Agosto 27th, 2019 Riccardo Fucile
TELEFONATA NOTTURNA DI FUOCO CON ZINGARETTI CHE DICE NO: “PER NOI E’ INACCETTABILE”… DI MAIO “ALLORA FACCIAMONE TRE, DUE LI PRENDI TU, MA IO DEVO ESSERCI”… MA COSA ASPETTA IL M5S A LIBERARSI DI QUESTO SOGGETTO?
Alle undici di sera rischia ancora di saltare tutto. Il problema è Di Maio. È durissimo lo scambio con Nicola Zingaretti, in una telefonata che dura quasi un’ora.
Voce agitata, il vicepremier dell’era gialloverde, quasi urla: “Non potete umiliarmi, io non posso rinunciare a stare nel Governo come vicepremier”.
Zingaretti, pazienza al limite: “Parli tu di umiliazione? Io stavo venendo a palazzo Chigi e hai fatto saltare l’incontro con un comunicato?”.
Il punto è che, una volta rinunciato al Viminale, si è manifestato qualche problema alla Difesa, l’altro dicastero chiesto da Di Maio, con malumori che sono arrivati fino al Quirinale alla semplice ipotesi.
La telefonata notturna è un match: “Io — dice il capo dei Cinque stelle – al ruolo di vicepremier non rinuncio”. Per l’ennesima volta, Zingaretti ripete: “Per me non è accettabile lo schema dei due vicepremier dello stesso partito. Conte non è un garante, una figura terza, ma è un leader del Movimento. Se si fa un patto questo significa che c’è un vicepremier dell’altro partito. Punto”.
A quel punto Di Maio si fa prendere dalla foga: “Allora facciamo tre vicepremier e tu ne prendi due”. Finisce così, col segretario del Pd che si mostra indisponibile ad andare avanti su questi presupposti.
È in un clima di tensione che il segretario del Pd convoca i big del suo partito. La tenzone telefonica, l’annuncio che l’eventuale accordo sarà sottoposto al voto su Rousseau vissuto come uno “sgarbo”: nella war room del Nazareno volano parole crude, alcune irriferibili: “C’ha ragione Salvini, sono dei poltronari inaffidabili” sbotta qualcuno.
Il più anglosassone resta Andrea Orlando: “Abbiamo risolto i problemi del governo. Ora ci manca di risolvere i problemi di Di Maio”.
Il vicepremier è l’ostacolo. Altro che paragoni col compromesso storico, come dice qualcuno.
La trattativa è un mercimonio tra partiti che si odiano, avvolti da una nube di sfiducia e insofferenza. Asserragliato nel suo bunker per tutto il giorno Di Maio gioca apertamente contro. Evita anche la riunione dei suoi parlamentari per sfuggire al “processo”, perchè i gruppi sono favorevoli all’accordo col Pd. La sua è una guerra personale fuori e dentro il Movimento.
Col primo colpo basso di mattina. Alle 10,15, appena Nicola Zingaretti e Andrea Orlando salgono in macchina per andare all’incontro con Di Maio, vengono raggiunti da una telefonata dello staff: “È appena uscito un comunicato dei Cinque stelle che parlano di incontro saltato, perchè il Pd pensa solo alle poltrone…”.
Un quarto d’ora dopo il segretario del Pd è nel suo ufficio, torvo in volto. E chiama Giuseppe Conte: “Parliamoci chiaro, così non si va avanti. O la prendi in mano tu, o salta tutto”.
È la prima, di una serie di telefonate, nel giorno più lungo. Mentre con Di Maio i contatti sono pochi e affidati a brevi e asciutti messaggi. Riceve assicurazioni il segretario del Pd, mai definitive, nel corso di colloqui tra persone che parlano lingue diverse. Il punto è lo schema politico.
Per il Pd il via libera a Conte, che c’è, deve essere accompagnato da una “discontinuità ” nell’assetto.
Perchè non è accettabile per il Pd che il nuovo governo sia un “rimpasto del precedente”. Che preveda un premier “garante” e due vicepremier dei due stipulatori di un “contratto”.
Quindi la precondizione è che Di Maio rinunci alla sua impuntatura di rimanere vicepremier. E rinunci alla casella del Viminale. È questo l’oggetto di una serie di colloqui, fino allo sfinimento: “Il punto — spiega Zingaretti a Conte — è politico. Tu non sei una figura terza, ma un leader politico del Movimento”.
Il premier, più volte, prova a resistere, sfidando anche i nervi di parecchi al Nazareno: “Ma perchè? — dice – Io non ho la tessera”. Qualcuno nella stanza del segretario commenta: “Questo non capisce un c…. Sono degli incompetenti”.
È il punto, la “natura” di Conte, che qualifica la natura stessa del governo, la logica che lo anima, la dinamica si produrrà . Far passare il concetto che il premier dell’era gialloverde è una figura terza e super partes non sarebbe solo una capitolazione, per un partito che aveva chiesto discontinuità rispetto ai quattordici mesi di governo gialloverde, in cui Conte non stava propriamente su Marte, ma a palazzo Chigi a firmare i decreti sicurezza.
Ma è una questione che si proietta ben oltre la nascita di questo governo, la cui durata consentirebbe di eleggere nel 2022 il successore di Mattarella, che poi è, sulla carta, una delle ragioni per cui nasce, impedire cioè di darlo a Salvini dopo una vittoria nelle urne. Perchè è chiaro che far passare l’idea di un premier terzo lo rende naturaliter quirinabile.
Alle sette di sera Conte dà assicurazioni sulla gestione del capo politico dei Cinque stelle, ipotizzando la casella della Difesa. Senza ruolo di vicepremier.
È in quel momento che, dopo una serie di comunicazioni informali, il Quirinale fa sapere che è disponibile anche a concedere “terzo tempo”: giovedì l’incarico se ci sarà l’indicazione dei partiti, poi fino a dieci giorni affinchè Pd e Cinque stelle possano perfezionare l’accordo sul programma.
Anzi, affinchè possano finalmente entrare nel merito, in modo approfondito, dopo un negoziato confuso e avviato come un suk sui ministeri, in cui i nodi più delicati di una agenda comune non sono stati ancora affrontati: Tav, manovra, immigrazione, sicurezza, giustizia, taglio dei parlamentari sono rimaste parole pressochè innominate, annacquate nei famosi dieci punti di Di Maio e rimaste appese nei altrettanto famosi Cinque punti del Pd, senza che le reciproche priorità venissero mai incrociate. E annacquate nella sceneggiata di tavoli pressochè inutili.
Poche ore alle consultazioni al Quirinale. C’è un solo punto fisso, che proietta dentro i Cinque stelle la crisi. O Conte si pone come unico interlocutore dei Cinque stelle, risolvendo il problema Di Maio, oppure ancora una volta ancora tutto è possibile.
(da “Huffingtonpost”)
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Agosto 27th, 2019 Riccardo Fucile
DI MAIO RIESCE A FAR INCAZZARE SIA IL PD, CHE GRILLO, CHE I SUOI PARLAMENTARI, STANCHI DEL SUO ATTACCAMENTO ALLA POLTRONA
“È un’assemblea inutile, me ne vado”. La lunghissima giornata di incubazione del Governo che verrà finisce così, con un attonito Alberto Airola, senatore di lungo corso dei 5 stelle, che abbandona un’assemblea congiunta pleonastica, mentre Luigi Di Maio, Francesco D’Uva e Stefano Patuanelli sono riuniti cinquecento metri più in là , a Palazzo Chigi, per limare e limare e limare ancora la trattativa.
Per capire come si arriva a questo punto dobbiamo spostare le lancette di quasi ventiquattr’ore indietro.
È notte quando l’incontro a quattro, protagonisti Di Maio, Giuseppe Conte, Nicola Zingaretti e Andrea Orlando finisce. Un incontro inconcludente. Parte subito un gioco di veline incrociato, feroce, velenoso. “Noi abbiamo parlato di temi, il leader 5 stelle solo del ruolo di ministro dell’Interno che pretende per sè”, dice il Pd. “Falso, è un’invenzione, hanno parlato solo di poltrone”, ruggiscono i 5 stelle. Viene tirato il freno a mano, si vocifera di un nuovo incontro mattutino, voci impazzite senza conferma.
Quando il sole sorge su Roma il quartier generale di Di Maio gela il Palazzo: “Nessun incontro fin quando non c’è il via libera a Conte”. Il Pd ondeggia. Nella notte aveva già comunicato la propria personale preferenza per il premier, contrapposto all’irrigidimento di Di Maio.
“Tra Nicola e il presidente uscente è scattato un feeling, cosa non successa con il loro capo”. “Ma chi è il vero capo?”, domanda sibillino un parlamentare pentastellato. Lasciando aperta la domanda, quel che è certo è che l’avvocato Conte intorno alle 10 prende il telefono e contatta il segretario dem, iniziando a tessere una tela che continua a dipanarsi lungo tutto il corso della giornata.
L’entourage di Di Maio ribatte che non c’è alcuna mira sul Viminale, i dem mantengono alto il loro fuoco di sbarramento.
Al quartier generale 5 stelle capiscono che non si può giocare tatticamente sulla sponda dei renziani, che iniziano a twittare in batteria segnali preoccupanti, un no al voler chiudere a tutti i costi.
Ma quel che allarma di più è la rivolta dell’ala sinistra del partito. Nonostante le mille smentite, un uomo vicinissimo al presidente della Camera conferma: “Luigi si è irrigidito sul Ministero dell’Interno”. E ribadisce che la frenata è stata anche politica: “Nell’incontro di ieri Davide Casaleggio era scettico, Alessandro Di Battista più che scettico a una trattativa senza un’asticella posta molto in alto”.
Un gioco al rialzo che ha provocato uno smottamento serio. “Luigi cerca di fare un Governo per il paese o la sua è una commistione di ambizioni personali e volontà di piazzare i suoi?”, si chiedeva verso l’ora di pranzo un senatore.
Un collega andava giù ancora più duro: “Non siamo mica il suo ufficio di collocamento”.
Le chat dei malpancisti erano un florilegio di numeri aggiunti, di consensi riscossi. Un po’ politica, un po’ paura di perdere la poltrona, la pancia del Movimento rumoreggiava, si agitava, smaniava. Generando un frastuono a tratti assordante arrivato fin dentro la stanza dei bottoni pentastellata.
Di Maio sente Conte, si decide una linea strategica. Intorno alle 15 è il premier a prendere in mano la situazione, fissando un punto rosso nel bel mezzo della tela intessuta con il Nazareno. Fonti di Palazzo Chigi spazzano via le paure dem: “In presenza del presidente del Consiglio – non è mai stata avanzata la richiesta del Viminale per Luigi Di Maio, nè dal Movimento 5 stelle nè da Di Maio stesso”.
È il segnale che Zingaretti aspettava, il treno si rimette sul binario. Il Governo del cambiamento si avvia verso il cambiamento del Governo, la svolta politicista dei pentastellati è compiuta, ambienti 5 stelle e dem accreditano in Roberto Fico uno dei registi dell’operazione.
Stretto in un imbuto tra forze centrifughe contrapposte, Di Maio riesce all’ultimo a mettere la testa fuori. Convoca a Palazzo Chigi Nicola Morra, influente presidente della Commissione Antimafia (che entra per direttissima nel totoministri), lo coinvolge per tentare di disinnescare qualche mina.
L’ala sinistra del partito si placa, ma non molla. Chiede un ricambio di volti al Governo, punta a Riccardo Fraccaro e Alfonso Bonafede in primis.
Ma anche sui molteplici ruoli del capo politico, che vorrebbe mantenere per sè un dicastero e la vicepremiership. È quest’ultimo il nodo su cui la trattativa si incastra nuovamente, con Di Maio, supportato da Conte, che non vuole lasciare a Palazzo Chigi un unico vice targato Pd.
Nodo su cui a tarda serata la trattativa ha ancora spasmi, con i dem che fanno sapere che se il capo politico 5 stelle si impunta è tutto destinato a saltare.
È Luigi Gallo, uomo vicino a Fico, a dare voce alle critiche interne in assemblea: “Non facciamo gli stessi errori, basta a cumulare gli incarichi”.
Di Battista rialza la posta, martellando sui Benetton e la concessione delle autostrade come anche su una legge sul conflitto d’interessi, entrambi elementi — provano a disinnescare gli uomini del leader — già contenuti nei dieci punti esposti al Quirinale.
Al caos disorganizzato si aggiunge anche Beppe Grillo, con un post involuto al punto tale che l’interpretazione delle sue parole diventa un rebus nel tardo pomeriggio. Ma la lettura prevalente che ne si dà è quella di una bacchettata sulle dita a Di Maio e alla sua voglia di protagonismo.
La questione dei vice di Conte resta sul tavolo, ma l’avvocato del popolo difende con la sciabola, ma soprattutto con il fioretto, la sua causa, e la macchina giallorossa sembra una cosa difficile da fermare sulla strada del superamento del Governo gialloverde.
In serata il colpo di scena del teatro dell’assurdo. Il Blog delle Stelle annuncia un voto su Rousseau per la prossima settimana, sull’accordo in fieri in caso di reincarico di Mattarella a Conte.
Serve alla base, certo, ma in casa 5 stelle l’ala critica ironizza sulla paura del leader di cedere poltrone e assumersi responsabilità . Dal Pd viene definito un grave sgarbo istituzionale, mentre cala la notte afosa su una Roma e su un paese che ancora non sa quel che verrà .
(da “Huffingtonpost”)
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Agosto 27th, 2019 Riccardo Fucile
L’IMMAGINE DEL TAVOLO DI GOVERNO ESATTAMENTE COME UN ANNO FA CON LA LEGA
Chi in giacca chi con i risvolti della camicia al gomito, penne impugnate e fogli davanti, sulla scrivania cellulari e acqua perchè quando c’è da discutere per ore la sete si fa sentire.
Una foto identica per scenografia e composizione, quasi a rassicurare chi la guarda che “qui si lavora e non si perde tempo”.
Così, una stessa immagine immortala visivamente il passaggio dal “governo del cambiamento” al “cambiamento del Governo”.
La foto delle delegazioni M5S e Pd sedute intorno al tavolo nella Sala Siani del Palazzo dei gruppi di Montecitorio – per discutere non di nomi, va da sè, ma di “temi” e “contenuti” – è una ripetizione in serie di quelle scattate a maggio dell’anno scorso durante gli incontri tra leghisti e grillini per stendere le varie versioni del Contratto di governo.
Una liturgia che ritorna, più mediatica che politica, che segna però un passaggio fondamentale perchè nel dibattito pubblico le foto, o almeno certe foto, scavano un solco: è la prima “contaminazione” visibile tra il Movimento 5 Stelle e il Pd.
Ovvero tra chi fino a ieri aveva accusato l’altro delle peggiori nefandezze, tra chi fino a ieri aveva promesso che mai si sarebbe seduto al tavolo con l’altro, tra chi fino a ieri nemmeno riconosceva all’altro una legittimazione e una agibilità politica. Tutto è rimosso, tutto è perdonato.
Per il Movimento 5 Stelle non c’è Luigi Di Maio, per il Pd non c’è Nicola Zingaretti, nè tantomeno il vero padre dell’operazione Matteo Renzi.
A comporre le delegazioni sono esponenti di primo piano dei due partiti e gruppi parlamentari, depositari di fiducia incondizionata dei rispettivi leader ai quali sono tenuti poi a riferire.
Per i grillini questa volta a portare avanti le trattative ci sono Francesco D’Uva, capogruppo alla Camera, l’omologo al Senato Stefano Patuanelli, e i vice Gianluca Perilli e Francesco Silvestri. Per le new entry dem ci sono invece il capogruppo a Palazzo Madama e luogotenente renziano Andrea Marcucci, l’omologo a Montecitorio Graziano Delrio, la vicesegretaria Pd Paola De Micheli e il coordinatore della segreteria Andrea Martella.
Stessa immagine ma anche stesse formule utilizzate al termine del vertice a cui ne seguirà , come da prassi, un altro e chissà quanti ancora: si è parlato di “temi”, si sono analizzati vari “punti programmatici” e si è lavorato “per il bene del Paese”, mentre fuori dal Palazzo dei “contenuti” non trapela nulla ma si sente un gran vociare su caselle da riempire, ministeri da assegnare, poltrone pesanti da bilanciare.
All’uscita dalla Camera gli esponenti delle due delegazioni incalzati dai giornalisti fanno largo uso di aggettivi edulcoranti, parlano di clima “positivo”, riunione “serena”, si sente anche un “lavoro profittevole” ma di sostanza politica non c’è nemmeno l’ombra.
Nel Movimento 5 Stelle ora si ripete come a maggio dello scorso anno che “Lega e Pd pari sono” e che l’importante sia accordarsi con il Movimento 5 Stelle sulle questioni programmatiche.
Stesse espressioni usate a maggio scorso, quando intorno al tavolo con i grillini c’erano i leghisti, all’alba dell’esecutivo gialloverde: Salvini e Di Maio limavano il contratto di governo e sedevano di fronte, come raccontano le foto di quel periodo, accanto gli ‘sherpa’ Giancarlo Giorgetti e Vincenzo Spadafora.
Ma anche gli uomini della comunicazione Andrea Paganella per la Lega, Rocco Casalino per il M5S. Immagini, vocabolario e riserbo identici a quelli di un anno fa. E come se, tra violenti insulti e prese di distanza reciproche, un anno non fosse mai passato.
(da “Huffingtonpost”)
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Agosto 27th, 2019 Riccardo Fucile
PD: FRANCESCHINI O ORLANDO VICE, IN ASCESA DE MICHELI E GUALTIERI… IPOTESI GABRIELLI AL VIMINALE, TRIA POTREBBE ANDARE AL TESORO… M5S: SALGONO LE QUOTAZIONI DI MORRA E FIOROMONTI
L’unica cosa certa è che Giuseppe Conte sarà ancora presidente del Consiglio.
E questa volta del primo esecutivo giallorosso della storia della Repubblica italiana, dove si troveranno attorno allo stesso tavolone di palazzo Chigi quelli del “mai con il partito di Bibbiano” e quelli del “mai con Matteo Renzi”.
Risolta la questione premier, la partita più avvincente riguarda i vice.
Uno o due? È questo il nodo da sciogliere in questa lunghissima nottata di spifferi, riunioni, trattative ad oltranza, dove ogni singola compagine cerca di alzare il prezzo per ottenere più poltrone. Il principale scontro ruota attorno al numero dei vicepremier.
Il Pd chiede che ci sia una sola casella di vicepremier in segno di discontinuità dalla stagione gialloverde e che appunto questa casella sia destinata ai democratici.
Anche perchè, è il mantra che filtra dal Nazareno, “Conte non è un garante, ma è un premier ascrivibile ai 5 stelle”.
Ma dalle parti del Nazareno si sta consumando un’accesa discussione interna, con in lizza due dirigenti di peso come Dario Franceschini e Andrea Orlando. C’è chi sostiene che per dirimere la contesa l’ex diccì Franceschini, in virtù della sua esperienza parlamentare e governativa, potrebbe diventare sottosegretario alla presidenza del Consiglio . Un ruolo chiave, un po’ come è stato per Giancarlo Giorgetti nei 14 mesi di esecutivo gialloverde.
Il resto è tutta una girandola di nomi, da una parte e dall’altra, in questa fase preliminare assolutamente variabili. Il Viminale resta una casella ambita.
Scartata l’ipotesi di Luigi Di Maio, indigeribile allo stato maggiore di Zingaretti, il dicastero dovrebbe essere destinato al Pd. In caso di soluzione tecnica il nome forte è quello del Capo della Polizia, Franco Gabrielli.
Ma c’è pure una soluzione politica che riporta ai profili dell’ex ministro Marco Minniti, o ancora una volta a Dario Franceschini.
L’altra patata bollente è poi il Ministero dell’Economia. Anche perchè i margini di manovra della legge di bilancio, che si dovrà scrivere approvare in autunno, sono strettissimi.
E allora restano alte le quotazioni di Giovanni Tria, ministro uscente, assai stimato dal Colle e dai 5 stelle. Girano poi i nomi dell’economista Lucrezia Reichlin, di Mariana Mazzucato e di Carlo Cottarelli.
Anche se non si esclude da più parti la soluzione politica che riporta al’ex inquilino di via XX Settembre, Pier Carlo Padoan, o all’eurodeputato Roberto Gualtieri. Quest’ultimo è un nome che i democrat potrebbe spendere per il ministero delle Politiche comunitarie. Assieme a quello di Lia Quartapelle, assai vicina a Gentiloni, e che già nel 2014 era uno dei nomi per la successione di Federica Mogherini.
Spetterebbe in questo schema al Pd anche la Farnesina, dove il favorito è Paolo Gentiloni, che è già stato al ministero degli Esteri ai tempi dell’esecutivo presieduto da Matteo Renzi.
Tuttavia l’ex premier Gentiloni sarebbe in ballo per un incarico da commissario Ue. Un ruolo prestigioso sul quale se la starebbe giocando anche Graziano Delrio.
Insomma, tutto dipenderà dall’incastro della caselle, da come si svilupperà la trattativa fra i gialli e i rossi.
Fatto sta che il Pd rivendica il ministero dello Sviluppo Economico per la numero due del Nazareno, Paola De Micheli. In queste ore dal Nazareno filtrano anche altri profili che potrebbero spuntarla nel totoministri.
Fra questi saranno quasi certamente valorizzati Ettore Rosato (Difesa), che, sussurrano dal Pd, “libererebbe una poltrona da vicepresidente della Camera”, Maurizio Martina (Affari Regionali), Gianni Cuperlo (Cultura), Andrea Martella (Sport), l’ex presidente della Commissione Bilancio Francesco Boccia, un profilo “adatto e autorevole” per un dicastero come quello riservato al Sud.
E in ambienti Pd salgono anche le quotazioni di Anna Ascani, che nel grande gioco degli incastri potrebbe essere favorita in quota rosa.
Eppure la partita è lunga, lunghissima.
I 5 stelle, invece, dovrebbero confermare Sergio Costa all’Ambiente e i due fedelissimi di Di Maio: Riccardo Fraccaro ai Rapporti con il Parlamento e quasi certamente Alfonso Bonafede alla Giustizia, dove i democratici, invece, vorrebbero piazzare l’ex presidente del Senato, Pietro Grasso in quota LeU.
Quest’ultimo partito diventa importante per la maggioranza a Palazzo Madama. Un’altra ipotesi che starebbe prendendo in ambiente grillini è che Bonafede traslochi al ministero dell’Interno.
Ma è tutto in evoluzione in queste ore. D’altro canto, non è certo un caso se le quotazioni di Nicola Morra, oggi presidente della Commissione Antimafia e appartenente all’ala più ortodossa del Movimento, siano in forte ascesa.
Morra infatti potrebbe rivestire o il ruolo di vicepremier, al posto di Di Maio, oppure gli sarebbe riservato un portafoglio di peso (Giustizia, Istruzione).
Lorenzo Fioramonti, già vice ministro, è in lizza per il ministero del Lavoro. In ascesa la quotazione di Laura Castelli.
I volti nuovi della delegazione ministeriale a cinquestelle potrebbero essere Stefano Patuanelli (Infrastrutture), che libererebbe la casella di presidente dei senatori dove dovrebbe finire Danilo Toninelli, e Francesco D’Uva, oggi capogruppo a Montecitorio, in lizza per l’Istruzione.
Fino all’ultimo tutto è possibile, ogni casella ballerà . Il totoministri è un po’ come il conclave: si può entrare Papa, vale a dire ministro, per uscirne cardinale.
(da “Huffingtonpost”)
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Agosto 27th, 2019 Riccardo Fucile
FAVA, IL FEDELISSIMO DI MARONI, ORGANIZZA IL DISSENSO CHE “SALVINI IN QUESTI ANNI HA BRUTALIZZATO, IMPEDENDO OGNI DISCUSSIONE E FACENDO FUORI TUTTI QUELLI CHE NON SI PROSTAVANO A LUI”
L’opposizione alla linea di Matteo Salvini riprende quota, e lo fa per voce di chi — Gianni Fava — a Salvini si è opposto, sin dal congresso, sin da tempi non sospetti.
Quando andar contro alla linea Salviniana non poteva che significare che una cosa: lanciare la nave nel più profondo della tempesta.
Fu un quasi plebiscito per il Salvini nazionale, la nave tornò malmessa dalla navigazione, ma qualcosa che scricchiola adesso c’è. E l’opposizione interna — indipendentista — riprende quota.
“Ho le idee chiare da un pezzo — scrive Fava — su cosa non abbia funzionato. Ero solo in attesa di conferme. E sono arrivate nei giorni scorsi dalla autorevoli dichiarazioni di Giancarlo Giorgetti: “Nella Lega non c’è democrazia”. Tombola! Se è riuscito a dirlo uno dei soggetti più criptici del panorama politico contemporaneo vuol dire che siamo arrivati al dunque”.
Fava, come sempre parla chiaro. Ed è un j’accuse piuttosto duro il suo: “In questi anni di segreteria federale Matteo Salvini ha brutalizzato il dissenso interno, vietato il dibattito e sostituito sistematicamente nei ruoli di comando (interni ed istituzionali) tutti coloro che avevano velleità di pensiero libero. Nel consiglio federale si è lasciato solo formalmente spazio alla minoranza del partito per non incappare nelle spiacevoli conseguenze della violazione delle norme che regolano la vita dei partiti politici (minoranza che comunque rappresentava circa un quinto dei militanti) assegnando un unico seggio al candidato segretario risultato sconfitto al congresso. Da anni sono rimasto solo a cercare di rappresentare una posizione diversa all’interno di un movimento che nel frattempo ha cambiato pelle. Sono stato ostracizzato, ostacolato e delegittimato in tutto questo tempo solo perchè non piegato alla logica del Pensiero unico”.
“Il tempo passa e tutte le parabole prima o poi iniziano ad invertire la tendenza. Ho resistito fino ad oggi perchè è la mia indole ma soprattutto perchè lo dovevo agli oltre mille militanti che si sono esposti al rischio di ritorsioni firmando per la mia candidatura all’ultimo congresso federale e sopratutto per quelli che le hanno subite. Ho visto amici eliminati dalle liste elettorali anche solo per le elezioni in piccoli centri della Padania. Avevano un’unica colpa: si erano schierati dalla Parte sbagliata. Gli errori politici madornali di questi giorni hanno solo accelerato un processo che cominciava a maturare da tempo”.
“Il dissenso, seppur tacitato, rispetto alla linea politica aumenta a dismisura e a velocità impensabile fino a poche settimane fa. In tanti (anche fra coloro che non sentivo da tempo) in questi giorni mi hanno cercato per chiedermi di ridare slancio alla corrente indipendentista all’interno della Lega che, ricordo ai distratti, si chiama ancora “per l’indipendenza della Padania”.
“Credo sia necessario provare a rilanciare i grandi temi che hanno reso gloriosa la storia della Lega nei decenni e che stanno ancora a cuore a molto leghisti veri. E credo sia giusto continuare la mia battaglia dell’Interno. Perlomeno ci proverò fino a quando non mi cacceranno. Ci proverò con la forza delle idee e la serietà degli argomenti. Ci proverò con la speranza di ridare a molti sostenitori ed elettori un movimento che sia ancora quel sindacato territoriale, liberale e postideologico di cui il Nord ha ancora tanto bisogno. Ci proverò perchè ci credo e perchè mi sono accorto che ci credono ancora in tanti. Nei prossimi mesi proveremo ad organizzarci e strutturarci. E perchè no, personalmente ci proverò anche per quei parlamentari, consiglieri regionali e sindaci con poco coraggio che mi chiamano e mi chiedono di dare un segnale, a chi come loro non ha la forza di mettere a rischio le proprie posizioni. Non sarò solo stavolta, ne sono certo. Lo faremo in modo costruttivo per evitare una scissione dolorosa e dannosa in questa fase. Con la speranza che a volere la scissione non sia la maggioranza attuale. E in ogni caso garantisco che la battaglia per l’affermazione dei nostri principi andrà avanti. Certo se non ci vorranno saremo costretti a dialogare a chi usa il nostro linguaggio. Quello del lavoro e della libera impresa, contro quello del primato dello stato e soprattutto dello stato centrale. Lunga vita alla Lega Nord per l’Indipendenza della Padania”.
(da agenzie)
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Agosto 27th, 2019 Riccardo Fucile
GLI USA SCARICANO SALVINI E LUI LA PRENDE MALE
Donald Trump loda su Twitter “l’altamente rispettato primo ministro della repubblica italiana, Giuseppi Conte“. “Ha rappresentato l’Italia in modo energico al G7. Ama il suo Paese grandemente e lavora bene con gli Usa. Un uomo molto talentuoso che spero resti primo ministro!”, scrive, lanciando di fatto un endorsement ad un bis di Conte, pur sbagliandone il nome.
Trump ha poi corretto su Twitter il nome del premier italiano, che in passato aveva già chiamato Giuseppi.
L’ultima gaffe del tycoon su Twitter risale a pochi giorni fa, quando nell’esprimere il suo entusiasmo dopo il pranzo con il presidente francese al G7, il presidente Usa ha citato un account parodistico del capo dell’Eliseo, sbagliandone il nome: Emanuel Macrone.
E a prenderla non benissimo non poteva non essere Matteo Salvini: “Sono in silenzio stampa perchè sono con la bimba”, dice all’AdnKronos il ministro dell’Interno lasciando la sua abitazione romana.
Il leader della Lega, in abbigliamento casual, con tanto di cappellino con visiera, entra in auto con la figlia Mirta e il personale di servizio, seguito a ruota dal ministro Lorenzo Fontana, anche lui con famiglia.
(da “NextQuotidiano”)
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Agosto 27th, 2019 Riccardo Fucile
COME HANNO INTRAVISTO LA POSSIBILITA’ DI LIBERARSI DI SALVINI, TORNA LA FIDUCIA
Lo spread cala a 182 punti. Il tasso sul decennale del Tesoro scende all′1,13% e non succedeva dal settembre del 2016.
È passata poco più di un’ora dalla formalizzazione della nuova virata, questa volta in positivo, della trattativa tra il Pd e i 5 stelle.
I mercati annusano, recepiscono e lanciano indicazioni: bene così, avanti.
La stessa fragilità che accompagna la trattativa politica con spin, rotture e riappacificazioni connota gli umori degli investitori.
Solo qualche ora prima, intorno all’ora di pranzo, la trattativa si era interrotta e lo spread aveva iniziato a risalire, riavvicinandosi ai 200 punti.
Tra le dinamiche nervose della politica, impegnata nell’arduo compito della spartizione dei posti di comando, quello dei mercati è un semaforo che si accende di verde.
Nell’ancora indefinito, tortuoso e complesso percorso di un Governo in costruzione spuntano già gli ausiliari del traffico.
Da Confindustria alla Banca d’Italia, e quindi dalle imprese e alle banche, la sensazione è che si vada verso la stretta finale. E nelle stanze di viale dell’Astronomia e di Palazzo Koch iniziano a circolare già le prime raccomandazioni.
Quello che accomuna queste raccomandazioni, secondo quanto apprende Huffpost da fonti di primo livello, è la necessità di partire con il piede giusto.
I mercati – è il ragionamento – vivono una stagione felice, complice anche la protezione a distanza di Mario Draghi e della Bce, ma anche in considerazione del fatto che l’uscita della Lega dalla cabina di controllo del Governo può favorire un clima più disteso e ordinato nelle operazioni interne sui conti pubblici e nelle relazioni con Bruxelles.
Parola d’ordine: approfittarne per definire un programma “serio e credibile”.
L’attesa è forte, la preoccupazione altrettanto. Perchè le imprese e le banche registrano per prime lo stato di salute del Paese e dato che il Paese, dal punto di vista economico, vivacchia con un Pil intorno allo zero e con la spada di Damocle di una manovra che obbliga a impegni onerosi per evitare l’aumento dell’Iva, è del tutto evidente che l’attenzione è concentrata sui contenuti, su cosa riuscirà a fare un Governo che mette insieme due forze politiche con idee e programmi tutt’altro che coincidenti, quantomeno guardando a quanto dichiarato e fatto nell’ultimo anno.
La decisione di Matteo Salvini di staccare la spina al Governo gialloverde ha arrestato tutto di colpo. Non solo gli equilibri dentro e tra i partiti, ma anche le grandi questioni economico-finanziarie del Paese.
Ci sono le partite delicate di Ilva e Alitalia, con scadenze ravvicinate, ma anche l’imminente legge di bilancio. In ballo c’è qualcosa di più largo e importante e cioè la definizione di una nuova strategia economica che punti a far ripartire il Paese. L’esperienza del Governo Lega-5 stelle si è esaurita con i cavalli di battaglia elettorali del reddito di cittadinanza e della quota 100, conditi dal decreto dignità che ha registrato risultati finora discordanti e comunque poco incisivi nel cambiare volto a un mercato del lavoro frammentato e poco inclusivo.
Cosa verrà dopo? Confindustria e la Banca d’Italia hanno le idee già chiare.
Nel quartier generale della Confederazione guidata da Vincenzo Boccia, la convinzione è che si debba ripartire dal punto in cui tutto si è fermato.
Temporalmente le lancette vanno collocate a inizio agosto. Erano i giorni dei tavoli tra il Governo e le parti sociali. Quelli di palazzo Chigi e del Viminale, doppioni di un esecutivo bicefalo che registrava allora un tentativo di non far esplodere le contraddizioni poi deflagrate nello scontro tra Salvini e Giuseppe Conte.
A quei tavoli si sono seduti i rappresentanti di imprese e sindacati. Cinque riunioni in tutto – tre a palazzo Chigi, due al Viminale – per sancire le priorità e cioè taglio del cuneo fiscale e un grande piano di rilancio delle infrastrutture.
Confindustria vuole ripartire da qui. Ma il quesito è: il Governo ci sarà su questi punti? E come? Parlerà con un’unica voce oppure si riproporrà l’anima bicefala del Governo che ha appena archiviato la sua esperienza alla guida del Paese?
Il clima è quello della forte premura e di una forte condivisione dello spirito del capo dello Stato: fare, innanzitutto un Governo, per fare.
La convinzione degli industriali è che un momento “topico” richiede la massima responsabilità . Vietato sbagliare, a iniziare dal nome del commissario europeo che andrà indicato il prima possibile. È ancora l’Europa il faro da seguire secondo Confindustria.
A maggior ragione che ora diventa più facile farlo vista la tranquillità dei mercati. Ma è evidente che i problemi non si risolvono da soli e che se non si mettono in campo azioni e risorse la crescita non cala dal cielo. Per questo le priorità sono il taglio del cuneo e un rilancio delle infrastrutture.
In Bankitalia si fa riferimento agli ultimi interventi del governatore e del Direttorio. E quindi ricomposizione della spesa, spostata di più verso gli investimenti, riforma fiscale, impegno pluriennale per ridurre il debito, deficit sotto controllo.
E poi una priorità non di certo gradita ai 5 stelle, almeno fino ad ora perchè – e questo l’ha messo ben in luce l’anno trascorso al Governo – sedere nei posti di controllo implica anche ripensamenti e capriole. Visco l’ha sottolineato più volte nel corso degli ultimi interventi e questo punto resta imprescindibile per la Banca d’Italia: la riforma delle pensioni va riportata sotto la dimensione dell’equilibrio di lungo periodo. Con tre parole: ritorno alla Fornero.
Nel cantiere convulso della trattativa tra i 5 stelle e il Pd, gli ausiliari del traffico hanno già messo a punto le rispettive agende. Come e se saranno aperte e consultate è tema ancora prematuro. Ma con i mercati così tranquilli qualcuno ha già pensato a fare i compiti.
(da “Huffingtonpost”)
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Agosto 27th, 2019 Riccardo Fucile
UN INTERESSANTE SCAMBIO DI IDEE SU FB CHE RIVELA QUANDO PER IL GRILLINO “PER FARE LE COSE SERVONO I VOTI”
Tutto ha inizio quando il senatore Gabriele Lanzi, eletto senatore della Repubblica per il M5S, posta sulla sua pagina Fb la notizia di un furto di energia elettrica per 49.000 euro avvenuto a Nola
“Un 44enne di Camposano e’ stato arrestato dai carabinieri della Stazione di Nola per furto. Grazie alla collaborazione di personale tecnico ENEL i militari hanno scoperto che il contatore che alimentava il bar gestito dal 44enne era stato manomesso con l’applicazione di un magnete. I tecnici hanno riscontrato un’alterazione nella rilevazione dei consumi e stimato un furto di energia per circa 49mila euro. Il 44enne e’ stato sottoposto ai domiciliari in attesa di giudizio con rito direttissimo”
Interviene a commentare la notizia l’amico Christian Abbondanza, responsabile della Casa della Legalità , associazione sempre in prima linea nella lotta alle mafie.
Il numero 49 (sono 49.000 euro quelli indicati come energia sottratta illecitamente, sono 49 i milioni pubblici sottratti dalla Lega) porta a uno scambio di opinioni tra il senatore grilllino e il leader antimafia :
Christian Abbondanza: ” eh, la Lega ha fottuto 49 milioni di euro ed il M5S l’ha portata al Governo
Gabriele Lanzi: “Diciamo che ha impiegato diversamente dal consentito”
Christian Abbondanza: “Diciamo che ha impropriamente preso soldi pubblici e non li ha restituiti come disposto dalla Magistratura, ma nonostante questo il M5S l’ha portata al Governo.
Gabriele Lanzi: “Non c’era di meglio e disponibile sulla piazza!”
Christian Abbondanza: “ah beh, l’etica e la questione morale, il puzzo delle contiguità con le mafie, sono un optional sacrificabile per il M5S”
Gabriele Lanzi: “Sono certo che non riuscirò a convincerti ma per fare le cose servono voti!”
Christian Abbondanza: “Basta ammettere che si è abbracciata la logica “voti non olet”.
Gabriele Lanzi Christian: “Certo i voti non puzzano ma se li utilizzi per fare l’interesse generale lo posso pure accettare”
Christian Abbondanza: “Quindi anche il consenso elettorale portato dalla ‘ndrangheta se aiuta il M5S diventa accettabile. Ho capito”
Gabriele Lanzi: ” Questa è una tua interpretazione. Non ci sono state alleanze pre elettorali ma se hai elementi da denunciare ti ringrazio per il tuo costante impegno civico.”
Christian Abbondanza: “Guarda che gli elementi li ha già evidenziati la Magistratura, ben prima che vi sedeste al tavolo con la Lega ed in Calabria, come in Liguria e Lombardia, i casi di contiguità e rapporti consolidati con il contesto ‘ndranghetista sono cristallini, ancora una volta, da tempo”
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Agosto 27th, 2019 Riccardo Fucile
DEFINIRE UNA IMBARCAZIONE CHE SALVA VITE UMANE CON DONNE E BIMBI A BORDO “UN PERICOLO PER LA SICUREZZA” E’ CRIMINALE
Inizia l’ennesimo braccio di ferro con un’altra ong: la tedesca Lifeline non può entrare, sostare e transitare nelle acque italiane
Da un lato c’è la nave Eleanore, della ong tedesca Lifeline, che ieri ha salvato 101 persone nel Mediterraneo centrale
Dall’altro un divieto di ingresso nelle acque italiane, firmato prima dal ministro dell’Interno Matteo Salvini e controfirmato, in giornata — e a sorpresa, politicamente parlando — dai ministri 5 Stelle Danilo Toninelli ed Elisabetta Trenta.
La misura arriva a meno di 24 ore dall’annuncio del comandante della nave Eleonore dell’ong Lifeline: il suo equipaggio ha soccorso e recuperato 101 persone il cui gommone stava imbarcando acqua al largo della Libia. La Eleanore è una nave piccola, di 20 metri. A Open, dalla ong tedesca, spiegano la necessità di un porto sicuro immediato. «Non potremo resistere a lungo, meno di due giorni», dicevano ieri.
Nel primo pomeriggio arriva la comunicazione — sempre da parte del Viminale: il provvedimento è stato firmato anche da Trenta prima e da Toninelli poi.
«Del divieto verrà informato il Presidente del Consiglio e il contenuto notificato al capitano della nave», dice il Viminale.
Eleonore ha lasciato la zona sar libica ed è diretta verso nord. «Soddisfazione del Viminale, per la ritrovata compattezza del governo a fronte dell’ennesimo tentativo di avvicinamento alle acque italiane di una ong tedesca», dicono dal ministero degli Interni.
Salvini parla di «compattezza» per un governo che, di fatto, non c’è più. Ma perchè, in questi tempi di crisi di governo e con un esecutivo di fatto dimissionario, i 5 Stelle Danilo Toninelli ed Elisabetta Trenta hanno firmato il provvedimento rilanciato dall’ex alleato leghista?
Una possibile lettura la dà Emanuele Fiano del Pd in diretta su La7 nel corso della Maratona Mentana. «Stanno applicando una legge, presumo. Una legge sbagliata e da cambiare, ma approvata dal Parlamento».
D’altro canto «lo stesso presidente della Repubblica ha segnalato al Parlamento i punti critici del testo con una lettera, a partire dall’aumento esponenziale della multa per le navi ong che si occupano di ricerca e soccorso».
Sulla firma di Trenta, e a trattativa Pd-M5S faticosamente ancora aperta pet la formazione di una nuova maggioranza, e mentre arrivano le notizie di un nuovo naufragio nel Mediterraneo centrale, davanti alle coste libiche, con decine di morti, arriva l’affondo di Matteo Orfini del Pd.
«Mentre contiamo decine di morti nel Mediterraneo, Salvini chiude i porti a chi ha salvato 101 esseri umani e annuncia che anche Elisabetta Trenta ha sottoscritto la scelta, mentre Conte tace», twitta Orfini. «Per me #discontinuità significa prima di tutto smetterla con queste politiche disumane. Subito».
All’articolo 1, il decreto sicurezza bis stabilisce che il ministro dell’Interno «può limitare o vietare l’ingresso il transito o la sosta di navi nel mare territoriale» per ragioni di ordine e sicurezza, cioè quando si presuppone che sia stato violato il testo unico sull’immigrazione e in particolare si sia compiuto il reato di «favoreggiamento dell’immigrazione clandestina».
Il provvedimento deve essere controfirmato dai titolari dei due dicasteri che, in questo esecutivo, sono esponenti del Movimento 5 Stelle, rispettivamente Danilo Toninelli e Elisabetta Trenta.
Quindi i gabinetti dei ministeri si limitano a verificare che la richiesta presentata dal Viminale — responsabile, si presuppone, delle verifiche di cui sopra sui «motivi di sicurezza» — non presenti vizi di forma e di legge. Niente altro.
E proprio in questo può rinvenirsi anche la ragione dell’unico no detto in questi mesi da Trenta e Toninelli a un divieto di ingresso in acque territoriali a una nave ong.
Si trattava della Open Arms, poche settimane fa: Trenta e Toninelli non hanno controfirmato il secondo divieto di ingresso voluto dal Viminale, dopo che il primo era stato annullato da una decisione del Tar per la «situazione di manifesta urgenza» che si era venuta a creare a bordo, con centinaia di migranti salvati nel Mediterraneo centrale e bloccati in mare senza un porto sicuro per giorni.
«Quel decreto è stato bocciato dal Tar ed emetterne un altro identico, per farselo bocciare di nuovo dal Tar dopo 5 minuti, esporrebbe la parte seria del Governo, che non è quella che ha tradito il contratto, al ridicolo», aveva scritto Toninelli su Facebook.
(da Open)
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