Luglio 15th, 2017 Riccardo Fucile
IN UN ALTRO PAESE NE AVREBBERO FATTO UN LUOGO DELLA MEMORIA, A GENOVA SE NE FOTTE PURE LA GIUNTA DI CENTRODESTRA CON UN VICESINDACO DI FDI… LA MELONI INVECE DI PORTARE UNA CORONA NELLA CASA SBAGLIATA DIA LA SVEGLIA ALLA SUA CONFRATERNITA GENOVESE
I cartelli «Vendesi» sono almeno quattro.
Uno sul portone, un altro sulla finestra del secondo piano, il terzo alla finestra del quarto piano e l’ultimo sulla facciata laterale.
Siamo in piazza San Bernardo, nei carruggi di Genova. Sono tanti gli appartamenti in vendita in queste strade buie e strette: non ci sarebbe nulla di particolare da raccontare se i cartelli «Vendesi» non si trovassero sul palazzo dove nacque Goffredo Mameli, proprio quello di «Fratelli d’Italia».
I locali dove nacque l’autore delle parole dell’inno nazionale dovrebbero essere ricercati, ambiti, già andati al miglior offerente dopo una gara al rialzo rispetto al prezzo iniziale.
Invece, dei due appartamenti in offerta, dopo sei mesi il più economico ha due persone interessate, ma per il momento non hanno concluso nulla anche se si tratta di 119 mila euro trattabili per 65 metri quadrati in pieno centro storico di Genova.
Il più prestigioso non ha ricevuto nemmeno una proposta. «Nessuno ancora si è fatto avanti», spiega la signora che risponde al numero indicato sul cartello.
Eppure, anche in questo caso, il prezzo non è esagerato: l’agenzia immobiliare chiede 165 mila euro per 110 metri quadrati.
Il palazzo e l’interno dell’appartamento sarebbero da ristrutturare, ma si tratta comunque della casa dove nacque Mameli, lo conferma anche una targa, unico elemento solenne dell’intero edificio.
Oltre a dover avere decine di estimatori in fila per assicurarsi una proprietà con le radici nella storia d’Italia, dovrebbe essere messa in vendita a un prezzo più elevato. Invece, disinteresse totale.
Persino l’agenzia immobiliare deve aver considerato una perdita di tempo fare leva sul fascino patriottico del luogo: negli annunci Mameli non è mai citato.
Fratelli d’Italia, l’Italia s’è desta, ma si è anche dimenticata di Goffredo Mameli. Autore delle parole dell’inno nazionale, capitano nell’esercito di Garibaldi, combattente al fianco di Nino Bixio, un padre della patria senza neanche un museo in giro per l’Italia, soltanto alcuni busti e qualche lapide. Anche sbagliata, per di più.
Fatta l’Italia, non soltanto non si sono mai fatti davvero gli italiani, ma il povero Mameli fu dimenticato quasi subito.
Nel 1876, sei anni dopo la breccia di Porta Pia che portò all’unione dell’intera penisola, si decise di onorarlo con una degna lapide di marmo sulla sua casa di Genova.
Almeno in quell’epoca la memoria avrebbe dovuto essere ancora ben viva: se non fosse stato ucciso a Roma dalle truppe francesi, Mameli non avrebbe avuto ancora cinquant’anni.
Ma qualcosa si era già persa: sulla lapide di marmo era scritto «in queste case ebbe nascita e dimora», però non fu posta sulla facciata del palazzo dove Mameli nacque in piazza San Bernardo, ma alcune decine di metri più in là , in largo Sanguineti, su un edificio in cui abitò soltanto per alcuni anni.
Qualcuno alla fine si rese conto della gaffe, si provò a correre ai ripari. Però il marmo è impietoso con gli errori: le parole di troppo furono raschiate via, ma il segno della modifica rimarrà per sempre.
Nemmeno questo bastò a chiarire una volta per tutte la mappa dei luoghi della breve vita di Mameli a Genova.
Ancora quest’anno, Giorgia Meloni ha suscitato uno dei momenti di maggiore ilarità nella movimentata campagna elettorale genovese, andando a rendere omaggio all’autore dell’inno nazionale, finendo sotto la solita l’abitazione dove visse e non dove nacque.
Mameli eroe delle gaffes e dell’indifferenza. Negli anni Sessanta a nessuno venne in mente di considerare un piccolo monumento il luogo dove compose le parole dell’inno.
Secondo quanto si dice, lo scrisse negli scantinati dell’edificio dove nacque in piazza San Bernardo. «Gli scantinati? Sono stati distrutti durante una ristrutturazione», racconta la signora Anna, una delle inquiline del palazzo che si trova accanto a quello di Mameli.
Pensate che in largo Sanguineti, dove visse, vada meglio?
Li, oltre alla lapide sbagliata si vede una corona ormai secca e una lampada. «La corona sarà quella portata da Giorgia Meloni, la lampada l’abbiamo messa noi del condominio», spiegano i titolari dell’ufficio di spedizioni proprietari da venti anni dell’appartamento di Mameli.
Comunque, sia chiaro, a noi l’inno non piace, precisano: «L’Italia merita di meglio di una marcetta».
(da “La Stampa”)
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Luglio 15th, 2017 Riccardo Fucile
OLTRE 1300 DI LORO IMPEGNATI COME VOLONTARI: PULISCONO STRADE, SISTEMANO PARCHI, IMPARANO UN MESTIERE
Migranti al fianco dei lavoratori di Amiu per pulire le strade, come propone la giunta Bucci? Già fatto, non è certo una novità .
Dei circa 2.600 richiedenti asilo ospitati a Genova, circa il 50% è quotidianamente impegnato in lavori di pubblica utilità .
Per i profughi assistititi dai progetti Sprar (Sistema di protezione dei rifugiati e richiedenti asilo) anzi è la regola: se non c’è lavoro, non c’è integrazione e quindi permesso di soggiorno (volendo semplificare).
Per i migranti ospiti dei Centri di accoglienza straordinaria (Cas) il lavoro non è obbligatorio, ma una buona metà sceglie di aderire alle offerte delle associazioni che gestiscono i Cas.
La Croce Bianca gestisce 27 Cas tra Genova, Mignanego, Ronco Scrivia, Casella, Bogliasco e Cogoleto. I migranti assistiti sono circa 200 e quasi il 50% di loro ha scelto di lavorare, anche prima di ottenere il primo permesso di soggiorno, il cosiddetto C3.
«Per questo passaggio, in Liguria servono dai 6 agli 8 mesi. Ma i migranti che ospitiamo noi, generalmente, lavorano anche prima e sono contenti di farlo perchè si sentono parte di un progetto» spiega Walter Carrubba.
Per la legge, i migranti ospiti dei Cas possono lavorare solo trascorsi 60 giorni dall’ottenimento del primo permesso di soggiorno, ma la Croce Bianca ha aggirato l’ostacolo del decreto Minniti: «Li associamo e possono fare attività di volontariato con noi» dice.
E così si spiegano i 19 richiedenti asilo che a Cogoleto sono a disposizione del Comune, i 6 di Bogliasco e i 7 di Busalla, i 6 che a Ronco Scrivia vengono impegnati dall’amministrazione comunale e le 2 giovani che lavorano nella biblioteca del Comune. O i 26 profughi che quotidianamente si presentano al cimitero di Staglieno «dove imparano mestieri che saranno utili per la loro integrazione.
E ancora le pattuglie di giovani (e meno) che fanno manutenzione nei giardini di piazza Palermo, i Govi di corso Italia, piazza Da Novi, piazza Rossetti, e quelli che collaborano con il Municipio Medio Levante.
O, ancora, le 7 ragazze che stanno imparando le riparazioni sartoriali e i 15 che negli orti collettivi stanno seguendo un corso sullo scivolamento della collina.
«Questi giovani un domani saranno il punto di riferimento degli altri – prosegue Carrubba – Per loro è fondamentale imparare il rispetto delle regole e degli orari, seguono corsi base per la sicurezza sul lavoro e imparano un mestiere. Tutto questo fa curriculum».
(da “il Secolo XIX”)
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Luglio 15th, 2017 Riccardo Fucile
IL PROBLEMA E’ POLITICO, I PROFUGHI VOGLIONO RAGGIUNGERE ALTRI PAESI, IN MOLTI CASI HANNO PARENTI, IL GOVERNO SA FARE LA VOCE GROSSA SOLO CON LE ONG
Era stato pubblicizzato come un grande passo in avanti, sulla strada che avrebbe portato all’estinzione dei conflitti tra Stato centrale e autorità locali nella distribuzione dei migranti sul territorio nazionale.
E invece, l’accordo dello scorso dicembre tra l’Anci e il ministero dell’Interno per la distribuzione sui comuni del territorio italiano dei migranti che sbarcano sulle nostre coste, si sta rivelando un drammatico flop.
A parlare in maniera eloquente sono i casi che nelle ultime ore si stanno aggiungendo a quelli delle settimane scorse, di vere e proprie rivolte di amministrazioni comunali nei confronti delle decisioni di prefetti, di utilizzare strutture ricettive (per lo più turistiche) per la sistemazione dei richiedenti asilo.
Da quando l’arrivo dell’estate ha fatto ripartire in massa le imbarcazioni cariche di migranti verso le coste italiane, si contano già a decine gli episodi di intolleranza a livello locale: a fare rumore, oggi, è stato soprattutto il caso di Castell’Umberto, comune del messinese, dove il sindaco Lionetto Civa è arrivato a lanciare un appello tra i cittadini per impedire non solo l’accesso dei migranti, ma anche l’arrivo in zona di un gruppo elettrogeno che avrebbe consentito l’abitabilità della struttura prescelta, da tempo in disuso.
Il primo cittadino del centro siciliano, ha motivato la propria energica contrarietà con il poco preavviso fornito dalla prefettura, e con l’inadeguatezza della struttura ad accogliere migranti, nella fattispecie 50 minorenni.
Questi ultimi, fanno parte dei 203 minori giunti stamani con i 1500 arrivi tra Puglia e Calabria, che hanno portato, se possibile, l’emergenza a un livello ancor più esplosivo di prima, portando a ben 7000 gli arrivi solo di questo fine settimana.
Ma l’atmosfera che si respira a Castell’Umberto non è un fatto isolato, perchè anche a San Salvo, in provincia di Chieti, i sindaci dell’area e i cittadini si sono concentrati di fronte a una struttura individuata dalla prefettura per l’accoglienza, assumendo lo stesso atteggiamento dei colleghi siciliani, che hanno indossato la fascia tricolore mentre “picchettavano” le strutture alberghiere.
Non fa eccezione Pistoia, dove la protesta del sindaco Alessandro Tommasi e dei cittadini si è concentrata davanti alla Prefettura, mentre rischia di esplodere, a livello politico, il caso di Civitavecchia, dove il ministero dell’Interno avrebbe intenzione di costituire un nuovo hotspot in un molo di uno dei principali porti turistici italiani.
Il tutto, mentre i sindaci che si trovano in prima linea, come quello di Corigliano Calabro, che ha ricevuto 923 migranti in una volta solo con l’arrivo della nave tedesca Rhin, faticano sempre di più a celare il proprio malcontento di fronte a una situazione oramai ingestibile, nonostante gli appelli del sindaco di Bari e presidente dell’Anci Enzo Decaro, che invoca l'”aiuto di tutti”.
Proprio Decaro, più di sei mesi fa, aveva espresso grande soddisfazione per l’accordo col Viminale, che prevedeva degli incentivi per i comuni che avessero ospitato, su base volontaria, sul proprio territorio dei richiedenti asilo, oltre alla garanzia di non avere ulteriori arrivi e di mantenere un rapporto di 2,5 migranti ogni mille abitanti.
Inoltre, l’accordo prevedeva che i prefetti dovessero informare preventivamente i sindaci sulla scelta delle strutture di accoglienza.
Evidentemente, nemmeno il prospetto di condizioni favorevoli e di incentivi ha spinto i sindaci ad aderire, col risultato che i prefetti, di fronte all’emergenza, non hanno potuto che agire unilateralmente, come spiega all’Huffpost Roberto Pella, vicepresidente e responsabile piccoli comuni dell’Anci: “L’accordo prevede che un comune sia iscritto allo Sprar (il sistema di protezione per i richiedenti asilo e rifugiati, ndr), quindi se un comune non è iscritto non rientra negli incentivi, ma detto questo c’è un problema di buonsenso da parte dei prefetti, perchè non si può arrivare a una situazione dove non si tiene conto della popolazione e delle autorità locali, senza alcuna collaborazione tra i vari livelli istituzionali e con dei carichi nettamente superiori al rapporto individuato dall’accordo, che era un buon accordo, ma che non sta dando i risultati che ci aspettavamo, anche perchè credo che i numeri che erano stati previsti erano minori, forse addirittura della metà , di quelli a cui ci troviamo di fronte”.
Alcuni punti vanno ricordati:
1) Nel momento in cui uno Stato stabilisce una quota di 2,5 richiedenti asilo per 1000 abitanti, non può permettere che solo 2800 su oltre 8000 comuni accettino di accoglierli. Sono anni che ci sono comuni medi che non ottemperano a questa norma, se qualche sindaco fosse stato commissariato a tempo debito, come prevede la legge, sarebbe finita la moda .
2) L’Italia è un paese civile e potrebbe far sbarcare anche 300.000 profughi all’anno a una condizione: che venissero ripartiti tra i 27 Stati europei. Molti di questi profughi hanno parenti all’estero che potrebbero prenderli in carico, quindi vietargli di raggiungerli è solo un’infamia. Il governo italiano pensa di risolvere il problema bloccando le Ong e dando soldi ai libici (che prendono tangenti da chi si imbarca), ma non fa nulla per mettere spalle al muro gli Stati canaglia europei che dalla Ue pretendono solo diritti senza assolvere mai a un dovere.
3) Lo ripetiamo, l’Italia deve bloccare i finanziamenti all’Unione europea da subito: 5 miliardi l’anno costa salvare esseri umani, da domani 5 miliardi in meno agli assassini che stanno a Bruxelles.
4) Ai profughi va chiesto se vogliono rimanere in Italia o meno. Chi dice sì ( si parla del 10%) seguirà l’iter previsto con tutti i crismi della legalità (compreso i tre gradi di appello). Chi dice no va accompagnato ai confini di Francia, Svizzera, Austria e Slovenia e lasciato libero di tentare di raggiungere la meta che vogliono. Nessuno potrà essere rimandato in Italia, tanto per capirci, a costo di spianare i mitra alla gendarmerie a Ventimiglia. Siamo arrivati al punto che i francesi ci mandano indietro i minori, violando la legge vigente . Ora basta (lo dice persino Di Maio)
5) Non devono più essere ammessi blocchi stradali, manifestazioni razziste e simili, istigazioni all’odio razziale, passerelle di razzisti sui media. Esiste un codice penale, basta applicarlo.
6) Occorre un intervento armato Onu per creare un corridoio umanitario in Africa, dove selezionare gli aventi diritto a protezione umanitaria. A quel punto chi ha diritto va portato in Europa secondo quote stabilite con navi regolari, altre forme a quel punto non avrebbero più diritto all’accoglienza.
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Luglio 15th, 2017 Riccardo Fucile
TRA FESTE E FREDDURE, IL CAV E’ GIA’ IN CAMPAGNA ELETTORALE
Giovedì sera, per gli 80 anni dello scrittore Roberto Gervaso, l’afa in via Margutta era tale che perfino il festeggiato si è tolto la giacca, e pure la cravatta, così tutti gli ospiti benchè fossero diplomatici, imprenditori e mezzibusti tivù.
Tutti, tranne uno: Silvio Berlusconi. E’ rimasto in doppiopetto, ligio alla sua personalissima idea di decoro, costringendo il povero Maurizio Gasparri a imitarlo per solidarietà politica.
In compenso il Cav ha raggelato l’ambiente con una sfilza di freddure. «Adesso vi racconto quella del tale che domanda all’amico: “Tua moglie come fa all’amore?”. E l’altro: “Dipende, qualcuno sostiene che lo fa bene, secondo altri lo fa male…”». Brivido lungo la schiena dei commensali . Risate di circostanza.
«Allora sentite quest’altra: “Ma a tua moglie, sempre dopo aver fatto all’amore, tu che cosa dici?”. “Se ho tempo la chiamo al telefono e “cara, torno tra dieci minuti”».
In fondo, così ridevano i “cumènda” nell’Italia di una volta, e Silvio rimane di quella generazione.
Per esempio, gli piacerebbe far credere che sia ancora un vorticoso susseguirsi di feste eleganti («Scusatemi se mi vedete gli occhi stanchi, ma stanotte…») quando invece la fidanzata Francesca lo tiene al guinzaglio, e le uniche cene fisse sono quelle ad Arcore con gli animalisti e a Villa Gernetto con i giovani confindustriali del Centro studi sul pensiero liberale, guidati da Francesco Ferri.
È a questi due “think tank” che Berlusconi consegna in anticipo le sue intuizioni politiche affinchè vengano levigate e lucidate.
Dopodichè a metà settimana invita per pranzo a Roma i colonnelli di Forza Italia e a loro, come cavie, somministra quelle proposte in pillole per vedere l’effetto. L’altroieri, ad esempio, Berlusconi ha estratto dal cilindro tre nuovi grossi conigli, spiegando come la campagna elettorale sia dietro l’angolo e occorra far breccia nell’indifferenza con proposte in grado di sorprendere gli elettori.
La prima idea proposta al partito vuole risolvere il dramma dei giovani senza lavoro e quello degli anziani che sognano la pensione.
Fior di statistici, sociologi, studiosi ci si sono applicati, con diverse fortune, ma Silvio ha già trovato la soluzione per assumere magicamente in Italia mezzo milione di giovani: mandare a riposo altrettanti anziani senza le inutili complicazioni dell’«Ape» voluta dal governo, quella specie di mutuo che in caso di morte dovrebbero accollarsi gli eredi.
Via l’«Ape»; via le imposte su donazioni e successioni rimesse dalla sinistra «comunista» sui grandi patrimoni dopo che lui le aveva cancellate; via al bollo per la prima auto, personale o aziendale non fa differenza; e via soprattutto le tasse sulla prima casa.
Obiezione sollevata da un commensale: scusa, ma non erano state tolte praticamente tutte? «Eh no», ha risposto Silvio, «rimangono tante gabelle occulte».
Qualcuno gli ha segnalato che continuiamo a pagare la nettezza urbana e altri servizi forniti dai Comuni, e dunque anche qui bisogna dire basta (ne è nata una piccola discussione, con Gianni Letta incaricato di meglio approfondire).
Come trovare i soldi è un interrogativo sciocco, Berlusconi ci ha già pensato: stampando banconote.
E qui si torna al suo “pallino” delle «AM lire», in pratica una doppia moneta su cui il solo Renato Brunetta, con la competenza dell’economista, osa far presente che Draghi, la Banca d’Italia e i mercati non la prenderebbero bene.
Ma il Cav è lanciato, non lo fermi col bazooka. È convinto che con queste idee geniali vincerà senza nemmeno bisogno di Salvini, «prenderò il 40 per cento da solo» ha garantito da Gervaso, con Bruno Vespa seduto accanto come un fachiro sulle spine.
(da “La Stampa”)
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Luglio 15th, 2017 Riccardo Fucile
IL 69% INDICA DI MAIO COME PREMIER, IL 21% DI BATTISTA… DUE TERZI DI CHI ACCETTEREBBE UN’ALLEANZA PREFERISCE IL CENTRODESTRA, UN TERZO IL PD
Lo scorso anno, di questi tempi, il Movimento 5 Stelle prendeva il largo nei sondaggi sulle intenzioni di voto grazie alla conquista di Roma e Torino alle elezioni Comunali di giugno che avevano conferito al movimento un’immagine vincente e lo avevano accreditato come una possibile alternativa di governo.
Le Comunali di quest’anno secondo gli italiani hanno avuto un esito diverso: ha vinto il centrodestra mentre Pd e M5S ne sono usciti ammaccati e tutto ciò si è riflesso sugli orientamenti di voto nazionali.
I pentastellati si confermano una forza molto competitiva, costantemente alle prese con una testa a testa con il Pd, favorito anche dalla presenza di un centrodestra diviso, ma rispetto a un anno fa registrano un calo di oltre il 4%.
Le chance di vittoria del Movimento alle elezioni dividono le opinioni degli italiani: il 5% è convinto che vincerà sicuramente, il 34% lo ritiene probabile mentre il 53% è del parere che non vincerà .
I pronostici sono nettamente più favorevoli tra gli elettori pentastellati, anche se coloro che non hanno dubbi sulla vittoria rappresentano solo il 13% a cui si aggiunge una larga maggioranza (73%) di elettori moderatamente ottimisti.
Va osservato che tra gli elettorati avversari all’incirca un terzo ritiene probabile la loro vittoria.
Nel sondaggio abbiamo voluto verificare quale, tra i più noti esponenti del Movimento, sarebbe giudicato il migliore presidente del Consiglio nel caso di vittoria. Luigi Di Maio viene indicato dal 40%, seguito a molta distanza da Alessandro Di Battista (8%), Paola Taverna (2%) e Roberta Lombardi (1%).
Circa un intervistato su due, tuttavia, non si esprime in proposito.
Gli elettori M5S, in attesa delle consultazioni che si terranno in rete dopo l’estate, sembrano non avere dubbi: ad oggi Di Maio prevale su Di Battista 69% a 21%.
Da ultimo, il tema delle alleanze. Dato che gli orientamenti di voto attuali difficilmente fanno presagire il superamento della soglia del 40% si profila l’esigenza di un’alleanza post elettorale.
Con chi dovrebbe allearsi il Movimento per ottenere una maggioranza di governo?
Il 40% degli italiani ritiene che dovrebbe rimanere all’opposizione, il 17% con il Pd il 14% con i partiti sovranisti (Lega e FdI) e il 9% con l’intero centrodestra.
Tra i pentastellati sembra prevalere «una vocazione minoritaria»: il 69%, infatti, eviterebbe alleanze rimanendo all’opposizione; in subordine il 15% preferirebbe governare con i sovranisti, il 9% con il Pd e il 4% con tutto il centrodestra.
Tra gli altri elettorati dei principali partiti prevale nettamente l’ipotesi di un’ alleanza del M5S con il proprio partito: 56% tra i leghisti, 51% tra i dem e 49% tra quelli di Forza Italia.
Il M5S sta attraversando un passaggio delicato, non tanto per la flessione di consensi che, comunque, al momento non pregiudica la possibilità di vittoria, quanto per il possibile cambio di posizionamento da forza di opposizione a forza di governo.
È un passaggio che investe 3 aspetti: 1) Il rapporto con un elettorato molto trasversale, sia per provenienza politica sia per caratteristiche socio demografiche, portatore di domande e aspettative non sempre convergenti; la trasversalità può rappresentare un punto di forza per chi sta all’opposizione ma può tradursi in debolezza una volta al governo, per il rischio di scontentare una parte dei propri sostenitori. 2) Le capacità di governo: stando all’opposizione il derby tra onestà e competenza è tutto a favore della prima, ma in una prospettiva di responsabilità di governo l’estrema complessità dei temi da affrontare potrebbe far prevalere dubbi sulle attuali capacità del ceto dirigente. Inoltre il ricorso a personalità «esterne» con profilo tecnico non è privo di controindicazioni, perchè potrebbe indebolire la connotazione politica dell’esecutivo. 3) Le alleanze: fin dalle sue origini il Movimento è vissuto dai suoi sostenitori come unico, diverso dai partiti tradizionali, dotato di forti tratti distintivi (integrità , prossimità ai cittadini, capacità di innovazione), una sorta di Robin Hood della politica. Si tratta di un posizionamento che si è consolidato nel tempo anche a seguito dell’indisponibilità ad accordi con altre forze politiche su specifici temi.
Ne consegue che il possibile ricorso ad un’alleanza per poter governare il Paese fa registrare un ampio dissenso, probabilmente nel timore di una «contaminazione» con i partiti tradizionali e del ricorso a compromessi che stravolgerebbero l’immagine e la proposta del Movimento.
Nando Pagnoncelli
(da “Il Corriere della Sera”)
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Luglio 15th, 2017 Riccardo Fucile
CHI NON VOTA PIU’ PD SI RIFUGIA NELL’ASTENSIONE…NOTO: “LO ZOCCOLO DURO RENZIANO E’ DEL 22%, SI STA AVVICINANDO”… A SINISTRA DEL PD UNA ALTERNATIVA CREDIBILE POTREBBE ARRIVARE AL 12%, MA PER ORA NON C’E’
L’ultimo sondaggio di Ipr Marketing, realizzato tra lunedì e martedì su un campione di mille persone e pubblicato oggi dal Fatto Quotidiano, racconta di un elettorato “sempre più polverizzato”, come lo definisce il direttore dell’istituto, Antonio Noto.
La rilevazione ritrae un Partito Democratico che cala al 24 per cento, con Matteo Renzi che continua a perdere consenso.
Il M5S tiene, sospeso tra il 28 e il 29, ma che non è più alle vette di inizio anno.
E l’arcipelago rosso che in tutto vale attorno al 9 per cento, ma che può arrivare almeno a qualcosa in più.
“Chi lascia lo fa soprattutto in dissenso verso il segretario. A mio avviso, il Pd renziano può contare su uno zoccolo duro del 22 per cento. E quella cifra si avvicina pericolosamente”, dice Noto.
Ma è importante sottolineare che il 90% di chi lascia il Partito Democratico dichiara di non voler votare più alcun partito: questo significa che la galassia alla sinistra del PD non ha ancora quell’attrattiva che potrebbe portarla a diventare una forza con un peso elettorale importante.
Eppure l’obiettivo per la coalizione alla sinistra del Partito Democratico, sempre secondo IPR Marketing, potrebbe essere un lusinghiero 10-12%.
I 5 Stelle invece mantengono stabile la loro percentuale di voti ma sono lontani dai sondaggi che gli attribuivano un 30-33% soltanto a marzo.
(da agenzie)
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Luglio 15th, 2017 Riccardo Fucile
QUANDO IL TAPPULLO E’ PEGGIOR DEL BUCO
Il vicepresidente della Camera Luigi Di Maio “ha, tra le altre cose, tentato di contattare anche l’ambasciata di Francia, passando attraverso la batteria. Un funzionario ha ricevuto la sollecitazione. Così come avvenuto negli altri casi, non ci sono stati contatti diretti con l’ambasciatore”.
È quanto riferiscono all’AdnKronos fonti dell’M5S dopo che ieri Mustafa Soykurt, diplomatico francese (la sua mail è indicata come contatto ufficiale presso l’ambasciata di Francia a Roma) ha smentito contatti con Di Maio in una mail inviata al giornalista Aldo Torchiaro.
Nella mail di risposta si legge testualmente: “Come già detto al telefono, le confermo che l’ambasciata (francese) non ha ricevuto appelli o messaggi dal signor Di Maio. La richiesta di (avere i) Canaidair è arrivata dalle autorità italiane (la protezione civile)”. Ed è evidente che la risposta delle “fonti M5S” all’ADN Kronos è assolutamente non convincente.
Perchè Luigi Di Maio nello status di un paio di giorni fa ha prima sostenuto: “Sono stato tutta la sera al telefono con le ambasciate degli altri Stati europei per chiedere l’invio dei loro Canadair”, e subito dopo ha scritto: “Sono in arrivo dalla Francia tre aerei di cui due canadair”.
Volendo sostenere con una furbizia degna di miglior causa che dopo le sue telefonate la Francia si fosse convinta a mandarli.
Evidentemente una falsità visto che i Canadair sono stati invece inviati dopo richiesta della Protezione Civile.
La “batteria” che viene citata nella replica data dalle fonti M5S all’Adn Kronos è la batteria del Viminale, che ha il compito di garantire le comunicazioni urgenti tra le più alte cariche dello Stato, non solo tra di loro ma anche con deputati, ministri, magistrati, alti dirigenti e giornalisti.
C’è da notare che nella replica il M5S non dice che Di Maio ha parlato con l’ambasciata di Francia, ma che “un funzionario ha ricevuto la sollecitazione”, senza però farne il nome, nè citando ora e testimonianze.
Circostanza infatti smentita ufficialmente dall’ambasciata francese a Roma
(da agenzie)
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