Luglio 21st, 2017 Riccardo Fucile
PER DIVENTARE CAPO UFFICIO STAMPA DELLA REGIONE LIGURIA UNA SERIE DI REQUISITI PARTICOLARI CHE SEMBRANO COSTRUITI AD ARTE PER FAR VINCERE LA PORTAVOCE DI TOTI… E COME PER MIRACOLO PER IL CONCORSO DA VICE CAPO QUESTI REQUISITI SPARISCONO
Abbiamo già dato notizia che la magistratura di Genova sta indagando, sulla base di un esposto presentato dal M5S in Procura, su due ipotesi di reato: abuso d’ufficio e peculato.
In particolare vengono sollevati interrogativi sulla regolarità del concorso pubblico che a giugno del 2016 ha visto nominare capo redattore dell’ufficio stampa della Giunta la giornalista Jessica Nicolini che fino a quel giorno, e a cominciare dal 2015 quando il centro destra aveva vinto le elezioni regionali, era stata la portavoce del presidente Giovanni Toti
Nell’esposto, viene sollevato anche il caso del concorso vinto da Nicolini.
Secondo i pentastellati, sarebbe stato costruito ad arte proprio per farla vincere, richiedendo qualifiche, conoscenze e esperienze che solo quella giornalista aveva.
L’accusa in pratica è di aver costruito un concorso su misura della Nicolini proprio nella definizione dei requisiti richiesta, vanificando di fatto la possibilità di concorrere ad altri giornalisti per un ruolo molto ben remunerato.
Per esperienza maturata possiamo dire che è un sistema purtroppo diffuso negli enti locali e che è stato oggetto di azioni giudiziarie già in altri casi in Italia.
Siamo in grado di pubblicare il testo del concorso, limitandoci a evidenziare la parte relativa ai requisiti richiesti.
AVVISO PUBBLICO DI RICERCA PERSONALE PER INCARICO DI GIORNALISTA- CAPO REDATTORE PRESSO L’UFFICIO STAMPA DELLA GIUNTA REGIONALE
REQUISITI:
Diploma di Laurea triennale o quadriennale vecchio ordinamento;
Iscrizione all’Albo dei Giornalisti da almeno 5 anni;
Esperienza professionale nell’ambito di testate nazionali o regionali liguri di
informazione radiotelevisiva o di carta stampata di almeno 5 anni;
Conoscenza approfondita e pluriennale delle cronache politiche, economiche, sindacali della Liguria ed esperienza giornalistica in ambito regionale, con particolare riferimento ai temi istituzionali;
Esperienza di redazione di siti web, di amministrazione e gestione di profili sui principali social networks, di produzione di servizi foto-audio-video;
Capacità di realizzare in proprio e con l’ausilio di operatore di ripresa servizi e
documentazione per immagini, comprensivo di tracce sonore;
Capacità di utilizzo in proprio di strumenti digitali per la registrazione di contenuti video e sonori;
Conoscenza approfondita di tecniche di montaggio in proprio con o senza l’ausilio di operatore di montaggio di immagini al fine di realizzare documenti audio-video anche complessi, ovvero con più tracce audio-video;
Piena conoscenza dei principali software di montaggio televisivo analogici e digitali;
Piena conoscenza dei principali linguaggi di giornalismo per immagini relativi ai principali canali di diffusione: TV, web, smartphone e social.
Tutti requisiti molto specifici che stranamente fanno parte del curriculum della portavoce di Toti, Jessica Nicolini.
Potrebbe essere un caso?
Se lo fosse, pare evidente che gli stessi dovrebbero essere richiesti anche per il concorso di vice capo redattore che era previsto contestualmente al primo.
Ma ecco la sorpresa.
AVVISO PUBBLICO DI RICERCA PERSONALE PER INCARICO DI GIORNALISTA- VICE CAPO REDATTORE PRESSO L’UFFICIO STAMPA DELLA GIUNTA REGIONALE
REQUISITI:
Diploma di Laurea quinquennale ovvero magistrale secondo il vigente ordinamento e titoli equipollenti del vecchio ordinamento;
Iscrizione all’Albo dei Giornalisti, elenco professionisti, da almeno 5 anni;
Esperienza professionale nell’ambito di testate nazionali o regionali liguri di informazione radiotelevisiva o di carta stampata di almeno 5 anni;
Conoscenza approfondita e pluriennale delle cronache politiche, economiche, sindacali della Liguria ed esperienza giornalistica in ambito regionale.
Tutto qua: rispetto al primo concorso, solo norme generali, nessun requisito specifico.
Toti sostiene che “tutto si è svolto nel rispetto sostanziale delle procedure e delle leggi vigenti. Tale concorso si è concluso con l’assunzione di una persona dotata delle capacità professionali e tecnologiche indispensabili per un moderno ufficio di comunicazione».
Se fosse così, come mai il vice capo redattore non necessita delle stesse capacità “tecnologiche”, visto che dovrebbe spesso farne le veci?
A questo punto vi sottoponiamo un articolo di Genova3000, sito di notizie e gossip genovese, dell’11 settembre 2015, mai smentito, che forse fornisce una spiegazione
Nicolini sponsorizzata Cavo
Quando la brava Jessica Nicolini ha comunicato agli amici che avrebbe lasciato Telenord per passare nell’ufficio stampa di Giovanni Toti, in molti hanno pensato a una rottura con l’editore Massimiliano Monti o con il direttore Paolo Lingua. Niente di tutto questo, è stata un’operazione concordata.
La bella Jessica due anni fa ha sposato un nipote di Sandro Biasotti e molti hanno pensato a un intervento dell’onorevole, che è anche coordinatore regionale di Forza Italia. Si sa che il Governatore Giovanni Toti sta facendo di tutto per accontentarlo, ma in questa faccenda l’onorevole non c’entra per nulla.
L’idea è stata di un’altra giornalista televisiva, Ilaria Cavo,oggi assessore. E a spingere è stato proprio il direttore di Telenord che ha riallacciato i rapporti con la Regione, in un clima di ritrovata amicizia.
Durante la campagna elettorale per le Regionali, infatti, Primocanale, avendo dichiarato guerra a Claudio Burlando, aveva messo nel mirino anche Raffaella Paita. Mentre Telenord si era schierata con la candidata della sinistra. Poi però, tra la sorpresa generale, ha vinto Giovanni Toti. E grazie all’operazione diplomatica di Paolo Lingua, l’emittente dell’editore Massimiliano Monti è riuscita a salire sul carro del vincitore.
L’ingresso di Jessica Nicolini nello staff di Toti rientra in questa (delicata) operazione
Ora la parola alla magistratura.
argomento: Giustizia | Commenta »
Luglio 21st, 2017 Riccardo Fucile
“SONO SEMPRE PIU’ SPINTA A METTERMI IN GIOCO”
Da tempo si sa che Roberta Lombardi ha intenzione di candidarsi alla Regione Lazio come aspirante governatrice nella sfida che vedrà in campo l’anno prossimo anche Nicola Zingaretti e forse Sergio Pirozzi.
In un’intervista rilasciata a Simone Canettieri del Messaggero la Lombardi parla dell’amministrazione romana e conferma le sue aspirazioni:
Ma i pm hanno bussato in Comune anche con il M5S.
«Guardi, se si riferisce al caso Marra e Romeo, il sindaco ha già chiarito tutto. Sono stati commessi degli errori, Virginia si è scusata, cos’altro avrebbe dovuto fare? Ora queste persone sono fuori e il M5S, nonostante tutto, ha dimostrato di avere gli anticorpi di fronte ai tentativi di infiltrazione. E’ solo un peccato che la mia voce non sia stata ascoltata subito, ma l’importante è che alla fine sia stata intrapresa la strada giusta».
Intanto, avete cambiato il vostro codice etico. Siete diventati garantisti?
«Governare comporta dei rischi, lo sappiamo. Ma qui il garantismo non c’entra. Ha detto bene, il nostro codice è etico. Di fronte a una indagine per corruzione, per mafia o altri gravi reati non si attende ovviamente il rinvio a giudizio, bensì si agisce subito. L’etica è qualcosa che la politica ha perso tanti anni fa».
Virginia Raggi si è data 7 come sindaca: concorda?
«Io credo che ogni valutazione sull’operato di un amministratore pubblico debbano darla sempre i cittadini».
Prima i boatos, poi il selfie con Grillo, a settembre scioglierà la sua riserva sulla candidatura alla presidenza Regione?
«Vedremo, ricevere l’appoggio di molti attivisti come sta accadendo in questi giorni mi dà forza, mi riempie il cuore e mi spinge a mettermi in gioco. Ora aspettiamo l’estate, poi a settembre tireremo le somme. In ogni caso ci saranno le primarie online e mi auguro un’alta partecipazione»
Ma da romana finora ha riscontrato il cambiamento promesso dal M5S un anno fa?
«L’amministrazione ha già raggiunto diversi obiettivi, ma si deve fare di più. Questo deve essere uno stimolo a crescere».
(da agenzie)
argomento: Grillo | Commenta »
Luglio 21st, 2017 Riccardo Fucile
MARTEDI UN VERTICE ALL’ELISEO: LA FRANCIA VUOLE ASSUMERE UN RUOLO MAGGIORE NELLA CRISI LIBICA
La Francia entra in gioco pesantemente nella crisi di Libia. Il presidente francese Emmanuel Macron ha invitato a Parigi per un vertice il presidente libico Fayez Serraj e il generale Khalifa Haftar, l’uomo forte che con la sua milizia controlla buona parte della Cirenaica con l’appoggio dell’Egitto e degli Emirati Arabi Uniti.
Martedì 25 luglio i due leader libici sono stati invitati all’Eliseo per un tentativo di mediazione che la Francia ha preparato nelle ultime settimane.
Del vertice l’Italia non ha saputo nulla dai francesi, ma è stata informata sia dal Governo di Accordo Nazionale di Tripoli che dai consiglieri per generale Haftar a Bengasi.
Roma, che negli ultimi mesi è stata considerata il coordinatore degli sforzi diplomatici dai paesi Ue e dagli Stati Uniti, ha chiesto informazioni alla diplomazia francese dopo aver ricevuto notizie dai libici, ma fino a ieri sera non aveva dettagli sul carattere del processo politico che la Francia vorrebbe rimettere in moto con questa riunione.
Fra l’altro proprio lunedì 24, alla vigilia del vertice di Parigi, il ministro degli Esteri francese Jean-Yves Le Drian sarà a Roma per partecipare alla conferenza degli ambasciatori italiani, ospite d’onore assieme al collega spagnolo.
Secondo fonti di Repubblica, Parigi avrebbe deciso invece di condividere l’iniziativa solo con il Regno Unito, che ha una buona presenza di intelligence in Libia anche se la dirigenza politica britannica in queste settimane è talmente presa dalla gestione della Brexit da non dimostrare lucidità e reale impegno su altri dossier, come quello nord-africano.
Al vertice è stato invitato il nuovo rappresentante dell’Onu per la Libia, il libanese Ghassem Salemè, ex professore universitario a Parigi a Science Po: i funzionari di Unsmil, la missione Onu che temporaneamente è ospitata in Tunisia, non hanno partecipato alla fase di preparazione del vertice.
Da tempo Macron aveva annunciato che la Francia avrebbe cercato un ruolo maggiore nella crisi di Libia, parlando anche di “nuove iniziative diplomatiche”.
Nelle prime settimane di attività il nuovo ministro degli Esteri Le Drian (che per 5 anni era stato ministro della Difesa) ha fatto missioni di lavoro in Tunisia, Algeria, Egitto, nei paesi del Sahel, negli Emirati, in Arabia Saudita e Qatar, tutti paesi che sono coinvolti in prima linea nella gestione della crisi di Libia.
Per il momento non c’è conferma ufficiale del vertice, ma soprattutto ci sono perplessità del presidente di Tripoli Fayez Serraj a un nuovo incontro con Haftar.
Nei due precedenti incontri negli Emirati arabi uniti, Haftar ha sempre avanzato proposte che sono irricevibili per Serraj, che infatti rientrando a Tripoli ha sempre avuto problemi con la coalizione politica che lo sostiene e con cui è costretto a fare i conti, a differenza di Haftar che con la forza delle armi controlla il debole governo dell’Est e condiziona tutti i leader politici della Cirenaica.
Per questo il presidente di Tripoli non si fida della possibilità di risolvere in incontri con Haftar l’empasse politico nel paese.
Il vertice comunque arriverebbe nel momento in cui Haftar sembra aver guadagnato posizioni dal punto di vista militare. A Bengasi ormai tutti i quartieri sono stati liberati dai gruppi di jihadisti e terroristi islamici che per 3 anni hanno combattuto contro la milizia del generale Haftar. La sua Libyan National Army ha iniziato a stringere sempre di più l’assedio a Derna, l’ultima cittadina rimasta nelle mani dei gruppi islamisti che in questi anni hanno combattuto contro Haftar. Gruppi che a Derna storicamente sono sempre stati molto forti, tanto da mettere in fuga i militanti dell’Islamic State che avevano provato a prendere il controllo della cittadina.
(da “Huffingtonpost”)
argomento: Europa | Commenta »
Luglio 21st, 2017 Riccardo Fucile
MA INTANTO MINNITI SPERA DI RIDURRE LE ONG CHE SALVANO I PROFUGHI: PIU’ NE AFFOGANO, MENO NE ARRIVANO, UNA SOLUZIONE DEGNA DI UNA MODERNA SINISTRA
La surreale richiesta del ministro degli Esteri austriaco Sebastian Kurz ad Angelino Alfano, di bloccare i migranti a Lampedusa o comunque sulle isole italiane per evitare il loro arrivo in Europa centrale, non era evidentemente una boutade solitaria partorita dai burocrati viennesi.
Piuttosto, la prima mossa di una strategia studiata su più tavoli.
Quelli del famigerato gruppo di Visegrad – Ungheria, Repubblica Ceca, Slovacchia e Polonia – che, come in una rievocazione ottocentesca dell’Impero austro-ungarico, vedono in Vienna il proprio faro.
Perchè, 24 ore dopo Kurz, ecco il premier ungherese Viktor Orban, quello del muro, preannunciare una lettera al suo omologo italiano, Paolo Gentiloni, firmata da lui e dagli altri leader di Visegrad. Per recapitare al presidente del Consiglio una richiesta perfettamente in sintonia con la provocazione di Kurz: “L’Italia dovrebbe chiudere i suoi porti” per arginare i flussi migratori dal Mediterraneo.
Secca la replica del presidente del Consiglio: “Dai Paesi dell’Ue abbiamo diritto di pretendere solidarietà , non accettiamo lezioni, tanto meno possiamo accettare parole minacciose. Noi facciamo il nostro dovere, pretendiamo che l’Europa intera lo faccia al fianco dell’Italia invece di dare improbabili lezioni al nostro Paese. L’Italia – ha sottolineato Gentiloni – è un Paese impegnato a farsi carico di non alimentare odi e paure, impegnato a farsi carico di un peso che dovrebbe essere più condiviso in Europa”.
E’ solo il caso di ricordare che la Commissione europea ha aperto la procedura di infrazione a carico di Slovacchia, Polonia e Ungheria per essersi sottratti agli impegni assunti nel 2015 per l’accoglienza di una quota di richiedenti asilo per alleggerire il peso dell’emergenza sostenuto da Italia e Grecia.
Quanto all’Austria, sebbene abbia evitato la stessa procedura, la Commissione è ben consapevole della sua influenza sul V4 e giudica le posizione non collaborativa del blocco dell’Europa centrale puramente ispirato da tornaconti elettorali interni.
Mentre l’Italia attende che l’Europa si dimostri tale manifestandole concreta solidarietà , Minniti punta sul codice delle Ong e sul fatto che molte di loro, essendo di piccole dimensioni, non potranno uniformarsi in ogni caso ad esso e dovranno quindi rinunciare alla loro attività di salvare i richiedenti asilo.
La soluzione ipocrita italiana è questa: lasciare che affoghino. Una soluzione degna di una moderna sinistra europea.
(da agenzie)
argomento: Europa | Commenta »
Luglio 21st, 2017 Riccardo Fucile
COME SI PUO’ INSTAURARE UN REGIME: MONOPOLIO TV , MAGISTRATURA AL SERVIZIO DEL GOVERNO
E’ quasi mezzanotte, quando sul podio degli oratori della Dieta polacca sale Jaroslaw Kaczynski. Faccia contrita, una voce fredda dice, rivolto ai deputati dell’opposizione: “Avete assassinato mio fratello; canaglie”.
Ufficialmente Kaczynski è un semplice deputato, Nei fatti è lui il vero capo dello Stato; il governo, il presidente della repubblica, il presidente della Camera nonchè la maggioranza parlamentare ubbidiscono a qualunque suo ordine o desiderio.
In questo momento il suo desiderio è: rendere i tribunali dipendenti dall’esecutivo, ossia fare sì che la giustizia segua le direttive del partito, Pis (quasi nomen omen, Diritto e Giustizia, si chiama).
L’incidente si è verificato durante una discussione in Aula di una proposta di legge per cui sarà l’esecutivo a decidere quando mandare in pensione i giudici della Corte costituzionale e sarà l’esecutivo a nominare i presidenti dei tribunali, mentre sarà il parlamento a nominare la maggioranza (15 su 25) dei componenti del Consiglio supremo della Magistratura.
In parole povere: sarà Jaroslaw Kaczynski il padrone della Giustizia di un paese che (per ora) risulta membro dell’Unione europea.
Attenzione, la Polonia non è un paese arretrato; e non si tratta di antiche reminiscenze del regime comunista. Il caso polacco è interessante perchè è un esempio di come si possa, passo dopo passo, smantellare la democrazia, distruggere lo Stato di diritto, instaurare un regime che a nessuno risponde se non al capo supremo, senza percorrere le vie “turche”. In questo senso la Polonia potrebbe indicare la strada a molti altri Kaczynski in giro per il nostro Continente (Italia compresa).
Il meccanismo si basa su tre pilastri: il primo, la stanchezza della gente con la politica e i politici, la delusione perchè la politica non è in grado di mantenere le proprie promesse (Bauman parlava del divorzio tra politica e potere) e quindi le sue procedure diventano un rito strano e spesso odioso agli occhi di molti.
Si tratta di un fenomeno comune a quasi tutti i paesi dell’Europa.
Il secondo pilastro è una narrazione convincente di un Partito che vorrebbe abolire le procedure democratiche; e qui i dettagli e i particolari cambiano a seconda del paese. Il terzo pilastro, di nuovo comune a tutti, è la propensione di molti a rendersi servi e docili strumenti del Capo senza porsi problemi di coscienza e anzi godendo nel far Male.
In Polonia la narrazione parte dell’incidente aereo, in cui nel 2010, sui cieli russi, perse la vita Lech Kaczynski, allora presidente della Repubblica e fratello gemello di Jaroslaw. Quell’incidente nella narrazione del potere di oggi, fu un attentato, perpetrato dai russi (ovviamente) e coperto da “traditori” della patria, tra i quali, le èlite liberali e cosmopolite nonchè l’allora premier Donald Tusk.
Così la Polonia è vittima dei russi, dei liberali, dell’Europa filogay (essendo le èlites filoeruopeiste), e c’è una quinta colonna in seno alla società .
Come si diceva prima, in questo discorso c’è ovviamente una gran dose di odio e di propensione al male, insita in ognuno di noi e che si manifesta prepotente nei tempi di crisi. Far male e pensar male (perchè le èlite mi trattano da rifiuto umano) dà soddisfazione, quando si è scontenti della propria vita.
Vinte le elezioni del 2015 (grazie all’idiozia e la pigrizia di chi era al potere allora; ossia le famose “èlite liberali”), con il 37 per cento dei voti (alle urne si è recato il 50 per cento dei polacchi), Kaczynski, per prima cosa ha purgato la tv e la radio di Stato.
Licenziati i giornalisti considerati “ostili”, oggi nel media pubblici nessuno osa criticare il governo.
Le manifestazioni di massa dell’opposizione vengono definite “folclore”. In seguito, le aziende di Stato o che fanno affari con aziende di Stato sono state persuase a non fornire pubblicità ai giornali nemici di Kaczynski, ad esempio a “Gazeta Wyborcza” (e che tuttavia resiste anche dal punto di vista economico).
Poi è stata alterata la composizione della Corte Costituzionale, in violazione della Costituzione stessa. E così si è arrivati a oggi: le mani sui tribunali e un discorso, in pieno parlamento del capo supremo che incita esplicitamente all’odio e trasforma i rappresentanti della nazione in canaglie e assassini: in fuorilegge cioè.
Occorre poi una maggioranza parlamentare, deputati e presidente della camera che (come accade in questi giorni a Varsavia) usando il regolamento impediscono la libera discussione e trasformano la Dieta in una macchinetta di votazione (risparmio i dettagli tecnici), perchè il golpe, deve essere realizzato in fretta, altrimenti rischia di fallire.
Ecco, spiegato, come in Europa, si può con mezzi democratici (niente marce su Roma, niente carri armati in piazza; niente prigionieri politici; niente censura) sopprimere la democrazia.
(da “L’Espresso“)
argomento: Europa | Commenta »
Luglio 21st, 2017 Riccardo Fucile
FERMATA DALLE AUTORITA’ PERCHE’ IL COMANDANTE NON E’ STATO IN GRADO DI FORNIRE TUTTI I DOCUMENTI NECESSARI SULL’EQUIPAGGIO
La crociera nel Mediterraneo dei sedicenti difensori dell’Europa dall’invasione organizzata e dal piano Kalergi partirà con qualche giorno di ritardo. ammesso che parta.
Il motivo? La nave di Defend Europe, la mitica C-Star, è stata bloccata due giorni fa a Port Suez dalle autorità egiziane perchè ad un controllo il comandante non è stato in grado di fornire la documentazione necessaria sul personale di bordo
La nave non è in regola con i documenti di viaggio?
A dare la notizia è stato inizialmente il sito anti-razzista HopeNotHate secondo il quale l’imbarcazione della “missione SAR patriottica” in difesa dei confini e dell’identità europei è stata costretta ad ancorare a Port Suez perchè i documenti non erano in regola.
A confermare il blocco temporaneo dell’imbarcazione è stato un impiegato dell’Autorità portuale di Port Suez.
La notizia è stata successivamente rilanciata dall’Huffington Post che ritiene che sia questo il motivo per cui la nave di Generazione Identitaria non sia ancora entrata nel Mediterraneo.
HopeNotHate scrive che “questo non è una grande sorpresa per quanto riguarda le prove profondamente preoccupanti che abbiamo prodotto la scorsa settimana, tra cui il passato criminale del proprietario della nave e la terrificante prospettiva di un equipaggio armato a bordo fornito da una società che ha avuto la sua Certificazione sospesa nel Regno Unito”.
La settimana scorsa, quando Generazione Identitaria ha dato l’annuncio dell’avvio della missione “identitaria” il vascello si trovava nel Gibuti da dove è partita il 7 luglio.
Le ultime rilevazioni danno l’imbarcazione ferma all’imboccatura meridionale del Canale di Suez. È in ogni caso possibile che la C-Star abbia risolto i suoi problemi burocratici e che sia ora di nuovi in rotta verso il porto di Catania.
Secondo un altro sito di tracking marittimo però la nave oggi è ancora all’ancora fuori dal Canale di Suez.
La cosa interessante è che il 19 luglio secondo Defend Europe l’equipaggio aveva già iniziato ad imbarcarsi sulla C-Star (in Egitto quindi) e la nave era “in transito” verso la Sicilia.
Ma in realtà quel giorno la nave era ferma, come hanno successivamente confermato, smentendo sè stessi, quelli di Defend Europe ieri.
Gli identitari se la prendono poi con le ONG, che a quanto pare ce l’hanno tutte con loro. Cosa hanno da nascondere? Il che in effetti potrebbe essere la stessa domanda che in questi mesi gli equipaggi delle ONG avrebbero potuto fare a Defend Europe.
Perchè non vogliono che le navi delle ONG operino nelle aree SAR?
Cosa hanno da nascondere?
Chi li paga?
(da “NextQuotidiano”)
argomento: Razzismo | Commenta »
Luglio 21st, 2017 Riccardo Fucile
CURCIO PUNTA IL DITO CONTRO I GOVERNI… “SOLO NEL 2017 DANNI PER 900 MILIONI, SIAMO A 9 MILIARDI NEGLI ULTIMI SEI ANNI”
Da 10 milioni l’anno a zero. La politica ha deliberatamente chiuso i rubinetti della prevenzione antincendio con la miopia tipica dei tagli lineari, dando così un contributo essenziale all’ennesima emergenza nazionale.
Lo ha denunciato lo stesso Capo Dipartimento della Protezione civile, Fabrizio Curcio nella sua audizione in Commissione Territorio e Ambiente al Senato di due giorni fa: “La legge quadro 353 sugli incendi boschivi del 2000 era innovativa. Prevedeva che ci fosse un finanziamento da parte dello Stato per l’attività di prevenzione. Quel finanziamento si è negli anni assottigliato fino a essere nullo. Credo che un segnale, se possibile, sarebbe positivo: la prevenzione è collegata alle risorse, alla pulizia del sottobosco e di altre aree, all’organizzazione di attività di vigilanza”.
L’indomani, cioè ieri, il ministro Galletti ha riferito in aula sull’emergenza, ma ha attentamente evitato di rispondere sul tema — spinosissimo — delle responsabilità politiche al quale lo hanno subito richiamato diversi gruppi parlamentari, al punto che Sinistra Italiana ne ha chiesto apertamente le dimissioni mentre il Movimento Cinque stelle annuncia una mozione di sfiducia.
Era stato direttamente Curcio, al Senato, a mettere il dito nella piaga.
La legge del 2000 per le attività di prevenzione e lotta agli incendi boschivi finanziava le regioni con 20 miliardi di vecchie lire l’anno per il triennio successivo, ovvero l’equivalente di 10,3 milioni di euro l’anno.
Stabiliva poi che a decorrere dal 2003 si sarebbe proceduto con “stanziamento determinato dalla legge finanziaria”.
Ed è qui che si è esercitata la politica dei tagli e delle riorganizzazioni funzionali — su tutte quella della Forestale inglobata in altri corpi di polizia dal governo Renzi — che a distanza di anni presenta il conto, non certo a fronte di uno scampato pericolo. : “Dal primo gennaio — ha riferito Curcio — abbiamo dovuto affrontare 955 richieste di intervento della flotta nazionale per lo spegnimento di incendi. Un record assoluto degli ultimi 10 anni”.
Ma quanti fondi, rimessi in questo modo alla discrezionalità di scelte politiche, sono stati stati stanziati per impedirlo?
Ancora nel 2008 erano stati stanziati 8 milioni di euro.
Nel 2011, l’anno del terrore di un default per l’Italia e della staffetta Berlusconi-Monti, calano a 5 milioni per poi essere quasi azzerati del tutto in sede di conferenza permanente Stato-Regioni.
Nel 2015, ad esempio, il fondo è stato ridotto a 1,2 milioni.
“Si può dire che lo Stato insieme alle Regioni hanno chiuso i rubinetti alla prevenzione”, dicono alla Protezione Civile. L’effetto è davanti agli occhi di tutti, scorre nei titoli dei tg e sulle prime pagine dei quotidiani da settimane: “Emergenza”. “E’ chiaro — è il ragionamento degli uomini di Curcio — che se togli i fondi per fare prevenzione e controllo e deleghi la materia alle regioni non puoi più garantire la sicurezza delle aree boschive. Basta tagliare gli organici che non si pattugliano più le zone a rischio, non si fanno le vie di fuga. E quando un incendio divampa il danno è ingentissimo, se doloso è anche per la mancanza di deterrenti incoraggia i criminali”. Ma la politica fa l’esatto contrario.
Proprio i numeri, del resto, rivelano il reale costo dei supposti “risparmi” ottenuti negli anni prosciugando anche i fondi della prevenzione incendi.
“Parliamo di 900 milioni di danni da incendi solo quest’anno, 9 miliardi negli ultimi sei”, scandisce Angelo Bonelli, presidente dei Verdi. Il costoso azzardo del ceto politico ha un contrappasso paradossale: mentre divampano le polemiche si candida a far luce sugli incendi il Senato con la sua “indagine conoscitiva” in commissione Ambiente. Sapendo che il piromane è da stanare chissà dove, ma la politica incendiaria abita proprio nel Palazzo.
(da “Il Fatto Quotidiano”)
argomento: denuncia | Commenta »
Luglio 21st, 2017 Riccardo Fucile
TRA RITARDI, INDAGINI E RISATE SUL SISMA
Vito Giuseppe Giustino, il patron della cooperativa L’Internazionale di Altamura, non rideva a caso subito dopo il terremoto del 24 agosto.
Aveva capito che quella tragedia sarebbe stata ottimo affare. E infatti, mesi dopo, lo ritroviamo a montare le prime casette di legno ad Accumoli, prima di essere messo ai domiciliari mercoledì scorso dai magistrati dell’Aquila che indagano sugli appalti pilotati della ricostruzione post sisma 2009.
Ma chi è Vito Giuseppe Giustino?
La sua storia consente di afferrare il filo rosso che lega le 396 casette di legno finora consegnate ai sindaci (su 3.830 ordinate, circa il 10 per cento) nel cratere del Centro Italia, in ritardo rispetto alle aspettative degli sfollati per colpa della burocrazia e della difficoltà a trovare aree adatte dove metterle.
Un filo rosso come l’area politica in cui gravita chi quelle casette sta assemblando. Consorzi, imprenditori, cooperative, fornitori di materiale.
Giustino, ad esempio, è il presidente della cooperativa di Altamura L’Internazionale, una delle duecento e passa socie del Cns, il Consorzio nazionale servizi che ha sede a Bologna e fa parte della Legacoop. Anche L’Internazionale ne fa parte, ma dopo l’inchiesta dell’Aquila è stata sospesa.
Il consorzio Cns, dunque.
Risulta come primo classificato in due dei tre lotti della maxi-gara per la fornitura in tutto il Paese di moduli abitativi di emergenza (le casette antisismiche), dal valore totale di 1,18 miliardi di euro, bandita da Consip nel 2014 e aggiudicata nell’agosto del 2015.
Nel lotto del Centro Italia, Cns vince associandosi al Consorzio Cogeco 7 e a maggio dello scorso anno firmano un protocollo d’intesa con la Protezione civile e la Presidenza del consiglio nel quale si impegnano a fornire “fino a 6.000 casette”.
Non devono costruirle tutte loro, però. Il protocollo prevede che dopo le prime 850 subentri per le successive 780 la seconda classificata, il Consorzio Stabile Arcale di Impruneta, e poi la terza classificata per altre 225.
E così a giro, fino a raggiungere le 6.000 unità . Il tempismo è stato drammaticamente perfetto. Tre mesi dopo aver sottoscritto quel protocollo, infatti, l’Italia trema violentemente.
C’è bisogno delle casette, e alla svelta: la direzione del Cns a quel punto sceglie, tra le sue associate, chi può sostenere un notevole onere finanziario e gli affida il lavoro.
Ad ottobre l’altro terremoto aumenta il fabbisogno, e la Cns dispiega nel cratere otto grosse aziende.
Ad oggi sono loro ad aver prodotto quasi tutte le casette abitate, la Arcale ne ha consegnate meno di 30.
“Non è un business, è una missione per aiutare gli sfollati e stiamo facendo il massimo”, rivendicano i dirigenti Cns. Qualcosa in Umbria, però, non sembra essere andato per il verso giusto.
La responsabilità per la fornitura di Norcia e dintorni viene data alle due consorziate Gesta e Kineo, le quali hanno comprato impianti e kit di montaggio da due imprese ternane, la Italstem e la Cosptecnoservice (che fa parte del Cns).
Quest’ultima, stando agli atti depositati alla Camera di Commercio, opera nei settori delle pulizie, monta segnali stradali, recapita bollette.
Non si occupa di edilizia, tant’è che per rispettare il contratto si deve appoggiare a un altro fornitore, la Vipal. Un passaggio che ha incuriosito anche gli investigatori dell’Anticorruzione di Cantone.
Il presidente del cda di Cosp, Danilo Valenti, è un uomo che coltiva relazioni che contano nella sinistra locale. È legato alla governatrice del Pd Catiuscia Marini per ragioni politiche e lavorative: è vice presidente di Legacoopservizi, della quale Marini è dipendente in aspettativa; nelle occasioni pubbliche si fanno vedere spesso insieme; la sua società risulta tra i finanziatori della campagna elettorale di Marini.
Valenti sa muoversi, e bene, nel centrosinistra e il 9 novembre del 2014 si fa vedere in prima fila al Palazzo delle Fontane di Roma per la cena di autofinanziamento (mille euro a persona) organizzata dall’allora premier Matteo Renzi
Valenti, ternano, è poi molto vicino al sindaco Pd della sua città , Leopoldo Di Girolamo, finito nel maggio scorso nell’inchiesta della procura di Terni su affidamenti sospetti di appalti comunali. Ancora una volta a cooperative.
In alcuni atti degli investigatori datati novembre 2016 spuntava anche il nome di Valenti nella lista degli indagati. “Oggi non risulto iscritto, ho fatto la richiesta di accesso al registro della procura”, dice Valenti.
Nelle carte sono riportati degli sms di compiacimento perchè la sua azienda era riuscita a entrare nella white list della Prefettura nonostante fosse socia al 49 per cento della Viterbo Ambiente, che aveva ricevuto un’interdittiva antimafia (poi revocata). “Sono ancora in white!”, scriveva Valenti nel settembre 2016 all’assessore Stefano Bucari, coinvolto come il sindaco nell’indagine ternana.
Anche il consorzio Arcale, la seconda classificata della gara Consip, è un nome conosciuto ai piani alti della politica.
Tra i soci c’è la Sistem Costruzioni srl, uno dei più quotati produttori in Europa di moduli in legno lamellare e alluminio, il cui amministratore delegato è Emanuele Orsini.
È il presidente di Assolegno e vice presidente dei Federlegno, ma soprattutto era tra i promotori della prima ora dei comitati elettorali pro Renzi nel 2012.
Ad Arcale si sarebbe in qualche modo interessato nel settembre scorso l’avvocato Alberto Bianchi, il renzianissimo presidente della fondazione Open.
“Bianchi – scrive il gip di Napoli Dario Gallo in un decreto che autorizza le intercettazioni telefoniche nell’ambito dell’inchiesta su Alfredo Romeo, la Consip e il padre dell’ex premier Tiziano Renzi – sta sponsorizzando presso Marroni (Luigi, l’ex ad di Consip) un’azienda classificatasi seconda per la realizzazione delle casette in legno per i terremotati di Amatrice”.
Una versione che Bianchi, annunciando querele, definisce “una vergognosa insinuazione “. In effetti il Consorzio Arcale non ha avuto bisogno di Bianchi per iniziare a lavorare con le casette.
Ci ha pensato il terremoto del 30 ottobre.
(da “La Repubblica”)
argomento: terremoto | Commenta »
Luglio 21st, 2017 Riccardo Fucile
CHE ESSERE “CRIMINALI NON MAFIOSI” ORA SIA UNA VIRTU’ DIMOSTRA CHE SIAMO DAVVERO UN PAESE SENZA SPERANZA
Faccio sempre più fatica a riconoscermi in un progetto politico o pseudo tale.
Ieri, l’ennesima, triste vicenda di una società sempre più confusa, sia a livello rappresentativo che in termini di “civiltà ” pura e semplice.
Alludo all’assurdo e delirante sollievo di chi ha “gioito” per una sentenza che ha dichiarato tutti i soggetti coinvolti nella vicenda denominata “Mafia Capitale”, “soltanto” dei criminali “semplici”.
Come se l’essere venuto meno (nella sentenza di primo grado) il riferimento alla “modalità e/o sistemica mafiosa” fosse sinonimo di virtù (ovviamente criminale).
Non sono mai stato un giustizialista. Non lo sarò mai. Credo nella presunzione di innocenza (sino a sentenza passata in giudicato) e nel rispetto di quei diritti e di quelle libertà che devono riconoscersi a tutti, ivi compresi agli imputati.
Ma, anche nelle more che si pervenga ad un giudicato definitivo su questa vicenda, non si può “gioire” per una cosa del genere.
Se le accuse resisteranno anche agli altri gradi di giudizio, bisognerà prendere atto che trattavasi (e trattasi) di criminali, e di criminali tra i più indegni, dediti a tutto pur di lucrare sulla vita della povera gente o sulle necessità cittadine, impossessandosi di denaro pubblico…
Un Paese sempre più confuso, il nostro.
Vedo sempre più buio, ed anche quando c’è un sole accecante…
Salvatore Castello
Right BLU – La Destra Liberale
argomento: Giustizia | Commenta »