Agosto 3rd, 2019 Riccardo Fucile
IL RACCONTO DI GIAMPAOLO PANSA A TPI
Il Bestiario di Pansa rinasce qui su un giornale online, creato da due ragazzi coraggiosi e molto capaci. Rinasce alla faccia di Matteo Salvini, il dittatore leghista, e di Maurizio Belpietro, il proprietario del quotidiano “La Verità ” e del settimanale “Panorama”, il primo dei tifosi del Capitano.
L’insegna del Bestiario l’avevamo ideata Claudio Rinaldi e io, una domenica mattina di molti anni fa. Era stata decisiva l’opinione di Claudio che dirigeva “Panorama”. Voleva un’insegna corta, fatta di una parola sola. Lui ne propose anche una in latino, dicendomi: “Lo posso fare perchè sono un superlaureato all’Università Cattolica!”.
Nessuno di noi due avrebbe mai immaginato la morte violenta del Bestiario. Ucciso dall’ultimo proprietario del settimanale: Maurizio Belpietro. Giovedì 11 luglio 2019, poco dopo le nove del mattino, mi telefona e mi sorprende. Non mi cercava quasi mai, non l’aveva fatto neppure quando avevo lasciato il suo quotidiano, dopo aver letto un suo articolo di fondo che si concludeva con un lapidario “Forza, Salvini!” .
Il motivo della telefonata era sempre lo stesso: Salvini, anche adesso la passione di Belpietro per il Dittatore della Lega è rimasta intatta. Niente la scalfisce. A volte penso che, se mai il Capitano leghista fosse costretto a lasciare il mestiere della politica, Maurizio sarà l’ultimo ad abbandonarlo e sino alla fine griderà : “Forza Matteo!”.
Infatti Belpietro mi dice: “Giampaolo, tu scrivi troppo su Salvini. Ormai il tuo Bestiario è sempre dedicato a lui. Ogni volta lo critichi, lo accusi. Il ministro dell’Interno è diventato la tua ossessione. Non hai idea di quante lettere di protesta ricevo dai lettori di ‘Panorama’! Così non va bene, devi cambiare argomento e personaggio!”.
Gli replico: “Anche quello che tu stai facendo non va bene. Esiste un cardine della nostra professione, una regola che tutti accettiamo. La regola sostiene che l’editore non deve mai intervenire su quello che scrive un suo giornalista. Se non se la sente di condividerlo o di accettarlo, ha una sola strada: licenziarlo o impedirgli di scriverlo!”.
Lui mi risponde: “Giampaolo, non ho nessuna intenzione di licenziarti o di impedirti di scrivere per ‘Panorama’. Ma ti prego di non assalire di continuo il ministro dell’Interno che è anche il capo della Lega, il partito numero uno in Italia!”.
Ci lasciamo così. Sono sbalordito. In tanti anni di professione non mi era mai accaduto che un direttore-editore mi presentasse un ordine così tassativo. La mia prima reazione è di mandare al diavolo Belpietro e il suo “Panorama”. Non mi piace per niente la mossa contro di me. Fatta tra l’altro in assenza di Mauro Querci, il capo macchinista del settimanale, appena partito per le ferie: due settimane in Uganda. Mi sono subito chiesto se Querci sapesse delle intenzioni di Belpietro. Ho provato a cercarlo sul cellulare, ma non l’ho mai trovato: l’Uganda è molto lontana.
Ero infuriato. Soltanto mia moglie Adele, donna saggia, mi ha evitato di scrivere subito una lettera di dimissioni. Mi ha detto: “Giampa, aspetta. Stai a vedere che cosa succede e poi deciderai con calma!”. Ma che cosa poteva succedere? Non avevo più voglia di scrivere per Belpietro. Il suo “Panorama” mi sembrava una testata sempre più estranea a me. Comunque ho deciso di seguire il consiglio di Adele.
Ho ancora una annotazione. Avevo chiesto a Belpietro se avesse già dato una occhiata ai quotidiani appena usciti, zeppi di cronache sul Russiagate che coinvolgevano uomini molto vicini al capo della Lega. Ma lui mi ha risposto che non li aveva ancora letti.
A proposito delle lettere di protesta contro il Bestiario che Belpietro sosteneva di aver ricevuto, io non le ho mai viste. E lui non me le ha mai consegnate come avrebbe dovuto. E tanto meno si è offerto di farmele leggere. Esistono davvero? Mi viene in mente un vecchio adagio: a pensar male si fa peccato, ma non si sbaglia quasi mai.
Ritornando al giovedì 11 luglio, lì per lì non mi resi conto che la telefonata di Belpietro altro non era che un avviso di sfratto. Lavorando da molti decenni nei giornali, pensavo che nelle redazioni i rapporti personali fossero diretti. Se un giornalista non piaceva più al direttore o all’editore, l’interessato veniva informato in modo esplicito che la testata non aveva più bisogno di lui. E dunque si preparasse ad andarsene nelle forme decise dal contratto di lavoro, compresa la liquidazione, grande o piccola che fosse.
Ma nel mio caso c’era di mezzo un leader politico importante e sempre più autoritario il Salvini della Lega. Un big che poteva fare la voce grossa con il direttore-proprietario di “Panorama”. Dunque il mio allontanamento si sarebbe svolto con modalità molto anomale. Poi tutto si chiarì qualche giorno dopo.
La mattina di martedì 16 luglio ricevetti una seconda telefonata di Belpietro. Mi sembrava imbarazzato e quasi incapace di comunicami che dovevo smettere di mandargli il Bestiario. Non pronunciò neppure il nome della rubrica. Borbottò soltanto: “Che ne dici, Giampaolo, se lasciamo perdere questa storia e ci salutiamo?”. Compresi che mi stava licenziando. Ma rimasi tranquillo, anche perchè tra noi due non esistevano problemi da risolvere. Non dovevo incassare nessuna liquidazione e dunque non esisteva nessun contenzioso da affrontare.
Rimaneva però una domanda: chi è stato a licenziarmi da “Panorama?” Maurizio Belpietro o Matteo Salvini? Ecco un enigma non difficile da risolvere.
Giampaolo Pansa
(da TPI)
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Agosto 3rd, 2019 Riccardo Fucile
PARLAMENTARI QUESTUANTI A CACCIA DEL LETTINO PIU’ VICINO TRA SELFIE, BIRRE E DJ-SET
Il Papeete Beach come la villa Certosa che fu di Silvio Berlusconi. Con i questuanti, tra cui tanti parlamentari, che fanno chilometri e chilometri per un selfie, o se va bene, per una mini chiacchierata sull’attualità politica.
“Matteo, il governo andrà avanti? Quando vuoi, i territori sono pronti”. Qui, insomma, basta varcare l’ingresso del bagno di Massimo Casanova, europarlamentare e amicissimo del Capitano, sorseggiare qualcosa, e, oplà , ecco Matteo Salvini.
Il costume di scena, per far parlare di sè oggi, prevede bermuda, t-shirt nera della curva del Milan e un infradito.
Fa la spola fra la piscina del Miami Beach, dove si diverte con la piccola Mirta (“Ti porto un mojitino?”), e la spiaggia, dove non fa in tempo a guardare un sms sull’iphone, che si palesano decine e decine di tifosi come fosse un calciatore, o un tronista di Uomini e Donne.
Gode nell’essere il Re dei selfie della stagione estiva 2019. “Io mi farei una foto solo per mandarla a mio padre e farmi cazziare”, si diverte una ragazza che è a Milano Marittima per il weekend.
Figuratevi che a un certo punto, in mezzo a questo codazzo di gente si mimetizza uno che si chiama Arrigo Sacchi, classe ’46, nato a Fusignano, in provincia di Ravenna, ma soprattutto allenatore del Milan dei sogni. “Arrigo”, occhiale a goccia e fisico tiratissimo, si mette in coda come l’ultimo dei bagnanti del Papeete, ma quando tocca il suo turno, Salvini diventa euforico, e che fa?. “Mister, facciamoci un selfie?”.
Sacchi si concede e rivela: “In albergo troverai il libro del Milan 1989”.
Il leader del Carroccio prova a ripetere a memoria la formazione dei rossoneri da fare, ma sbaglia il numero 11. Non è Chicco Evani, ma Carlo Ancelotti, attuale allenatore del Napoli. “Matteo, un abbraccio e in bocca in lupo per tutto”, è l’arrivederci dell’ex ct degli azzurri.
Questo il colore di una giornata che è ormai la stessa da circa una settimana. Selfie, birretta, bagnetto, e ancora selfie, mojito, e tweet. Altro che Viminale.
Il dettaglio in più è il numero di parlamentari che conquistano un lettino, a pochi passi dal loro leader. Perchè si sa, ormai, il Salvini del post-Europee non parla più con nessuno, e quindi questa può essere l’occasione per scambiare un ragionamento sul futuro.
L’elenco è lungo. Fra volti e meno noti, si annoverano il capogruppo a Montecitorio, Riccardo Molinari, il sottosegretario al Lavoro, Claudio Durigon, l’europarlamentare Isabella Tovaglieri, la presidente della Commissione Attività produttive, Barbara Saltamartini, il deputato Matteo Luigi Bianchi, il sottosegretario Jacopo Morrone, Luca Toccalini, e poi l’immancabile ministro agli Affari Europei, Lorenzo Fontana, con una polo dell’Hellas Verona.
Il clima è festoso, con Salvini che spadroneggia compiaciuto con i suoi uomini. A un certo punto il ministro dell’Interno scorge la sagoma di Molinari che si avvicina al bar. E allora Salvini gli dice: “Riccardo, se devi stare qui devi toglierti la maglia”.
Risate, pacche sulle spalle, e ancora una birretta. È tutto così il grande circo per far parlare di sè. Con i suoi che gli consigliano di staccare la spina, di abbandonare “quelli lì” al loro destino.
“La crisi può esserci in qualsiasi istante, anche a ferragosto”, assicura Molinari. “Il clima è molto caldo”, sussurra Fontana. Di certo c’è che “i cinquestelle non molleranno il governo perchè in tanti hanno acceso i mutui al Banco di Napoli”, è la tesi di un alto dirigente leghista che preferisce l’anonimato.
Fatto sta che qui, passando da un parlamentare all’altro, l’alleanza con Berlusconi sembra qualcosa appartenente al secondo scorso.
“L’unico dubbio di Matteo — svela Molinari — è se tenere dentro la Meloni e Toti”. Nell’attesa di decidere il da farsi, Salvini sogna l’Emilia Romagna, puntando le fiches su Lucia Borgonzoni. “La regione è contendibile”, avverte il giovanissimo vicesegretario Andrea Crippa.
Ma, soprattutto, Salvini dovrà vedersela con i leghisti del sud che non sembrano essersi integrati all’interno della galassia del Carroccio. Bastava oggi dare un’occhiata ai tavoli del ristorante del Papeete e accorgersi di questa distanza.
“Sembrano degli imbucati”, confessa un leghista d’antan. Con Salvini che per tutto il tempo dialoga con Lorenzo Fontana, che sfoggia un bermuda mimetico. E con attorno diversi tavoli occupati da eletti al sud che fanno a gara per incrociare lo sguardo del Capitano.
Dettaglio: poco dopo pranzo arriva al Papeete Beach, anche Nuccio Altieri, ex enfant prodige degli azzurri pugliesi, il cui testimone di nozze ai tempi che furono è stato Raffaele Fitto.
Ma oggi Altieri è presidente di Invimit (investimenti Immobiliari Italiani Sgr S.p.A. è una società di gestione del risparmio del Ministero dell’Economia e delle Finanze) in quota Lega. E, qualcuno sussurra, in lizza per la corsa a governatore della Puglia.
Poi all’ora dell’aperitivo Salvini, il ministro dell’Interno, si trasforma nel re della consolle.
Il vocalist invoca il nome del Capitano e i ragazzi urlano: “Matteo, Matteo, Matteo”. I parlamentari sono tutti in una sorta di privee. Da Lucia Borgonzoni, ministro della cultura, a Claudio Durigon e Lorenzo Fontana. Curiosità : c’è anche la deputata berlusconiana Benedetta Fiorini. Insomma, dal doppiopetto alla musica house music è stato un attimo.
(da “Huffingtonpost”)
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Agosto 3rd, 2019 Riccardo Fucile
UN PAESE DEL GENERE PUO’ GIUSTO AMBIRE AL COMMISSARIO EUROPEO PER I TRATTAMENTI SANITARI OBBLIGATORI
Matteo Salvini sale in consolle al Papeete beach di Milano Marittima, dove è in corso la festa della Lega Romagna: in costume da bagno, il vicepremier e leader leghista ha raggiunto il deejay.
Il ministro dell’Interno, un cocktail in mano, ha posato per foto e selfie: in suo onore dalle casse è partito l’inno di Mameli, cantato dai giovani in spiaggia che ballavano insieme alle cubiste
Cosa ci fa il Ministro dell’Interno, il paladino della sicurezza e della legalità , il Capitano degli italiani a torso nudo al Papeete Beach, dove sta trascorrendo le vacanze, in consolle, accanto a due figuri tatuati, cuffie in testa, facendo ballare la folla?
Uno spettacolo talmente surreale che non ci sono neanche parole per commentarlo.
(da agenzie)
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Agosto 3rd, 2019 Riccardo Fucile
DA BARCA A VELA A NAVE DA 30 METRI, IL DELIRIO SOVRANISTA: IN REALTA’ E’ SOLO IL PICCOLO GOMMONE RIGIDO AL SEGUITO DELLA ALAN KURDI
Avete presente il periodo del calciomercato? Tutti i tifosi si travestono da ragionieri, iniziano a fare le analisi dei bilanci delle varie società arrivando a proprie verità da rilanciare sui social. Tutti esperti di tutto.
E il sovranismo in Italia, è sempre più assimilabile al tifo smodato della gente. A testimoniare tutto ciò è il caso della Charlottea, la presunta nave Ong che soccorre migranti in mare ma che è invisibile ai radar.
A tutti, ma non a quelli dei sovranisti che, però, non si sono resi conto di essere andati in tilt. Si trattava, infatti, solamente del gommone che viaggia in mare legato alla nave Alan Kurdi.
La storia della Charlottea (che, in realtà , si chiama Charlotti 4) è la sintesi di fin dove possa arrivare la caccia ai fantasmi.
A raccontare la cronistoria, questa triste (ma divertente cronistoria), è stato Matteo Villa su Twitter. In un lungo thread, il ricercatore dell’Ispi per l’area europea (ed esperto di flussi migratori), ha ripercorso passo per passo tutte le condivisioni di vari profili social di esponenti spinti del sovranismo italiano.
Il tutto è partito da post che sono stati ripresi da due testate (che non brillano per un racconto reale della realtà ).
Grandi accuse alla Germania. «La Charlottea è roba loro ed è una nave che viaggia al fianco della Alan Kurdi!». La notizia, pian piano, si ingigantisce. Come le dimensioni di questa imbarcazione.
Nei tweet di Francesca Totolo, infatti, questa fantasma della Ong passa dall’essere una barca a vela (chissà perchè) al diventare una nave di oltre 30 metri. Un’evoluzione spaventosa. E continua sempre a viaggiare a breve distanza dalla Alan Kurdi. Una cosa assai sospetta.
La ricerca sui radar impazza e i sovranisti continuano a denunciare questa nave Charlottea che non compare ma è lì. Tutti lo sanno e nessuno lo dice.
Ed ecco che il complotto è servito: a gestire tutto è il governo tedesco, quell’Angela Merkel nemica degli italiani.
La vicenda prosegue, con nuovi tweet per tutta la giornata di ieri.
Sempre condivisi dai ‘bandierini“ (neologismo per sintetizzare i sovranisti su Twitter, per via delle bandiere tricolore al fianco dei loro nomi). Fino a questa mattina, quando viene svelata la vera identità della Charlottea.
Ma quindi, alla fine, che cos’è questa nuova nave tedesca, lunga 30 metri, operata da una Ong e che chiaramente vuole mettere in difficoltà l’Italia?
La famosa Charlottea, la nave Ong fantasma a cui i sovranisti esperti di radar del Mediterraneo stavano dando la caccia, non è altro che il gommone rigido che viaggia attaccato alla Alan Kurdi. E non si chiamava neanche Charlottea.La nave fantasma è in realtà un gommone attaccato alla Alan Kurdi
Una storia che farebbe ridere, se solamente non fosse la triste immagine riflessa nello specchio della triste società italiana che crede di essere esperta di tutto (senza sapere, spesse volte, nulla) e lanciando notizie prive di fondamento.
Il problema non è solo scriverle, ma condividerle. E il problema non è solo condividerle, ma anche non avere il minimo senso di critica di quello che viene propinato.
Come la Charlottea, che in realtà è un gommone chiamato Charlotti 4.
(da agenzie)
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Agosto 3rd, 2019 Riccardo Fucile
“DI FATTO HA L’APPOGGIO ESTERNO DI FDI E DI QUEL CHE RESTA DI FORZA ITALIA”
Gli occhi sono puntati sul decreto sicurezza bis, eterna bandiera di Matteo Salvini e fonte di malessere per i Cinquestelle (almeno per una parte del Movimento, come provano i 17 voti mancati nel passaggio del testo alla Camera).
Lunedì approderà in aula a Palazzo Madama ed Elena Fattori, senatrice M5S da sempre critica soprattutto sulla linea dura del Viminale in materia di migranti, si prepara allo strappo.
La fiducia sul provvedimento sembra ormai certa, il ministro dell’Interno la reclama. Ma questo non cambia l’orientamento di Fattori. “La fiducia non la voto”, dice.
Anche se dovesse mettere a rischio la tenuta del governo?
“Il governo non è a rischio. Avrà una maggioranza bulgara”.
Ci saranno senatori di Forza Italia e di Fratelli d’Italia che lasceranno l’aula per abbassare il quorum?
“Beh, di fatto questo è un governo di centrodestra con l’appoggio esterno della destra più estrema di Fratelli d’Italia e la tolleranza di quello che resta di Forza Italia”.
Lei lascerà l’aula o voterà no?
“Sulla liturgia devo ancora prendere una decisione”.
Qual è l’aspetto peggiore, secondo lei, di questo decreto?
“Il reato di salvataggio delle vite in mare”.
E le pene più dure per i reati commessi durante le manifestazioni?
“Io ho proposto un emendamento opposto. Ovvero un inasprimento degli stessi reati compiuti al di fuori delle manifestazioni che invece per loro natura sono più soggette all’alzarsi dei toni. Tra l’altro quando intervengono a questi eventi gli agenti sono addestrati e protetti da caschi e scudi. Molto più gravi i reati equivalenti al di fuori di queste situazioni controllate”.
Lei non è stata espulsa, a differenza di altri suoi colleghi senatori. Come mai?
“Mi auguro che sia cresciuta la ‘tollerenza’ ma temo non andrà così dopo questo ulteriore strappo. Se non sarò espulsa continuerò a combattere per il Movimento a cui gli italiani hanno dato fiducia a marzo e che sicuramente non aveva tutto questo in programma. Altrimenti vuol dire che quel Movimento che in tanti abbiamo contribuito a far crescere non esiste più”.
E se dovesse finire fuori dal Movimento, cosa farà ?
“Fuori dal Movimento non mi ci potrà mettere nessuno. Semmai fuori dal partito di Luigi Di Maio, che è cosa ben diversa”.
Lei ha già espresso solidarietà nei confronti degli attacchi subiti dal nostro giornale e in particolare dal videomaker Lo Muzio. Pensa che l’escalation di aggressività manifestata da Salvini in questi ultimi giorni continuerà ?
“Non mi sembra che qualcuno dei suoi colleghi ministri sia disposto a frenarlo. Per questo credo che il governo durerà “.
(da “La Repubblica”)
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Agosto 3rd, 2019 Riccardo Fucile
SI PAGA DI PIU’ PERCHE’ C’E’ CHI EVADE LE TASSE… LA FLAT TAX UTILE SOLO AI REDDITI ALTI
Nel 2018 gli italiani hanno pagato 33,4 miliardi di euro di tasse in più rispetto all’ammontare complessivo medio versato dai cittadini dell’Unione Europea.
Si tratta di un differenziale che ‘pesa’ quasi 2 punti di Pil.
In termini pro capite, invece, abbiamo corrisposto al fisco 552 euro in più rispetto alla media dei cittadini europei.
A dirlo è l’Ufficio studi della Cgia che ha comparato la pressione fiscale dei 28 Paesi dell’UE e, successivamente, ha calcolato il gap esistente tra l’Italia e ciascun Paese appartenente all’Unione.
In attesa che la manovra di Bilancio 2020 chiarisca come verranno “recuperati” i 23,1 miliardi di euro necessari per evitare che dal prossimo primo gennaio l’Iva torni ad aumentare, la Cgia ricorda che la pressione fiscale “reale” presente nel nostro Paese è di ben 6 punti superiore al dato “ufficiale”.
Il nostro Pil, infatti, come del resto quello di altri Paesi dell’Ue, include anche gli effetti dell’economia non osservata che, secondo le ultime stime dell’Istat, ammontano a 209 miliardi di euro all’anno.
Questa “ricchezza”, generata dalle attività irregolari e illegali, se da un lato non fornisce alcun contributo all’incremento delle entrate fiscali, dall’altro accresce la dimensione del Pil.
Rammentando che la pressione fiscale si ottiene dal rapporto tra le entrate fiscali e il Pil, se dalla ricchezza prodotta (ovvero dal denominatore) togliamo la componente riconducibile all’economia “in nero”, il risultato del rapporto (vale a dire la pressione fiscale) in capo ai contribuenti onesti aumenta, consegnandoci un carico fiscale “reale” molto superiore a quello “ufficiale” (48 per cento anzichè 42,1 per cento).
Tornando ai dati della comparazione, sempre nel 2018 è emerso che in Europa solo Francia, Belgio, Danimarca, Svezia, Austria e Finlandia hanno pagato mediamente piu’ tasse di noi.
La “sorpresa” viene da Parigi: ogni cittadino d’Oltralpe ha versato al fisco 1.830 euro in piu’ rispetto a noi. In termini assoluti il divario fiscale e’ a noi favorevole e ammonta a 110,7 miliardi di euro.
Rispetto agli altri principali competitori, invece, “soccombiamo” sempre. Se avessimo la pressione fiscale della Germania verseremmo 24,6 miliardi di tasse in meno (407 euro pro capite), dell’Olanda 56,2 (930 euro pro capite), del Regno Unito 114,2 (1.888 euro pro capite) e della Spagna 119,5 (1.975 euro pro capite).
La flat tax può costituire la medicina che consentirà alla pressione fiscale italiana di scendere ad un livello accettabile?
Se i numeri in circolazione in queste settimane saranno confermati, pare che già oggi sulla maggior parte dei contribuenti Irpef gravi un’aliquota effettiva inferiore al 15 per cento. Pertanto, l’applicazione della tassa piatta rischia di interessare un numero ristretto di soggetti con redditi medio-alti.
(da agenzie)
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Agosto 3rd, 2019 Riccardo Fucile
PER I SUOI FEDELISSIMI NON ERA QUESTO IL MOMENTO DELL’ADDIO
Un salto nel vuoto senza rete di protezione. Così in molti, nel centrodestra e non solo, descrivono la mossa con cui Giovanni Toti ha rovesciato il tavolo uscendo, di fatto, da Forza Italia dopo mesi da separato in casa.
Soprattutto perchè — i suoi fedelissimi lo confermano — non era questo il momento pensato per l’addio: le polemiche dei giorni scorsi servivano a preparare le dimissioni dal ruolo di coordinatore, per poi giocare il ruolo del dissidente interno al partito ancora per qualche mese, lavorando, nel frattempo, ad un nuovo soggetto elettorale.
Piano impedito dalle contromosse di Silvio Berlusconi, che in poche ore ha messo all’angolo l’ex consigliere politico: prima lanciando il progetto “Altra Italia” rivolto alla galassia di centro, il contrario dell’intesa con Salvini e Meloni propugnata da Toti; e poi, nel pomeriggio di venerdì, “licenziandolo” da coordinatore attraverso una nota stampa, senza nemmeno aspettare la fine della riunione in cui dovevano formalizzarsi le dimissioni. Così l’ex volto di Mediaset si è trovato costretto a rilanciare, anche mediaticamente, sbattendo la porta: “Ognuno per conto suo, buona fortuna a tutti”, ha detto ai giornalisti all’uscita della sede di San Lorenzo in Lucina.
E c’è già chi vede Toti destinato al dimenticatoio politico, insieme agli altri ex delfini che negli anni passati hanno sfidato il Cavaliere
Non è detto che vada così, anche se c’è ancora molta incertezza su chi davvero sarebbe disposto a seguire Toti in questa nuova esperienza.
Il piano iniziale, quello di dar vita a una sorta di “movimento dei governatori”, è naufragato per i forfait decisivi del piemontese Alberto Cirio e del siciliano Nello Musumeci.
Nonostante i buoni rapporti con Toti, nessuno dei due ha scelto di presentarsi alla convention. “L’Italia in crescita” del 6 luglio scorso al teatro Brancaccio di Roma, la rampa di lancio del nuovo soggetto.
Anche se non mancano ipotesi più ottimistiche, in Parlamento la pattuglia “totiana” può contare sicuramente su otto deputati (Manuela Gagliardi, Osvaldo Napoli, Claudio Pedrazzini, Daniela Ruffino, Giorgio Silli, Alessandro Sorte, Stefano Benigni e Vittorio Sgarbi) e quattro senatori (Massimo Berruti, Paolo Romani, Gaetano Quagliariello e Luigi Vitali).
Se così fosse saremmo sotto alle soglie minime — 20 alla Camera, 10 al Senato — necessarie per dar vita a gruppi autonomi. Anche i primi sondaggi non sorridono all’ex direttore di Studio Aperto: una rilevazione commissionata da Berlusconi in persona a Renato Mannheimer ha stimato il nuovo partito non oltre il 2% dei consensi.
“Toti non riesce ad avere nè un’identità politica in grado di drenare consensi al leghisti, che insisterebbero su Salvini, nè una fisionomia moderata capace di attrarre i forzisti, sostanzialmente ancora legati a Berlusconi”, ha spiegato il sondaggista a Il Secolo XIX.
Nemmeno nella sua Liguria, dove spera di attingere più consensi, il governatore può contare su endorsement di rilievo.
Parte, anzi, gravemente azzoppato dalla rivalità con Claudio Scajola, sindaco di Imperia ed ex ministro di Berlusconi, ras incontrastato della Riviera dei Fiori. La storica diffidenza tra i due si è esacerbata lo scorso anno, con il rifiuto di Toti di sostenere Scajola nella corsa alle comunali.
Ma anche chi gli è più vicino, come l’ex presidente della Regione Sandro Biasotti, ha accolto con freddezza lo strappo: “Non so cosa sia successo, anche perchè mi sembra che il mio partito abbia iniziato un importante percorso di rinnovamento con primarie aperte. Sono profondamente dispiaciuto di questa rottura che spero sia solo momentanea e che nei prossimi giorni cercherò di analizzare meglio”, dichiara, in un chiaro invito a ricucire. Dopo un’iniziale sintonia si è defilato anche il sindaco di Rapallo Roberto Bagnasco, mentre con quella di Savona, Ilaria Caprioglio — già “totiana” di ferro — i rapporti sono logori da tempo.
Al momento, in Forza Italia, Toti può dare per scontato solo l’appoggio dei membri della sua giunta: l’assessore alla Comunicazione Ilaria Cavo, quello all’Urbanistica Marco Scajola (nipote di Claudio) e quello alle Infrastrutture Giacomo Giampedrone. Anche uno dei due consiglieri regionali azzurri, Angelo Vaccarezza (ma non l’altro, Claudio Muzio), dovrebbe aderire al nuovo partito, oltre a Lilli Lauro della lista Toti.
Un po’ poco, se si considera che l’obiettivo era svuotare le fila del partito a livello regionale.
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Agosto 3rd, 2019 Riccardo Fucile
“LE VITE DI QUESTE PERSONE NON POSSONO ASPETTARE OLTRE”
Non tutti sono dei criminali nell’animo come tanti odiatori seriali che sono arrivati al potere.
Il sindaco di Valencia, Joan Ribà³, ha annunciato di voler accogliere la Open Arms, imbarcazione della Ong spagnola Proactiva, che giovedì aveva tratto in salvo 55 persone nel Mediterraneo e venerdì altre 69 con “segni inequivocabili della violenza” subita in Libia. Tra loro, due donne incinta evacuate dalla Guardia Costiera italiana.
Valencia, ha affermato il sindaco “è una città di accoglienza, aperta e con il dovere etico ed umano nei confronti delle persone che rischiano la vita per fuggire dal terrore, la guerra o la miseria”.
Il primo cittadino ha annunciato in un comunicato che la giunta municipale, assieme alla Generalitat, solleciterà il governo di Madrid perchè apra il porto a questa imbarcazione con 122 migranti
Le autorità cittadine hanno concordato di offrire a nome del porto di Valencia l’accoglienza alla nave della Ong nel caso in cui questa non trovi un porto più vicino e sicuro dove sbarcare
Il sindaco ha espresso fiducia nel fatto “che il governo non esiterà a schierarsi sulla stessa linea” del governo municipale e autonomo valenciano: “Le vite di queste persone non possono aspettare oltre”.
“Vogliamo seguire la strada che abbiamo intrapreso con l’Aquarius”, ha indicato Joan Ribò. “Valencia e i valenciani vogliono ispirarsi ai valori della solidarietà , benessere e libertà che l’Europa ha sempre rappresentato”.
(da agenzie)
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Agosto 3rd, 2019 Riccardo Fucile
CERTO CHE CI STA, BASTA PRENDERLA A NOLEGGIO COME FANNO I POVERI CRISTI E PAGARE IL DOVUTO, NON FARSI SCARROZZARE GRATIS DAI MEZZI DELLE FORZE DELLORDINE PERCHE’ TUO PADRE E’ MINISTRO
Ormai è noto che Giorgia Meloni, un passato da baby sitter, si sia specializzata in badante di Matteo Salvini.
Mentre Toti veste la livrea XXL del maggiordomo un po’ troppo sovrappeso, la Giorgia bada ora non solo a Matteo ma anche ai suoi figli, in attesa di una poltrona ministeriale che la ripaghi di tanto servilismo sovranista.
“Ci sta anche che ogni tanto si faccia vedere ai bambini come funzionano questi mezzi”. Sono le parole con cui Giorgia Meloni commenta il caso del figlio del vicepremier Matteo Salvini sulla moto d’acqua della polizia a Milano Marittima.
Certo che ci sta, basta prendere a noleggio una delle tante moto d’acqua che impazzano negli stabilimenti balneari, accompagnatore compreso, pagare la dovuta tariffa oraria e far fare ai figli il giro previsto.
Cose che magari non si possono permettere tanti papà e mamma, ma sicuramente alla portata di chi guadagna 10.000 euro al mese come lei e il suo protetto.
Altra cosa è farsi scarrozzare gratis sui mezzi della polizia solo perchè il padre è un ministro o un politico affermato: questo, qualora alla Giorgia, “campione della legalità “, non fosse chiaro si chiama “peculato d’uso”, pena prevista fino a 4 anni.
La leader di Fratelli d’Italia poi dice: “Se è stato un errore è un errore che viene fatto molto spesso, perchè ne ho visti parecchi di bambini…”.
E qui i casi sono due: o ha visto bambini su moto d’acqua privati e allora fa la “finta tonta” o li ha visti su mezzi della polizia e allora ha omesso di denunciare un reato.
Conclusione: la destra della legalità non è rappresentata dalla Meloni ( e non vogliamo infierire ricordando i tre esponenti di Fdi arrestati in un mese in tre episodi diversi per rapporti con la ‘ndrangheta).
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