Agosto 30th, 2019 Riccardo Fucile
EMERGENZA IGIENICO-SANITARIA A BORDO DELLA NAVE CHE OSPITA ANCORA 34 NAUFRAGHI… TUTTI COSTRETTI A USARE ACQUA MINERALE PER LAVARSI
Il terzo giorno di permanenza forzata sulla Mare Jonio comincia con una pessima notizia. Non c’è
più acqua dolce negli impianti di bordo.
La pompa del “dissalatore” si è rotta, e da 24 ore tanto i migranti quanto i membri dell’equipaggio sono costretti a lavarsi con le bottiglie di acqua potabile. Che pure sta finendo. Allo stesso modo non è possibile effettuare la pulizia del ponte, delle stoviglie, della lavanderia. Una situazione che ha fatto saltare anche gli ultimi sottili equilibri e ha convinto il ponte del rimorchiatore a segnalare formalmente “l’emergenza igienico sanitaria”.
“Con la presente — scrivono gli uomini di Mediterranea in una mail inviata alla Capitaneria di porto e alle altre autorità competenti per la sanità marittima – segnaliamo la criticità igienico sanitaria a bordo della nave Mare Jonio, particolarmente evidente da quando abbiamo effettuato il soccorso in acque internazionali di un rubber boat in distress con 98 naufraghi, ovvero 48 ore fa. Abbiamo rifiuti di otto giorni di navigazione, incrementati in maniera significativa, per la presenza degli indumenti tolti ai naufraghi impregnati di benzina e di deiezioni”. Gli abiti in questione, tolti ai naufraghi non appena saliti a bordo per evitare di drammatizzare le ustioni sono ora stoccati a prua all’interno di una decina di sacchi neri insieme a tutta l’altra spazzatura.
“A ciò si aggiunge l’assenza di acqua lavanda da circa due giorni per guasto tecnico alla pompa dell’impianto idrico, problema non risolvibile con l’invio di bottiglie d’acqua. Ritieniamo pertanto che per la tutela della salute dell’equipaggio, del personale di bordo e dei naufraghi, data, in queste condizioni, la possibile diffusione di malattie comunitarie come ad esempio la scabbia (due casi conclamati a bordo) sia necessario ed urgente l’approdo in porto. In subordine chiediamo il trasferimento a terra immediato dei 34 naufraghi presenti a bordo”.
(da agenzie)
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Agosto 30th, 2019 Riccardo Fucile
E’ L’ANNO BELLISSIMO ANNUNCIATO A SUO TEMPO DA CONTE
Sarà un anno bellissimo, diceva. Mentre sono in corso le consultazioni parlamentari per la formazione di un nuovo governo — che dovrebbe avere i colori giallo e rosso — i dati che arrivano dall’economia non fanno ben sperare per il futuro dell’Italia.
L’Istat, infatti, dopo aver certificato il calo dell’occupazione (con contestuale aumento della disoccupazione) nel mese di luglio, ha confermato la stagnazione del nostro Paese.
Il Pil, anche nel secondo trimestre del 2019, risulta in calo dello 0,1%. Un risultato al limite della recessione, come da timori europei di inizio anno.
«Prosegue ormai da cinque trimestri la fase di stagnazione, che caratterizza l’economia italiana a partire dal secondo trimestre del 2018», scrive l’Istat nel suo rapporto sulla situazione del Pil nostrano nel secondi trimestre del 2019. Su base annua, infatti, il prodotto interno loro risulta in calo dello 0,1%, mentre tra aprile, maggio e giugno è in stagnazione. Numeri che non lasciano ben sperare e che confermano i timori già mostrati nei mesi scorsi dall’Ocse e dall’Unione Europea.
«Alla stagnazione dell’attività ha corrisposto una battuta d’arresto della dinamica congiunturale dell’input di lavoro: le ore lavorate sono diminuite dello 0,1%», prosegue l’Istat nel suo rapporto sul Pil del secondo trimestre.
E a trascinare verso il basso il trend (che difficilmente risalirà nei restanti due trimestri del 2019) sono i dati che riguardano l’agricoltura e l’industria, due fiori all’occhiello — fino a qualche decennio fa — dell’economia italiana. Numeri positivi, ma che non rendono meno amara la situazione, arrivano dai servizi: il +0,1%, però, nulla può contro il -1,2 e -0,4% degli altri settori trainanti dell’economia italiana.
(da agenzie)
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Agosto 30th, 2019 Riccardo Fucile
640 MORTI ANNEGATI SULLA COSCIENZA DEI CRIMINALI SOVRANISTI E DEI LORO SERVI
Matteo Salvini dice che al Viminale ci sono molte persone che lo rimpiangeranno e che sperano
che un giorno possa tornare. Di sicuro invece non lo rimpiangeranno le vittime delle politiche dell’immigrazione messe in campo da Salvini nell’arco di questi quattordici mesie che ora Di Maio rivendica.
Ci sono i migranti che non hanno più diritto alla protezione umanitaria grazie al Decreto Sicurezza, e che si sono trovati in mezzo ad una strada.
E ci sono i migranti che sono stati riportati in Libia dalla sedicente guardia costiera libica, o peggio ancora sono morti in mare perchè Salvini ha fatto di tutto per impedire alle Ong di soccorrere le persone in difficoltà in mezzo al mare
Salvini non ha fermato le partenze, ha solo reso più pericoloso attraversare il Mediterraneo
Di Maio oggi si è svegliato dicendo che in buona sostanza il Decreto Sicurezza va bene così. Salvini invece in questi mesi — senza che dal M5S si levasse una sola voce contraria, ma forse lo avranno rimproverato in privato — ha provato prima a raccontare che nel 2019 sono morti pochissimi migranti (fino a marzo secondo lui ne era morto solo uno) e poi ad addossare la colpa alle Ong.
La realtà è ben diversa dalle frottole che Salvini ha raccontato in questo anno di governo agli italiani. E lo è in maniera dolorosa e drammatica, perchè di persone ne sono morte di più che negli anni precedenti, in proporzione al numero di partenze e degli sbarchi.
È un dato di fatto: da quando Salvini si è insediato al Viminale attraversare il Mediterrano è diventato più pericoloso e rischioso, e si muore di più.
Come spiegava qualche tempo fa la giornalista Eleonora Camilli se fino all’anno scorso moriva una persona ogni 30 migranti oggi invece a morire è un migrante ogni sei che tenta la traversata.
Con buona pace di quelli che si imbarcano sui cargo battenti bandiera liberiana e ci frantumano le palle con la retorica delle spremute d’umanità .
I dati dell’IOM parlano di almeno 640 morti annegati dall’inizio dell’anno lungo le rotte del Mediterraneo Centrale (quelle che dalle coste della Libia e della Tunisia portano in Italia).
In rapporto al numero di tentativi di arrivare in Europa la percentuale di decessi è del 5,6%. Durante il 2018 invece la percentuale era al 3,1%.
Ma non sono solo quei 640 morti che vanno ascritti alle politiche salviniane, non bisogna dimenticare che per metà del 2018 al governo c’era già la coalizione gialloverde M5S-Lega. E non è un caso che oggi Luigi Di Maio abbia difeso il Decreto Sicurezza voluto da Salvini e sottoscritto dall’intero governo.
Di Maio ha detto che alla base del Conte-bis non ci possono essere modifiche al Decreto Salvini, ma davvero il Capo Politico del M5S vuole che le persone continuino a morire in mare?
Il ricercatore dell’ISPI Matteo Villa oggi su Twitter ha tirato le somme di 14 mesi di politiche di deterrenza degli sbarchi. Villa istituisce anche un interessante confronto con il periodo in cui al Viminale c’era Marco Minniti.
Gli sbarchi sono calati, ma questo lo sapevamo già , di 31mila unità rispetto al governo precedente (ma già Minniti aveva impresso un potente giro di vite all’attività delle ONG ed erano stati sottoscritti accordi con Al-Sarraj per il trattenimento dei migranti).
Ma, sottolinea Villa, il numero delle partenze non è calato in maniera altrettanto decisa quanto il numero degli sbarchi.
Dal punto di vista italiano — e di conseguenza della propaganda di Salvini — questo naturalmente non è un grosso problema. Ai sovranisti e ai teorici della sostituzione etnica interessa soprattutto veder calare il numerino degli arrivi.
Ma il fatto che le partenze non siano diminuite in misura proporzionale agli sbarchi significa tre cose: la prima è che le politiche di Salvini non hanno fermato la presunta invasione; la seconda è che non sono le ONG a costituire quel pull factor quel fattore di attrazione che spinge i migranti a partire perchè “sanno che saranno salvati”. Infine significa che quelli che non arrivano in Italia o muoiono in mare (e diventano pretesto per i complotti sui bambolotti dei patridioti che guardano le unghie laccate) oppure vengono riportati indietro, in un paese che non rispetta i diritti umani e dove infuria la guerra civile.
Ed eccole quindi le fredde cifre.
Con la “gestione” Minniti sono morti 1.168 migranti a fronte di 40mila sbarchi e 56mila partenze dalla Libia.
Con Salvini al Viminale i migranti morti in quattordici mesi sono stati 1.369, a fronte di appena 8mila sbarchi e 22mila partenze dalla Libia.
Il 6% di chi è partito dalla Libia è morto mentre Salvini stava al Ministero.
E nonostante queste cifre impressionanti, nonostante i porti chiusi e la criminalizzazione delle ONG, nonostante gli interventi della guardia costiera libica i migranti hanno continuato a partire.
Le misure di deterrenza (#portichiusi, stretta sulla protezione umanitaria, ONG e navi della Guardia Costiera tenute in ostaggio) messe in campo da Salvini non sono servite a nulla. O meglio, sono servite a guadagnare consensi per chiedere elezioni anticipate (che non ci saranno).
Ma non è finita qui, perchè come rivelava Matteo Villa a fine luglio, Salvini non è riuscito nemmeno a risolvere il “problema” delle richieste d’asilo.
Perchè Salvini non racconta che la maggior parte dei richiedenti asilo non arriva dalla Libia, ma dalla Germania, che ce li rimanda indietro.
Certo è più facile far credere che il problema stia a Sud. A nord c’è l’amico Seehofer con cui Salvini andava d’amore e d’accordo. A nord ci sono i colleghi (ora ex colleghi) degli Interni che si riunivano a discutere sulle strategie per l’immigrazione mentre Salvini era da tutt’altra parte.
La Lega non solo ci ha fatto credere di avere risolto il problema degli sbarchi, ha anche distratto l’opinione pubblica da quello che non stava facendo: non stava negoziando una riforma degli accordi di Dublino, non prendeva posizione nei confronti dei partner europei, non andava ai vertici internazionali.
E questi sarebbero sovranisti? E Danilo Toninelli ed Elisabetta Trenta dov’erano mentre succedeva tutto questo? E perchè Di Maio non vuole modificare il Decreto Sicurezza?
(da “NextQuotidiano”)
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Agosto 30th, 2019 Riccardo Fucile
LE DICHIARAZIONI CHE METTONO A RISCHIO LA NASCITA DEL GOVERNO FANNO SALIRE IL DIFFERENZIALE BTP
I mercati reagiscono male alla fine delle consultazioni del presidente del Consiglio incaricato Giuseppe Conte.
In particolare a mettere in fibrillazione gli operatori sembrano essere state le dichiarazioni del leader del M5S, Luigi Di Maio, che hanno messo di nuovo in discussione l’accordo tra Pd e M5S per la formazione di un nuovo Governo.
A risentire del dibattito politico è stato lo spread tra Btp e Bund che prima delle 15 viaggiava intorno ai 165 punti base, dopo le parole di Di Maio ha continuato ad allargarsi fino a toccare i 177 punti base.
Al momento il differenziale tra il Btp decennale e il corrispettivo tedesco si attesta a 176 punti base, in aumento dai 172 punti base di ieri in chiusura.
Torna a salire anche il rendimento del Btp decennale che ora viaggia intorno all′1,05% dall′1,02% del finale della vigilia.
(da agenzie)
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Agosto 30th, 2019 Riccardo Fucile
UN NUOVO GOVERNO NON PUO’ DIPENDERE DALL’ARROGANZA DI UN FALLITO COMPLICE DEI SOVRANISTI, SI VADA AL VOTO E VEDREMO META’ PARLAMENTARI GRILLINI NON CONFERMATI CHE LO ASPETTANO SOTTO CASA
Sono terminate le consultazioni delle forze politiche da parte del premier incaricato Giuseppe
Conte che ha incontrato il centrodestra, il segretario dem e i 5Stelle. E proprio l’ultimo intervento, quello di Luigi Di Maio, è stato paranoico.
Di Maio ha detto che Conte è un premier “super partes” (quindi non in quota 5Stelle e questo significa la possibilità di rivendicare il posto di vicepremier).
Ha sostenuto di aver rinunciato già due volte alla possibilità di essere presidente del Consiglio (palle gigantesche perchè un anno fa fu Salvini a non volerlo e ora non zavrebbe avuto i voti al Senato)
Poi – a proposito dei decreti sicurezza, i provvedimenti nel mirino del Pd – ha detto che non ha senso contestarne la ratio. E ha sostenuto, con tono alquanto minaccioso: “O passano i nostri punti del programma o meglio tornare al voto”.
Il classico atteggimento di un fallito arrogante di un partito che non ha avuto il coraggio quando ne fatto dimezzare i voti di cacciarlo a calci in culo.
Subito prima Conte aveva incontrato la delegazione del Pd. “Abbiamo indicato al presidente incaricato quelli che devono essere i principali elementi di novità per un governo di svolta per questo nostro Paese” ha dichiarato il segretario dem Nicola Zingaretti dopo il colloquio.
“Innanzitutto – ha aggiunto – il taglio delle tasse sui salari medio bassi come elemento di giustizia” e per il rilancio dei consumi”. Poi “il tema del lavoro con un vero e proprio piano con investimenti pubblici e incentivi per investimenti privati, le infrastrutture green e per industria 4.0”.
“I dati dell’Istat – ha affermato ancora il segretario dem – confermano purtroppo la necessità di una svolta e di nuova stagione politica. Oltra alla riduzione delle tasse per i ceti medio-bassi, il rilancio del team scuola come grande mezzo di formazione del Paese: abbiamo proposto una rivoluzione del concetto di diritto allo studio, con la gratuità dall’asilo all’università per i redditi medio-bassi”.
“A Conte – ha sottolineato il leader democratico – abbiamo posto il tema di riaprire una stagione di vere politiche per la sicurezza urbana”.
“Su questo tema in questi mesi c’è stata molta propaganda – ha attaccato Zingaretti – ma vere politiche per la sicurezza urbana significa innanzitutto chiudere il contratto con le forze del’ordine, significa investire sulle forze dell’ordine, sui presidi nei quartieri, riaprire la stagione del grande piano periferie, cioè di investimenti nelle nostre città nel campo della cultura, dell’aggregazione, dello sport, e quindi una strategia per rendere piu sicure le città del nostro Paese”.
“A Conte chiediamo che sui decreti sicurezza si proceda almeno al recepimento delle indicazioni pervenute dal presidente della Repubblica”. “Abbiamo parlato approfonditamente di tutti i dossier. È stata una discussione seria. Non si è parlato di nomi”, ha chiarito il capogruppo del Pd alla Camera, Graziano Delrio.
(da agenzie)
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Agosto 30th, 2019 Riccardo Fucile
DOPO L’INAUGURAZIONE SHOW DEL COMMISSARIATO DI CORLEONE MANCANO GLI UOMINI PER FARE UNA VOLANTE… INCHIESTE CONTRO I BOSS ULTRA-ORGANIZZATI CONDOTTE DA POCHISSIMI UOMINI MALPAGATI… FA COMODO A QUALCUNO?
A Corleone, il giorno dell’inaugurazione del nuovo commissariato — era il 25 aprile — il ministro dell’Interno Matteo Salvini annunciò: “La mafia non vince”.
Ma, finita la cerimonia in pompa magna, c’erano già problemi per fare i turni dell’unica volante che controlla un territorio molto ampio e ancora difficile.
“In questi mesi, la volante è anche saltata qualche volta per mancanza di personale”, racconta Luigi Lombardo, segretario provinciale del sindacato di polizia Siap.
“E per coprire il servizio sono stati poi distolti uomini da indagini o altre attività “. Ma il ministro Salvini, che ieri ha tenuto la sua cerimonia di commiato al Viminale, ha continuato a fare i suoi tweet-proclama: “Lotta senza quartiere ai mafiosi”.
Però, a pensarci bene, in fondo non si sbagliava. Perchè i poliziotti hanno lavorato senza sosta negli ultimi mesi per fermare la riorganizzazione della nuova Cosa nostra.
Da Palermo a Trapani, da Agrigento a Catania.
Però da più di un anno aspettano di essere pagati per quel lavoro così importante: al Viminale lo chiamano “straordinario eccedente”, quello che va oltre il tetto delle 55 ore mensili, ma nella difficile frontiera siciliana della lotta alla mafia è l’ordinarietà .
Perchè alla squadra mobile di Palermo si è lavorato giorno e notte, ad esempio, per seguire i padrini della vecchia guardia che erano tornati da New York dopo la morte di Riina.
E si lavora senza orari per andare a caccia dell’ultimo grande latitante, Matteo Messina Denaro, il padrino di Castelvetrano condannato all’ergastolo per le bombe del 1993.
Ma per il Viminale diretto da Matteo Salvini la lotta alla mafia si doveva fare in orario d’ufficio, perchè in realtà , al di là dei tweet, non ci sono stati nuovi significativi investimenti.
E chi ha lavorato due ore in più al giorno — per finire un pedinamento o per completare un’intercettazione – sapeva già che sarebbe stato pagato dopo un anno e più.
Eccola, dunque, la lotta alla mafia del ministro Salvini, una lotta senza quartiere. Ma fatta dagli altri.
Generalmente, organizzati in piccole squadre, perchè ormai è la stagione dei tagli continui. “Siamo nel corso di una tempesta perfetta”, ha dichiarato il 30 luglio a Catania il capo della polizia Franco Gabrielli. “Abbiamo un buco di organico che non è stato colmato in questi anni”. I poliziotti sono 99mila, dovrebbero essere 117 mila.
Lo sapete da quanti investigatori è composta la squadra della Mobile palermitana che ha bloccato il ritorno dei padrini italo-americani? Appena 15.
E sapete in quanti hanno lavorato all’indagine che ha svelato la potente mafia nigeriana? Solo 6.
Nella squadra mobile che fu di Boris Giuliano e Ninni Cassarà , una quarantina di vecchi investigatori sono andati in pensione, e nessuno ha pensato a rimpiazzarli.
Il dirigente Rodolfo Ruperti si ritrova oggi con 270 poliziotti, impegnati però in nove sezioni, nove ambiti di lavoro che spaziano dalle rapine al grande crimine organizzato, alla caccia ai latitanti.
“Ci sono stati tempi in cui la Mobile poteva contare su 350 persone — dice Luigi Lombardo — ma evidentemente oggi la lotta alla mafia non è una più una priorità “.
La lotta alla mafia al tempo di Salvini. Nella difficile frontiera di Trapani, dove il superlatitante Messina Denaro conta ancora su fidati imprenditori che gestiscono i suoi affari milionari, la Direzione investigativa antimafia ha solo 12 uomini.
E nell’ultimo anno e mezzo, sei sono stati impegnati nell’inchiesta sul consulente per l’energia di Salvini, il faccendiere Paolo Arata, sorpreso a fare affari con il “re” dell’eolico Vito Nicastri e a brigare per un emendamento di favore con l’ex sottosegretario Armando Siri.
Va anche peggio ad Agrigento, l’ultima indagine della Dia che ha scoperto le connessioni fra la nuova mafia e un capo ultrà della Juventus è stata fatta da quattro persone.
Non molti di più sono quelli che a Caltanissetta si occupano di indagare sui misteri delle stragi Falcone e Borsellino. E’ l’antimafia del ministro dell’Interno che nell’ennesimo tweet, lanciato dopo un blitz antimafia, scriveva: “La lotta alla mafia è un impegno a cui mi dedicherò con ogni mia energia, con ogni mezzo necessario”.
(da “La Repubblica”)
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Agosto 30th, 2019 Riccardo Fucile
IL 55% DEGLI ITALIANI BOCCIA IL GOVERNO M5S-PD, MA IL 70% E’ CONTRO IL RITORNO ALLE URNE
Il 55% degli italiani boccia il governo M5S-PD, ma sette su dieci sono contrari alle elezioni e la
fiducia nei confronti di Matteo Salvini è in precipitoso crollo: questo il sentiment registrato dal sondaggio di Nicola Piepoli pubblicato oggi su La Stampa.
Tra gli sconfitti, spiega il sondaggista, viene indicata la Lega, che con Salvini ha cambiato le carte in tavola a suo esclusivo rischio.
Molto difficile, per gli intervistati, è invece individuare con chiarezza chi ha guadagnato.
In generale sono al rialzo le quotazioni di tutti gli altri, compresi i rappresentanti delle istituzioni (Presidenza della Repubblica in primis) e gli italiani nel loro complesso.
Le intenzioni di voto registrano variazioni tra i periodi pre e post-crisi, ma i partiti non hanno nè peggiorato nè migliorato in maniera significativa le proprie posizioni.
L’unico che nel corso del mese di agosto ha registrato un apparente scossone è la Lega, passata dal 36% al 32% attuale.
A questo si aggiunge che la fiducia nei confronti di Matteo Salvini è calata di sei punti percentuali mentre quella in Giuseppe Conte è cresciuta di cinque punti: quel genio della politica del Capitano dovrebbe notare che è una specie di Re Mida all’incontrario.
Tra i possibili ministri più apprezzati c’è Graziano Delrio, seguito da Franceschini e Orlando mentre i due uscenti Sergio Costa e Moavero Milanesi sono i più apprezzati insieme ad Alfonso Bonafede.
Alto anche l’apprezzamento di Vincenzo Spadafora.
(da “NextQuotidiano”)
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Agosto 30th, 2019 Riccardo Fucile
MA I LEGHISTI NON ERANO DISINTERESSATI ALLE POLTRONE?
Il cambio di governo e di maggioranza con il Conte-2 dovrà presto fare i conti non solo e non tanto nelle aule di Camera e, soprattutto, Senato.
Ma anche con la composizione delle commissioni parlamentari, le cui presidenze sono fondamentali per l’attuazione del programma di governo e lo svolgimento regolare dei lavori.
Un aspetto cruciale che è già emerso oggi nella polemica politica, dopo che da parte del Pd qualcuno ha chiesto ai leghisti di lasciare le poltrone delle presidenze, appunto, delle commissioni, assegnate dopo la formazione del governo giallo-verde ormai prossimo all’archiviazione.
L’attacco è partito da alcune parlamentari dem. “Ma davvero – twitta Alessia Morani – se si formerà il nuovo governo i deputati e i senatori della Lega non lasceranno le presidenze delle commissioni parlamentari? Com’era quella che loro non sono attaccati alla poltrona? Buffoni”.
Rincara la dose la senatrice Pd Valeria Valente, presidente della commissione contro il femminicidio. “La Lega non molla le presidenze delle commissioni parlamentari, anche se cambia la maggioranza parlamentare. Ma non erano quelli disinteressati alle poltrone?”.
Sulla stessa linea anche la vicepresidente dei senatori dem Simona Malpezzi: “Quelli disinteressati alla poltrona: in meno di 24 ore scopriamo che Salvini pur di tenersi il Viminale voleva Di Maio premier e che i leghisti non hanno alcuna intenzione di lasciare le presidenze delle 11 commissioni che spettano alla maggioranza. Strano vero? Legapoltrona”.
Il rinnovo delle commissioni avviene ogni due anni. Tutto questo comporta che nessuno potrà costringere i sei presidenti leghisti di commissione a palazzo Madama e i cinque di Montecitorio a fare le valigie.
Nel dettaglio: alla Camera, i leghisti hanno la presidenza della cruciale commissione Bilancio (Borghi) e poi Ambiente (Benvenuto), Trasporti (Morelli), Attività produttive (Saltamartini), Lavoro (Giaccone). Al Senato, la sesta commissione Finanze e tesoro fa capo a Alberto Bagnai, e la Lega ha anche le presidenze delle commissioni: Affari costituzionali (Borghesi), Giustizia (Ostellari), Difesa (Tesei), Istruzione (Pittoni), Agricoltura (Vallardi).
(da agenzie)
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Agosto 30th, 2019 Riccardo Fucile
LO STATISTA GUATEMALTECO DA TRE GIORNI NON DA’ PIU’ SEGNI DI VITA, DOPO AVER PERORATO INVANO IL VOTO ANTICIPATO O IL RITORNO CON LA LEGA
Il padre Vittorio giusto l’altroieri ha auspicato il naufragio della barca di governo M5S-PD (e
qualche giorno fa auspicava la fucilazione di Conte).
Il figlio Alessandro Di Battista invece non parla da ormai tre giorni.
Dibba il sommergibile / terror del commestibile si è dato di nuovo alla macchia e chissà se risponde alle chiamate della Fazi Editore che con la tempestività di un bradipo voleva fargli curare un libro su Bibbiano che adesso, diciamolo, può darsi tranquillamente in faccia.
L’ultima volta che si è visto in giro, tre giorno fa, lo ha fatto per dire “no ai Malagò e no ai Benetton“, da quel momento ne abbiamo perso tutti le tracce.
E prima che parta la ricerca in stile “Dov’è Wally?” è necessario che lo statista guatemalteco dia almeno un segnale di esistenza in vita.
Come stai, Dibba? Come l’hai preso, il governo M5S-PD (il dove è intuibile) e il fatto che non si andrà ad elezioni presto?
È vero, come dicono i maligni, che non hai intenzione di appoggiare Di Maio nel voto su Rousseau per il nuovo patto, un voto che comunque non conterà nulla?
La situazione è troppo grave per essere seria, ma non pensi che sarebbe il caso di non lasciare così tanto spazio al tuo parody account, anche perchè rischia da un momento all’altro di essere giudicato più credibile dell’originale?
Dibba, non ci far preoccupare. Dì qualcosa. Oppure cantaci una canzone: “We all live in a Dibba Submarine, Dibba Submarine, Dibba Submarine“.
(da “NextQuotidiano”)
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