Agosto 13th, 2019 Riccardo Fucile
SALVINI AVREBBE POTUTO TERREMOTARE IL PALAZZO, RITIRANDO I MINISTRI… E INVECE SI CONSUMA L’ENNESIMO GIOCO TATTICO SULLA PELLE DEGLI ITALIANI NEL TERRORE DI SALVINI DI PERDERE LO SCUDO DEL VIMINALE
C’è un elemento di grande ambiguità nella mossa di questo “superuomo” sovranista, che ringhia a torso nudo, ma arrivato incravattato nelle Aule parlamentati non affonda, come ti aspetti.
Anzi pattina sul ghiaccio di una crisi che si consuma al Papeete, ma mai in Parlamento fino in fondo.
Perchè il discorso di Salvini al Senato è questo: la crisi ai tempi del populismo, che si celebra ovunque, ma mai si formalizza fino in fondo.
C’è sempre una penultima puntata di una crisi vissuta come un’interminabile soap, con i protagonisti molto compiaciuti del proprio ruolo che alimentano la suspense fino alla prossima puntata.
Parliamoci chiaro, se “l’uomo che non deve chiedere mai” avesse voluto drammatizzare oggi, avrebbe fatto ciò che il giorno prima ha fatto scrivere a tutti i giornali, inondandoli degli spin bestiali, nel senso della Bestia, straordinaria macchina della propaganda e della mistificazione: far dimettere i ministri, ritirare “formalmente” la delegazione dal governo.
Rinunciando alle “poltrone”, come si ama dire in quest’orgia di antipolitica. E al Potere, che è anche uno scudo ai tempi del Russiagate per cui, prima di lasciare il Viminale di fronte all’ignoto, il leader della Lega preferisce affidare il coraggio agli spin, più che agli atti concreti. A quel punto, game over.
E magari, se avesse voluto drammatizzare fino in fondo, in Aula avrebbe pronunciato ben altro discorso, non un comizietto in cui neanche nomina il Governo che vuole tirare giù e il suo “ex” alleato, limitandosi al gioco facile di resuscitare il nemico di sempre: Matteo Renzi, il bersaglio più facile, altro protagonista della crisi ai tempi del populismo, che ha messo su un’accozzaglia di responsabili, prima ancora che cadesse il governo in carica, con analoghe modalità di spin bestiali su una scissione annunciata, ma mai consumata, nell’ossessione narcisistica di riprendersi la scena passando dallo spirito della rottamazione alla reincarnazione di Scilipoti.
Dicevamo l’ambiguità , di una mossa sconclusionata: “Votiamo il taglio dei parlamentari, poi il voto”.
Che vale i titoli di giornata, nel giorno in cui al Senato Salvini va sotto, ma è un vero pastrocchio logico e politico, perchè mai si è visto che un Governo vota una riforma costituzionale, che ha bisogno di mesi per completare il suo iter, e poi cade. Immaginate il Parlamento che vota la riduzione dei parlamentari, per cui poi c’è bisogno di tre mesi per il referendum, altri tre per l’entrata in vigore, poi uno per disegnare il collegi. E poi il suo scioglimento andando alle elezioni con il vecchio sistema, roba da dar venire i capelli verdi al capo dello Stato.
Ecco, pare una mossa geniale per contendere ai Cinque stelle il primato nel voto antipolitico — “non si fa per colpa tua” dice l’uno, “no, non si fa per colpa tua” dice l’altro – in verità è un ennesimo segnale di confusione, in cui si confondono senso della sfida e ultima ciambella di salvataggio lanciata al Governo morente.
È innegabile che l’anatomia dell’istante dia il senso di una difficoltà . Salvini avrebbe potuto terremotare il Palazzo, ha optato per un ultimo dribbling prima di tirare in porta, cui seguirà una settimana di commenti, retroscena, retropensieri.
Diciamoci la verità , in modo un po’ gergale: manco una crisi sanno fare questi due alleati che sembrano una coppia litigiosa che non sa separarsi, con Di Maio che, giustamente dal suo punto di vista, si chiede perchè mai l’altro lo voglia portare, come nella canzone di Arbore, su a Posillipo se poi non gli vuole bene.
E dunque gli dice che, se vuole la riduzione dei parlamentari, allora prima serve la prova d’amore: ritiri la sfiducia, altrimenti si capirà di chi è la “colpa” e, allora, cambia tutto: “Non siamo più amici e ci chiameremo per nome e cognome”.
Il tutto giocando con le parole, nell’era in cui non contano per mistificazione o ignoranza, perchè martedì non c’è il voto di sfiducia (non è un dettaglio), ma ci sono le comunicazioni al termine delle quali in premier dovrebbe dimettersi.
Dovrebbe, perchè una settimana è ancora lunga e chissà cosa altro produrranno questi due che, mentre litigano, sembrano due che aspettano di tornare assieme.
Resta il punto. Salvini, l’uomo forte, al dunque non ritira i ministri e non pronuncia mai la frase, indirizzata a Conte “dimettiti”, alimentando la sensazione che si senta in un cul de sac.
A parecchi è sembrato poco lucido, meno padrone della situazione, un po’ agitato perchè l’aveva fatta troppo facile, in quell’ebbrezza d’alta quota per cui – accade a tutte le meteore della politica – si confondo i propri desideri con la realtà , deformando i contorni delle cose.
Invece lo scioglimento delle Camere è maledettamente più complicato. E, in definitiva, l’uomo nuovo si ritrova a parlare con Berlusconi e a non avere certezze sulla prospettiva del voto, col terrore di lasciare il Viminale.
Avrebbe potuto scaricare sul Governo muscoli e tensione. Alla fine stata solo certificata un’altra settimana di crisi, tra giochi sul calendario e non detti di una separazione annunciata ma ancora non consumata fino in fondo.
(da “Huffingtonpost“)
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Agosto 13th, 2019 Riccardo Fucile
DIETRO IL TENTATIVO AMBIGUO DI RICUCIRE CON IL M5S C’E’ LA PAURA DI PERDERE IL VIMINALE… E NESSUN MINISTRO LEGHISTA MOLLA LA POLTRONA, CURIOSO CHIEDERE LA SFIDUCIA A UN GOVERNO CON SETTE MINISTRI LEGHISTI SEMPRE IN CARICA
È la mossa del cavallo, forse ambigua, forse solo tattica, per uscire dall’angolo e rimandare la palla dall’altra parte del campo. Almeno per un paio di ore. Proporre ai 5 stelle di approvare il taglio del numero dei parlamentari e subito dopo andare al voto. Una mano tesa, in apparenza, presto interpretata dai 5 stelle come una trappola.
Perchè Salvini non intende ritirare la mozione di sfiducia a Giuseppe Conte. Lo scopo è frenare quell’asse M5S/Pd che lo preoccupa perchè rimanderebbe alle calende greche le elezioni.
Ai suoi parlamentari, ieri, all’Hotel Palatino, li aveva preavvertiti: “Tenetevi pronti perchè potrebbe esserci una sorpresa”. Alle sei in punto di un pomeriggio ferragostano, con il termometro che nella Capitale sfiora i 40 gradi, Matteo Salvini si presenta a Palazzo Madama. La prima sorpresa è che sarà lui in quota Carroccio ad intervenire in Aula prima di quel voto che dovrà stabilire il calendario dei lavori.
Si accomoda fra Roberto Calderoli e Gianmarco Centinaio. Poco più in là c’è Lucia Borgonzoni. Poco sotto Giulia Bongiorno ed Erika Stefani. Tutta la delegazione governativa siede sugli scranni leghisti, nei banchi del Governo ci sono solo i pentastellati.
Segno della fine dell’esperienza dell’esecutivo gialloverde.
La seconda sorpresa è l’annuncio che non ritirerà i suoi ministri. “Mica siamo scemi — replica uno dei diretti interessati – Sappiamo benissimo che quello lì (Conte ndr.) non si dimetterà nemmeno con le bombe. E poi si prenderebbe tutte le nostre deleghe”.
Il Capitano della Lega ascolta gli interventi che lo precedono e non fa in tempo ad alzarsi, perchè quando tocca il suo turno, partono le proteste. I democrat di rito renziano sono i più agguerriti.
Davide Faraone, Valeria Sudano e Teresa Bellanova gli urlano: “Tornatene al Papeete, sei la vergogna dell’Italia, dove sono i rubli… ”.
Salvini gigioneggia, fa l’ironico. È un altro, qualcuno sussurra, più moderato, meno aggressivo del solito. Sotto botta, qualcuno malizia. “Non capisco visto che per bocca del senatore Renzi avete già vinto, tutta questa agitazione, tutta questa maleducazione. Ascoltatemi per due minuti. Due minuti di pazienza”. Un attimo dopo la stoccata: “A parte il fatto che invidio un po’ di abbronzature che ci sono lì”.
Lo contestano, ma non si scompone. “L’Italia vuole avere certezze, e cosa di più chiaro, lineare, dignitoso, è dare la parola al popolo”. Ed è un intervento che ruota attorno all’avversario Renzi. Salvini sceglie l’ex sindaco di Firenze come suo sfidante, come suo nemico del presente, del passato, e del futuro. Perchè l’ex segretario del Nazareno insiste nell’apertura ai 5 stelle sul Governo istituzionale
La terza sorpresa, la principale, è la mossa studiata e preparata da Roberto Calderoli e da alcuni tecnici per tenere insieme la riforma costituzionale del taglio dei parlamentari e il ritorno alle urne. : “Ho sentito più volte l’amico e collega Di Maio in questi giorni chiedere il taglio dei parlamentari. Prendo la palla al balzo: la Lega voterà per anticipare il taglio dei parlamentari, si chiude in bellezza con la promessa fatta agli italiani, e poi per dignità e onestà si va subito al voto. Se voi siete pronti, noi siamo pronti.
In questo modo, la legge non entrerebbe in vigore in questa legislatura, nè in quella futura.
La mossa di Salvini non trova terreno fertile nei 5 stelle. E nel frattempo al Senato prevale una maggioranza tecnica che ingloba M5S e Pd. Per dirla con Pierferdinando Casini, che sfoggia una giacca con le toppe rosse, “è una mossa che doveva essere fatta venti giorni fa, adesso non ha senso”.
Per Salvini c’è anche il problema della trattativa con Silvio Berlusconi. I due non si sono incontrati, ma, raccontano, che a palazzo Grazioli qualcosa sarebbe successo. Gianni Letta, il più acceso: “Basta fidarsi Salvini”, avrebbe insistito.
Fatto sta che “Silvio” e “Matteo” si rivedranno molto presto, quando il quadro politico si definirà . Dalla Lega dissimulano: “L’incontro non è mai stato in agenda, sono gli azzurri che stanno spingendo così tanto e creano notizie che non esistono”. Certamente il vecchio Cavaliere chiarisce di non essere disposto “a rinunciare alla propria storia, al proprio simbolo e alle proprie liste in vista delle elezioni politiche”.
E raccontano di un attivissimo Denis Verdini, questa volta nei panni del frenatore: ovvero, l’ex regista del patto del Nazareno, nonchè “suocero” di Salvini, starebbe cercando di convincere chi vorrebbe lasciare gli azzurri.
(da “Huffingtonpost”)
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Agosto 13th, 2019 Riccardo Fucile
PER I GRILLINI E’ UNA TRAPPOLA, PRONTI A RINUNCIARE ALLA LORO BATTAGLIA… DIALOGO IN CORSO CON IL PD, MA C’E’ DIFFIDENZA
Mossa e contromossa. Salvini propone di approvare il taglio dei parlamentari alla Camera e poi andare al voto. Ma Di Maio non si fida più, fiuta la trappola.
Pagare moneta vedere cammello: se davvero vuole farlo la Lega deve ritirare la sfiducia a Conte.
La fine dell’alleanza gialloverde va in scena al Senato “riaperto per crisi” il 13 agosto tra tatticismi e giochi acrobatici a chi riesce ad atterrare l’altro.
Una battaglia che comprende sottigliezze e pesantezze. Sgambetti evidenti come la mossa politica di Matteo Salvini sul taglio dei parlamentari e ritirate improvvise, ma contundenti come quella di Luigi Di Maio su questo tema.
Alla fine la riforma Fraccaro, che prevede 345 deputati e senatori in meno, non arriverà al voto finale. Viene impallinata e posticipata a quando il premier Conte sarà stato nei fatti sfiduciato e quindi l’intero calendario delle Camere sarà annullato.
Matteo Salvini prova a uscire dall’angolo: offre la sua disponibilità al Movimento 5 Stelle per approvare subito la legge sul taglio dei parlamentari, come chiesto nei giorni scorsi da Luigi Di Maio. Il capo leghista però mette come condizione necessaria il ritorno al voto e schernisce l’ormai ex alleato dicendogli che, se farà un Governo con Matteo Renzi, riempirà di manifesti Urano e Marte.
Il colpo è stato affondano proprio su quella che, per i grillini, è la battaglia delle battaglie. Il Movimento 5 Stelle non può concedere all’avversario la possibilità di intestarsi il taglio dei parlamentari. Argomento che i grillini intendono spendere in campagna elettorale e rivendicarlo sempre e comunque.
Ecco quindi che Di Maio studia la contromossa per non farsi fregare da Salvini, che ormai in fondo ha imparato a conoscere. E prova a stanare l’alleato.
In Aula, in un clima surreale, con il Movimento 5 Stelle e la Lega che non si parlano, e i grillini che votano con il Pd, prende la parola Stefano Patuanelli: “È possibile votare la riforma esclusivamente se non viene votata la sfiducia al Governo, mi aspetto che venga ritirata la proposta Romeo”.
La mozione di sfiducia non viene ritirata ma la calendarizzazione viene bocciata dai senatori del Movimento 5 Stelle che hanno votato insieme a quelli del Pd.
La maggioranza già non c’è più. Il 20 agosto al Senato il premier Conte interverrà per esporre le sue comunicazioni, su queste saranno presentate le risoluzioni dei gruppi. Quindi la Lega presenterà la sua risoluzione contro il presidente del Consiglio ed è qui che la maggioranza si spaccherà e quindi il premier dovrà salire al Colle per rassegnare le sue dimissioni.
In una giornata fatta di mosse politiche l’una contro l’altra tra gli ormai ex amici (“Chiamiamoci per nome e cognome”, dice Di Maio), una volta votato il calendario dell’Aula del Senato, quindi preso atto che le dimissioni di Conte dovrebbero avvenire il 20 agosto, si riunisce la capigruppo della Camera. In questa sede si deve decidere quando portare in Aula il taglio dei parlamentari.
Fino a poche ore fa, esattamente fino a prima che Salvini annunciasse il suo voto favorevole al taglio dei parlamentari, l’idea che circolava a Montecitorio era quella di portare la riforma Fraccaro in Aula il 19 agosto, il giorno prima della sfiducia: “Servono due ore”, diceva Di Maio.
Tanto che i 5Stelle hanno raccolto le firme tra i parlamentari così da consegnare al presidente della Camera un documento con un terzo delle sottoscrizioni e poter chiedere la calendarizzazione anche senza il voto della capigruppo.
Ma Salvini cambia le carte in tavola. Il suo “no” al taglio dei parlamentari è diventato “sì”. Il Movimento non può concedere terreno anche perchè — fanno notare in ambienti 5Stelle – “i leghisti hanno capito che avevano il mondo contro”.
Ecco quindi Di Maio: “Salvini è in un cul de sac. Se votano la sfiducia a Conte non possono tagliare i parlamentari. Se vogliono tagliarli non possono votare la sfiducia”. È tutto un gioco di calendario e il Movimento fa piazzare il taglio dei parlamentari dopo la sfiducia a Conte. Rilancia la palla nel campo di Salvini che dovrebbe non presentare la risoluzione contro Conte. Il capogruppo Molinari ha già detto che si andrà avanti con la sfiducia. Quindi game over.
I contatti con il Pd sono in corso. Lo si è visto dal voto di oggi e dai capannelli che si muovo tra Camera e Senato. “Qui trattiamo tutti”, dice un senatore grillino. Ma ancora non ci sono contatti ai massimi livelli, nel senso che ancora il capo politico non è sceso lui direttamente in campo.
Il timore tra i 5Stelle, che ribadiscono di non volersi sedere al tavolo con Renzi, è che il segretario dem Zingaretti possa offrire una proposta irricevibile. Ovvero l’azzeramento totale della classe dirigente M5s e Di Maio per primo dovrebbe andar via. Sono ore in cui si tratta.
Ore in cui anche il Pd al suo interno deve fare chiarezza, con i renziani che sostengono che sarà merito dell’ex premier se i conti dell’Italia saranno in salvo e le truppe di Di Maio che temono un’altra trappola in un momento in cui i sondaggi sono in forte calo in seguito all’alleanza con la Lega.
(da “Huffingtonpost”)
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Agosto 13th, 2019 Riccardo Fucile
COSI’ GLI ITALIANI SAPRANNO CHI RINGRAZIARE… VORRA’ DIRE CHE UN PAIO DI GIORNI AL MESE ANDRANNO A MANGIARE A CASA DI SALVINI
Con la caduta del governo si allontanano gli aumenti di stipendio per i lavoratori statali. Nella scorsa legge di Bilancio, il governo Conte aveva messo sul piatto, con uno stanziamento di 1,1 miliardi nel 2019, che saliranno a 1,4 miliardi nel 2020, ma comprensivi di una serie di voci che ne abbassano l’impatto effettivo.
Ma entro la fine dell’anno Palazzo Chigi avrebbe dovuto firmare il contratto complessivo. Un passaggio che, ovviamente, rischia di essere rinviato o addirittura congelato al prossimo anno se la manovra di Bilancio dovesse saltare rendendo inevitabile l’esercizio provvisorio che impedisce nuove spese.
Spiega oggi Il Messaggero:
A questo proposito, l’esecutivo, all’interno del Def, aveva indicato incrementi di stipendio dell’1,95%. E, a conti fatti, la mossa si sarebbe tradotta in aumenti salariali tra i 40 e i 50 euro. Molti meno soldi, in pratica, rispetto al rinnovo relativo al triennio 2016-2018 con il quale il governo Gentiloni, dopo dieci anni di blocco del contratto,aveva assicurato un aumento del 3,48%. Vale a dire 85 euro di aumento medio mensile in busta paga. Occorre ricordare che nel Def sono state indicate solamente alcune voci di spesa per il nuovo contratto come, ad esempio, le risorse utilizzate per garantire al personale del pubblico impiego l’indennità di vacanza contrattuale che è stata caricata sullo stipendio di aprile 2019.
A queste si aggiungono le risorse stanziate dal Governo per il mantenimento dell’elemento perequativo. Si tratta, in entrambi i casi, di due mini-aumenti per i dipendenti pubblici ma sono somme che riguardano solo la pubblica amministrazione centrale e che quindi dovranno essere raddoppiate da Comuni e Regioni per i propri dipendenti.
L’indennità di vacanza contrattuale vale 8 euro al mese, cifra che a luglio è stata portata a 14 euro al mese. Inoltre, all’interno del fondo per il rinnovo sono stati riservati 250 milioni di euro per il mini bonus da circa 20 euro al mese garantito dall’ultimo rinnovo del contratto a tutti gli statali che hanno una retribuzione inferiore ad una determinata soglia.
(da agenzie)
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Agosto 13th, 2019 Riccardo Fucile
L’EVENTUALE TAGLIO AI PARLAMENTARI ANDREBBE, SE VA BENE, IN VIGORE NEL 2024 E NON SUBITO… E CI SAREBBE UNA LEGISLATURA A MAGGIORANZA CENTRODESTRA CHE LO BLOCCHEREBBE SUBITO, I LEGHISTI NON MOLLANO CERTO LE POLTRONE
Come spesso capita in Italia — ma il nostro Paese non ha questa triste esclusiva — le leggi sono scritte per essere interpretate. E così accade anche per quel che concerne la riforma costituzionale che prevede il taglio dei parlamentari.
Matteo Salvini, nel torrido pomeriggio a Palazzo Madama, ha detto di volerla votare subito, già domani, ma ha chiesto in cambio l’immediato ritorno alle urne per consentire agli italiani di scegliere la prossima legislatura.
Nel fare ciò ha citato l’articolo 4 della stessa riforma che deve essere votata in ultima istanza alla Camera.
Cosa dice quell’articolo 4 di cui parla Salvini: «Le disposizioni di cui agli articoli 56 e 57 della Costituzione, come modificati dagli articoli 1 e 2 della presente legge costituzionale, si applicano a decorrere dalla data del primo scioglimento o della prima cessazione delle Camere successiva alla data di entrata in vigore della presente legge costituzionale e comunque non prima che siano decorsi sessanta giorni dalla predetta data di entrata in vigore». Un testo che non è molto chiaro, come spesso capita.
L’interpretazione data da Matteo Salvini è la seguente: si vota la riforma e si va subito alle urne perchè il tutto entrerà i vigore nel corso della prossima legislatura.
Leggendo, però, il testo confuso dell’articolo 4 citato dallo stesso leader della Lega, appaiono evidenti delle contraddizioni che possono portare a diverse interpretazioni. Seguendo la linea dettata dal ministro dell’Interno, si andrebbe dunque al voto con la vecchia legge elettorale e l’iter successivo si consumerebbe nel corso della prossima legislatura.
Secondo questo discorso, prendendo per buono quanto scritto all’interno della riforma costituzionale, quindi, il prossimo Parlamento resterebbe composto da 315 senatori e 630 deputati.
La riforma, approvata dalle Camere, infatti, deve comunque seguire un iter ben definito, nonostante quanto scritto nell’articolo 4.
L’approvazione alle Camere, infatti, non basta quando si parla di riforma costituzionale se non votate da 2/3 di Montecitorio (difficilmente il Pd voterà la stessa cosa della Lega, per evidenti contrasti politici).
Entro tre mesi si può richiedere un referendum confermativo agli italiani: possono presentare richiesta un quinto dei componenti del Senato o di Montecitorio, cinque consigli regionali e anche i cittadini, perchè presentino una raccolta firme con almeno 500mila adesioni.
Per questo motivo i tempi già si dilaterebbero, di base, a tre mesi. Poi ci sono altre questioni tecniche: la Corte di Cassazione dovrà valutare la richiesta di referendum i cui tempi sono tra i 50 e i 70 giorni. Due mesi che ci portano già al 2020.
Ed è qui che nascono le perplessità sulla formazione di un nuovo Parlamento con una riforma pendente sulla propria testa.
Seguendo il discorso di Salvini, si andrebbe al voto con la vecchia legge elettorale, con il taglio dei parlamentari che, a questo punto, non sarebbe effettivo.
Insomma, tutto cambia per non cambiare.
Perchè la riforma potrebbe essere bocciata anche dai cittadini e quindi tutto il percorso sarebbe contaminato. E, se il leader della Lega avesse dato l’interpretazione esatta di un testo scritto a mo’ di supercazzola, il taglio dei parlamentari non avverrebbe nel corso della prossima legislatura, ma addirittura da quella successiva (circa il 2024).
(da agenzie)
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Agosto 13th, 2019 Riccardo Fucile
CONTE INTENZIONATO A DIMETTERSI MARTEDI’ SUBITO DOPO L’INTERVENTO A PALAZZO MADAMA
La parlamentarizzazione della crisi di Governo si consumerà tutta in tre giorni. O in un giorno solo. Dipenderà dalle mosse di Giuseppe Conte.
Il calendario fissato dalle conferenze dei capigruppo delle due Camere indica i giorni clou da martedì a giovedì della prossima settimana.
Si inizia martedì 20 agosto, quando alle 15 si riunirà l’Aula del Senato per ascoltare le comunicazioni di Conte.
Sulle comunicazioni del premier, come prevede il regolamento, possono essere presentate e votate delle risoluzioni.
Due le opzioni: Conte attende il voto e solo dopo decide il da farsi. Conte non attende il voto e va direttamente al Colle a rassegnare le dimissioni nelle mani di Sergio Mattarella.
Anche l’Aula della Camera è pronta ad ascoltare le parole del presidente del Consiglio in Aula: appuntamento fissato per mercoledì 21 agosto alle 11,30. Il giorno successivo, giovedì 22 agosto, probabilmente nel pomeriggio, l’Aula di Montecitorio è stata convocata per il voto finale sulla riforma costituzionale che taglia il numero dei parlamentari.
Se Giuseppe Conte dovesse decidere di non voler attendere il voto dell’Aula del Senato sulle risoluzioni e salire al Colle direttamente per dimettersi, si produrrà un effetto domino che potrebbe travolgere i successivi passaggi parlamentari.
L’ipotesi al momento più accreditata, secondo diverse fonti parlamentari, è che Conte si presenti martedì prossimo al Senato, pronuncerà il suo intervento, e poi si recherà da Mattarella.
Se questa sarà la strada scelta dal premier, verranno automaticamente meno le comunicazioni alla Camera, e con le dimissioni di Conte potrebbe saltare l’Aula di giovedì sulle riforme.
(da agenzie)
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Agosto 13th, 2019 Riccardo Fucile
NEL CENTRODESTRA HANNO DATO BUCA 14 SENATORI, ALTRO CHE PRECETTAZIONE… UN CHIARO SEGNALE AL SOVRANISTA RUSSO
La crisi di governo si aprirà formalmente il prossimo 20 agosto.
Il dato principale che emerge dalla votazione di oggi pomeriggio è che si è delineata una nuova maggioranza in Senato.
Il voto, che si è svolto alle 19, e che ha stabilito sul calendario dei lavori, ha certificato che Salvini e la Lega sono stati battuti: sono state bocciate infatti tutte le mozioni che chiedevano di anticipare la sfiducia al presidente del Consiglio Conte, con 159 voti contro 124.
Da notare che mentre nel centrosinistra i numeri sono stati quelli esattamente previsti, nel centrodestra sono mancati all’appello ben 14 senatori
Non passano dunque le proposte presentate da Forza Italia, Fratelli d’Italia e Lega. Il Carroccio premeva per anticipare la discussione e il voto sulla sua mozione di sfiducia al capo dell’esecutivo a domani pomeriggio, 14 agosto, dopo la commemorazione a Genova delle vittime del crollo del ponte Morandi. Fratelli d’Italia volevano si tenesse il voto nella stessa giornata del 20, mentre Forza Italia avevano chiesto di far riferire Conte in Aula già stasera.
Decisivi i voti del M5S, Partito democratico e Liberi e uguali. Qualche commentatore parla già di una nuova maggioranza, ma è presto per stabilirlo. Oggi pomeriggio durante la conferenza stampa era stato lo stesso Renzi a dare ormai per certa l’esistenza di una nuova maggioranza, che potrebbe far nascere un governo ‘istituzionale’, un governo di responsabili, con dentro Pd e M5S.
Martedì prossimo alle 15, il presidente del Consiglio terrà le sue comunicazioni a Palazzo Madama. È stata dunque confermata la data che era stata fissata ieri, a maggioranza, nella conferenza dei capigruppo.
(da agenzie)
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Agosto 13th, 2019 Riccardo Fucile
“SALVINI E’ MINORANZA IN PARLAMENTO, SI DIMETTA E TORNI AI SUOI MOJITO”… “DEMOCRAZIA PARLAMENTARE CONTRO LA DERIVA PAPEETE”… “CHI IMPEDISCE L’INTESA NON PARLI POI DI RISCHIO SALVINI”
“Siamo di fronte a un fatto clamoroso e nella mia veste di ex premier trovo che sia un passaggio che non va sottovalutato”.
Matteo Renzi inizia così la sua conferenza stampa al Senato nella quale sostiene la necessità di difendere “la democrazia parlamentare contro la deriva Papeete”.
Nell’attesa che l’Aula del Senato si pronunci sul calendario l’ex presidente del Consiglio ribadisce il suo appello alle forze politiche per un governo istituzionale: “Avverto il bisogno di lanciare un appello a tutte le forze politiche che oggi ha lo spazio per essere accolto: c’è una occasione che viene testimoniata dal voto sul calendario che forse oggi si terrà . Dico forse perchè Salvini scopre di essere in minoranza”.
L’appello, che sta spaccando il suo partito, assicura, “mi costa molto dal punto di vista umano”. Tornare alle urne, continua, sarebbe un rischio: “Se si va a votare non so se il Pd prende il 25%, ma so che l’Iva arriverà al 25%. E, così, è sicura la recessione”, argomenta.
Poi un riferimento a Salvini e all’imminente votazione a Palazzo Madama: “Il ministro dell’Interno non vuole votare oggi in Senato perchè si è accorto che è in minoranza”.
E ancora: “La sua fama di uomo invincibile sta precipitando in modo clamoroso”. Sull’ipotesi del ritiro dei ministri della Lega dal governo dice: “Salvini si deve dimettere, altro che ritirare la delegazione, si dimetta e torni ai suoi mojito e oggi si scriva una nuova pagina per l’Italia”.
Il tabellone del Senato, dice ancora “mostrerà che l’accordo (per un governo istituzionale, ndr) è possibile”.
A Zingaretti che nei giorni scorsi “con franchezza” aveva detto “no” all’accordo dice: “Il segretariato del mio partito ha chiesto che ci sia unità e che sia la segreteria a gestire questo passaggio. Credo che siano richieste comprensibili e assolutamente da accogliere”.
(da “Huffingtonpost“)
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Agosto 13th, 2019 Riccardo Fucile
PREVISTO UN FORTE ATTACCO CONTRO “IL TRADITORE” LEGHISTA… ALLE 18 SI DECIDE IL GIORNO DEL SUO INTERVENTO
Giuseppe Conte lavora al suo discorso che, con ogni probabilità , terrà martedì 20 agosto nell’Aula del Senato.
Il premier vuole, come ha detto dal primo momento, parlamentarizzare la crisi di governo, ovvero affrontare la mozione di sfiducia presentata dalla Lega.
Luigi Di Maio ieri ha chiesto le dimissioni dei ministri leghisti tuttavia, anche se l’annuncio del passo indietro dovesse arrivare nelle prossime ore, la strada segnata rimane quella della sfiducia in Parlamento.
Anche perchè le dimissioni dei titolari dei dicasteri per diventare effettive c’è bisogno di un decreto del presidente della Repubblica, occorre quindi un po’ più di tempo.
“Se Salvini vuole ritirare i ministri deve seguire la procedura”, è il ragionamento che viene fatto in queste ore a Palazzo Chigi.
Per ora il premier non si espone, rimane in silenzio nel suo ufficio. L’unico punto fermo è fare di questa fase politica “la crisi più trasparente di sempre”. Per questo non intende derogare all’idea di andare in Aula, dove terrà un discorso molto duro contro chi ha tradito.
Rivendicherà ciò che è stato fatto in questi quattordici mesi di governo e darà a Salvini la colpa delle promesse sfumate improvvisamente.
Quella di Conte vuole essere un’operazione verità al fine di sbugiardare Salvini che “sulla base dei sondaggi favorevoli ha deciso di staccare la spina al governo senza pensare al bene del Paese”. Poi prendendo atto di non avere più la maggioranza in Parlamento salirà al Colle per dimettersi.
Il capo M5s Di Maio vorrebbe tentare una risoluzione 5Stelle a sostegno del premier o comunque un modo per evitare le dimissioni sperando anche nel “lodo Grasso”, cioè nell’abbandono dell’Aula da parte dei gruppi di opposizione così da non raggiungere il numero legale.
In questo modo, secondo alcune ipotesi che circolano in queste ore, Conte potrebbe ricevere dal Capo dello Stato il mandato per cercare un’altra maggioranza in Parlamento.
Ma è un percorso che appare oggi alquanto complicato, se non manifestamente impossibile.
(da “Huffingtonpost”)
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