Agosto 19th, 2019 Riccardo Fucile
E PONE PURE CONDIZIONI ALLA SPAGNA: “PRIMA DEVE TOGLIERE LA BANDIERA ALLA NAVE ONG” : MA PENSA A COME HAI DISONORATO TU L’ITALIA FACENDO IL SERVO DEL SEQUESTRATORE DI PERSONE … LA SOLUZIONE E’ SEMPLICE: RISPETTARE LA LEGGE, FARLI SCENDERE E RIDISTRIBUIRLI IN 24 ORE AI SEI PAESI CHE HANNO DATO DISPONIBILITA’ SENZA TANTE CAZZATE RAZZISTE
In serata arriva un delirante messaggio del ministro Toninelli su Fb:
“Ci siamo messi a disposizione con la Guardia Costiera per accompagnare la Open Arms in Spagna, per offrire supporto tecnico e per trasportare parte dei migranti a bordo di una nostra imbarcazione per il viaggio. La Ong ha incredibilmente rifiutato, con un atteggiamento che fa sospettare ci sia malafede da parte loro. A questo punto facciamo un ulteriore passo in avanti: siamo disponibili a portare noi, con la nostra Guardia Costiera, nel porto iberico che ci verrà indicato tutti i migranti che sono a bordo della Open Arms. La Spagna però faccia prima, a sua volta, un passo in avanti e tolga immediatamente la sua bandiera dalla nave della Ong”, conclude il ministro delle Infrastrutture.
1) Da sette giorni non viene rispettata una sentenza del Tar che ORDINA di far sbarcare i migranti a bordo della Open Arms
2) La magistratura sta indagando per sequestro di persona, abuso d’ufficio e violenza privata, ma per Toninelli questo non merita attenzione
3) La Open Arms non è un taxi che fa le corse che decide Toninelli o un governo sotto accusa per sequestro di persona.
Ha salvato vite umane, in malafede c’e solo il tuo padrone politico che stai servendo vergognosamente da oltre un anno, permettendogli di violare le leggi nazionali e internazionali.
4) Quando avete scortato l’Aquarius a Siviglia avete speso 500.000 euro. Ora se vuoi spendere altrettanto paga di tasca tua. E’ vergognoso, oltre che illegale, non farli sbarcare a Lampedusa: in aereo con 2.500 euro i 107 migranti domani sarebbero già a Madrid.
E non sei tu a decidere la bandiera delle navi, Open Arms onora il popolo spagnolo a differenza tua che disonori il tricolore, violando le leggi internazionali.
5) La soluzione logica e’ una sola: farli sbarcare a Lampedusa e ridistribuirli tra i sei Paesi che stanno aspettando che liberiate gli ostaggi. La Francia ne prende 40, la Spagna anche tutti, Germania, Portogallo, Romania, Lussemburgo sono a disposizione.
6) Dillo perchè non lo fai, Toninelli!
Perchè il tuo padrone politico deve fare la marchetta che “non sono sbarcati in Italia”, questa è la verità sconcia che nascondete.
Speculate sulla pelle di 100 poveri Cristi per la vostra miserabile propaganda xenofoba.
Su quella nave state respingendo una ragazza che è fuggita dalle persecuzioni perchè cristiana e poi andate a baciare Madonne e sventolare rosari.
Vergognatevi, siete voi i veri clandestini dell’Umanità .
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Agosto 19th, 2019 Riccardo Fucile
UNA SITUAZIONE IN CUI TUTTO PUO’ ANCORA SUCCEDERE… M5S SPACCATO: MAGGIORANZA DEI PARLAMENTARI PER ACCORDO CON IL PD, DI BATTISTA PER IL VOTO, DI MAIO PER RITORNARE CON SALVINI E NON PERDERE LA POLTRONA…CONTE INCERTO SE DIMETTERSI DOPO L’INTERVENTO
Al dunque, la paura. Di perdere tutto. Ecco la fotografia, quando la crisi più strampalata del mondo, irrituale, e finora “virtuale”, alimentata da pubblici proclami e spin interessati, finalmente arriva a consumare il suo primo atto formale, con le “comunicazioni” del premier in Parlamento.
È questo che sta accadendo, con i protagonisti che, arrivati alla soglia del burrone, scoprono di non avere le ali per volare, dopo giorni di machismo dichiaratorio, suggestione di doppi forni, retromarce come se fosse un gioco.
Ricapitolando: Salvini, che sta provando a tornare indietro, aspetterà il discorso di Conte, prima di presentare o meno una “risoluzione” che apra la crisi.
Avete capito bene, a meno di 24 ore dall’Aula, ancora non è fissato neanche l’orario della riunione dei suoi gruppi.
Conte che fino a ieri aveva fatto intendere che si sarebbe dimesso dopo il discorso, adesso avvolge il gesto in una nube di incertezza.
I Cinque stelle, dopo il summit a casa Grillo e la riunione dei gruppi, si scoprono lacerati al proprio interno, dopo aver coltivato la pia illusione di poter rimanere al caldo dei ministeri cambiando partner.
Lacerati tra chi vorrebbe andare al voto, come Di Battista, chi vorrebbe fare un discorso serio col Pd, come Fico e il grosso dei gruppi parlamentari, chi invece vorrebbe proseguire con l’assetto attuale, come Luigi Di Maio perchè ha capito che un governo col Pd, inevitabilmente passa per una sua esclusione.
E, d’un colpo, rappresenterebbe una verticale perdita di potere sia nel governo sia nel Movimento.
Questo il quadro. Ed è piuttosto indicativo che, racconta qualche frequentatore del Colle, nemmeno lassù hanno certezze su cosa potrà accadere e se, e quante volte, finchè Conte non pronuncerà il suo discorso, i due cambieranno ancora idea.
C’è però un punto fermo, in questa storia. E lo ha capito bene Gianni Letta, che oggi ha avuto più di un colloquio informale, come sempre accade in questi casi, con qualche consigliere quirinalizio.
Il plenipotenziario della diplomazia berlusconiana ha avvertito la netta sensazione che il capo dello Stato non ha alcuna intenzione di trasformarsi in un regista per dar vita a un governo istituzionale — sensazione che gli ha procurato un certo dispiacere – e si limiterà a registrare le posizioni in campo, con una certa fermezza anche nei tempi. Detta in modo un po’ tranchant: se c’è una maggioranza, ci sarà un governo, altrimenti si predisporrà a sciogliere le Camere.
Ma c’è un altro elemento che trapela. E che rivela la consapevolezza di una situazione istituzionalmente irregolare e fin troppo destabilizzante per il paese.
Questa volta non si assisterà a un bis del 2018, con i partiti che, in attesa di capire in quale forno cucinare il pane, tengono paralizzate le istituzioni repubblicane, spostando la sceneggiata che abbiamo visto fin qui sul set delle consultazioni, e ingabbiando il Quirinale con l’insostenibile leggerezza con cui hanno ingabbiato il paese in queste settimane, nell’ambito di una crisi che, formalmente, non è ancora aperta, ma che quotidianamente ha bruciato scenari e suggestioni.
Il principio di realtà , dicevamo. Alla vigilia del suo discorso, il premier ha scoperto che, una volta lasciato palazzo Chigi, non solo è complicato tornarci, ma non è neanche scontata una onorevole “way out” nel posto di commissario europeo, soprattutto nel caso di un cambio di maggioranza col Pd.
E, in queste ore, un’altra scoperta ha raffreddato il baldanzoso entusiasmo del “facciamo il governo col Pd”, quel “fattore Renzi”, allegramente sottovalutato, ma rumorosamente riapparso sulla scena
Non ci voleva chissà quale raffinato analista a capire che, di un governo col Pd, il senatore di Rignano avrebbe la golden share politica e parlamentare. In fondo lo ha dichiarato in una intervista in cui ha annunciato che avrebbe tirato le somme della nuova esperienza tra qualche mese alla Leopolda.
E non ci voleva un genio per prevedere che la discussione inevitabilmente avrebbe virato sulla sua presenza o su quella della Boschi nel nuovo governo.
Ecco perchè al Nazareno si registra, sull’ipotesi di un governo con i Cinque Stelle, un’aria da “indietro tutta” e anche i più governisti hanno riposto nell’armadio il vestito buono per il giuramento.
Diciamoci la verità , l’unico che in questo spettacolo a metà tra la tragedia (per il paese) e la commedia dell’arte non si è “bruciato” nel gorgo dell’incoerenza e nell’ebbrezza da palcoscenico è Nicola Zingaretti, per la semplice ragione che ha rispettato la prima regola della politica e della logica.
E cioè che la crisi è tale quando si manifesta formalmente, come il rigore nella celebre frase di Boskov che “c’è quando arbitro fischia”.
E solo a quel punto un partito serio si riunisce, discute e avanza la sua proposta, senza partecipare al teatrino di avanzare “governi virtuali” su una “crisi virtuale”.
Ecco, è l’unica posizione chiara: “Governo di discontinuità , o voto”. In attesa che si sciolgano le contraddizioni e le convulsioni in seno all’avversario. Almeno così non si perde la faccia. Di questi tempi, è una notizia.
(da “Huffingtonpost”)
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Agosto 19th, 2019 Riccardo Fucile
DENTRO IL M5S DI MAIO SOTTO ACCUSA… RESOCONTO DELL’ASSEMBLEA DEI GRUPPI PARLAMENTARI GRILLINI
Sono finite le oltre tre ore di assemblea tra Luigi Di Maio e i gruppi parlamentari del Movimento 5 stelle quando in un corridoio della Camera si materializza Riccardo Fraccaro. Il premier martedì si dimetterà dopo le comunicazioni al Senato? “Conte non è così prevedibile come pensate, per questo mi piace”.
La confusione è tanta sotto il cielo, nubi di incertezza lo solcano sottili e taglienti.
Il capo politico 5 stelle convoca un’Assemblea congiunta, ma calcia il barattolo più in là : “Ci ha chiesto di rinviare la questione di cosa fare, del Pd e della Lega, a dopo che avrà parlato il presidente del Consiglio”, spiegano i presenti.
Nessuno di loro sa cosa farà . Lo stesso Di Maio spiega di non saperlo. Qualcuno lo mette nel mirino, la fronda interna ondeggia: “È stato arrogante e spocchioso — dice un senatore di lungo corso — quasi a irriderci chiedendo se non abbiamo fiducia in lui, a dirci che non sa cosa farà Conte, ma figuriamoci”.
C’è chi tratteggia voli imprevedibili dell’avvocato del popolo.
Come quello che prevederebbe un discorso duro, senza via d’uscita contro Matteo Salvini e la Lega, accusando il segretario del Carroccio di essere leader delle assenze, dei tanti no sbattuti da lui, e non dai partner, in faccia agli alleati.
Seguito però dalla spiegazione che le dimissioni sì ci saranno, ma dopo giovedì, dopo che Montecitorio avrà votato il taglio dei parlamentari. Lasciando il cerino in mano al Carroccio: sfiduciarlo con un voto palese, offrendo un eccellente argomento di rivendicazione per l’universo stellato, o cercare di forzare la mano e inseguire le urne anche dopo una modifica costituzionale che per essere effettiva richiederebbe l’attesa dei tempi del referendum.
Di Maio si tiene aperte tutte le porte. Coltiva il progetto, la grande illusione, di rimanere baricentro del sistema politico, con la golden share dei numeri parlamentari. I suoi tornano a ripetere come ai tempi della crisi di un anno e passa fa: “Siamo il partito di maggioranza relativa, da noi si deve passare”.
La vera novità di giornata è questa: il vertice domenicale a casa Grillo sarebbe stato tutt’altro che pacifico.
Tra chi spingeva per il Pd, con Beppe Grillo in testa, chi per il voto, vedi alla voce Di Battista, chi per lasciare ogni possibilità sul campo, con il ministro del Lavoro sostenitore di quest’ultima via.
Così ne sarebbe uscito un comunicato che da un lato bastonava la credibilità di Salvini e dall’altro elogiava il lavoro con i gruppi parlamentari leghisti. Un modo non per chiudere definitivamente la porta a Salvini, ma di instradare un’eventuale Canossa su binari precisi.
Ecco le condizioni, ancora non squadernate su un tavolo di trattativa, ma in fase di incubazione nell’inner circle del fu ragazzo di Pomigliano: Conte rimane premier, Di Maio vice, il segretario del Carroccio “retrocesso” a solo ministro dell’Interno, una manciata di punti programmatici da attuare a strettissimo giro di posta.
Condizioni al limite dell’irricevibilità , probabilmente oltre. “O così o niente”, spiega una fonte molto vicina a Di Maio, confermando che nella testa del leader il forno principale ha tutt’altro che smesso di ardere.
Il no, d’altra parte, creerebbe una strada, tutta politicista e di incerta efficacia comunicativa, per poter andare dai Democratici senza l’onta del contro tradimento, potendo dire di aver esplorato tutte le strade per rimettere insieme i cocci.
Versante sul quale Salvini ha lanciato il sasso di una Maria Elena Boschi ministro, creando una valanga che Di Maio ha provato a arginare bollandola come fake news. Ecco i suoi: “Avere renziani al governo serve a noi, serve a Zingaretti. Ma non Boschi, Lotti, Bonifazi, lo stesso Renzi, piuttosto nomi di secondo piano”.
Certo è che anche Nicola Zingaretti si gioca una delle partite più importanti della sua vita politica, e l’eventualità di ritrovarsi sia Conte sia Di Maio, in uno schema di pura sostituzione della Lega al governo, è indigeribile per il segretario Dem.
Ma eccola la grande illusione: l’ambizione di poter dare le carte con chicchessia dopo essere stati stropicciati da un anno di gialloverdismo e strapazzati alle urne.
E con un gruppo parlamentare che rifiuta recisamente l’ipotesi di un bis sovranista. A un certo punto Primo De Nicola, senatore espertissimo del Palazzo, sale a prendere un caffè in buvette, quasi certificando l’inutilità del dibattito fiume che sta andando in scena due piani sotto, nei fatti silenziato sulla sostanza politica. Allarga le braccia: “In che direzione si va? Mi sembra evidente”.
Accanto a lui Ettore Licheri, presidente della commissione Affari europei di Palazzo Madama, sfodera il solito sorriso e uno zainetto sulle spalle: “Mi chiamano tanti colleghi leghisti, anche loro non capiscono, ma la strada mi sembra segnata. Nessuno degli interpellati vuol sentir parlare di un bis di M5s più Lega. Un altro senatore agita le mani come a scacciare fantasmi: “Se torniamo da Salvini quando torniamo al voto non superiamo la soglia di sbarramento”. Arriva un deputato: “Luigi dice non apriamo o chiudiamo a nessuno? Certo, noi no, la Lega la porta l’ha già chiusa”.
Si fa sera, nei corridoi deserti della Camera rimbalza una sorda eco, improvvisamente riempito da un trambusto. Ecco Di Maio, che a lunghe falcate si dirige verso i piani inferiori, seguito da Alfonso Bonafede.
Due uomini della comunicazione a frapporsi a qualsivoglia contatto, nessuna risposta a qualunque tipo di domande. Scende in fretta due piani di scale, si infila in macchina e se ne va dribblando i cronisti.
Bonafede aspetta un attimo in più, sorride, scambia qualche battuta, ma la sostanza è la stessa. I parlamentari sciamano via: “Nulla di che — spiega uno — le prossime assemblee saranno più decisive, forse ci vediamo giovedì. Emanuela Corda, Marco Rizzone e Alberto Airola sono quelli che sollevano alcuni punti critici: la comunicazione, un evergreen delle sedute di autocoscienza pentastellate, l’allargamento dei processi decisionali, nelle mani di uno stretto giro di persone.
A sera ecco un big del Movimento al telefono: “Ti credo che Luigi è in difficoltà . Lui ci ha portato qui, lui deve pagare il conto”. Nella notte che scende su Roma intorno ai Palazzi del potere è come se si sentisse il lavorio incessante per renderlo il meno salato possibile.
(da “Huffingtonpost”)
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Agosto 19th, 2019 Riccardo Fucile
LEGA IN STATO CONFUSIONALE, NON C’E’ STRATEGIA E SI NAVIGA A VISTA
Nella Lega la confusione è ormai totale. Perchè nel giro di pochi giorni si è passato dal decisionismo più spinto — “chiedo pieno poteri” — all’indecisionismo più che evidente.
Dal ritorno subito al voto, alla riapertura di una trattativa con i 5 stelle con un contratto-bis, ma senza l’attuale presidente del Consiglio, Giuseppe Conte.
Insomma, sembra trascorsa un’eternità dal torso nudo del Papeete Beach quando il deejay Matteo Salvini si ergeva a padrone dell’Italia e preparava la scalata a Palazzo Chigi.
Ecco, per scorgere lo stato confusionale di via Bellerio basta sentire il dialogo tra due parlamentari del Carroccio, oggi pomeriggio, nelle vie di Capitale. “Ma insomma domani cosa dobbiamo fare?”, si domanda un luogotenente. Gli fa eco l’altro che a questo punto si chiede: “Quindi, andiamo avanti con la mozione di sfiducia, o presentiamo una risoluzione di sfiducia alle comunicazioni di Conte?”.
Lo stato dell’arte è tale che nessuno sa quali azioni compirà il Capitano della Lega.
Di certo di buon mattino riunirà i senatori per mettere a punto la tattica da seguire nell’emiciclo. E per far conoscere ai suoi quello che potrebbe dire se dovesse aprirsi il dibattito.
Non è dato sapere dove e quando si terrà la reunion del Carroccio. E anche questo è un altro segnale inequivocabile della navigazione a vista di un Capitano che osserva la bussola ma è indeciso sulla rotta.
Sia come sia, dopo le comunicazioni del premier Conte, la Lega potrebbe presentare una risoluzione che sarebbe sottoposta al voto dell’aula.
Ma dai vertici della Lega si fa sapere che “non abbiamo ancora deciso”. Tutto è ancora fluido, come se qualcosa si fosse riaperto e come se il ritorno di fiamma con i cinquestelle sia un’ipotesi non più ascrivibile a fantapolitica.
“Io penso soltanto che sia difficile vedere un governo M5S-Pd”, taglia corto il sottosegretario al Lavoro, Claudio Durigon. E vanno in questa direzione anche le parole di un senatore assai ascoltato dai vertici: “A mio avviso la nota dei 5 stelle è ambigua. Siamo sicuri che abbiano chiuso la porta a Matteo?”.
Ad ogni modo il tutto dipenderà “da quello che dirà e da cosa farà il premier Conte”. Salvini si aspetta un passo indietro dal presidente del Consiglio. Subito, un minuto dopo la fine delle sue comunicazioni. Perchè a quel punto si aprirebbe la crisi.
Se invece il premier dovesse concedere la parola all’Aula, il leader del Carroccio si alzerà e parlerà a braccio guardandolo negli occhi il presidente del Consiglio. Al quale risponderà colpo su colpo se il premier, come filtra, dovesse attaccarlo duramente.
Certo è che in queste ore che precedono l’aula di domani, Salvini si è asserragliato al Viminale, da mattina a sera. A chi lo ha sentito, è apparso “preoccupato” per “il Governo arlecchino di Renzi, Boschi e Prodi”, ma comunque ottimista perchè ritiene che per lui sia win win. “Mai inciuci con Renzi e compagni, mai!”, ha ripetuto nel corso di ogni telefonata. E tutte si sono concluse con la solita frase: “Il meglio deve ancora venire”.
(da “Huffingtonpost”)
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Agosto 19th, 2019 Riccardo Fucile
I GUAI DI SALVINI NATI TRA BRUXELLES E WASHINGTON
Come il resto delle Cancellerie europee, Ursula von der Leyen assiste per ora silente agli sviluppi della crisi di Governo italiana.
Impegnata a comporre la squadra per Palazzo Berlaymont, è in attesa che anche Roma le proponga un nome per il commissario che spetta all’Italia: senza fretta. Del resto, la nuova presidente della Commissione europea, votata all’Europarlamento da tutte le forze politiche italiane tranne la Lega, si ritrova di fatto ispiratrice del tentativo di formare un Governo Pd-M5s senza Matteo Salvini. Suo malgrado, ma non tanto.
C’è lei al centro della cosiddetta ‘coalizione Ursula’, come la chiama Romano Prodi, sostenitore di questo tentativo, nato non ad agosto quando Salvini ha aperto la crisi, ma a luglio.
E non a Roma ma a Strasburgo con il voto su von der Leyen e non solo.
Alla vigilia delle comunicazioni del premier Giuseppe Conte domani al Senato, che cominceranno a chiarire i prossimi passi di una crisi inedita, un punto è chiaro negli ambienti europei e di conseguenza anche italiani: la crisi del patto di governo tra Lega e Cinquestelle è nata all’estero, tra Bruxelles e Washington, frutto (amaro per Salvini) di quel ‘cordone sanitario’ anti-sovranista costruito dalle forze europeiste del vecchio continente subito dopo le europee, con l’avallo dell’amministrazione Usa.
Negli ambienti europei si ricorda il viaggio di Salvini a Washington a metà giugno. Un trionfo, secondo il racconto del vicepremier leghista.
Decisamente meno per gli americani, che già a gennaio avevano passato il messaggio all’allora presidente del Parlamento europeo Antonio Tajani, in visita negli Usa: niente accordi con i sovranisti.
Il motivo: troppo ambigui nei rapporti con la Russia, roba che nemmeno il loro tifo per la Brexit — chiodo fisso di Donald Trump — poteva compensare.
Poco prima un Russiagate in salsa austriaca aveva fatto cadere il governo a Vienna: ora l’alleato di Salvini, il leader dell’estrema destra (Fpo) Heinz-Christian Strache è anche accusato di corruzione.
Poco dopo, il Russiagate è scoppiato anche in Italia, con l’affare Savoini ancora tutto da chiarire. E’ in questo contesto che il ‘cordone sanitario’ anti-sovranista è entrato in azione e dove se non in Europa, per la precisione all’Europarlamento? Proprio lì, agli inizi di luglio.
Un primo segnale, subito dopo l’elezione del Democratico italiano David Sassoli alla presidenza dell’Eurocamera, è stata la rielezione a sorpresa del pentastellato Fabio Massimo Castaldo alla vicepresidenza dell’aula di Strasburgo.
Risultato inaspettato e appunto sorprendente per i più, visto che i 14 eletti del Movimento cinquestelle non hanno un gruppo su cui contare in Europa.
Molti voti per Castaldo sono arrivati dal Pd, si mormora nelle stanze europee: le stesse dove oggi si fa risalire l’incubazione della crisi di governo proprio a quei giorni di luglio a Strasburgo.
La nomina di Ursula von der Leyen alla presidenza della Commissione europea, avvenuta due settimane dopo in quella stessa aula con il sì dei pentastellati, di Forza Italia e del Pd e il no dei leghisti al ‘photofinish’, è stato solo l’atto finale di una manovra iniziata prima: di allontanamento di Salvini dalle stanze dei bottoni a Roma.
Lui l’ha capito e ha cominciato a meditare la crisi: aperta ad agosto con l’obiettivo (mancato) di tornare alle urne a ottobre, quando il caso ‘Italia’ si sarebbe aggiunto alla Brexit (scadenza il 31 ottobre) con notevole potenza esplosiva per l’Ue.
La crisi italiana può essere un caso di scuola di come un’cordone sanitario’ europeo – che più che anti-sovranista è anti-Salvini, Le Pen, Afd, Fpo, insomma esclude i nazional-sovranisti dell’est comunque ‘controllati’ dalla Germania e sicuramente anti-Putin — riesca a influenzare gli eventi di uno Stato membro.
Secondo la versione di Forza Italia, è avvenuta la stessa cosa nel 2011 quando Silvio Berlusconi fu indotto a lasciare il governo. Ma in quel caso c’era lo spread schizzato in su a livelli massimi.
Oggi c’è il timore di un’Eurozona che non vuole ritrovarsi un’Italia con un piede o due fuori dall’euro in autunno, ipotesi possibile con Salvini premier alle prese con una manovra economica complicata, ipotesi che intravedono e temono a Bruxelles sulla base delle stesse dichiarazioni dei leghisti più anti-euro. E ci sono diplomazie che agiscono per tempo ripartendo evidentemente da quella che lo stesso Romano Prodi definisce senza mezzi termini la ‘coalizione Ursula’, un’alleanza di governo tra le forze politiche italiane — compresa Forza Italia — che si sono ritrovate intorno al sì a von der Leyen in aula, esclusa la Lega.
Non è affatto un caso che a luglio la stessa Cancelliera Angela Merkel si sia espressa sui vari Russiagate che hanno coinvolto l’estrema destra nei paesi dell’Ue (oltre a Austria e Italia, anche Marine Le Pen in Francia): “I contatti tra la Russia e i partiti populisti suscitano preoccupazione”.
Oggi anche da Berlino, come dalla Commissione europea, arriva solo un ‘no comment’ sulla crisi italiana: del resto, solo domani, dopo le comunicazioni di Conte in aula, si capirà che piega prende.
Ma il presidente del gruppo parlamentare di amicizia Germania-Italia al Bundestag, il socialdemocratico (Spd) Axel Schaefer, si sbilancia e valuta positivamente l’ipotesi di un’intesa fra M5S e Pd.
“Lo sappiamo dalla Polonia e dall’Ungheria — dice – Se c’è una maggioranza molto di destra, il Paese viene cambiato culturalmente in maniera molto diversa rispetto a quanto fecero Berlusconi o Bush o altri. Questo è il problema. Prima si poteva sempre dire ‘sì, un po’ più a destra, un pò più a sinistra, un pò più di economia, un pò più sociale. Ora invece si tratta di cose molto importanti: per esempio il rispetto dei media indipendenti, si tratta di accettare sempre che un tribunale è indipendente e non lo si insulta se le sentenze non piacciono.
Si tratta del multilateralismo, la conquista centrale dopo la Seconda guerra mondiale. Senza l’Italia, senza le molte proposte, idee, ispirazioni di Spinelli non avremmo questa Europa comune.
Un’Italia democratica, europea, è per noi irrinunciabile. Non si tratta più, come prima, di contrasti di governo ma un po’ del carattere dell’Europa e dell’Italia, che ha sempre giocato un ruolo straordinario e questo ruolo diventerà ancora più importante dopo la Brexit”.
E ancora: “Il pericolo odierno è diverso rispetto a quello rappresentato da Berlusconi”. Ora Il Pd deve decidere cosa fare: “Come socialdemocratico tedesco non posso raccomandare cosa devono fare”, ma in Consiglio d’Europa “siedo accanto a un collega dei Cinque Stelle” e “abbiamo votato alla stessa maniera in molti, molti casi. L’ho notato fin dall’inizio…”.
In maniera discreta, l’Europa fa il tifo per un governo Pd-M5s che escluda Salvini.
L’esempio finora più riuscito tra i tentativi di arginare i sovranisti dai posti di comando nei paesi membri dell’Unione. Con l’avallo di Washington, in funzione anti-Putin.
Comunque vada, dicono i più, sarà un successo perchè a questo punto le elezioni a ottobre sono escluse. E se pure si rinnova il patto Lega-Cinquestelle, sarà a condizioni certamente più europeiste e meno leghiste. Rischio ‘Ital-exit’ scongiurato.
(da “Huffingtonpost“)
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Agosto 19th, 2019 Riccardo Fucile
GLI ELETTORI NON GLI PERDONANO L’AZZARDO DI APRIRE LA CRISI PER TORNARE ALLE URNE… RISCHIO MAGGIORE DI CROLLO SE TORNA CON IL M5S
Matteo Salvini potrebbe aver fatto il passo più lungo della gamba.
È quanto sostengono molti esperti, i quali sono convinti che il leader della Lega stia perdendo colpi
Ecco perchè il leader del Carroccio, dopo aver deciso di aprire la crisi di governo per capitalizzare il suo consenso alle urne, adesso non sarebbe più convinto di ridare la parola agli italiani, spaventato anche da un possibile governo formato dal M5s e dal Pd.
Secondo le rivelazioni dei principali istituti di rivelazione, la Lega ora viaggia sotto il 35 per cento, ma negli ultimi giorni il trend, ormai positivo da mesi, si sarebbe invertito.
Se fino a qualche giorno fa il Carroccio aspirava ad arrivare al 40 per cento, ora l’obiettivo sarebbe quello di non scendere sotto il 30.
Ma quali sono i motivi di questo presunto calo? Gli errori commessi nelle ultime ore da quello che sino a qualche giorno fa era considerato un politico infallibile: Matteo Salvini. Secondo Roberto Weber di Ixè, il ministro dell’Interno paga la fragilità mostrata in questi ultimi giorni, che si scontra con quella della fermezza proposta in un anno e mezzo di governo.
Una tesi confermata anche da Lorenzo Pregliasco, direttore di Youtrend, il quale dichiara anche che i numeri potrebbero peggiorare ulteriormente in caso di una riappacificazione con il Movimento 5 Stelle, a questo punto difficilmente spiegabile all’elettorato.
Chi potrebbe guadagnare dalla crisi di consensi di Salvini, secondo Antonio Noto, è il Movimento 5 Stelle che, dopo mesi, sembra essere ritornato a salire nei sondaggi.
Anche il Pd potrebbe trarre giovamento da questa situazione
(da agenzie)
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Agosto 19th, 2019 Riccardo Fucile
IN FUGA PERCHE’ CRISTIANA ORA E’ RESPINTA DA CHI BRANDISCE IL ROSARIO AI COMIZI…LA SUA STORIA E’ UN ESEMPIO DI CHI POSSIEDE VALORI E DI CHI INVECE E’ IL VERO CLANDESTINO DELL’UMANITA’
“Io non capisco”, continua a ripetere Maria, rannicchiata in un angolo del ponte della Open Arms. “Non capisco perchè ci rifiutano ancora”, dice allo psicologo di Emercency, Alessandro Di Benedetto.
E’ l’ennesimo rifiuto per Maria, 30 anni, della Costa d’Avorio. Racconta che quando è diventata cristiana, la sua famiglia l’ha cacciata via da casa.
“Per questo sono partita — dice — e non sapevo ancora cosa mi aspettava”. In Libia, è stata arrestata. “Mi picchiavano continuamente, un giorno hanno provato a violentarmi. Ma io ho resistito con tutte le mie forze. E allora per vendetta mi hanno buttato dell’olio bollente sulle gambe”. Da quel giorno, Maria cammina con difficoltà .
Poi, a luglio, è stata scaricata una bomba sul centro di detenzione per migranti dove era imprigionata la giovane donna. A Tajoura sono morte 44 persone, 130 sono rimaste ferite. Quel giorno, Maria è fuggita dalla prigione. E dopo qualche tempo è riuscita a salire su un barcone che doveva portarla in Italia.
A bordo della Open Arms, ci sono uno psicologo e un mediatore di Emercency, che parlano di continuo con i migranti.
“Come la donna fuggita dalla Costa d’Avorio, anche gli altri non comprendono cosa stia succedendo”, dice il dottore Di Benedetto. Non lo comprende un giovane universitario siriano, all’ultimo anno della facoltà di Ingegneria civile. “E’ sfuggito a tre attentati kamikaze”. L’ultima volta, si è salvato grazie a un padre che ha avuto la prontezza di portare lontano la sua famiglia. E anche lui, che era lì accanto, in strada.
“La situazione a bordo è davvero molto critica, una pentola a pressione”, la definisce Rossella Miccio, la vulcanica presidente di Emergency, anche lei sulla Open Arms.
“Siamo di fronte a persone che vivono questo limbo con estrema fatica. Hanno vissuto momenti di violenza e soprusi, adesso non riescono a capacitarsi di vedere la terraferma davanti a loro e di non potere sbarcare. Questo stimola momenti depressivi, ma anche scatti di rabbia e di autolesionismo”.
(da agenzie)
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Agosto 19th, 2019 Riccardo Fucile
“IL PROBLEMA NON E’ CERTO L’ACCOGLIENZA DI QUESTI DISPERATI MA IL FLUSSO CONTINUO DI GIOVANI CHE LASCIANO LA SICILIA”
“Quello che emerge nel caso della Open Arms è la linea del premier Conte, che non si limita a dire ‘no’ e a lasciare morire in mare esseri umani, ma dialoga con l’Europa, raggiungendo il risultato della redistribuzione dei migranti e dell’apertura delle porte degli altri Stati. Insomma il vero ‘Governo dei sì’ è quello di Conte, mentre Salvini si ostina a dire solo ‘no'”.
A dirlo all’Adnkronos è la pentastellata Ida Carmina, sindaco di Porto Empedocle, la cittadina pronta ad accogliere i 37 migranti imbarcati sul traghetto della Siremar che giungerà in serata
“Quello migratorio è un fenomeno complesso che chiama in causa l’Europa, se non il mondo intero – aggiunge il primo cittadino – . Siamo davanti a un vero e proprio esodo che non può essere certo gestito dalla sola Sicilia o dall’Italia”.
Ma per Ida Carmina si continuano a puntare i riflettori sulla nave della Ong spagnola “mentre decine e decine di migranti approdano a Lampedusa con barche fantasma”.
In ogni caso, puntualizza il sindaco, “più che impedire a un centinaio di persone di sbarcare dopo 18 giorni in mezzo al mare, come sindaco sarei più interessata a soluzioni che pongano un freno all’emorragia dei nostri giovani. Interi Comuni si stanno spopolando, negli anni ho visto le energia migliori del mio territorio andare via. Per noi il problema – conclude il sindaco – non è l’accoglienza di questi disperati ma il flusso ininterrotto di giovani che lasciano la Sicilia”.
“Salvini ossessionato dai migranti e in perenne campagna elettorale continua a fregarsene dei problemi dei Comuni del Sud e, soprattutto di quelli in dissesto che con le attuali norme, con i trasferimenti statali e regionali ridotti e con i costi per i servizi inalterati sono destinati a fallire”. L’atto d’accusa è del sindaco di Porto Empedocle, la pentastellata Ida Carmina, che punta il dito contro il capo del Viminale. “Invece che impedire a 107 migranti di scendere dalla Open Arms con un atteggiamento che diventa ogni giorno che passa sempre più ridicolo – dice all’Adnkronos – si occupi di fornire risposte ai problemi reali dei cittadini, di risolvere le criticità dei Comuni in difficoltà chiamati a fornire servizi essenziali senza avere le risorse necessarie”.
(da “AgrigentoNotizie”)
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Agosto 19th, 2019 Riccardo Fucile
ISTIGAZIONE ALL’ODIO RAZZIALE E DIFFAMAZIONE
Istigazione all’odio razziale e diffamazione. Nuove accuse per Guido Gheri, il patron di Radio Studio 54. Il tribunale del riesame, accogliendo il ricorso presentato dalla pm Christine Von Borries, ha messo sotto sequestro preventivo l’emittente radiofonica di Scandicci.
Durante la trasmissione “Voce al popolo”, Gheri avrebbe più volte insultato il suo ex avvocato e anche un ex ospite della trasmissione. Non solo.
Secondo i giudici il programma avrebbe in più occasioni diffuso messaggi razzisti e xenofobi, veicolando — scrivono i magistrati — “un vero e proprio odio razziale ed etnico diretto agli extracomunitari in quanto tali, come tale idoneo a determinare in concreto il pericolo di comportamenti discriminatori”.
Nel corso di una puntata della trasmissione, Gheri aveva definito le persone di religione musulmana come “cannibali, mostri, stupratori, violentatori, spacciatori”, ma anche “malati mentali e barboni del c…”.
Diffondendo in questo modo, secondo i giudici, idee basate sull’odio razziale.
Non solo. Nel corso di alcune trasmissioni, Gheri aveva attaccato pesantemente l’ex ministro Cecile Kyenge, definendola “mostriciattolo” e rivolgendole una serie di insulti razziali. Mentre in altre si era rivolto al suo avvocato, chiamato in modo spregiativo “lo sciancato”. “Pensa solo ai soldi — aveva detto di fronte agli ascoltatori — arrampicatore sociale e doppiezza come persona”.
(da agenzie)
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