Agosto 30th, 2019 Riccardo Fucile
UN PARLAMENTARE GRILLINO: “SI PRENDA UN MINISTERO E LA SMETTA DI FRIGNARE PER UNA POLTRONA”
Esce nella sala della Regina della Camera con il volto scuro, Luigi Di Maio. È appena uscito dalle consultazioni con Giuseppe Conte. Fissa le telecamere, poi inizia a pronunciare parole dure. Snocciola un elenco di venti obiettivi programmatici. Sono ultimativi: “I nostri punti sono chiari. O entrano nel programma, o meglio che si vada al voto subito”. Gira i tacchi e se ne va.
Al Nazareno basiscono: “Che sta succedendo? Hanno problemi interni?”. Il punto è almeno in parte centrato.
Le ultime ore sono state di fuoco. “Così non la reggiamo Luigi”, gli hanno ripetuto tutti i più scettici all’alleanza con i nemici più invisi. “Devi alzare la posta”. Un fuoco di fila che ha visto uniti esponenti dal peso specifico considerevole nel suo partito, da Alessandro Di Battista a Paola Taverna, passando per lo stesso Davide Casaleggio. Il leader si fa vedere sorridente. Scende nel giardino di Montecitorio con i capigruppo Francesco D’Uva e Stefano Patuanelli come se nulla fosse. Sorridono, si fermano a chiacchierare, poi vanno alla buvette. Pacche sulle spalle, un caffè per il vicepremier uscente, due spremute per gli altri.
Mentre sorride e se ne va ha già pianificato la prossima mossa. Un rialzo del tiro che rimette tutto nuovamente in discussione. Almeno a parole, perchè nella sostanza i 5 stelle sono convinti che l’intemerata abbia puramente un valore tattico, da far pesare sul tavolo delle trattative.
“Hai visto? – spiega un uomo che ha consuetudine con il leader — Dario Franceschini e Andrea Orlando non hanno annullato l’incontro”. Si riferisce a un summit sul programma presieduto dal premier, al quale partecipa anche la delegazione 5 stelle. Peccato che qualche ora prima Nicola Zingaretti aveva fatto saltare il faccia a faccia in programma: “O chiarisce le sue parole o non si va avanti”. Le stesse che il duo Franceschini-Orlando riferisce ai capigruppo. Che non hanno la delega a cedere di un millimetro.
Conte è furioso: “Così si gioca a perdere tutti”, si sfoga con i suoi.
Si sentono con Di Maio, le posizioni non cambiano. Il capo politico M5s è irritato per la mediazione portata avanti dall’avvocato del popolo che prevede uno schema in cui nessun vicepremier sbarcherebbe a Palazzo Chigi.
Il passo indietro è inaccettabile, soprattutto dopo aver verificato che è praticamente impossibile nel gioco di incastri trovare una collocazione di peso per il leader. Che torna ad alzare la posta. Chiedendo per sè il ruolo di vice e un dicastero come il Lavoro. E facendo nuovamente circolare l’alternativa: gli Interni.
Una provocazione, un gioco ad alzo zero dopo che sull’ipotesi Viminale il Pd aveva fatto muro e lo stesso Conte aveva pubblicamente dato assicurazioni in tal senso.
Un messaggio chiaro: Se umiliate me umiliate tutti e tutto salta.
Da Palazzo Chigi si prova a riannodare il filo della mediazione, ma lo scontro tra i due esponenti 5 stelle è a un livello forse mai visto prima. Con Di Maio invitato dai duri e puri del suo partito anzitutto a ridimensionare Conte, definito afflitto dalla sindrome di “Napoleone” da uno dei partecipanti ai colloqui odierni.
E impegnato a dare un messaggio preciso alla recalcitrante base rousseauiana che dovrà vidimare l’accordo. Ma anche alla ricerca di una collocazione per sè che non ne sminuisca il ruolo e lo standing all’interno dei 5 stelle.
A sera un influente fonte vicina a Roberto Fico risponde al telefono: “Ha incassato i dieci punti, ottenuto Conte. Ora il ragazzino che ha avuto tutto parla ancora. Siamo il Movimento orizzontale? Abbiamo a cuore il destino dell’Italia? Si prendesse un ministero e la smettesse di frignare per le poltrone”.
Un’altra grana all’orizzonte. Passare indenne il guado con il trascorrere dei giorni e delle ore diventa sempre più complicato.
(da “Huffingtonpost”)
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Agosto 30th, 2019 Riccardo Fucile
NEANCHE MATTARELLA NE PUO’ PIU’, IL CAPO DELLO STATO NON E’ DISPOSTO A TRASCINARE LA CRISI OLTRE IL CONSENTITO, SI LITIGA SU TUTTO … IL MOTTO DI DI MAIO “POLTRONA, ERGO SUM” FA INCAZZARE PERSINO CONTE
Nemmeno Sergio Mattarella ne può più, di fronte a uno spettacolo che farebbe perdere la pazienza anche a un santo. E che rischia, ove mai non fosse già accaduto, di coprire di ridicolo questa crisi interminabile: iniziata con governo che cade sulle liti e sui deliri egotici, e proseguita con un altro governo che, prima ancora di nascere, già si frantuma su tutto.
Anche chi, come il sapiente capo dello Stato, è universalmente riconosciuto come un abile gestore delle situazioni più delicate da analisti, osservatori, partner internazionali, può uscire da un quadro di questo tipo ammaccato nell’immagine, sia pur per colpe non sue.
A un certo punto una crisi politica, se trascinata in eterno senza una soluzione, diventa una crisi istituzionale, col Quirinale trascinato nel gorgo della non soluzione dalle convulsioni dei partiti.
Per questo chi ha una certa consuetudine col Colle rivela, con un linguaggio meno paludato del solito, che “il capo dello Stato si sta innervosendo”.
Il che tradotto, per una figura che nei racconti è sempre calma per definizione, significa che siamo al limite.
Segno di questa insofferenza è che lassù non hanno alcuna intenzione di concedere all’avvocato Conte più tempo rispetto a quello previsto, come trapela da palazzo Chigi: entro mercoledì al Quirinale si aspettano che il premier incaricato salga con programma, lista dei ministri e un corredo di convincenti certezze, altrimenti si prende atto del fallimento del mandato e si procede con le riflessioni del caso, riconsiderando quello scioglimento che sembrava scongiurato.
Diciamo le cose come stanno: Nicola Zingaretti, in questa paradossale inversione di ruoli, ce la sta mettendo tutta per arrivare a fare un governo, anche in un partito in cui, per la prima volta, inizia a montare un certo malumore perfino tra i più contrari al ritorno al voto, perchè, come diceva Totò, “ogni limite ha una sua pazienza”. Soprattutto dai territori, dove si è passati dal “proviamole tutte” al “basta con questi matti”.
Quando Andrea Orlando e Dario Franceschini, rientrati dall’incontro pomeridiano a palazzo Chigi, hanno illustrato l’esito, nuovamente inconcludente, qualcuno nella stanza del segretario così ha sintetizzato la giornata: “Uno è andato fuori di testa e gioca a rompere, l’altro non è capace”.
L’uno è Di Maio, l’altro Conte, la cui “elevata” considerazione di sè non sembra essere supportata dalla performance sul campo.
La sintesi migliore, con un linguaggio colorito ma efficace, compare su Dagospia, dopo l’ultimatum del capo pentastellato “o così o si vota”, la difesa del decreto sicurezza, così come è, e l’annuncio orgoglioso del voto di Rousseau, come a dire che quella piattaforma è più importante di ogni percorso istituzionale e può farlo saltare senza ritegno: è “sbroccato” perchè “scaricato da tutti si gioca la sopravvivenza per non tornare a fare il bibitaro”.
Ecco: nervoso, voce rotta dopo le consultazioni di Conte, agitato negli incontri, l’enfant prodige pentastellato ha trasformato questo negoziato in una guerra personale, tornando a chiedere il Viminale e senza arretrare sulla sua richiesta di rimanere vicepremier. Poltrona, ergo sum.
Comportamento immaturo, egoriferito, dietro cui qualcuno nel Pd però vede un disegno, perchè al Nazareno sono abituati a cercare una logica politica sempre: “Vuole far saltare tutto perchè ha ancora l’accordo con Salvini. E se al Senato Paragone e gli altri giocano a far cadere il governo non votando la fiducia?”.
Voi capite che basta solo raccontare questi ragionamenti per dare l’idea del clima.
Il punto politico è questo: al di là delle chiacchiere, il Pd e Zingaretti si trovano già completamente trascinati nella dinamica che volevano evitare, con l’inizio del nuovo governo che riproduce il film della fine del precedente, senza neanche finta di un idillio inziale: due alleati che mal si sopportano e divisi su tutto.
Altro che discontinuità , cambio di registro, fumose elucubrazioni sul fatto che non si sta facendo un “contratto” ma “accordo politico”, altro che retorica del “nuovo umanesimo”.
A livello pubblico il messaggio è che i rossi hanno preso il posto dei verdi e ci si accapiglia su tutto, a partire dalle poltrone. E in un’assenza di discussione limpida e trasparente — già : la trasparenza — su idee, programmi, uno straccio di agenda comune.
Insomma, è proprio un Conte bis. Forse quasi peggio del “Conte 1”, e non solo per l’assenza della concordia inziale, ma perchè più marcata è la linea di frattura dentro i Cinque stelle: Conte inferocito con Di Maio che, uscito dall’incontro, prova a far saltare tutto; Zingaretti inferocito con Conte perchè non governa la situazione e fa saltare l’incontro con Di Maio; una mezza toppa, poi un summit pomeridiano, sentite questa, al fine di ristabilire le “precondizioni” per andare avanti nel confronto dopo l’ultimatum del capo politico; tavoli sul programma dove non si conclude nulla nè sul programma nè sul resto.
E tempo, tanto tempo che passa, col premier che calato nel ruolo di Elevato del “nuovo umanesimo”, non sapendo trovare la quadra tra i partiti, lunedì incontrerà disabili e terremotati, affidando al paternalismo in pochette il compito di coprire la sua inconsistenza politica.
E un altro giorno è andato, così.
Roba da far perdere la pazienza anche a un santo. E a Mattarella.
(da “Huffingtonpost”)
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Agosto 30th, 2019 Riccardo Fucile
FRANCESCHINI E ORLANDO URLANO CHIEDENDO CHIARIMENTI DOPO LE PAROLE DI MAIO, CONTE VEDE IL PERICOLO CHE SALTI TUTTO E RIDIMENSIONA LE PAROLE DI DI MAIO… CONTE TESSE LA TELA D’INTESA CON MATTARELLA
È a Palazzo Chigi nel tardo pomeriggio che va in scena lo scontro. “Basta con gli ultimatum! Un chiarimento sulle parole di Di Maio è la condizione per proseguire!”, urlano Andrea Orlando e Dario Franceschini che, qualche ora dopo le consultazioni formali a Montecitorio, si sono presentati da Giuseppe Conte nel suo ufficio al palazzo del governo per esigere spiegazioni.
Presenti, lì di fronte ad un premier incaricato e uscente alquanto irritato, anche i pentastellati Francesco D’Uva e Stefano Patuanelli. Se le sono dette, gli uni contro gli altri. E si sono lasciati ancora con le ostilità aperte, anche se domani proseguono gli incontri di Conte sul programma con le due delegazioni di partito.
Il governo si fa, ma a strappi e Conte tesse la tela, con la regìa del Quirinale.
In casa Pd le parole ultimative del capo politico dei cinquestelle, dopo il colloquio con Conte nella sala dei Busti della Camera, sono state una doccia fredda. O meglio: il detonatore di un’insoddisfazione che si era già affacciata nel colloquio della delegazione Dem (Zingaretti, Delrio e Stefano) con lo stesso Conte alla Camera, alle consultazioni ufficiali di stamattina.
Di Maio, dopo la consultazione del M5s con il premier nel pomeriggio, ha elencato i suoi punti di programma “o è meglio votare”, sono le sue parole, ritorno alla casella di partenza della crisi. Ed è qui che i Dem hanno dato sfogo a tutta la loro irritazione accumulata: subito da Conte a Palazzo Chigi a pretendere il chiarimento.
L’incontro, a quanto si apprende, è stato uno scontro: il primo davanti a un premier estremamente irritato.
A Palazzo Chigi di fatto è esplosa tutta l’acredine che c’è tra due forze politiche avversarie fino a ieri e ora imbarcate in una avventura di governo che non avevano preventivato nel dettaglio. Ansia, preoccupazione, nervosismo. Perchè oggi, negli incontri con Conte a Montecitorio, non solo il Pd ma anche il M5s hanno toccato con mano il fatto che il premier incaricato non solo è il garante di tutta questa operazione, ma anche il dominus, destinatario di un’agibilità politica che gli discende direttamente dal Colle e che si ritrova rafforzata dal fatto che i due partiti non si parlano tra loro. Ergo: decide lui.
Il premier resta dell’idea di arrivare a un documento di sintesi sul programma entro domenica. Si sa che lo scontro sul programma è solo un specchietto per le allodole: sotto c’è lo scontro sulle caselle, che ancora non tornano, complicate — dal punto di vista dei partiti — dalla scelta di Conte di formare una squadra snella che silenzi il più possibile le diatribe tra i partiti e agevoli i rapporti con Bruxelles per il futuro, a partire dalla manovra economica. Una squadra di fedelissimi, ‘benedetta’ dal Colle.
(da “Huffingtonpost”)
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Agosto 30th, 2019 Riccardo Fucile
I GRUPPI PARLAMENTARI VEDONO IN ROUSSEAU IL MODO DI CASALEGGIO E DI MAIO DI FAR SALTARE L’ACCORDO CON IL PD E NON CI STANNO
Un Movimento spaccato sulla nascita del governo giallo-rosso. Con l’incognita di una spada di Damocle: il voto sulla piattaforma Rousseau. Dietro l’ultimatum di Di Maio – che oggi ha rimesso a rischio la trattativa per il governo – ci sono molti mal di pancia nel Movimento.
In particolare, secondo fonti parlamentari, il discorso durissimo pronunciato da Di Maio – “o passa il nostro programma o meglio il voto” – sarebbe stato anche un messaggio all’ala sinistra dei 5Stelle. A quegli esponenti vicini a Fico pronti a cancellare la legislazione in materia di migranti, i due decreti sicurezza voluti a tutti i costi da Salvini ma sposati anche dai vertici M5S (nonostante le defezioni di una fronda interna).
Per questo Di Maio avrebbe pronunciato quelle parole – “vanno tenute in considerazione le osservazioni del capo dello Stato ma senza modificare la ratio di quei provvedimenti” – che tanto hanno fatto infuriare i dem.
Il ruolo di Fico, d’altra parte, nel Movimento sta crescendo. Il presidente della Camera, da sempre il più aperto al dialogo con il Pd, è un interlocutore importante per Giuseppe Conte.
Ieri il dialogo tra i due è durato due ore e mezzo. E questo provoca fibrillazioni interne. Ma di sicuro Di Maio è stato costretto a una brusca frenata rispetto ai toni ultimativi nei confronti del Pd. “Nessun ultimatum, siamo solo stufi di parlare di poltrone”, ha precisato.
Poi c’è l’incognita Rousseau. Fin da quando Di Maio ha annunciato la consultazione degli iscritti, la base parlamentare è entrata in agitazione. E soprattutto si è posto il problema di uno strappo istituzionale rispetto alle prerogative del capo dello Stato.
Poi il ruolo della consultazione sembrava essere stato ridimensionato: dal Colle è stato spiegato che il presidente si atterrà alle decisioni dei gruppi parlamentari. Dal Movimento filtrava che il quesito sarebbe stato incentrato su Conte più che sull’alleanza con il Pd.
Ma oggi il Blog delle Stelle torna a rivendicare il ruolo centrale della piattaforma gestita dalla Casaleggio associati: “I gruppi parlamentari del Movimento 5 stelle hanno un ruolo importante e stanno lavorando intensamente in questi giorni per definire un possibile programma di governo, nell’esclusivo interesse degli italiani, poi la parola passerà agli iscritti certificati della piattaforma Rousseau e ci atterremo, com’è ovvio, alla loro decisione”.
Il voto su Rousseau viene utilizzato come strumento nella trattativa per alzare la posta rispetto al Pd? O come ultima arma per far cadere il governo non ancora nato da parte della corrente più nostalgica di un asse con la Lega?
Infine, ma non è certo il fattore meno importante, c’è la partita personale di Luigi Di Maio. Che ancora punta ad essere vicepremier nel futuro governo.
(da agenzie)
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Agosto 30th, 2019 Riccardo Fucile
IL PREMIER INCARICATO NON VUOLE VICE, SUI MINISTERI CHIAVE ULTIMA PAROLA A MATTARELLA, AI PARTITI RESTA BEN POCO
“Ma chi è Napoleone?”. Quando escono dalla Sala dei Busti di Montecitorio, dopo il loro turno di consultazioni con Giuseppe Conte, i dem Nicola Zingaretti, Graziano Delrio e Dario Stefano (in sostituzione del capogruppo al Senato Andrea Marcucci assente per un impegno personale) sono esterrefatti. E a qualcuno scatta il paragone con Bonaparte.
Oggi i partiti hanno avuto la prova provata che nel nuovo Governo giallorosso potranno toccare palla solo per poche caselle.
Ad ogni modo, stamane alla Camera il segretario Pd, il capogruppo alla Camera Delrio e il senatore Stefano si trovano di fronte un premier incaricato che sa di poter decidere molto da solo, in accordo con il Quirinale che avrà l’ultima parola non solo sul ministero dell’Economia (come è successo l’anno scorso quando Sergio Mattarella si impuntò sul no a Paolo Savona proposto dalla Lega), ma anche su Esteri, Difesa, Viminale.
Per l’Economia torna in quota Giovanni Tria, forte di rapporti ottimi con Mattarella. Resta poco per i partiti, il Pd ma anche il M5s. Non a caso, anche Luigi Di Maio dopo l’incontro con Conte punta i piedi di nuovo.
Il fatto è che Conte continua a ragionare su uno schema di governo senza vicepremier. Un’ipotesi che i partiti sarebbero pure disposti a ingoiare, se non fosse che l’assenza di vice scatena gli appetiti su altri incarichi.
Se non fa il vice, Di Maio vuole per sè un dicastero pesante, difficile da ritagliare sulla sua persona. Il Pd gli concederebbe la Difesa, ma ci sarebbero perplessità dal Colle. E ai Dem non piacerebbe che Di Maio restasse allo Sviluppo economico, con tutti i ‘no’ che ha elencato anche dopo il colloquio con Conte nelle dichiarazioni alla stampa nella Sala della Regina di Montecitorio.
Ma il ‘premier Napoleone’, come lo hanno ribattezzato al Nazareno, vorrebbe anche un sottosegretario alla presidenza del Consiglio di sua fiducia.
Nemmeno questa casella sarebbe a disposizione del Pd, come si ipotizzava all’inizio. Si tornerebbe invece ad una struttura di governo più tradizionale, con il premier affiancato da un sottosegretario a lui vicino.
Insomma più il modello Gianni Letta con Silvio Berlusconi, che Giancarlo Giorgetti con il Conte 1. Il più gettonato è il pentastellato Vincenzo Spadafora, già sottosegretario con delega all’infanzia, pari opportunità e giovani nel governo gialloverde, uomo di fiducia del presidente del Consiglio incaricato.
E’ proprio questo il punto. In squadra con sè Conte vuole personalità fidate. Perchè l’obiettivo del nuovo governo di riagganciare l’Europa deve partire già dalla tolda di comando: serve che sia chiara e snella. Europa, proprio lì dove l’avvocato ha già una squadra di fedelissimi, legati a lui più che a Di Maio già da mesi.
Gli europarlamentari Fabio Massimo Castaldo, vicepresidente dell’Eurocamera, la capo delegazione Tiziana Beghin, l’eurodeputata Laura Ferrara che a luglio, subito dopo il no della Lega alla nomina di Ursula von der Leyen presidente della Commissione, annunciò in aula la svolta pentastellata sull’immigrazione: “Il piano Moavero è la soluzione giusta”. E poi Ignazio Corrao, Piernicola Pedicini. Insomma in Europa, lì dove è avvenuta la gestazione del nuovo governo, Conte ha il suo fortino di fedelissimi.
A Roma i gruppi parlamentari sono più legati a Di Maio. Già per quanto? Nei palazzi della politica, l’interrogativo aleggia intorno alle trattative sul governo.
Molto dipende dalla casella che il capo politico riuscirà a conquistare. Ed è ancora tutto aperto. Tanto che a sera si registrano scossoni anche sul versante ‘commissario europeo’. Perchè i posti sono legati l’uno all’altro come in puzzle ancora da comporre. Fino a stamane sembrava che il posto di Commissario europeo potesse andare al Pd, con Paolo Gentiloni.
Ieri si parlava della tentazione di Conte di nominare una personalità neutra, una donna per andare incontro alle richieste di von der Leyen. Nel pomeriggio i pentastellati tornano a rivendicare per sè anche il commissario.
Ma alla fine decide Conte, d’accordo col Quirinale. Per domenica il premier vorrebbe preparare un documento di sintesi delle consultazioni con i gruppi. Sintesi programmatica, che anche qui ci sono nodi. In materia di sicurezza, per dire, il premier va ripetendo ai gruppi che rivedrà solo le parti segnate in rosso dal Quirinale nelle leggi volute da Salvini. Non si sa verso l’abrogazione.
Il che non è moloch nemmeno per il Pd (tranne che per Matteo Orfini). Ma l’irrigidimento sul programma è solo uno specchio delle tensioni vere: sulle caselle. Che ancora non tornano. A consultazioni finite a Montecitorio, iniziano forse quelle ‘vere’: a Palazzo Chigi da Conte ci vanno i Dem Orlando e Franceschini e i pentastellati D’Uva e Patuanelli.
(da “Huffingtonpost”)
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Agosto 30th, 2019 Riccardo Fucile
VUOLE FAR AFFONDARE IL GOVERNO PER ELIMINARE CONTE CHE ORMAI E’ DIVENTATO MOLTO PIU’ POPOLARE DI LUI ANCHE TRA LA CLASSE DIRIGENTE GRILLINA
Luigi Di Maio raddoppia. I dieci punti del contratto di governo con il PD dopo il colloquio alla Camera con il premier incaricato Giuseppe Conte diventano venti.
E il Capo Politico del MoVimento 5 Stelle sembra avere intenzione di creare le premesse per mandare all’aria l’ipotesi di un governo Conte-bis.
Non sono le richieste il problema, alcune sono irrealistiche come quella di perseguire le concedere l’autonomia differenziata a Veneto e Lombardia e allo stesso tempo creare una banca per il Sud (con che soldi?).
Di Maio poi scopre dopo 14 mesi che è fondamentale rivedere il regolamento di Dublino per chiedere una procedura di emergenza per la redistribuzione dei migranti su base europea.
Secondo il Capo Politico del M5S poi non ha alcun senso andare a modificare i Decreti sicurezza, il fiore all’occhiello di Salvini. E oltre al taglio dei parlamentari il MoVimento 5 Stelle chiede a Conte (che è del M5S, mica uno che passa per strada) «una manovra equa: stop all’aumento Iva, salario minimo, taglio del cuneo fiscale, sburocratizzazione, famiglie, disabilità e emergenza abitativa».
Come si possano conciliare tutte queste richieste con le necessità di bilancio non è noto, ma ad esclusione del salario minimo sembra proprio la manovra che aveva proposto Salvini quando in Senato aveva teso la mano al M5S.
Una bella lista di desideri che però sembra avere un solo obiettivo: quello di rompere con il PD e soprattutto con Conte.
Perchè Di Maio sta continuando a giocare la sua partita, quella dove non vuole cedere la leadership al premier incaricato mentre tenta di tenere assieme un partito che ormai sembra pronto a votarsi all’Avvocato del Popolo che all’ex vicepremier e ministro del Lavoro e dello Sviluppo Economico.
E se qualche giorno fa la trattativa sembrava essersi arenata sul ruolo di Di Maio nell’esecutivo giallorosso oggi il Capo Politico tenta ti allontanare i sospetti di essere attaccato alla poltrona con una lista di proposte, programmi, leggi e progetti.
Che però non sarebbe la stessa uscita dagli incontri dei capigruppo del M5S con gli omologhi del Partito Democratico.
A sottolinearlo è la vicesegretaria del PD Paola De Micheli che al Tg2 ha dichiarato: «temo che Di Maio non abbia letto i documenti che abbiamo scritto insieme ai caopigruppo del M5S. Di fronte a questa incomprensione di Di Maio di quanto sia avanzato questo lavoro sulle linee del programma ci chiediamo se prima o poi emergerà la verità , cioè che il problema è tutto interno ai Cinque Stelle».
Su Twitter la De Micheli ha definito il comportamento di Di Maio in conferenza stampa “incomprensibile” ribadendo il sospetto che dietro ci siano problemi interni al partito.
Per il capogruppo del M5S al Senato, Stefano Patuanelli, invece Di Maio non ha parlato di ultimatum: «Non si tratta di fare ultimatum. Abbiamo redatto un documento che abbiamo consegnato alla Presidenza della Repubblica del lavoro che stiamo facendo con il Partito democratico. Su molte cose c’è condivisione, su altre ci sono dettagli da limare ma non vedo ostacoli insormontabili», aggiunge. «Oggi abbiamo messo al centro dei temi che possono rappresentare un momento di confronto più approfondito, nelle prossime ore lavoreremo su queste cose e chiediamo che siano inserite nel programma del prossimo governo» ha concluso Patuanelli. Eppure come rivela Repubblica nei 20 punti presentati a Conte non c’è alcun accenno ai Decreti Sicurezza.
Perchè allora Di Maio ha parlato di patrimoniale (che non era entrata nella discussione) e dei Decreti Salvini? Il sospetto è che Di Maio stia giocando una partita per conto suo. Oggi YouTrend ha diffuso un sondaggio dove per il 31,3% degli intervistati che hanno risposto è stato Nicola Zingaretti ad essere uscito vincitore della crisi di governo. Di Maio è secondo al 28,2%.
Ma altri sondaggi danno in ascesa la fiducia per Giuseppe Conte mentre quella in Di Maio sarebbe in calo. C’è sicuramente del calcolo: se con la Lega il M5S ha interpretato la parte del “partito di sinistra” con il PD allora si prepara a vestire i panni del “partito di destra”. Ma se con la Lega ha perso voti proprio a destra che garanzie ci sono che questa strategia fermi l’emorragia di voti “a sinistra”.
Il tentativo di Di Maio di sabotare in qualche modo l’accordo con il PD — smentito da Patuanelli che ha detto che la trattativa va avanti — potrebbe però essere controproducente. Perchè se l’accordo dovesse saltare si andrebbe al voto e in tal caso per il MoVimento 5 Stelle sarebbe quasi sicuramente un disastro. Certo, Di Maio magari potrà presentarsi a nuove elezioni come leader del MoVimento 5 Stelle perchè così facendo avrebbe bloccato l’ascesa di Conte ma il partito ne uscirebbe ridotto ai minimi termini.
In mezzo c’è il voto su Rousseau. Anche oggi il Blog delle Stelle ha pubblicato un articolo nel quale si prodiga a garantire che gli iscritti avranno l’ultima parola.
Ma è chiaro che tra deputati e senatori serpeggia il timore che il voto sulla piattaforma di Casaleggio (da loro profumatamente finanziata) possa diventare un boomerang.
Anche perchè nel frattempo sul sito “silenzi e falsità ” gestito dal fratello di Pietro Dettori (dipendente della Casaleggio attualmente a Palazzo Chigi con Conte) fioccano gli articoli contro un possibile accordo con il PD con titoli apocalittici come “Governo col Pd, il M5S sta cadendo in una trappola micidiale tesa da Renzi per annientarlo completamente” oppure “No al governo Conte Bis delle poltrone, di Renzi e delle banche. Sì alle elezioni subito”.
Un modo per il M5S di salvare la faccia (o quella che rimane), per Di Maio di neutralizzare il pericolo Conte e salvare la sua leadership. Ma quanto potrà durare?
(da “NextQuotidiano“)
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Agosto 30th, 2019 Riccardo Fucile
E’ IN CORSO LA CLAMOROSA TRATTATIVA PER ENTRARE NEL GRUPPO DEI LIBERALI UE
C’eravamo tanto odiati. Eppure così, in un attimo, i vecchi rancori, i viaggi in automobile varcando il confine francese, gli insulti, gli scomodi incontro con chi stava mettendo a ferro e fuoco Parigi, sono stati messi da parte.
Come mostrato dall’accordo con il PD, il Movimento 5 Stelle — dopo anni passati tra proclami populisti — è diventato un vero e proprio partito politico.
Meno intransigenza e più patti, pur cadendo in contraddizioni. E adesso spunta fuori un altro tentativo di alleanza, questa volta a livello europeo: quella M5S-Macron.
Come riportato da Alberto D’Argenio su La Repubblica, sarebbe stata avviata una trattativa sottotraccia da Luigi Di Maio e il presidente francese per consentire ai pentastellati di accedere al gruppo dei liberali all’interno dell’Unione Europea.
E il sapore ancora più ironico di tutta questa vicenda arriva quando si legge il nome di chi sarebbe la persona che sta facendo da tramite per questo corteggiamento: quel tanto discusso Sandro Gozi.
Il corteggiamento M5S-Macron non sarebbe portato avanti da Luigi Di Maio in persona, ma dal vicepresidente del parlamento Europeo, il pentastellato Fabio Massimo Castaldo.
Dopo aver incontrato Christophe Chalenà§on in Francia, uno dei più controversi leader (della frangia più violenta ed estrema) dei gilet gialli, il Movimento 5 Stelle aveva avviato nei mesi scorsi- quelli precedenti al voto per il rinnovamento del Parlamento Europeo — una campagna che aveva un grande nemico: proprio Emmanuel Macron. Illazioni, insulti e accese critiche che ora sembrano esser state messe da parte. Ma c’è un motivo.
I pentastellati, infatti, non hanno al loro fianco nessuno degli alleati che avevano incontrato sulla loro strada nel corso della campagna elettorale prima del 26 maggio scorso.
Nessuno di loro, infatti, ha ottenuto i voti necessari per entrare in Parlamento. Dopo i risultati elettorali, il Movimento 5 Stelle è rimasto con il cerino in mano, senza trovare un porto di approdo e un gruppo parlamentare europeo a cui fare riferimento. E ora, dopo mesi di solitudine e tentativi vari (e falliti) si prova l’asse M5S-Macron. Perchè la politica è fatta di compromessi.
(da “NextQuotidiano”)
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Agosto 30th, 2019 Riccardo Fucile
IL CAVALIERE CRITICA SALVINI: “UN PROBLEMA POLITICO MOLTO SERIO, HA CONSEGNATO IL PAESE ALLA SINISTRA”
Con l’alleanza di governo che si prospetta tra Pd e M5S, sembrerebbe naturale che il centrodestra si ricompatti contro gli avversari politici comuni, eppure, a giudicare dalle parole utilizzate da Silvio Berlusconi al termine del suo colloquio con il premier incaricato Giuseppe Conte, potrebbe non essere così scontato. Il cavaliere, infatti, nel suo discorso attacca duramente Salvini e la Lega.
“Il fatto che la Lega abbia proposto di risuscitare l’esperienza gialloverde rappresenta per noi un problema politico molto serio, su cui tutti gli elettori di centrodestra devono riflettere seriamente perchè così si è consegnato il Paese alla sinistra”, ha detto Berlusconi, dopo l’incontro con Conte a Montecitorio.
“Faremo una opposizione ferma, coerente, senza sconti ma composta”, ha annunciato il presidente di Forza Italia. “La condurremo innanzitutto in Parlamento ma saremo pronti a mobilitarci se aumenteranno l’oppressione giudiziaria o la pressione fiscale mettendo le mani nelle tasche degli italiani”
La distanza di Berlusconi dagli altri due leader di centrodestra emerge anche dalla stessa scelta di recarsi a Montecitorio per l’incontro con Conte. Nè la leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni nè il segretario della Lega Matteo Salvini hanno voluto incontrare il premier incaricato.
Inoltre, i due leader hanno già annunciato la volontà di scendere in piazza, ma hanno indetto due diverse mobilitazioni: FdI intende manifestare il giorno della fiducia verso il nuovo governo, mentre la Lega scenderà in piazza a ottobre.
(da agenzie)
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Agosto 30th, 2019 Riccardo Fucile
SERVIZI DA CINE LUCE PER IL PREMIER INCARICATO, MANCA SOLO LA SANTIFICAZIONE
«È Giuseppe Conte il perno sul quale si sta costruendo il nuovo esecutivo», così Ilaria Capitani in un servizio dedicato al premier incaricato andato in onda durante l’edizione delle 13 del Tg2 del 28 agosto.
Un servizio che segna forse la svolta di un Tg2 (e di una rete) fino ad oggi talmente filo-sovranista e salviniano da toccare vette estreme di ridicolo.
Ma con la caduta di Salvini le cose devono per forza cambiare anche in Rai, e il vento del cambiamento parte da queste parole «Giuseppe Conte sempre più protagonista della trattativa tra PD e 5 Stelle ma il suo ruolo è nel tempo cresciuto anche a livello internazionale».
È la scelta delle parole che dà la misura del riposizionamento «da avvocato, professore di diritto privato prestato alla politica ne coglie i tempi, lo fa al G7 di Biarritz, entra nel dibattito in modo attivo, trasforma le sfide globali in possibili punti programmatici per un governo giallorosso».
Manca solo la trasformazione dell’acqua in vino e la santificazione del permier del Governo del Cambiamento è completa. Ma per il resto Conte «smina il campo» smentendo l’ipotesi di Di Maio al Viminale «e la trattativa riparte». È Conte l’eroe del momento che «smussa, accorcia le distanze e raccoglie consensi».
C’è già la consacrazione del «bagno di folla» in un negozio del centro di Roma. E poi via con l’elenco dei pregi del premier che per 14 mesi ha lasciato che Salvini facesse tutto, pure mandare a gambe all’aria il suo governo.
Ma il Tg2 perdona il passato, ci stende un velo pietoso e preferisce magnificare la «tenuta psicologica, eleganza nei modi, toni pacati, capacità di mediazione».
Tutte qualità che — ci tengono a sottolineare — non sono riconosciute solamente nei palazzi della politica ma anche in Europa e sulla scena internazionale con l’endorsement di Donald Trump che si augura che Conte rimanga premier ancora a lungo.
«Se così sarà — conclude la Capitani — avrà ancora tempo per alimentare uno dei pochi tratti che racconta di se stesso “sono molto ambizioso”».
Il servizio del Tg2 fa rosicare Davide Di Stefano (di Casapound) che ha subito notato come la Rai sovranista si sia già riallineata per accogliere a braccia aperte il governo giallorosso. Il Tg2 ha compiuto il primo passo, resta da vedere che fine faranno tutti quelli che in questi mesi hanno incensato Salvini e il governo gialloverde. Chissà se il Presidente della RAI Marcello Foa rimarrà al suo posto ora che anche suo figlio ha fatto gli scatoloni. Di buone ragioni per cambiare l’aria in RAI ce ne sono tante: a partire dagli ascolti che grazie alla svolta sovranista e a certe trasmissioni non proprio azzeccate sono piuttosto deludenti.
(da agenzie)
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