Roberto Fiore, lo sponsor è l’Alliance for Peace and Freedom (Apf), cioè la formazione di cui è presidente Roberto Fiore e vicepresidente Nick Griffin, l’europarlamentare inglese di estrema destra (già condannato per odio razziale) che proprio con Fiore negli anni ’80 ha fondato «Terza Posizione Internazionale».
Apf ha ricevuto a 600 mila euro dal Parlamento europeo e si distingue per le posizioni oltranziste in maniera di aborto e «gender».
Quali sono i rapporti tra Pro Vita e Apf? Brandi dichiara: «Il rapporto tra noi e la Apf è solo ed esclusivamente legato al contenuto di una loro occasionale pubblicazione sulla famiglia, contenuto realizzato da un nostro redattore».
Il documentario russo
Brandi e i Fiore compaiono infine in un documentario russo fortemente anti-gay (in Canada è stato bandito), Sodom, in cui si racconta l’impegno di una «famiglia numerosa», «naturale» e «cristiana« italiana che partecipa alla marcia per la vita e contro «la sodomia che ha invaso il mondo». Gli autori non lo esplicitano (espongono solo il nome della signora ripresa, Esmeralda Burgos «e di suo marito Roberto») ma è la famiglia di Roberto Fiore composta da undici figli (tra i quali Alessandro, portavoce e capo-redattore di Notizie ProVita).
«Siti complottistici»
Brandi nega su tutta la linea e il portavoce di Pro Vita Alessandro Fiore si limita a parlare di «informazioni presenti su siti piuttosto complottistici» e «inattendibili» ma le prove dei rapporti tra Pro Vita e Forza Nuova sono molte.
Anche se l’associazione è formalmente «solo» una onlus che chiede (e ottiene) fondi e donazioni con il 5 per mille.
(da “L’Espresso”)
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Luglio 10th, 2017 Riccardo Fucile
CONDANNATI PER APPROPRIAZIONE INDEBITA PER LE SPESE PERSONALI CON I SOLDI DELLA LEGA: 500.000 EURO SOTTRATTI DA BELSITO, 208.000 DA UMBERTO BOSSI, 145.000 DA RENZO BOSSI
Umberto Bossi, il figlio Renzo e l’ex tesoriere del Carroccio Francesco Belsito sono stati condannati a Milano per appropriazione indebita per aver usato i fondi del partito per spese personali.
Il Senatur fondatore della Lega, è stato condannato a 2 anni e 3 mesi, un anno e 6 mesi per ‘il Trota’, 2 anni e 6 mesi per l’ex tesoriere.
L’altro figlio di Bossi, Riccardo, era già stato condannato in abbreviato a un anno e otto mesi (per circa 158 mila euro di fondi sottratti dai conti del Carroccio). “Me l’aspettavo. Ma non ho nulla da rimproverarmi. E’ solo il primo grado, andiamo avanti”, questo il commento di Bossi jr. “Sentenza ingiusta”, ha detto Belsito.
La decisione del giudice Maria Luisa Balzarotti è arrivata nel processo The Family, così ribattezzato per il nome scritto sulla cartella di documenti sequestrata allora a Belsito in cui comparivano quelle che sono state giudicate spese private della famiglia Bossi pagate però con i soldi del Carroccio arrivati anche dai rimborsi elettorali.
La tesi della procura è che per Bossi “sostenere i costi della sua famiglia” con il patrimonio della Lega è stato “un modo di agire consolidato e concordato”.
Stando alle indagini, tra il 2009 e il 2011, l’ex tesoriere della Lega si sarebbe appropriato di circa mezzo milione di euro, mentre l’ex leader del Carroccio avrebbe speso con i fondi del partito oltre 208mila euro.
A Renzo sono stati addebitati, invece, più di 145mila euro, tra cui migliaia di euro in multe, tremila euro di assicurazione auto, 48mila euro per comprare una macchina (un’Audi A6) e 77mila euro per la “laurea albanese”.
“Ho saputo della mia laurea in Albania solo dopo questa indagine”, aveva detto in aula il ragazzo lo scorso luglio testimoniando in aula.
“La Lega non ha mai pagato le mie multe nè la laurea in Albania dove non sono mai stato”, ha ribadito oggi il ragazzo.
“Ho creduto nel progetto del partito fino in fondo – ha aggiunto – sono stato assolto da una parte delle accuse e dopo cinque anni non ci sono ancora le prove che io abbia preso i soldi”.
Uno dei difensori di Bossi padre, Marcello Gallo, aveva chiesto al tribunale di sollevare davanti alla Consulta “la questione di legittimità costituzionale della disciplina dell’appropriazione indebita” perchè, in sostanza la norma, violerebbe il principio di ragionevolezza in quanto punisce la condotta di “appropriazione di cose comuni” – come è stata da lui inquadrato l’operato degli imputati – mentre reati più gravi come l’appropriazione di oggetti smarriti o di beni avuti per errore sono stati depenalizzati.
Il pm Paolo Filippini aveva chiesto proprio 2 anni e 3 mesi per l’ex leader della Lega, 1 anno e mezzo per Renzo e 2 anni e mezzo per Belsito.
(da agenzie)
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Luglio 10th, 2017 Riccardo Fucile
ILARIA: “PROCESSO A CHI SI E’ NASCOSTO DIETRO ALLA DIVISA”
Il gup del Tribunale di Roma Cinzia Parasporo ha disposto il rinvio a giudizio dei cinque carabinieri imputati nell’ambito dell’inchiesta bis sulla morte di Stefano Cucchi, il geometra romano deceduto nell’ottobre 2009 a Roma una settimana dopo il suo arresto per droga.
Per i tre militari che lo arrestarono, l’accusa contestata dalla procura è quella di omicidio preterintenzionale, mentre altri due appartenenti all’Arma sono accusati di calunnia e falso. Il processo comincerà il prossimo 13 ottobre davanti alla III Corte d’Assise.
I carabinieri Alessio Di Bernardo, Raffaele D’Alessandro e Francesco Tedesco dovranno rispondere in giudizio dell’accusa di omicidio preterintenzionale (in quanto ritenuti autori del pestaggio subito da Stefano Cucchi).
In più, il maresciallo Roberto Mandolini, comandante interinale della stazione di Roma Appia, risponderà di calunnia e falso, lo stesso Tedesco e Vincenzo Nicolardi di calunnia nei confronti di tre agenti della penitenziaria che furono processati per questa vicenda e poi assolti in maniera definitiva.
Il gup ha dichiarato il non doversi procedere per intervenuta prescrizione con riferimento all’imputazione di abuso di autorità contestata a Di Bernando, D’Alessandro e Tedesco.
“Finalmente i responsabili della morte di mio fratello, le stesse persone che per otto anni si sono nascoste dietro le loro divise, saranno chiamati a rispondere di quanto commesso”, ha commentato la sorella di Stefano, Ilaria Cucchi, dopo la decisione del rinvio a giudizio per i cinque carabinieri accusati della morte del fratello.
(da agenzie)
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Luglio 10th, 2017 Riccardo Fucile
ETA’ MEDIA E’ 60 ANNI, IL 63,8% VIVE AL CENTRO-SUD… UNA SU DIECI IN POVERTA’ ASSOLUTA
Nel 2016 l’Italia conta 7 milioni 338 mila donne che si dichiarano casalinghe, 518 mila in meno rispetto a 10 anni fa. La loro età media è 60 anni.
Lo comunica l’Istat nel report “Le casalinghe in Italia”.
Le ultra 65enni superano i 3 milioni e rappresentano il 40,9% del totale, quelle più giovani (fino a 34 anni) sono meno di una su dieci, l’8,5%. Le casalinghe vivono prevalentemente nel Centro-Sud (63,8%).
Le casalinghe in Italia lavorano duramente: quasi 49 ore a settimana, in media 2.539 ore l’anno, senza considerare ferie, più di molti lavoratori occupati al di fuori delle mura domestiche.
L’Istat calcola che le donne effettuano complessivamente 50 miliardi e 694 milioni delle ore di produzione familiare l’anno (il 71% del totale) e che le casalinghe, con 20 miliardi e 349 milioni di ore, sono i soggetti che contribuiscono maggiormente a questa forma di produzione.
La loro condizione economica non è buona: nel 2015 sono più di 700 mila le casalinghe in povertà assoluta, il 9,3% del totale.
Quasi una su dieci, in sostanza, non possiede un reddito sufficiente a garantirsi l’acquisto di un paniere di beni e servizi essenziali per una vita dignitosa.
Quasi la metà (47,4%) afferma che le risorse economiche della famiglia sono scarse o insufficienti, tra le occupate la quota scende al 30,8%, pur essendo rilevante. Le casalinghe con i livelli più alti di povertà assoluta sono le più giovani. Le anziane presentano i valori più bassi (4,8%).
Solo il 37,7% delle casalinghe possiede il bancomat e/o la carta di credito. La situazione migliora per le casalinghe laureate (75%), per quelle che risiedono al nord (52,3%) e per le fascia di età da 45 a 54 anni (46,5%).
Focalizzando l’attenzione sulle casalinghe che vivono in coppia emerge che soltanto il 38,9% possiede il bancomat e/o la carta di credito.
Quasi un terzo non ne dispone pur possedendolo il partner. Il 27,5% ne è sprovvisto come il partner.
La situazione migliora per le casalinghe con partner dirigente, imprenditore o libero professionista, queste dispongono di un proprio bancomat e/o la carta di credito nel 71% del totale e anche nel caso in cui il partner è quadro o impiegato la percentuale tocca il 55,9%.
Il 74,5% delle casalinghe possiede al massimo la licenza di scuola media inferiore. Nel 2012 solo l’8,8% ha frequentato corsi di formazione, quota che sale di poco tra le giovani di 18-34 anni (12,9%).
Poco più della metà non ha mai svolto attività lavorativa retribuita nel corso della vita. Il motivo principale per cui le casalinghe di 15-34 anni non cercano un lavoro retribuito è familiare nel 73% dei casi. Sono 600 mila le casalinghe scoraggiate che pensano di non poter trovare un lavoro.
(da “Huffingtonpost”)
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Luglio 10th, 2017 Riccardo Fucile
IL PERICOLO ALLA SICUREZZA DELLO STATO OGGI STA NEL RAZZISMO, DIFFUSO A DESTRA E SINISTRA… PER FARE APOLOGIA DI FASCISMO BISOGNEREBBE ALMENO CONOSCERLO CONCETTUALMENTE E DISTINGUERE LE VARIE FASI, CI SONO TROPPI COGLIONI IN GIRO… SE SI ESTRAPOLANO FATTI E PERIODI NON SI SALVA NE’ IL COMUNISMO NE’ IL CAPITALISMO
Nel Paese dove ogni giorno andrebbero perseguite migliaia di persone, politici compresi, per istigazione all’odio razziale, quel buontempone di Fiano ha pensato bene di presentare una proposta di legge per inasprire le pene sull’apologia di fascismo.
Che sia uno spot lo dimostra il fatto che le pene previste sono ridicole, ben al di sotto della “condizionale”, in pratica in galera non ci finirebbe nessuno, come per chi istiga all’odio razziale. Fiano poi vorrebbe perseguire quella fauna eterogea che, senza aver mai letto un libro o approfondito un tema storico o filosofico, riducono una periodo storico a forme di esibizionismo da giardinetti. Discorso che vale per fa il pugno chiuso o il saluto romano solo per moda o imitazione estemporanea, senza aver capito una mazza del fascismo o del marxismo.
Pratica in uso tra gli ultras del calcio, tanto per fare un esempio, o tra i complessati del web per sentirsi meno sfigati.
Da tempo suggeriamo per certi casi senza speranza, più che la repressione legislativa, una adeguata cura sanitaria obbligatoria.
Se volessimo seguire Fiano nel suo ragionamento, ovvero quello di evidenziare gli aspetti negativi di un regime, ci dovremmo chiedere per quale ragione dovrebbe essere consentita l’apologia di Stalin, di Lenin, di Mao, di tanti regimi militari “comunisti” che quanto ad assassini di massa non sono stati secondi a nessuno.
Senza dimenticare, a tanti amici del “capitalismo”, i genocidi, lo sfruttamento e le morti sul lavoro, i crimini coloniali, le “bombe intelligenti”, l’appoggio ai regimi militari assassini di cui è stato mandante ed esecutore il liberismo a stelle e strisce o certe “democrazie” europeo a cavallo del ‘900.
Insomma, se vogliamo andare a fondo, ce ne sarebbe per tutti e non si salverebbe nessuno.
I problemi oggi sono altri.
Il primo, diciamo più a uso interno, è che per fare apologia di fascismo bisognerebbe conoscere a fondo l’oggetto della apologia.
Il fascismo delle origini, degli anni del consenso, delle grandi riforme sociali, rivalutato da storici anche antifascisti, non può essere archiviato come spazzatura o utiizzato da analfabeti politici per farsi un saluto romano fine a se stesso.
Ci sono fascisti “concettuali” che sanno distinguere pregi e difetti, collegandolo a una fase storica dell ‘Europa, e fasci da avanspettacolo che sembrano al servizio della propaganda avversa, riproducendolo come macchiettistico, violento e razzista, estrapolando proprio quelle forme con cui altri hanno interesse a dipingerlo.
Poichè nel 2017 la scelta del confronto democratico appare condiviso da tutti e non circolano certo golpisti, ci si dovrebbe chiedere dove sta il pericolo reale alla sicurezza dello Stato, quello per cui anche una democrazia deve porre paletti rigidi al proliferare di teorie destabilizzanti.
La risposta è chiara: nel dilagare del razzismo, dell’istigazione all’odio razziale camuffata da slogan del tipo “prima gli italiani”.
Una minoranza che, facendo leva sulla paura, sta minando le fondamenta della comunità nazionale, grazie anche all’impunità di cui gode su web e alla latitanza degli organi giudiziari statuali.
Occorre inasprire la legge Mancino limitatamente ai reati a sfondo razzista, equiparandoli a reati contro la sicurezza dello Stato, prevendendo pene minime a tre anni di carcere (dove la condizionale non scatta) e alla perdita dela patria potestà per i casi più gravi e a sanzioni pecuniarie di almeno 50.000 euro per quelli meno gravi.
La democrazia non è certo minata dalle ideologie del passato (che vanno tutte analizzate storicamente), ma da chi distingue e discrimina le persone in base alla provenienza, al colore della pelle e al credo religioso.
Su questo terreno i partiti non prendono posizione per meri interessi di bottega, contano i voti, non gli esseri umani e l’etica politica.
Ben vengano se, per ottenerli, bisogna fomentare l’odio e contrapporre le fazioni.
Ma una democrazia fondata sull’odio non è certo meglio dei regimi autoritari che a parole dice di voler combattere.
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Luglio 10th, 2017 Riccardo Fucile
DOV’ERA SALVINI NEL 2003 QUANDO LA LEGA NON DICEVA UNA PAROLA SUL REGOLAMENTO DI DUBLINO?
Periodicamente in Italia i politici amano dare le colpe della cattiva gestione dei fenomeni migratori al regolamento di Dublino.
Lo hanno fatto tutti: dal MoVimento 5 Stelle alla Lega Nord passando per il Partito Democratico.
Tutti chiedono una “revisione del regolamento di Dublino” o un “superamento di Dublino III”. Nei fatti questi appelli si traducono in una sola proposta: modificare il passaggio dove il regolamento prevede che la richiesta d’asilo debba essere inoltrata nel paese di arrivo del migrante.
Chi ha ratificato il regolamento di Dublino?
L’attuale versione del regolamento di Dublino (Dublino III) è stata sottoscritta dal governo italiano nel 2013, quando il Presidente del Consiglio era Enrico Letta.
Ma è l’accordo di Dublino II (ratificato dal nostro Paese nel 2003) che ha reso operativo il regolamento sulla gestione dei meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda d’asilo presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo.
Il regolamento di Dublino II trasformò e rese operativa la Convenzione di Dublino (detta appunto Dublino I) che risale al 1990 e che fu ratificata nel 1997.
Non risulta che nel 2003 la Lega abbia chiesto di modificare quella parte del trattato che regolava la gestione delle richieste d’asilo.
Se ne deduce che alla Lega Nord le cose andassero bene così.
Nella versione attualmente in vigore, quella del 2013, quella parte (l’articolo 13 nella fattispecie) non è stata modificata.
La Convenzione di Dublino è stata sottoscritta dall’Italia durante uno dei tanti governi Andreotti, ma la prima versione del regolamento, quella che è stata approvata dal governo Berlusconi dove c’era anche la Lega è quella che ha reso operativi gli accordi.
C’è inoltre da rilevare che nel 2011, l’anno della guerra il Libia che ha spostato gli “equilibri” dei flussi migratori l’allora ministro degli Interni Roberto Maroni affermava in Parlamento che avrebbe chiesto alle Regioni, alle province e ai comuni di farsi carico dell’accoglienza dei rifugiati
Disse Maroni alla Camera il 30 marzo 2011: «Ho proposto loro un piano per la distribuzione equa, in tutte le regioni, con la sola esclusione dell’Abruzzo per i soliti motivi, dei rifugiati, con un criterio molto semplice, ossia in base al numero degli abitanti, alla popolazione».
Questo sistema di distribuzione equa è sostanzialmente lo stesso che oggi tanti sindaci leghisti contestano.
Vale la pena di far notare che è impossibile che Maroni non fosse a conoscenza di quello che succedeva in Libia prima della guerra. I libici si erano infatti impegnati a trattenere quanti più migranti possibili. Il trattenimento, per così dire, avveniva in veri e propri campi di concentramento dove i migranti erano costretti a vivere in condizioni disumane.
È più di un decennio che l’Italia è a conoscenza del fatto che a sud delle proprie coste c’è “un problema”. Ma i governi — soprattutto quelli di centrodestra — hanno deciso di affrontarlo con provvedimenti come il reato di clandestinità (che è ancora in vigore) oppure emanando dei decreti sui flussi migratori che di fatto rendevano impossibile l’ingresso di migranti cosiddetti economici. Già , proprio loro.
Perchè il regolamento di Dublino riguarda solo i richiedenti asilo e non tutti gli altri immigrati.
Il problema è — come ha spiegato Emma Bonino qualche giorno fa — che se a causa della Bossi-Fini non è possibile entrare in Italia legalmente l’unico modo per farlo è clandestinamente. Oppure facendo richiesta d’asilo.
Ed è questo uno dei motivi per cui i centri di identificazione solo al collasso: cercare di ottenere lo status di rifugiato è l’unico modo per poter entrare in Italia e quindi in Europa.
Non che il PD sia esente da colpe: quando nel 2013 l’UE mise in atto una revisione del regolamento era evidente che lo scenario migratorio, dopo il collasso della Libia e l’esplosione della guerra civile in Siria, era mutato.
Ma nulla è stato fatto per cambiare quell’articolo sulla competenza per l’esame della domanda di protezione internazionale.
Fermo restando che non è solo il regolamento di Dublino a tutelare i richiedenti asilo. Ma perchè ora l’Italia non chiede e ottiene di cambiare il regolamento?
C’è una questione del quale la Lega e il MoVimento 5 Stelle sono particolarmente restii a parlare. Riguarda la tanto agognata e sbandierata sovranità .
Ci sono materie nell’Unione Europea che i governi hanno scelto di “tenere per sè”. Due di queste sono la gestione dei confini esterni (non quelli intraeuropei) e dei flussi migratori.
La conseguenza di questa scelta è che le decisioni su questi argomenti in Europa vanno prese a maggioranza.
E indovinate cosa succede se un paese chiede una cosa ma tutti gli altri e ventisei sono contrari? Esatto. Chi chiede che l’Europa faccia la sua parte ha ragione, perchè in fondo i confini Italiani sono anche i confini europei. Ma deve fare attenzione a cosa desidera: perchè “più europa” significa anche “meno sovranità ”.
Ed è qui l’inghippo dove cadono le argomentazioni di Movimento 5 Stelle e Lega Nord, che vorrebbero più Europa senza rinunciare alla sovranità nazionale.
Ed è per questo che su queste basi “superare Dublino” è molto difficile.
Ai politici italiani è mancata la lungimiranza di capire come si sarebbe potuto evolvere il problema. Al governo abbiamo avuto gente che evidentemente credeva che Gheddafi sarebbe durato per sempre.
Ma varie volte Gheddafi per ottenere finanziamenti minacciò di “aprire le porte”, chissà cosa voleva dire vero?
A questo bisogna aggiungere che per la Lega Nord lasciare così com’è il problema dell’immigrazione è sempre stato conveniente. Altrimenti non avrebbe potuto continuare a fare propaganda elettorale sugli immigrati, come fa da vent’anni a questa parte.
(da “NextQuotidiano”)
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