Agosto 25th, 2019 Riccardo Fucile
LE PRESSIONI DI FRANCESCHINI, DELLE CANCELLERIE E DEI VESCOVI… PER IL SEGRETARIO DEM IN GIOCO IL SENSO STESSO DEL SUO MANDATO… SE CEDE, NON C’E’ BISOGNO CHE RENZI FACCIA UN NUOVO PARTITO PERCHE’ IL PD E’ RITORNANO SULLA SUA LINEA… E CHI HA ELETTO ZINGARETTI RIMARRA’ FREGATO
Per ora Zingaretti non cede, tiene il punto, consapevole che accettare Conte sarebbe una resa. A palazzo Chigi l’avvocato dell’alleanza gialloverde, folgorato sulla via di Damasco dell’anti-salvinismo fuori tempo massimo.
E il Pd trascinato sulle posizioni di Matteo Renzi, che a quel punto se lo sarebbe ripreso “politicamente”, in nome del governo a tutti i costi.
Ecco, è il momento della verità , per il segretario del Pd. Quello della scelta su cui un leader si gioca tutto: storia, convinzioni, leadership, missione su cui è stato investito da quel popolo che, alle primarie, lo ha unto democraticamente in nome di una “alternativa” al governo gialloverde, in cui i gialli erano complici dei verdi nella più grande svolta a destra degli ultimi anni, mai messa in discussione da una parola di autocritica.
È il momento anche della solitudine nella scelta: forzare, assumendosi il rischio di una iniziativa, o mediare tra le correnti.
Perchè la spinta governista, all’interno del Pd (e anche fuori), assomiglia ormai a un assedio. Assedio che si materializza nelle dichiarazioni che Zingaretti rilascia al metà pomeriggio alla stampa, quando torna a scandire le parole chiave “discontinuità ” e “cambio di persone”, come presupposti per un governo di “svolta”, ma non pronuncia quelle parole che farebbero scorrere i titoli di coda del negoziato, dopo che Di Maio ha messo a verbale il suo ultimatum su Conte. Il “no a Conte”, così esplicito, non lo dice.
Complicato, certo, tornare indietro, senza apparire un segretario dimezzato.
Eletto per costruire un’alternativa che intercetti il popolo deluso dai Cinque stelle si ritrova mezzo partito che vuole l’arrocco col ceto politico pentastellato, dopo il suo fallimento e l’abbandono della metà dei suoi elettori.
Insomma, la rinuncia a giocare, nelle urne, una partita che, secondo i sondaggi (prontamente twittati in mattinata da Paolo Gentiloni, non a caso) non è impossibile, con un po’ di coraggio.
Però, dicevamo, ci sono le dimensioni dell’assedio: “Ci manca solo Bergoglio — dicono al Nazareno — ma la spinta è fortissima, dai vescovi alle cancellerie europee, passando per Prodi, Franceschini e gli ex ministri che sognano di tornare al governo”.
Anche un certo giro quirinalizio. In particolare sono state notate le parole di Pierluigi Castagnetti, storico amico del presidente del Repubblica, che ha affidato a un paragone storico il suggerimento per l’oggi: “Nel 1976 Berlinguer (che avrebbe preferito Moro) accettò Andreotti perchè riteneva che sono i programmi e non le persone il terreno e lo strumento della discontinuità ”. È chiaro il riferimento a Conte.
Parliamoci chiaro, in questa crisi strampalata e irrituale. A questo punto, complice la scarsa compattezza interna al Pd, l’alternativa è: o Conte o salta tutto. Al momento. Sono queste contraddizioni dentro il Pd, che sembra aver paura del voto più dei Cinque Stelle, che consentono a Di Maio di alzare un muro, nella convinzione che l’altro (di muro) sia destinato a franare.
Così gli dicono i suoi ambasciatori che tengono i canali aperti col Pd, come Vincenzo Spadafora, in contatto diretto con Dario Franceschini, col quale la consuetudine risale sin dai tempi in cui entrambi erano nella Margherita.
È anche lungo questa linea telefonica che la trattativa affronta il nodo dei ministeri, sia pur in un clima di gran confusione. L’uomo ombra di Luigi Di Maio esplicita ciò che il suo capo aveva accennato nella telefonata mattutina a Zingaretti e cioè che il via libera a Conte verrebbe ricompensato dando al Pd i ministeri chiave, ipotesi che poi viene smentita nel pomeriggio, sempre da ambienti vicini a Di Maio, quando la trattativa si complica: “Ci stanno dicendo — spiegano al Nazareno — ‘dateci Conte e noi vi diamo tutto il cucuzzaro’, ma la verità è che, incassata la casella principale, poi, una volta che ci siamo consegnati, alzeranno il tiro sui ministeri”.
Non c’è una trama limpida, un confronto alla luce del sole, politico e di agenda. C’è un’orgia di spin, per cui i Cinque stelle lasciano anche trapelare la loro lista di governo con Di Battista dentro, segno che anche lì dentro è un inferno, tra il “partito di Conte”, il partito Di Maio” e “il partito del voto di Di Battista”.
È tutto un vociare scomposto su nomi e poltrone, senza uno straccio di confronto su un’idea di paese (a proposito di “compromesso storico”), rinviato a un tavolo domani tra i capigruppo dei due partiti e all’incontro tra Zingaretti e Di Maio. Forse.
Ma sono gli sricchiolii dentro il Pd che consentono di buttare la palla nel campo altrui, stressando il clima: “L’Italia — dicono i Cinque stelle – non può aspettare il Pd”. Scricchiolii che hanno il volto di Matteo Renzi, con i suoi scatenati al tavolo pomeridiano dei programmi, in nome del governo a tutti i costi, tra chi dice “subito il taglio dei parlamentari” e chi rinnega il jobs act.
Perchè l’ex segretario ha capito che, se parte il governo, non ha più neanche bisogno di fare la scissione. È il Pd che, se così dovesse andare a finire, al primo passaggio politico vero si scinde dal suo segretario, tornando sulla linea del precedente.
Ecco il bivio. Per ora Zingaretti tiene, andrà a vedere nell’incontro con Di Maio ponendo il tema della “discontinuità ”.
Alla direzione di martedì, l’ora della verità : quanto c’è di nuovo nel suo Pd o quanto risorgerà il vecchio, con le solite grisaglie ministeriali del governo per il governo.
(da “Huffingtonpost”)
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Agosto 25th, 2019 Riccardo Fucile
BELLISSIMO ESEMPIO DI SOLIDARIETA’ FEMMINILE: C’E’ ANCHE UNA GRANDE ITALIA
L’Italia quella bella oggi la racconta Desirè Nica, una ragazza di Roma che, in vacanza a Trapani, ha potuto testimoniare come la parte migliore del nostro Paese esiste e non si vergogna di fare la parte da “buonista”.
L’episodio, di cui lei stessa è protagonista, è accaduto sulla spiaggia del litorale siciliano.
“Sono le 13.00, e arriva sulla spiaggia uno dei tanti ambulanti che cercano di vendere qualcosa”, scrive in un post su Facebook Desirè.
“Solo che stavolta è donna. Solo che stavolta è mamma. Ha una cesta enorme che tiene in bilico sulla testa, con dentro tutto ciò che vorrebbe vendere, e dietro, legata sulla fascia, la sua bambina. Avrà 2 anni e mezzo, 3 al massimo. Sta sotto al sole in groppa alla sua mamma mi chiedo da chissà quante ore”.
Nonostante in questi mesi ci siamo dovuti abituare a narrazioni in cui l’odio e il razzismo sembrano aver avuto la meglio, c’è una parte del Paese che ha tutt’altra propensione e di fronte alle difficoltà del prossimo — italiano o straniero che sia — prova disagio e desiderio di aiutare.
“Guardo mia figlia e penso che sono 3 ore che mi affanno per farle scegliere cosa mangiare, per coprirle la testa dal sole, per stare attenta che non beva acqua troppo fredda”, scrive Desirè.
“Dico a Gabri che vado a comprare qualcosa da quella mamma e che vado a portare un po’ di frutta fresca alla bimba e darle qualcosa da mangiare. Ma non c’è stato bisogno di fare niente.
Perchè oggi l’Italia bella è stata quella delle mie vicine di ombrellone che tutte insieme hanno detto a quella mamma come loro, di andare a lavorare tranquilla, perchè alla sua bambina ci avrebbero pensato loro”.
“Ed è proprio così che è andata. La mamma ha continuato il suo giro per le spiagge, e la piccola ha mangiato insieme a tutti i nostri figli sotto l’ ombra del ristorante dello stabilimento, ha giocato sulla riva, ha fatto i gavettoni insieme agli altri bambini della spiaggia. E io oggi sono felice, perchè è stato davvero bello vedere tutto questo”.
Già , perchè l’italiano non ha bisogno di grandi gesti, la solidarietà femminile non ha colore o etnia. Ci si aiuta con naturalezza e spontaneità .
(da agenzie)
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Agosto 25th, 2019 Riccardo Fucile
MA CHI ERA CHE AVEVA DETTO CHE NON BISOGNAVA USARE I FIGLI IN POLITICA?
L’aveva fatto ieri e l’ha rifatto oggi. Oggi lo smalto della piccola, ieri era un’altra posa.
La figlia in pasto ai social per una strategia mediatica che ormai capisce solo lui, visto che la strumentalizzazione è così smaccata e becera che imbarazza perfino
E invece no, mentre la Lega perde consenti, mentre la strategia dei ‘pieni poteri’ si sta rivelando un boomerang, Capita Nutella e i ragazzetti che gli seguono i social continuano a sfornare di tutto
Ed evidentemente a corto di idee hanno giocato per la secondo volta la lacrimevole foto del papà buono con la vìgilia amorevole che resiste alle brutture dei ‘cattivi’ che vogliono il male dell’Italia mentre c’è lui che ci difende. Magari anche grazie a 49 milioni e all’appoggio di gente come Savoini.
Ovviamente tutti ricordano che nei giorni della polemica delle moto d’acqua Salvini aveva detto che non bisognava usare i banbini in politica. Anche i questo caso la maggioranza dei commenti è stata largamente negativa:
-La cosa schifosa è un padre che usa la propria figlia per puri fini elettorali.Quando penso che hai raggiunto il limite della decenza, riesci sempre a superarti e a stupire.
-Segue abuso mediatico dei figli. Citofonare telefono azzurro. La pochezza. @lumorisi
-In una spiaggia di Trapani, alcune siciliane hanno accudito una bambina di 3 anni per tutto il giorno, permettendo alla mamma ambulante di colore di guadagnarsi la giornata senza averla sulle spalle sotto al sole. Questa è l’ITALIA che vogliamo. Vergognati per gli smalti.
-Evitare di usare i figli per farsi pubblicità , e raccattare qualche voto, sempre più vergognoso
(da Globalist)
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Agosto 25th, 2019 Riccardo Fucile
QUANDO C’E’ LA CRISI MEGLIO AFFRETTARSI A FARE LE NOMINE
Quando c’è la crisi, insegna il manuale del politico sovranista, è meglio sbrigarsi a fare le nomine. Perchè così si lascia qualche guaio al successore.
E così il ministro Marco Bussetti, leghista, ha designato una sua fedelissima alla guida della scuola in Liguria.
Racconta oggi Repubblica:
La denuncia è partita ieri dalla testata specializzata Tecnica della scuola: «Nomine imbarazzanti». Un rush finale che provoca malumori e scatena boatos. I riflettori si accendono su Luciana Volta, 59 anni, avvocata, vice direttrice dell’ufficio scolastico regionale della Lombardia da nove anni, conoscente di lunga data dello stesso ministro che è stato Provveditore a Milano. Hanno lavorato insieme in quegli anni.
La scelta di Bussetti aveva già fatto discutere quando era uscito il 16 luglio un decreto a sua firma per definire che, in caso di “conflitto di interessi”, le nomine le avrebbe firmate il suo capo dipartimento.
Eccesso di prudenza? Fatto sta che la procedura delle nomine è andata avanti (manca solo il via libera della Corte dei conti) e si dice che proprio la designazione di Volta porti la firma del capo dipartimento del Miur Carmela Palumbo.
Ora le caselle sono completate nello scacchiere di viale Trastevere a tinta verde. A crisi, non prevista, in atto. Un’eredità che un nuovo ministro potrebbe congelare.
(da agenzie)
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Agosto 25th, 2019 Riccardo Fucile
IN PRATICA PER DI MAIO CONTA SOLO MANTENERE LA SUA CARICA DI VICEPREMIER E MINISTRO E FAR PASSARE SU ROUSSEAU IL NUOVO GOVERNO (COSA CHE SOLO CONTE PREMIER PUO’ GARANTIRE)
Nel corso del colloquio con Nicola Zingaretti, Luigi Di Maio avrebbe proposto al segretario Dem, per superare il veto su Giuseppe Conte a Palazzo Chigi, di lasciare al Pd la maggior parte dei ministeri chiave di un eventuale esecutivo con M5s.
È quanto apprende l’Agi da qualificate fonti della segreteria del partito democratico.
In questo modo, si realizzerebbe quella discontinuità chiesta dal segretario Zingaretti con quasi un ‘monocolore’ Pd guidato però dal presidente del Consiglio dimissionario.
(da agenzie)
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Agosto 25th, 2019 Riccardo Fucile
DENTRO DI BATTISTA, PATUANELLI E FIORAMONTI, RIMANGONO PURE TRIA E MOAVERO… AL PD INTERNI, CULTURA , LAVORO, SCUOLA, SANITA’, AGRICOLTURA, SUD
C’è il nodo Giuseppe Conte ancora insolubile sul tavolo, e questo è noto. Ma nell’incessante lavorio per districarlo gli ambasciatori del Movimento 5 stelle stanno sondando il Partito democratico su quale possa essere la composizione della squadra di governo. Avendo, da parte loro, le idee piuttosto chiare. A partire dall’assoluta volontà di coinvolgere Alessandro Di Battista
Andiamo con ordine. Premier a parte, della vecchia compagine rimarrebbero solo Riccardo Fraccaro e Alfonso Bonafede.
L’optimum sarebbe nelle caselle che ricoprono oggi, quelle di ministri dei Rapporti con il Parlamento e della Giustizia, ma non se ne fa una questione insormontabile.
Insieme a Nicola Zingaretti (o chi per esso), Luigi Di Maio manterrebbe la poltrona da vicepremier. Ma cambierebbe ministero.
Le ipotesi sono tre, in ordine crescente di probabilità : Esteri, Interni e Difesa. È sul ruolo che oggi è di Elisabetta Trenta che il capo politico punta.
La professoressa della Link campus farebbe gli scatoloni, insieme ad Alberto Bonisoli, Barbara Lezzi, Giulia Grillo e Danilo Toninelli.
Per quest’ultimo è accreditata la sedia di capogruppo al Senato, che rimarrebbe vacante perchè Stefano Patuanelli al momento è l’unico candidato a quel ruolo in caso di soluzione positiva.
Il Pd avrebbe il via libera sugli Interni, posizione che Di Maio accarezza nei suoi pensieri ma che lo renderebbe bersaglio troppo facile agli occhi di Matteo Salvini. Ai Democratici anche Lavoro, Sanità e Cultura, oggi dicasteri pentastellati.
Questi ultimi sostituirebbero la Lega ai vertici di Istruzione e Agricoltura, mentre manterrebbero lo Sviluppo Economico, con Lorenzo Fioramonti destinato a traslocare da viale Trastevere, dove attualmente siede in un ufficio da viceministro.
Sud e Affari regionali (quest’ultimo per gestire la partita delle autonomie che tanto ha fatto litigare i gialloverdi) andrebbero al Nazareno, così come il dialogo è aperto sulla Funzione pubblica.
Nessun veto, ma anzi una sostanziale predisposizione alla conferma, sui due super tecnici che hanno già dato la propria disponibilità all’esecutivo precedente: Enzo Moavero ha il via libera per continuare a guidare le feluche, mentre sorprendentemente anche Giovanni Tria, di frequente oggetto degli attacchi pentastellati, avrebbe un robusto gradimento per rimanere a via XX settembre.
Proprio in queste ore i vertici del Movimento stanno di converso preparando una elenco da far arrivare al Nazareno. Una vera e propria black list di esponenti del mondo Pd e della sinistra che sarebbero indigeribili a vertici e base grillina.
Un modo uguale e contrario, si spiega, per rispondere alle resistenze su Conte.
In cima al foglio ci sono i nomi di Matteo Renzi, Maria Elena Boschi e Luca Lotti. Sono noti, ma sono anche gli unici pezzi da novanta del renzismo su cui c’è una netta indisponibilità . Sugli altri si può trattare.
Porte chiuse invece per nomi come quelli di Matteo Orfini e Laura Boldrini, senza voler scomodare grandi vecchi come Massimo D’Alema.
Aperta è quella invece che apre la vista sulla Commissione europea. Con un ammorbidimento su Conte la scelta del Commissario che rappresenterà l’Italia può essere ampiamente calibrata insieme ai nuovi alleati. Un’apertura non da poco.
Che potrebbe tuttavia non bastare a compensare l’altra idea che sta girando nella testa dei vertici stellati: quella di un coinvolgimento di Alessandro Di Battista nella casella che fu di Paolo Savona: quella degli Affari europei.
Una provocazione? “No — risponde un alto dirigente 5 stelle — Sappiamo tutti le posizioni di Alessandro sul Pd. Coinvolgerlo serve a noi per il carisma che gli è riconosciuto, ma serve anche a loro”.
Sempre che tra veti e controveti la cosa giallorossa parta, e l’organigramma faticosamente stilato non rimanga solamente il wishful thinking di un caldo fine settimana di tardo agosto.
(da “Huffingtonpost”)
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Agosto 25th, 2019 Riccardo Fucile
L’ARROGANZA DEL M5S E’ INVERSAMENTE PROPORZIONALE AI VOTI CHE PRENDEREBBE IN CASO DI RITORNO ALLE URNE… ZINGARETTI RIBADISCE IL NO MA LASCIA LA PORTA APERTA, RENZI POSSIBILISTA
“Nessun confronto è possibile davanti ai veti, come quello che continua ad arrivare sul premier Giuseppe Conte. Se non si sciolgono i veti e non otteniamo le garanzie adeguate per il Paese diventa tutto molto difficile”.
Così fonti M5S fanno filtrare l’irritazione del Movimento per il no granitico del segretario Pd Nicola Zingaretti alla riconferma della premiership a Conte.
Zingaretti e Di Maio si sono sentiti questa mattina e ognuno è rimasto sulle sue posizioni: i 5 Stelle vogliono Conte come unico premier dell’eventuale governo demostellato, mentre i dem assolutamente no.
Il leader M5S ha ribadito di non accettare alcun veto su Conte. “Tutto il M5S è leale a Conte ed è l’unico nome come premier”, ha ripetuto Di Maio a Zingaretti.
All’irritazione dei 5 Stelle fa da controcanto il “malessere” del segretario Pd per “gli ultimatum” da parte di M5S, fanno sapere fonti della segreteria Pd.
Nella telefonata con Di Maio – spiegano le fonti – Zingaretti ha ribadito il no a un Conte bis, per i motivi che aveva già spiegato al leader M5S, ovvero “per la necessità di marcare una discontinuità ” con l’esecutivo attuale.
Fonti Pd sottolineano che “si sta comunque cercando una soluzione” e il dialogo prosegue. Il segretario dem però avrebbe espresso un certo “malessere” per i continui ultimatum sui nomi lanciati dai 5 Stelle.
Tramontata l’ipotesi – avanzata sottotraccia dal Pd – di Roberto Fico a Palazzo Chigi, la trattativa rimane così al punto di partenza.
A sfilarsi dalla partita per la premiership è stato lo stesso presidente della Camera. “Roberto Fico ricopre l’incarico di presidente della Camera dei deputati e intende responsabilmente dare continuità al suo ruolo”, evidenziano fonti di Montecitorio.
Una soluzione, al momento, ancora non si vede, mentre all’interno del Pd i renziani fanno sapere di “sostenere” il segretario, anche nel caso decidesse di aprire a Conte.
(da agenzie)
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Agosto 25th, 2019 Riccardo Fucile
DI MAIO INSISTE SU CONTE (O SE STESSO) OFFRENDO PIU’ MINISTERI AL PD… VUOLE CONCLUDERE LA MISSION: PORTARE IL M5S ALLA SCOMPARSA E I RAZZISTI AI PIENI POTERI
“Roberto Fico ricopre l’incarico di presidente della Camera dei deputati e intende responsabilmente dare continuità al suo ruolo”. È quanto viene evidenziato da fonti di Montecitorio. Ad avanzare sottotraccia la proposta di Fico alla guida del possibile governo M5S-Pd era stato il segretario Dem Nicola Zingaretti. Una mossa che ha spiazzato il capo politico del Movimento, Luigi Di Maio, in silenzio assoluto da ieri.
Per ora – a quanto si apprende – l’offerta dei 5 Stelle al Pd è ferma sul nome di Giuseppe Conte, con la promessa ai dem di un maggior numero di ministeri.
Lo squallore di Di Maio ha raggiunto l’apice, vuoe concludere la sua missione: andare a votare e fare il becchino del M5s.
(da agenzie)
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Agosto 25th, 2019 Riccardo Fucile
SE IL M5S DICESSE NO A FICO EMERGEREBBE CHE DI MAIO PENSA SOLO A SE STESSO E CI SAREBBE LA RIVOLTA DEI PARLAMENTARI
«Se non ci date un premier terzo, scelto insieme a un tavolo, allora noi alle consultazioni da Mattarella faremo il nome di Fico, vogliamo vedere come fate a dire di no».
Questa la minaccia che il Pd butta nel campo minato dei Cinque stelle: dove solo a sentir nominare il proprio rivale interno, Luigi Di Maio potrebbe avere uno sbocco di bile. Ma magari sarebbe costretto a capitolare.
Non è dato sapere se nei ripetuti contatti telefonici che hanno avuto anche ieri Zingaretti e il suo omologo grillino, il nodo sia stato affrontato: tenere coperte le carte è un imperativo in queste fasi, ma il rilancio è arrivato lo stesso alle orecchie pentastellate.
Nei colloqui tra generali dei due schieramenti, continua infatti ad andare in scena un ping pong: «Conte o Di Maio», dicono i grillini; «sapete che non si può fare», replicano i Dem.
L’argomento dei 5 stelle a favore del premier uscente (ormai icona del Movimento) e di Di Maio premier (come unica alternativa), è che andrà messo sulla piattaforma Rousseau un nome che non possa essere bocciato.
E a quel punto, «come farebbero a dire di no a Fico?», chiede un renziano doc. «È anche presidente della Camera e ha sulla carta lo standing istituzionale…».
Ecco, l’altra notizia è che in questa fase tattica sia Zingaretti che Renzi sono d’accordo: lo schema principale è dire ai grillini «troviamo un’intesa su un nome terzo».
Se dicono «no, il premier tocca a noi che abbiamo il 33% dei parlamentari», allora il Pd lancerà tra le gambe di Casaleggio e Di Maio il nome di Fico, depositandolo nei taccuini del Quirinale alle consultazioni.
Il ragionamento di chi conduce la partita sul campo è che i grillini non hanno più il secondo forno con la Lega perchè un governo gialloverde ora non avrebbe più i numeri al Senato, in quanto diversi senatori M5S non voterebbero più un esecutivo con Salvini.
(da “La Stampa“)
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