Destra di Popolo.net

IL RITORNO DELLE AUTO BLU, IN UN ANNO 9.000 IN PIU’

Luglio 6th, 2017 Riccardo Fucile

NONOSTANTE GLI ANNUNCI RIPRENDONO AD AUMENTARE SOPRATTUTTO NEI COMUNI DEL SUD… DATI INCREDIBILI: UN COMUNE DI 271 ABITANTI HA 4 AUTO BLU CON TRE AUTISTI

La valanga delle auto di Stato non si arresta.
Anni di polemiche e denunce hanno solo scalfito un sistema che continua a proliferare nonostante la spending review e la necessità  di moralizzare la vita pubblica.
A conti fatti parlare di riduzione è stato un bluff.
I dati sono pubblici, ma nessuno ha fatto le somme: l’ultimo censimento sulle auto della Pubblica Amministrazione, concluso il 28 febbraio del 2017, ha prodotto un immenso tabellone in pdf. Repubblica ha chiesto alla società  di data management Twig, guidata da Aldo Cristadoro, di trattare e confrontare le cifre con il precedente censimento chiuso nel febbraio dell’anno scorso.
Ebbene: il risultato è che nel 2016 sono emerse 8.791 auto di servizio in più, si è passati da quota 20.891 a 29.682.
L’emersione di circa 9.000 auto in più dipende per buona parte dalla maggiore accuratezza del censimento e dal numero di risposte pervenute dove si dichiara il possesso di almeno una auto di servizio: ciò significa che basta fare una rilevazione più approfondita per scoprire che le auto di servizio in Italia sono molte di più di quanto si pensi.
Eppure, nel comunicare i dati del 2016, il governo sottolineò una riduzione di 1.049 auto, pari al 3,3 per cento rispetto al 2015.
Invece secondo la rielaborazione e il riallineamento dei dati fatta da Twig per quei due anni, anche per via della maggiore partecipazione al censimento delle amministrazioni, sarebbero emersi quasi 2.000 veicoli in più.
Ma la vicenda delle auto di servizio, per le quali lo Stato spende una cifra considerevole ogni anno, e che si tenta di prendere di petto dal 2012, quando fu varato il primo decreto di contenimento, si presta ad altre sorprese.
Quando Matteo Renzi annunciò, nei primi mesi del 2015 di voler vendere su eBay le Maserati blindate di Stato, la mastodontica platea delle auto di servizio italiane era già  stata più che dimezzata.
Peccato che era avvenuto solo sulla carta: alla fine del 2014 un decreto del ministero della Funzione pubblica aveva infatti cambiato i criteri del censimento, cancellando dall’insieme delle auto censibili circa 40 mila veicoli con un colpo di bacchetta magica.
Il decreto infatti eliminava le auto destinate al contrasto delle frodi alimentari, alla manutenzione della rete stradale Anas, alla difesa, alla pubblica sicurezza e ai servizi sociali e sanitari.
Così si è scesi da quota 60 mila a quota 20 mila sulla quale oggi ragioniamo: cambiando i criteri del censimento sono sparite circa 20 mila auto delle Asl e in genere della sanità  regionale.
La domanda è: ma se si tratta di semplici auto al servizio della collettività  e non di scandalose auto blu con autista, perchè non censirle? Contare non vuol dire, mettere all’indice.
Il vero boom delle auto di servizio e blu è nei Comuni: si moltiplicano man mano che i censimenti si fanno più approfonditi.
Nel 2016 siamo arrivati a quota 16 mila, quasi il doppio rispetto all’anno precedente e al numero dei municipi che sono circa 8 mila. Senza contare che il panorama dell’auto di servizio non è ancora tutto delineato perchè i municipi sono riluttanti e quelli che hanno denunciato il numero delle proprie auto è ancora solo il 60,6 per cento.
La posizione di testa nella classifica dei Comuni che denunciano il maggior numero di auto blu (cioè con annesso autista) è occupata da Oristano: ce ne sono 20 (il che significa 63,2 ogni 100 mila abitanti).
Seguono – con netta prevalenza del Sud – Trapani, Brindisi, Messina, Cosenza e Matera.
In termini assoluti, e con riferimento alle semplici auto di servizio (cioè senza autista dedicato), in testa c’è Torino con 294 auto, seguita da Roma con 146 auto. Spicca Sassari con 106 auto (83,1 ogni 100 mila abitanti).
Paradossali i casi di Roccasecca dei Volsci (Latina) che denuncia 10 veicoli con autista (sarebbero 872,6 auto su una ipotetica platea di 100 mila abitanti). E delle tre regine dell’auto di servizio: Roseto degli Abruzzi (Teramo), Monopoli (Bari) e Bagheria (Palermo), Comuni con più di 50 vetture a disposizione.
A Pietracamela (Teramo) invece, con 271 abitanti, ci sono 4 auto di cui 3 con autista.
Forse l’unico settore dove qualche sforzo è stato fatto è quello dei ministeri.
La ministra della Funzione Pubblica, Marianna Madia, disse la verità  quando nel febbraio 2016 affermò che le auto delle amministrazioni dello Stato l’anno precedente si erano dimezzate scendendo, come risulta, a quota 274.
I conteggi di Twig dicono che il processo è andato avanti e nel 2016 siamo scesi a quota 212.
Ma anche in questo caso ci sono problemi di rilevazione statistica che possono trarre in inganno. L’ex commissario alla spending review Carlo Cottarelli, che aveva avviato un serio intervento di riduzione, nel suo libro “La lista della spesa”, le valutava prima del decreto di riduzione in 1.800, tenendo conto che mancano all’appello del censimento le auto del ministero dell’Interno e le auto fornite ai vari dicasteri dai cinque principali corpi di polizia.
Tanto per fare un esempio: il “car pool” britannico per i dicasteri conta di solo 80-90 auto. Ma noi siamo lontani.

(da “La Repubblica”)

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L’ASSESSORE LEGHISTA ALLA SICUREZZA CHE INVITA A NON FARE MULTE PER DIVIETO DI SOSTA

Luglio 6th, 2017 Riccardo Fucile

UN ALTRO MIRACOLATO DALLO ZIO D’AMERICA BUCCI A GENOVA… MEGLIO ROMPERE LE PALLE A QUATTRO POVERACCI DI VENDITORI AMBULANTI DI COLORE CHE A CHI NON RISPETTA I DIVIETI

Indulgenza per le soste irregolari, inflessibilità  per l’abusivismo commerciale.
È la nuova linea di Palazzo Tursi, interpretata dall’assessore alla Sicurezza e alla Polizia locale, il leghista Stefano Garassino, che ieri ha incontrato il comandante della polizia municipale, Giacomo Tinella.
Mentre la nuova giunta, riunita ieri per la prima volta dal sindaco Marco Bucci, deve fronteggiare le “fughe” di personale dalle segreterie degli assessori che non hanno intenzione di stare dietro alle paturnie della nuova corte dei miracolati .
«Ho detto al comandante Tinella che le priorità  sono cambiate – spiega Garassino – Per quanto riguarda il traffico credo che si debba essere meno intransigenti rispetto alle infrazioni sulla sosta.Vanno contrastate e punite, invece, tutte le forme di abusivismo».
Resta da vedere, però, che effetti produrrà  sulla mobilità  cittadina il combinato di questa strategia della tolleranza verso le soste irregolari e della scelta, annunciata dal sindaco Bucci, di abbassare drasticamente le tariffe dei parcheggi in centro.
E’ evidente che si tratta del solito spottone per ingraziarsi la lobby dei commercianti, di cui il leghista è espressione emaciata.
Si annuncia una riduzione delle tariffe dei parcheggi (senza dire ovviamente dove si recupereranno gli introiti mancanti), la possibilità  di non venire multati quando si viola la legge (con altre mancate entrate), salvo prendersela con quattro poveracci di colore che tirano a campare facendo gli ambulanti (negli spazi assegnati dal Comune della giunta Doria).
Forse qualcuno non ha capito che la gente compra meno perchè non ha soldi in tasca, non perchè costa caro il posteggio, ma per certi fighetti privilegiati che abitano nei quartieri bene come Carignano e Piazza della Vittoria è concetto difficile da comprendere.
Poi il leghista annuncia: “Venerdì dopo le 23 farò un giro nel centro storico assieme all’assessore Paola Bordilli (responsabile del Commercio, ndr). Vorrei coinvolgere anche polizia e carabinieri, così potremo vedere com’è il centro storico quando ci sono controlli. Non è ammissibile che si possa avere una sorta di mappa dello spaccio nei vicoli».
Il poveretto dimentica: 1) che la Questura i controlli li ha sempre fatti, non ha aspettato che arrivasse Garassino “per farsi accompagnare” 2) che l’assessore poteva farsi un giro anche prima, come fanno migliaia di genovesi, senza attendere di diventare assessore   3) La mappa dello spaccio dei vicoli quale sarebbe? E’ forse a conoscenza di elementi sconosciuti alle forze dell’ordine? O forse sarebbe meglio che i clienti in cerca di coca che abitano nei quartieri bene si rifornissero sotto casa?
Potrebbe essere un’idea, magari non multando il pusher se parcheggia in divieto di sosta per qualche minuto.
Boh, forse anche questo è commercio.

(da agenzie)

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DONNARUMMA, LA GIUSTA IRA DELLA COMMISSIONE D’ESAME: “GRAVE MANCANZA DI RISPETTO: PER ACCOGLIERE LA SUA RICHIESTA DI PROVE SUPPLETTIVE D’ESAME ABBIAMO RALLENTATO ALTRI 57 CANDIDATI E POI NON SI PRESENTA”

Luglio 6th, 2017 Riccardo Fucile

INQUALIFICABILE COMPORTAMENTO DEL PORTIERE: INVECE CHE DARE L’ESAME CHE AVEVA RICHIESTO DA PRIVATISTA VA A IBIZA IN VACANZA… BELL’ESEMPIO DA UN UOMO DI SPORT

“Un comportamento che rappresenta una grave mancanza di rispetto per la scuola, per la Commissione e per gli studenti delle classi coinvolte”.
E’ il severo commento della professoressa Elda Frojo, presidente della Commissione d’esame di fronte alla quale Gianluigi Donnarumma doveva sostenere l’esame di maturità  per diplomarsi, da privatista, in ragioneria all’istituto paritario Leonardo da Vinci di Vigevano.
“Il signor Donnarumma — ha spiegato l’insegnante, che è preside all’istituto professionale Pollini di Mortara — ha chiesto di sostenere le prove suppletive. Il Miur, giustamente, cerca di incoraggiare coloro che si dedicano allo sport ma vogliono comunque proseguire negli studi. Nel caso del signor Donnarumma si è ritenuto che la partecipazione ai Campionati Europei under 21 giustificasse la richiesta. Chiaramente questo ha comportato un rallentamento dei lavori: i colloqui d’esame sono stati interrotti per consentire all’ormai ex candidato di sostenere le prove scritte”.
Invece il signor Donnarumma, che avrebbe voluto diplomarsi ragioniere ma continuare a fare il portiere, all’esame di maturità  non si è presentato, ha preferito andare in vacanza a Ibiza con la fidanzata.
“Faccio presente che oltre al signor Donnarumma ci sono 57 candidati che stanno affrontando l’esame, alcuni dei quali hanno problemi familiari gravi. Eppure sono venuti ad affrontare le loro prove. Forse supereranno gli esami, forse no, in ogni caso non si sono sottratti”, sottolinea la presidente della Commissione .
“Nessuno ha obbligato il signor Donnarumma a chiedere di svolgere le prove nella sessione suppletiva — ha concluso la professoressa Frojo -. Evidentemente lui riteneva di poter fare fronte a tutti i suoi impegni. Si sarà  ricordato, poco prima di volare a Ibiza, che il giorno dopo aveva la prima prova scritta?”.

(da “La Repubblica”)

argomento: Costume | Commenta »

LE ALLEGRE SPESE DEL M5S ALLA CAMERA: 500.000 EURO IN COMUNICAZIONE E CONSULENZE ESTERNE

Luglio 6th, 2017 Riccardo Fucile

AUMENTO DEL 375% RISPETTO AL 2015… 350.000 EURO SOLO PER LA CAMPAGNA DEL NO AL REFERENDUM: MA NON AVEVA FATTO TUTTO DI BATTISTA CON IL SUO SCOOTER?

Il MoVimento 5 Stelle è un movimento francescano e fa tutto con le risorse che si trova in casa perchè “ha rinunciato ai rimborsi elettorali“.
Come tutti i partiti politici però i gruppi parlamentari di Camera e Senato ricevono un contributo unico e onnicomprensivo per coprire le spese sostenute per il funzionamento dal gruppo parlamentare.
Per il 2016 il MoVimento 5 Stelle ha ricevuto dalla Camera dei deputati poco meno di 4 milioni di euro (3.780.845 €). Si tratta di denaro che per la maggior parte viene utilizzato per pagare gli stipendi dei dipendenti del M5S alla Camera.
Ma non solo.
Come si legge nel rendiconto di esercizio per il 2016 il gruppo del MoVimento alla Camera ha destinato un’ingente quantità  di risorse per finanziare eventi di comunicazione e di promozione dell’attività  dei parlamentari.
Questo, beninteso, lo fanno tutti i partiti politici e naturalmente non è assolutamente illegale. Fa specie però che il MoVimento degli onesti, di quelli che rendicontano al centesimo tutte le spese e predicano la necessità  di una politica meno spendacciona nel 2016 abbia avuto un passivo di poco meno di 500 mila euro (484.564 €).
Il disavanzo porta il patrimonio netto totale del gruppo parlamentare a 2 milioni e 173 mila euro, a fronte dei 2 milioni e 658 mila dell’esercizio 2015.
Dove sono finiti quei soldi?
Leggendo il rendiconto economico si nota un notevole aumento delle spese per i servizi che hanno visto un incremento del 375% rispetto alla gestione precedente passando dai 100 mila euro del 2015 a 522 mila euro del 2016.
Ma cosa sono i servizi?
Ad esempio — si legge — le spese sostenute dal gruppo della Camera per la campagna elettorale a favore del No al referendum costituzionale. I più sprovveduti penseranno che per sostenere le ragioni del No alla riforma Renzi-Boschi il M5S abbia sostanzialmente puntato tutto sul tour low cost di Alessandro Di Battista a bordo del suo scooterone.
Ma ovviamente non è così, il MoVimento “ha deciso di investire ingenti risorse economiche” all’attività  di propaganda per il NO alla riforma costituzionale che è costata — solo per la Camera — 354 mila euro. Certo il PD ha speso di più ma per Renzi c’era in gioco la permanenza a Palazzo Chigi e i Dem avevano maggiori capacità  di spesa. E queste sono solo le spese sostenute dai deputati a 5 Stelle.
Con buona pace di quelli che credono che i ragazzi fantastici del MoVimento siano riusciti a fare tutto solo andando in giro in treno o con le dirette su Facebook.
A proposito: il gruppo parlamentare ha deciso di aumentare le risorse destinate alle consulenze esterne a sostegno dell’attività  del gruppo comunicazione (+22%) mentre sono state ridotte (-7%) le spese per le consulenze esterne di supporto all’ufficio legislativo.
Nel 2016 è stato inoltre “consolidato e ampliato” il progetto affidato all’agenzia di comunicazione Web Side Story che dal 2014 cura la comunicazione del gruppo parlamentare sui social.
Dalla nota integrativa del revisore dei conti scopriamo che lo studio-ricerca commissionato a Domenico De Masi (quello che sostiene la tesi del “lavorare gratis”) è costata complessivamente 56.771 euro.
Assieme alla campagna per il No al referendum il compenso per De Masi e il suo studio sull’evoluzione del lavoro post-industriale rappresenta una delle spese principali sostenute dal M5S alla Camera.
Altro dato interessante sono i trentacinquemila euro spesi dal M5S per l’allestimento di stand, gazebo e la stampa di materiale divulgativo durante l’evento Italia a 5 Stelle.
Qualche giorno fa avevamo raccontato come i consiglieri regionali si siano fatti rimborsare i “contributi volontari” per l’evento di Palermo.
Ed è curioso che per una kermesse che sostanzialmente è stata organizzata per promuovere l’attività  dei politici del M5S e che è costata 125.469 euro (le donazioni hanno raggiunto i 400 mila euro) il M5S abbia utilizzato i fondi pubblici per fare pubblicità .
Di nuovo: niente di irregolare, ma per un MoVimento che si vanta di fare tutto in economia e che racconta che la politica si fa con i contributi dal basso la cosa stona parecchio.
Anche perchè il risultato di questa gestione dei fondi pubblici destinati al gruppo della Camera del M5S ha prodotto un disavanzo di gestione di quasi 500 mila euro.
Ma si sa, è difficile essere francescani con i soldi degli altri.

(da “NextQuotidiano”)

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GUAI PER APPENDINO E QUESTORE: LA LETTERA CHE AVVERTIVA IL COMUNE DELLA MANCANZA DI STEWARD A PIAZZA SAN CARLO

Luglio 6th, 2017 Riccardo Fucile

TURISMO TORINO AVEVA AVVERTITO: “PER IL CONTROLLO AI VARCHI NON SIAMO IN GRADO DI PROVVEDERE, SE VOLETE ANDARE AVANTI DOVETE PENSARCI VOI”

Agli atti dell’inchiesta della procura di Torino sui fatti di piazza San Carlo c’è una lettera di Turismo Torino al Comune che potrebbe indirizzare le indagini.
Ne parla oggi l’edizione torinese di Repubblica in un articolo a firma di Ottavia Giustetti e Diego Longhin:
È stata trasmessa via lettera, ufficialmente, ed è agli atti dell’inchiesta della procura di Torino dei pm, Antonio Rinaudo e Vincenzo Pacileo.
«Per quanto riguarda il controllo ai varchi di competenza degli steward, Turismo Torino non è in grado di provvedere – dice – Se siete intenzionati ad andare avanti comunque dovrete provvedere o trovare qualcuno che se ne faccia carico».
La lettera è inviata ufficialmente al gabinetto della Questura e al committente, il Comune.
Il giorno prima, infatti, la Questura aveva mandato una comunicazione con la quale impartiva indicazioni e numeri precisi per gli uomini da dispiegare in piazza quella sera.
Scriveva quanti steward erano necessari intorno al palco per garantire la sicurezza, quanti ai varchi e nel resto della piazza. Ma Maurizio Montagnese, presidente di Turismo Torino, e Danilo Bessone, che era stato incaricato del ruolo operativo, avevano già  risposto che quelle risorse non c’erano, e che non avevano modo di assumersi un impegno di quel genere.
Ad oggi per i fatti di Piazza San Carlo Maurizio Montagnese è indagato per omicidio colposo mentre la sindaca Chiara Appendino è indagata per lesioni in seguito alle querele presentate dai feriti.
Gli uomini c’erano ma in numero sufficiente solo a “proteggere” il palco durante la proiezione attraverso il maxi schermo della finale di champions League tra Juventus e Real Madrid.
La risposta scritta è tra le email sequestrate dalla Digos e finite nel fascicolo d’inchiesta. Maurizio Montagnese presidente di Turismo Torino, nell’interrogatorio davanti ai pm, assistito dall’avvocato Fulvio Gianaria, potrebbe averne spiegato il senso.
Sia lui che Bessone, che invece ha nominato Anna Ronfani, sono ufficialmente indagati nell’inchiesta per i 1526 feriti di quella notte, e per la morte della donna di Domodossola, Erika Pioletti.
Anche la sindaca, Chiara Appendino, è iscritta nel registro degli indagati ma solamente nel fascicolo per le lesioni, perchè i feriti nelle querele hanno chiesto espressamente che la procura approfondisca le responsabilità  del Comune.
Soprattutto perchè molti hanno immediatamente accusato l’amministrazione di non aver proibito la vendita di bibite in bottiglia di vetro quella sera.
Ed è un dato certo che la stragrande maggioranza dei tifosi che sono rimasti feriti sono caduti o hanno camminato scalzi sul tappeto di cocci che copriva l’intera piazza.

(da “NextQuotidiano”)

argomento: denuncia | Commenta »

“GUARDIA LIBICA COLLUSA CON I TRAFFICANTI DI UOMINI”: AMNESTY INTERNATIONAL DICE QUELLO CHE MINNITI NASCONDE

Luglio 6th, 2017 Riccardo Fucile

“RECORD DI VITTIME NEL MEDITERRANEO, TRE SU CENTO AFFOGANO E L’EUROPA VOLTA LE SPALLE”

Tre su cento non ce la fanno. Dal 2015 ad oggi è l’incremento di vittime più alto mai registrato nel Mediterraneo. Triplicato in due anni con la prospettiva di fare del 2017 l’anno record dei morti in mare. A poche ora dal vertice di Tallinn Amnesty International diffonde il nuovo rapporto sulla Libia e la rotta del Mediterraneo centrale, un “atto d’accusa all’Unione europea che volta le spalle ai migranti e ai rifugiati”.
Nel rapporto intitolato “Una tempesta perfetta, il fallimento delle politiche europee nel Mediterraneo centrale”, Amnesty denuncia quelli che definisce i “cinici accordi con la Libia, per i quali migliaia di persone rischiano di annegare o subire stupri e torture”.
“Avendo ceduto buona parte delle responsabilità  della ricerca e del soccorso in mare alle Ong e avendo incrementato la cooperazione con la Guardia costiera libica – afferma Amnesty – i governi europei non stanno prevenendo le morti in mare e chiudono gli occhi di fronte a stupri e torture. Invece di agire per salvare vite e fornire protezione – dice John Dalhuisen, direttore di Amnesty International per l’Europa – i ministri degli Esteri europei stanno vergognosamente dando priorità  ad irresponsabili accordi con la Libia nel disperato tentativo di impedire a migranti e rifugiati di raggiungere l’Italia”.
I cambi di strategia dei trafficanti e l’aumentato ricorso a imbarcazioni inadatte alla navigazione e prive di qualsiasi dotazione di salvataggio hanno reso le traversate sempre più pericolose.
Il rapporto di Amnesty nota che solo un’imbarcazione su due è dotata di un telefono satellitare a bordo, che su gommoni   vetusti vengono fatte salire centinaia di persone, che le imbarcazioni vengono fatte partire in lanci multipli, di notte e in qualsiasi condizioni metereologiche creando i presupposti per viaggi sempre più rischiosi. In nessun caso quelle barche sono nelle condizioni di arrivare fino alle coste europee.
Amnesty denuncia poi gravi collusioni tra membri della Guardia costiera libica e trafficanti e maltrattamenti nei confronti dei migranti.
“Le motovedette libiche – si legge nel rapporto – aprono il fuoco contro altre imbarcazioni e sono state direttamente coinvolte, con l’impiego di armi da fuoco, nell’affondamento di imbarcazioni con migranti a bordo”.
Un uomo proveniente dal Bangladesh ha raccontato cosa è accaduto dopo l’intercettamento da parte della Guardia costiera libica: “Eravamo in 170 su un gommone. Ci hanno portato indietro in prigione e chiesto altri soldi. ‘Se pagate ancora stavolta non vi fermeremo. Noi siamo la guardia costiera’. Le prigioni libiche? Semplicemente l’inferno”.
Secondo Amnesty, per altro, la cooperazione e l’addestramento della Guardia costiera da parte dell’Unione europea mancano attualmente di un sistema di accertamento delle responsabilità  e di monitoraggio delle operazioni in mare e di ciò che ne consegue. “Le persone intercettate in acqua vengono regolarmente riportate nei centri di detenzione e torturate – si legge nel rapporto – In Libia non esiste alcuna legge o procedura d’asilo. Di conseguenza coloro che restano intrappolati nel paese possono andare incontro a uccisioni, torture, stupri, rapimenti, lavoro forzato e detenzione a tempo indeterminato e in condizioni inumane e degradanti”.
Amnesty International chiede alla Ue di insistere affinchè la Guardia costiera libica trasferisca le persone soccorse su navi dirette verso paesi dove la sicurezza e la protezione siano garantite.
“L’unica maniera sostenibile e umana per ridurre il numero di morti tra coloro che rischiano la vita in travesate terribili – è la conclusione di Amnesty – è di aprire maggiori percorsi legali e sicuri per i migranti e i rifugiati diretti in Europa”.

(da “La Repubblica”)

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INVECE DI IMPORRE ALLA UE DI RISPETTARE L’ACCORDO DI REDISTRIBUIRE 35.000 PROFUGHI, MINNITI PENSA A TAGLIARE I SOCCORSI DELLE ONG

Luglio 6th, 2017 Riccardo Fucile

EUROPEISTI DELLA DOMENICA E MAGLIARI DELLA POLITICA IN AZIONE IN ESTONIA

Alle 13 dovrebbe essere tutto finito. Luogo: Tallinn, Estonia, paese presidente di turno dell’Ue. I 28 ministri degli Interni dell’Unione discuteranno per tutta la mattinata delle proposte italiane sull’emergenza immigrazione. Toccherà  al commissario europeo Dimitris Avramopoulos fare la sintesi finale.
Il vertice dovrebbe partorire l’ok della commissione Ue e degli altri paesi all’idea italiana di un codice di regolamentazione per le Ong che soccorrono i migranti nel Mediterraneo.
Divieto di entrare in acque libiche per salvare vite umane (come se adesso ci entrassero…), polizia a bordo, documenti in regola, divieto di spegnere i trasponder per non essere identificati dalla guardia costiera libica, divieto di segnalare la propria presenza in mare con le luci.
Chi non rispetterà  queste regole, non potrà  sbarcare in un porto italiano. Domani Minniti verificherà  la disponibilità  dei colleghi europei ad appoggiare questa parte del suo piano.
Unico risultato: far affogare altri esseri umani prima che arrivino i soccorsi.
Si aspettano il no di quelle più piccole, tedesche e olandesi. Ma a quel punto per loro scatterà  la chiusura dei porti.
E’ questa la modalità  di chiusura dei porti che immaginano ora al ministero degli Interni, a distanza di una settimana dall’annuncio di voler chiudere gli approdi a tutte le navi che non battono bandiera italiana.
Minaccia ridimensionata, insomma. Per non rischiare con le convenzioni internazionali che regolano il soccorso in mare: la Solas, forgiata addirittura nel 1914, dopo la tragedia del Titanic, o la convenzione di Amburgo del 1979.
Non a caso nell’informativa in Parlamento Minniti ha sottolineato che la maggior parte dei soccorsi in mare vengono effettuati dalle organizzazioni non governative. “Nei primi sei mesi di quest’anno — sono le parole del ministro – i salvataggi nel Mediterraneo centrale sono stati fatti per il 34 per cento dalle Ong, il 28 per cento dalla Guardia costiera italiana, il 9 per cento dalla missione Sophia, l’11 per cento dalla missione Frontex e il 7 per cento da singoli mercantili”.
Il cerchio si stringe intorno alle Ong, salvano troppe vite umane, questo il reato contestato da associazioni a delinquere come la Guardia costiera libica.
Il governo italiano aveva in mano l’accordo di due anni fa: bastava ESIGERNE il rispetto entro un mese e 35.000 profughi sarebbero smistati in altri Paesi europei, con le buone o con le cattive.
Se non li accettano la mossa è semplice: liberi tutti di attraversare i confini.
Sapete quanti richiedenti asilo che erano riusciti a raggiungere Austria, Svizzera e Francia “ci sono stati riconsegnati” dall’inizio dell’anno ? Circa 30.000.
Basta notificare alla Ue che da domani non accetteremo più profughi di ritorno e ammassare gli stessi sulle linee di confine, poi vediamo chi ride.
In pochi mesi noi dimezzeremmo le presenze e faremmo capire a certi europeisti della domenica come si sta al mondo.

(da agenzie)

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TALLIN, L’EUROPA RIDOTTA A UNA ASSOCIAZIONE A DELINQUERE: “NO AD APERTURA ALTRI PORTI UE”

Luglio 6th, 2017 Riccardo Fucile

TUTTI SOLIDALI A PAROLE, FIRMANO ACCORDI E COME BARI NON LI RISPETTANO

Se il senso di questo vertice informale a Tallinn è quello di capire chi appoggia chi, e su cosa, per l’Italia le cose non cominciano benissimo.
Il punto più caldo della discussione, su cui il ministro dell’Interno Marco Minniti cerca sponde in Europa, è quello della “regionalizzazione” del soccorso: termine burocratico con cui si intende l’apertura dei porti della costa meridionale europea alle navi che recuperano migranti nel Mediterraneo.
Agli espliciti no di Francia e Spagna comunicati nei giorni scorsi (“i nostri porti sono già  sotto pressione”), se ne sono aggiunti altri questa mattina.
Arrivando al vertice, il ministro tedesco Thomas de Maiziere ha dichiarato subito: “Non sosteniamo la cosiddetta regionalizzazione delle operazioni di salvataggio”. Lo stesso ha fatto anche il ministro belga per l’Asilo e politica migratoria Theo Francken: “Non credo che apriremo i nostri porti”. E il padrone di casa estone Sven Milkse ha ribadito che sulla questione “non è possibile forzare nessuno”.
Un atteggiamento di chiusura che non sorprende la delegazione italiana, visto che è la linea tenuta in tutti questi anni dai partner Ue.
Tant’è che il Viminale ha un’altra carta da giocare: la richiesta di rimodulare il mandato dell’operazione Triton per indurli a condividere il peso e la responsabilità  delle vite salvate consentendo gli sbarchi su porti europei.
Favorire la discussione sulle proposte italiane in sede di Frontex è del resto uno dei punti dell’Action Plan adottato dalla Commissione europea alcuni giorni fa.
E però anche questa si sta rivelando una strada in salita, perchè lo stesso commissario Ue per l’immigrazione Dimitris Avramopoulos si è detto un po’ a sorpresa contrario: “Triton ha già  un mandato ben definito, si tratta di migliorare l’attuazione di quanto già  deciso”.
Affermazione che i suoi addetti stampa stanno cercando di rettificare e che va in senso contrare alle aperture per l’Italia.
Altro punto su cui si stanno confrontando al tavolo di Tallinn è quello della ricollocazione dei rifugiati riconosciuti in Italia e in Grecia, come vorrebbe il piano Jucker varato due anni fa ma che stenta ad entrare a regime.
Qui l’alleato migliore per il nostro Paese è la Germania, ma ci scontriamo con i quattro del Gruppo di Visegrad (Ungheria, Polonia, Slovacchia e Repubblica Ceca) ostili a fare qualsivoglia concessione sulla redistribuzione dei migranti.
E poi c’è la constatazione che sulla crisi migratoria gli Stati membri, divisi e incapaci di solidarietà  vera nei confronti dell’Italia, sono almeno uniti e sempre più convinti sulla strategia esterna per affrontare il fenomeno e ridurre i flussi: con iniziative come il training e il rafforzamento della guardia costiera libica, gli accordi di cooperazione e di riammissione con i paesi di origine e di transito, gli incentivi a Tunisia e Libia per convincerli a creare delle proprie zone di ricerca e soccorso in mare.

(da “La Repubblica“)

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