Gennaio 28th, 2020 Riccardo Fucile
L’ULTIMO DEI 5 INTERVENTI NELLA MATTINATA DI LUNEDI 27 E DOPO POCHE ORE L’ASSEGNAZIONE DEL PORTO DI TARANTO… LA RICOSTRUZIONE DEI FATTI
Cinque operazioni di soccorso nell’arco di 72 ore, tutte di notte, 407 migranti tratti in salvo. Alla Ocean Viking di SOS Mediterranee è stato assegnato il Place Of Safety, il porto di destinazione è quello di Taranto, in Italia.
Le operazioni di sbarco sono previste per la mattina di mercoledì 29 gennaio.
La prima operazione è avvenuta nella notte del 26 gennaio, la seconda il giorno successivo, il 27 gennaio.
A conclusione di tutti questi eventi SAR il governo ha concesso l’autorizzazione allo sbarco a Taranto assegnando il POS esattamente come prevede il diritto internazionale in materia di soccorso in mare.
Il caso in questione è particolare perchè il 26 gennaio (dopo aver tratto in salvo diversi migranti tra il 24 e il 25 gennaio) l’imbarcazione era già in attesa di un POS con 223 naufraghi a bordo ma ha invertito di sua inizitiva la rotta per condurre altre operazioni di salvataggio.
Domenica 26 gennaio ore 18,50:
#OceanViking con i 223 naufraghi a bordo, sta tornando giù alla massima velocità per altri SOS”
26 gen 22:56 : “200 persone ca. in pericolo, tre gommoni e un “on behalf”
26 gen 23:05 #OCEANVIKING HA TROVATO UNA DELLE TRE IMBARCAZIONI.
27 gen 00:09 SALVATI. Tutti naufraghi sono ora al sicuro a bordo di #OceanViking: erano su un gommone nero in difficoltà .
27 gen 02:50 #OceanViking 0.8 nodi, 34 27N 014 09E, zona SAR maltese.
27 gen 10:49 184 persone salvate in nottata, due eventi SAR: 102+82.
27 gen 14:21 PM · 27 gen 2020 Ocean Viking chiede Place of Safety
28 gen 10:37 assegnato POS DI SBARCO TARANTO
Frèdèric Penard, il direttore delle operazioni di Sos Mediterranee, ha chiesto solo ieri (27 gennaio che venisse assegnato un Place of Safety “per sbarcare al più presto possibile”.
E dopo poche ore è arrivato l’autorizzazione: il sequestro di cui parla Salvini semplicemente non esiste.
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Gennaio 28th, 2020 Riccardo Fucile
MA IN PARLAMENTO E SUI TERRITORI CRESCE IL FRONTE PER UN’ALLEANZA CON IL PD ALLE PROSSIME REGIONALI
Nel segno della continuità con il passato. Anche se il passato non è stato glorioso. La scelta di Alfonso Bonafede come nuovo capo delegazione M5s va nella direzione di sempre e si tratta di una vera e propria controffensiva, che respinge l’offerta arrivata dal premier Conte di creare un campo progressista insieme al Pd.
Il ministro della Giustizia, fedelissimo di Luigi Di Maio nonostante qualche frizione nei mesi scorsi, rappresenterà quindi il Movimento nel governo. È stato scelto lui e non Stefano Patuanelli, il ministro per lo Sviluppo economico che ha invece ha aperto alla proposta del premier Giuseppe Conte di creare un campo progressista di centrosinistra. Ha vinto quindi la linea conservatrice, quella dell’ex capo politico. E anche Vincenzo Spadafora, con un passato nella Margherita, che più di chiunque altro ha lavorato all’alleanza con il Pd, non ha avuto la meglio.
Così hanno deciso, per acclamazione, i viceministri e i sottosegretari grillini riuniti a Largo Chigi dal ‘reggente’ Vito Crimi. Sarà dunque Bonafede a ragionare con il premier, con il quale c’è da sempre un buon rapporto, e con Dario Franceschini del Pd e con Roberto Speranza di Leu sulla cosiddetta fase due dell’esecutivo, a partire dalla verifica necessaria per stilare il cronoprogramma con cui le forze di maggioranza mirano ad arrivare a fine legislatura.
Il segnale è chiaro e non è certo quello del rinnovamento. Non rappresenta certamente la spinta verso il centrosinistra che inizia ad arrivare dai territori dopo la batosta in Emilia Romagna e Calabria. “Adesso riapriamo il tavolo di confronto con il Partito democratico in vista delle prossime regionali”, è la richiesta che arriva, anche in assemblea dei deputati e senatori, dai filo progressisti M5s che chiedono la riapertura del dossier alleanze.
In prima fila c’è il presidente della Commissione Cultura Luigi Gallo, uno dei parlamentari più vicini al presidente della Camera Roberto Fico, convinto del fatto che il M5S non possa farcela “da solo” nelle regioni. La pensano così anche colleghi come Paolo Lattanzio e Giorgio Trizzino. Il M5S ha già scelto tre candidature su sei: Alice Salvatore in Liguria; Irene Galletti in Toscana; Antonella Laricchia in Puglia.
Tutte confermate da Crimi, anche se in teoria si tratta di una candidatura “eventuale” da mettere in campo solo nel caso in cui venga scartata l’ipotesi di una candidatura esterna e civica da concordare con eventuali altre forze politiche. Tanto che nel caso della Liguria si starebbe ragionando su una candidatura sul modello Umbria, cioè un candidato civico da sostenere con il Pd. Ammesso che il Pd sia d’accordo e rinuncia a una candidatura politica.
Mancano all’appello la Campania, il Veneto e le Marche, regione, quest’ultima, dove i pentastellati hanno già annunciato di voler correre da soli: “Non ci sono le condizioni politiche per pensare a un patto civico che comprenda anche i partiti”, si legge in una nota del M5S del 16 gennaio, diramata al termine di un incontro tra l’ex leader Luigi Di Maio, il responsabile delle campagne elettorali Danilo Toninelli e i due referenti marchigiani.
In Campania il processo è in via di definizione: per questa domenica è prevista una riunione di tutti gli attivisti locali per decidere come muoversi, se andare con un candidato targato M5s o cercare una candidatura esterna in accordo con i dem. Un’ipotesi, questa, che ha parecchi sostenitori. Ma anche tanti detrattori, non ultimi i vertici grillini, vecchi e nuovi.
(da “Huffingtonpost”)
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Gennaio 28th, 2020 Riccardo Fucile
POTEVA FARLO PRIMA DEL VOTO MA NON L’HA FATTO, ORA SFUGGE ALLA DOMANDA DEI GIORNALISTI… IL GIOCO DELLE PARTI PER USCIRNE? SARA’ SALVINI A DIRE CHE LA SUA PRESENZA IN SENATO E’ ESSENZIALE PER TIRARLA FUORI DALLA BRATTA (IN SENATO LO STIPENDIO E’ PIU’ ALTO)
«Nessuno può appartenere contemporaneamente a un Consiglio o a una Giunta regionale e ad una delle Camere del Parlamento, ad un altro Consiglio o ad altra Giunta regionale, ovvero al Parlamento europeo».
La norma, semplice, chiara e cristallina è contenuta nell’articolo 122 della Costituzione e sancisce che un deputato o un senatore non può al tempo stesso essere consigliere regionale.
Nel caso che interessa a noi è chiaro che c’è quindi un’incompatibilità tra l’essere una senatrice della Lega e l’essere una consigliera comunale della Lega per la Regione Emilia-Romagna.
Il problema di Lucia Borgonzoni è tutto qui. La sua promessa di dimettersi dal Senato anche in caso di sconfitta (in caso di vittoria era scontato) rimane per il momento congelata.
Ieri infatti durante la conferenza stampa Matteo Salvini ha risposto per lei dicendo che si riserverà di decidere se accettare le sue dimissioni da Palazzo Madama oppure respingerle.
Ovviamente non spetta a Salvini accettare o respingere le dimissioni della senatrice Borgonzoni ma alla Presidente della Camera (in caso di incompatibilità con un altro mandato non è necessario il voto dell’Aula).
La sua è la stessa condizione in cui si trova Vittorio Sgarbi, attualmente deputato e sindaco di Sutri ed eletto consigliere regionale nella circoscrizione di Bologna. Anche Sgarbi deve scegliere tra i due incarichi.
Diversi giornalisti ieri hanno chiesto più volte a Lucia Borgonzoni cosa avrebbe fatto: se si sarebbe dimessa dal Senato per entrare in consiglio regionale o se invece avrebbe mantenuto l’incarico a Palazzo Madama.
Dal momento che non può fare come per il seggio da consigliere comunale a Bologna (dove non va mai) una decisione va presa.
Ma la Borgonzoni non ha mai risposto in maniera chiara limitandosi a ripetere che avrebbe quanto prima incontrato i candidati eletti e iniziato a lavorare sulle linee d’azione per la Regione. Solo dopo che i giornalisti presenti in sala stampa hanno continuato ad insistere Salvini è intervenuto per togliere dall’imbarazzo la sua candidata che evidentemente non sapeva come rispondere.
Il fatto è che la Borgonzoni ha letteratamente promesso che qualora avesse perso le elezioni si sarebbe dimessa da senatrice per continuare a fare il capo dell’opposizione in Consiglio Regionale.
Avrebbe potuto dimettersi anche subito dopo aver fatto quella promessa visto e considerato che entrambi gli esiti possibili del voto le avrebbero imposto di rinunciare al seggio al Senato. Ma non lo ha fatto.
A due giorni dal voto la Borgonzoni non ha ancora detto cosa farà . Eppure la risposta dovrebbe essere abbastanza semplice. Il fatto invece che lo abbia detto Salvini non fa altro che confermare l’impressione che la candidata della Lega sia stata “inesistente” durante la campagna elettorale.
Al punto che fino alla fine è il capo della Lega a voler decidere cosa deve fare la Borgonzoni. In caso di rinuncia al seggio al Senato la Lega non perderebbe certo un senatore, al posto della Borgonzoni dovrebbe subentrare il primo dei candidati non eletti nel collegio uninominale, che dovrebbe essere Maria Orsola Marabini, candidata (ma non eletta) anche al consiglio regionale dell’Emilia-Romagna nella circoscrizione di Ravenna.
Ma i leghisti sanno bene che “il Popolo è sovrano”. E il popolo dell’Emilia-Romagna, o meglio 1.014.672 cittadini che hanno votato per Lucia Borgonzoni scegliendola come presidente, e in subordine, come consigliere regionale.
Quel milione di voti è senz’altro maggiore, in termini assoluti, rispetto ai 237.591 elettori che il 4 marzo del 2018 hanno votato per la Lega nel Collegio Plurinominale EMILIA-ROMAGNA — 01 del Senato dove la Borgonzoni era candidata all’uninominale.
Se non altro per questa ragione Lucia Borgonzoni non dovrebbe tradire la fiducia dei suoi elettori, e sono tanti, al grido di Prima l’Emilia-Romagna!
Certo è che al Senato lo stipendio è più alto, ma il rischio di perdere il posto a breve — qualora si dovesse andare ad elezioni anticipate — c’è. Nulla vieta però alla Borgonzoni di scegliere il consiglio regionale e poi mollarlo alla prima occasione quando ci saranno le politiche.
Il problema è solo uno: in consiglio regionale in quanto leader dell’opposizione avrà gli occhi di tutti puntati addosso. Al Senato invece sarà una senatrice tra tanti che potrà continuare a indossare magliette con scritto “Parliamo di Bibbiano”. Cosa è meglio?
(da “NextQuotidiano”)
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Gennaio 28th, 2020 Riccardo Fucile
LA REPLICA DEM: “PAGLIACCIO, PENSI DI RIMUOVERE COSI’ GLI ERRORI DI SALVINI?”
Difficile non vincere in Emilia Romagna per il Pd. Il motivo? “Si è vista in tv gente di più di cento anni portata ai seggi, disabili accompagnati con i pulmini, una mobilitazione degna dei tempi andati per salvare quel che resta di un’idea che ormai è svanita, per l’ultima ancora di salvezza”.
L’accusa parte dal governatore lombardo – e leghista di ferro – Attilio Fontana, a commento della vittoria nella regione vicina del dem Stefano Bonaccini, che ha battuto proprio la candidata salviniana Lucia Borgonzoni.
Nessun errore nella campagna elettorale del suo leader, per Fontana: “Fin dall’inizio ho detto che per me era già un successo grande poter dire che si poteva combattere ad armi pari, poi è chiaro che se si fosse vinto sarebbe stato sicuramente meglio”.
Parole che non passano inosservate a sinistra: “Il presidente della Regione Lombardia si era sempre contraddistinto per la misura rispetto ad alcuni suoi compagni di partito. Dispiace vedere che oggi abbia perso con questa dichiarazione tale cifra: disabili e anziani hanno diritto al voto quanto tutti gli altri cittadini, se un centenario va a votare è anche perchè non vuole che torni l’odio, essendo stato, magari, testimone oculare di ciò che può provocare. Se un presidente di regione, in cui vivono disabili, anziani e molti cittadini che votano per un partito diverso dal suo, si produce in dichiarazione come questa, cessa di essere un uomo delle istituzioni e diventa soltanto un propagandista di partito”, scrive su Facebook il vicesegretario del Pd Andrea Orlando.
“Leggere una sconfitta come quella subita dalla Lega in questi termini è solo un goffo tentativo di rimozione degli errori di Salvini e dei meriti dei suoi avversari a partire da Bonaccini”.
Tranciante l’europarlamentare Pd Piefrancesco Majorino: “Il presidente Fontana è un vero pagliaccio. Fa battute sul fatto che alle regionali di domenica sono stati portati a votare i “disabili”. Che vergogna. Dovrebbe spiegare perchè ce l’ha così tanto con le persone con disabilità , di cui si è ricordato in questi mesi con i tagli all’assistenza e ora con questa pessima uscita, volta evidentemente a sostenere che le persone con disabilità non abbiano diritti come gli altri alla partecipazione democratica”.
(da agenzie)
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Gennaio 28th, 2020 Riccardo Fucile
I GIOVANI HANNO VOTATO IN MASSA PER BONACCINI
Un po’ come il ragazzo di campagna immortalato da Renato Pozzetto. O come la contrapposizione tra campagna e città seguita alla rivoluzione industriale.
Il voto che caratterizza la Lega, come spiega oggi Roberto D’Alimonte sul Sole 24 Ore, riflette la contrapposizione tra città e centri minori. Pd e centro-sinistra vanno relativamente bene nelle città , mentre Lega e centrodestra dominano nei centri minori.
Alle europee dello scorso anno in Emilia-Romagna i partiti del centrodestra avevano ottenuto il 44,7% contro il 38,7 % dei loro avversari.
Però, nei comuni capoluogo Pd e partiti affini avevano preso il 43,8% contro il 40,3 % del centro-destra. Nei centri minori invece il rapporto era stato 36 % a 47% a favore del centro-destra. La mappa in pagina fa vedere che questa differenza resta nel complesso della regione, ma i numeri non sono più gli stessi.
Il centro-sinistra non solo è lo schieramento più votato a livello regionale, ma è il più votato sia nei comuni capoluogo, 56,2% contro il 39,2% del centro-destra, che nei comuni non capoluogo dove ha ottenuto il 48,8% contro il 46,1%.
Una analisi ancora più dettagliata fa vedere che solo nei micro-comuni (quelli con meno di 4.000 elettori) Salvini e alleati hanno prevalso con il 55% contro il 40 %.
Già nei comuni tra i 4000 e gli 8000 elettori il centro-sinistra supera il centro-destra, 47,6% a 47,2%.
E’ importante notare che il rovesciamento non è avvenuto perchè il centro-destra è andato male (il suo risultato è in linea con quello delle europee) ma perchè il centro-sinistra è andato particolarmente bene, prendendo voti di elettori che non lo avevano votato l’anno scorso, soprattutto Cinque Stelle.
Ma c’è un altro punto importante della distribuzione del voto: quello demografico:
Per il Pd questo voto è una boccata di ossigeno per cui deve ringraziare, come Zingaretti ha già fatto, il movimento delle sardine. Sono i giovani la categoria che ha votato in maniera massiccia per Pd e alleati. È lì il futuro, e la sfida sarà come incanalare queste energie dentro un progetto innovativo. Intanto la battaglia si sposta nelle altre regioni in cui si voterà in primavera, tra cui la Toscana altra roccaforte “rossa” a rischio- dove le cose avrebbero potuto mettersi male se il risultato in Emilia Romagna fosse stato diverso.
(da agenzie)
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Gennaio 28th, 2020 Riccardo Fucile
CI FOSSE MAI UN “LEONE” SOVRANISTA CHE CONFERMI QUELLO CHE SCRIVE E NON SI CAGHI ADDOSSO
È polemica a Massa per un post su Fb, successivamente rimosso, del consigliere comunale di maggioranza della Lega, e coordinatore provinciale dei giovani del Carroccio, Filippo Frugoli, con offese nei confronti di Sandro Pertini.
L’esponente leghista lo avrebbe scritto per criticare la richiesta di un’associazione culturale di intitolare un ponte all’ex presidente della Repubblica.
“Ci vuole coraggio a fare una richiesta così — aggiunge Frugoli -. Se gli verrà dedicato un ponte chiederò di dedicare una via alle stragi partigiane, o alle vittime dei partigiani e delle brigate rosse. No Pertini”.
Nel post Pertini viene accusato di essere responsabile diretto e indiretto di omicidi e di essere un “brigatista rosso”.
Poi Frugoli ha cancellato il post e spiegato di “essere stato frainteso, se ho scritto qualcosa di non reperibile nei dati storici mi scuso, so che Pertini è stato un grande presidente”.
La polemica oggi è arrivata anche in consiglio comunale di Massa durante le celebrazioni per il Giorno della Memoria. Per il consigliere comunale Pd Stefano Alberti sono “parole di una gravità assoluta, al limite della diffamazione e della querela. Non è ammissibile tanta ignoranza da una istituzione comunale. Il sindaco prenda provvedimenti”.
(da agenzie)
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Gennaio 28th, 2020 Riccardo Fucile
LA DONNA, CHE E’ LA PRESIDENTE DELLA COMUNITA’ PERUVIANA DI FIRENZE, AVEVA SOLO CHIESTO QUANDO ERA PREVISTA LA PARTENZA… ORA LA DENUNCIA CON TESTIMONI E FOTO
Il razzismo che prende piede, l’insulto gratuito che va a inquinare le nostre città
L’ultimo episodio questa mattina Firenze: una donna di origini peruviane e cittadina italiana da 24 anni, Lina Callupe, ha denunciato di essere stata insultata da un autista di un autobus dell’Ataf, l’azienda di trasporto pubblico, insieme ad altre persone che viaggiavano sullo stesso mezzo.
“Sono salita alla fermata di Santa Maria Novella alle 8:05. Il mezzo era fermo e col motore acceso e non accennava a ripartire”, riferisce la donna, che è impegnata in diverse associazioni della zona ed è presidente dell’Associazione comunità peruviana di Firenze. “Ho chiesto all’autista quando sarebbe ripartito e per tutta risposta lui ha detto: ‘Quando mi pare e non mi rompere i coglioni la mattina presto'”. E poi, l’insulto: “Migranti di merda, quando verrà Salvini vi spazzerà via tutti”.
La donna afferma di essersi dunque seduta vicino al posto di guida, “mentre altri passeggeri cominciavano a chiedere a che ora partisse”. Domande alle quali l’autista avrebbe risposto con la frase offensiva.
Lina Callupe ha quindi scattato una foto al conducente “perchè volevo essere sicura che fosse identificabile. Quando sono scesa lui ha continuato a gridarmi contro”.
(da agenzie)
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Gennaio 28th, 2020 Riccardo Fucile
GUALTIERI: “LA SCONFITTA DI SALVINI IN EMILIA-ROMAGNA HA FATTO RISPARMIARE 400 MILIONI”
È Milano la regina delle Borse europee. Il Ftse Mib chiude con un robusto +2,62%. Le altre, che avevano perso smalto dopo che Hong Kong ha annunciato la chiusura dei collegamenti con la Cina, restano indietro ma terminano tutte in rialzo: Londra sale dello 0,9% come Francoforte,Parigi dell’1,07%.
A Piazza Affari si mette in evidenza Atlantia che beneficia dell’affermazione del centrosinistra in Emilia Romagna: potrebbe allentare la pressione sul tema delle concessioni.
Ancora in calo lo spread. Il differenziale torna sotto la soglia dei 140 punti (137 punti a fine giornata), ai minimi da novembre dello scorso anno con un rendimento all’1,02%.
“Ho mandato un sms a Bonaccini con la foto del monitor che ho sulla mia scrivania: in soli due giorni, per effetto del voto in Emilia Romagna, lo spread è sceso di 20 punti. Ho fatto calcolare dai miei tecnici che questo produrrà 400 milioni di risparmi quest’anno, 1,2 miliardi nel 2021 e oltre 2 miliardi nel 2022”: le parole del ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri.
(da agenzie)
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Gennaio 28th, 2020 Riccardo Fucile
I CLAN HANNO MESSO LE MANI SULLA POLITICA FACENDO ELEGGERE CHI VOLEVANO, GESTENDO VOTI, MUOVENDO GALOPPINI…ECCO TUTTI I NOMI CHE EMERGONO DAI VERBALI
Giorgia Meloni non ne aveva dubbi. Scandiva le parole: «A Latina possiamo contare obiettivamente su quella che è forse una delle migliori classi dirigenti di Fratelli d’Italia».
Era il 2014, elezioni europee. Il cavallo di razza che appariva accoppiato con il suo nome sui manifesti elettorali era Pasquale Maietta. Un vero mito a sud di Roma. Commercialista di successo, da sempre il primo degli eletti a destra, patron del Latina, squadra che sfiorò, all’epoca, la serie A.
Calcio, affari e politica. Giorgia Meloni guardava Maietta compiaciuta, scambiando sorrisi: «Lo dico da un anno, perchè non ti prendi anche la Roma?».
Dal 2013 era diventato un politico di primo piano a livello nazionale. Giorgia si fidava talmente tanto da affidargli il portafogli, nominandolo tesoriere del partito alla Camera dei deputati. Era l’ascesa, apparentemente inarrestabile, dell’enfant prodige della destra.
Poi venne uno tsunami. Giudiziario, sconvolgente. Di quella classe dirigente che poco prima la leader di Fratelli d’Italia portava come esempio è rimasto poco. Maietta, terminato il mandato, è finito agli arresti, con l’accusa di essere il “perfetto stratega” di un complesso sistema di riciclaggio che partiva da Latina per arrivare a Lugano.
Non in una fiduciaria svizzera qualsiasi, ma nello studio SMC Trust, il “family office” presieduto da Max Spiess, subentrato nella carica al più noto Giangiorgio Spiess, l’avvocato tutore degli interessi di Licio Gelli nel Canton Ticino.
Il vero salotto che conta nel mondo finanziario internazionale, da sempre Gotha impenetrabile. Soldi, tantissimi soldi, un tesoro che passava attraverso il Latina calcio, controllato da patron Maietta, utilizzato – secondo la procura – come una enorme lavatrice di denaro “di dubbia provenienza”.
L’alleanza tra l’ex tesoriere di Fratelli d’Italia e il trust svizzero, che durava, secondo le indagini, dal 2007, era consolidata e ben oliata.
Quello che per gli investigatori era “un gruppo organizzato di soggetti che forniscono in modo stabile e professionale consulenza e servizi per il riciclaggio di fondi di provenienza illecita” aveva un terminale molto lontano dai salotti ovattati di Lugano. Le radici del potere del “sistema Latina” affondano sulla riva di uno dei tanti canali della bonifica, a Campo Boario.
Case basse, leoni lucidi di ceramica, il kitsch e i cavalli da corsa lasciati a pascolare nei campi sportivi comunali. È il mondo di sotto, il regno dei Di Silvio-Ciarelli. Clan Sinti, parenti diretti dei più noti Casamonica, arrivati in terra pontina nel dopoguerra, negli anni ’90 hanno preso il controllo del narcotraffico sottraendo il territorio di Latina ai casalesi e imponendo alla città il loro modo di comandare.
Taglieggiando, occupando pezzi di quartieri, sparando e uccidendo, quando serviva. «Se pijamo Littoria», dicevano in alcune intercettazioni del 2010.
Hanno fatto di più – stanno raccontando oggi alcuni collaboratori di giustizia – prendendosi soprattutto la politica. Gestendo voti, garantendo affissioni intoccabili, muovendo galoppini. Diventando la batteria elettorale dei nostalgici del Boia chi molla.
Brigata Littoria
Latina vuol dire destra, da sempre. Basta mettere in fila i nomi dei gruppi degli ultras della squadra di calcio: “Falange”, “Brigata Littoria”, “Commando”. Per anni governata da un sindaco con un passato nei “Ragazzi di Salò”, Ajmone Finestra, venne definita da Gianfranco Fini “il laboratorio politico” nazionale. Latina era un simbolo con il parco comunale intestato ad Arnaldo Mussolini, fratello di Benito, e l’edificio nel cuore della città chiamato “M”, per la sua forma, omaggio al duce in epoca fascista.
Oggi Latina vuol dire Lega. Il travaso degli ex missini, di quella classe politica cresciuta attorno al mito di Littoria e di “quando c’era lui”, è stato massiccio.
Il crollo – giudiziario, politico – dell’enfant prodige di Fratelli d’Italia è stato il vero motore dell’assalto alla diligenza di Matteo Salvini.
Certo, contava il marchio, in quello che in questa terra appare oggi più come una sorta di franchising politico che una vera e propria struttura di partito. Il dato certo è che i quadri di Matteo Salvini hanno quasi tutti un passato nero, in alcuni casi nerissimo. Orlando Tripodi, fino al 2016 in Forza nuova, è diventato il capogruppo leghista in Consiglio regionale, dopo aver perso sonoramente le elezioni comunali con una lista civica.
L’ex An Matteo Adinolfi in quello stesso anno è passato alla Lega, guadagnando un posto in consiglio comunale, per poi essere eletto deputato europeo nelle ultime elezioni del 2019.
Proviene dalla destra – il sindacato UGL – anche Claudio Durigon, deputato della Lega e responsabile del dipartimento lavoro del partito. Ma è il sentiment quello che conta nella città , nella antica Littoria.
La base della destra a Latina ha radici profonde nella squadra di calcio. E nei clan di Campo Boario. È questa la terra di mezzo dove – secondo le indagini – si incontrano politica, tifoserie e manovalanza criminale.
Gruppi ultras duri, ascoltati, nel 2014, mentre nella loro sede preparavano spranghe di ferro da portare in trasferta. Pronti, quando serviva, a spostare voti.
Il Latina fino al 2017 è stato il regno assoluto di Pasquale Maietta. E del suo amico di sempre, Costantino “Cha cha” Di Silvio, uno dei primi esponenti dei clan a finire agli arresti. Aveva un ruolo di primo piano, sempre presente nelle trasferte, pronto ad accompagnare le autorità nella tribuna Vip. In città lo conoscevano come l’amico fedele dell’ex tesoriere di Fratelli d’Italia, che lo accompagnava spesso nello struscio tra i negozi del centro.
Il fantasma dei Di Silvio
Negli ultimi mesi nel feudo della destra laziale, per sentire parlare di politica, conviene affacciarsi nell’aula del Tribunale, ascoltando le testimonianze nel processo chiamato “Alba pontina”, istruito dalla Dda di Roma.
L’accusa per i membri del clan è pesante, associazione mafiosa. Alcuni imputati sono già stati condannati con rito abbreviato nei mesi scorsi e oggi il dibattimento principale sta diventando una sorta di schermo gigante dove scorre la storia della città . Una presenza asfissiante, fatta di piccole e grandi estorsioni: «Non era necessario usare le armi – ha raccontato un collaboratore – non c’era bisogno perchè ormai la gente sapeva che ti sparavano». Bastava il nome per abbassare la testa.
Quando, nel 2015, scattò la prima operazione contro il clan Sinti, accadde qualcosa di mai visto. Un senso di liberazione sembrò attraversare al città .
La sera degli arresti – che colpirono anche l’amico fidato di Maietta, “Cha cha” Di Silvio, oggi in carcere – una folla andò in corteo verso la Questura.
Dal portone si affacciarono gli agenti della squadra mobile e i due poliziotti che avevano cambiato le sorti della città , il questore Giuseppe De Matteis (oggi a Torino) e chi aveva condotto le indagini, Tommaso Niglio. Vennero simbolicamente abbracciati, quel sistema di potere stava iniziando a sgretolarsi.
L’ascesa dei Di Silvio – e la loro potenza – nasceva da una alleanza, profonda, che durava da anni. Visibile a tutti, ma coperta dal silenzio. Dopo aver preso in mano il narcotraffico nel capoluogo, il clan aveva la necessità di entrare in qualche maniera nell’economia visibile. Non avevano, tra i loro uomini, chi era in grado di far girare il denaro, di ripulirlo, di farlo tornare visibile. L’alleanza con la classe imprenditoriale e con alcuni commercialisti li rese forti, in grado di penetrare i salotti buoni della città .
Il suicidio dell’avvocato
Mancavano due giorni al Natale del 2015 quando l’avvocato di Latina Paolo Censi, già presidente della Camera penale, si toglie la vita nel suo studio. La squadra mobile tra le sue carte trova la traccia che porterà ad una svolta nelle indagini sul Latina calcio e su Pasquale Maietta: «Dei fogli di un Block notes strappati, gettati al secchio e sui quali erano riportate diverse parole che, collegate tra loro, evidenziavano l’esistenza di uno scenario inequivocabile», scrivono i magistrati nell’ordinanza di custodia cautelare che, nel 2018, porterà in carcere l’ex tesoriere di Fratelli d’Italia.
In particolare due erano i riferimenti che colpirono gli investigatori: “Svizzera” e “Riciclaggio”.
Due anni dopo uno degli uomini di fiducia del clan Sinti di Latina, Renato Pugliese, figlio illegittimo di “Cha cha” Di Silvio, inizia a collaborare.
Ricostruisce il potere di quel mondo dove convivevano pezzi di politica, commercialisti scaltri e manovalanza criminale. Ricorda anche quel suicidio del 23 dicembre 2015, dando elementi importantissimi: «Riccardo Agostino (altro membro del clan, anche lui oggi collaboratore di giustizia, ndr) mi diceva che dietro la morte di Censi ci fosse una questione di soldi in Svizzera, circa 50-60 milioni di Maietta».
Le successive indagini, con rogatoria in Canton Ticino, sono riuscite a ricostruire il percorso solo di una parte di quel tesoro.
I primi racconti di Pugliese escono sui giornali il 26 aprile dello scorso anno. Tre giorni dopo, nella notte tra il 29 e il 30 aprile sulle chat WhatsApp frequentate anche da ultras del Latina calcio appare un video. È Cha cha Di Silvio, il padre del collaboratore, che gira nudo su un risciò a Milano Marittima, gridando «Come la va onorevole?», riferendosi, evidentemente, a Pasquale Maietta. Il video era stato girato cinque anni prima, secondo le ricostruzioni dei giornali locali, durante una trasferta del Latina. Un messaggio ben chiaro, il segno che il “sistema Latina” si è solo immerso.
La batteria elettorale
Le indagini non si sono fermate alla pista Svizzera. La collaborazione di Pugliese apre scenari inediti. Che arrivano fino al mondo politico di oggi, sfiorando i dirigenti passati dalla destra dura alla Lega di Matteo Salvini.
L’attuale sindaco della città , Damiano Coletta, cardiologo, eletto con una lista civica quando la destra crollò dopo le prime indagini, non ha nessun dubbio. Esiste un “sistema Latina”: «Abbiamo dovuto ricostruire l’intera macchina amministrativa, ricreare le procedure, non è stato facile». Ha provato, da primo cittadino, a chiedere aiuto a Salvini ministro dell’Interno il 29 settembre del 2018. Il leader della Lega stava per arrivare in città , per un comizio in un terra dove il consenso cresceva. Coletta ha chiesto un incontro, formalmente, per consegnare una nota dove raccontava come per il capoluogo pontino non si poteva più parlare solo di infiltrazione della mafia, ma di gruppi autoctoni, «non senza la compiacenza o almeno la colpevole disattenzione della classe politica».
Tutto era pronto, ma due ore prima dalla Prefettura cancellano l’incontro. Salvini arriva in città , ignorando quella richiesta di aiuto, e sul palco fa salire un volto che Damiano Coletta conosceva bene, Orlando Tripodi, oggi capogruppo della Lega in consiglio regionale.
Era uno dei suoi avversari nel 2016, esponente dell’estrema destra prima di entrare nel partito di Salvini. Ed è uno dei tanti nomi entrati nel racconto del figlio di “Cha cha”, Renato Pugliese: «La campagna elettorale per Tripodi l’ha fatta Giancarlo Alessandrini con Sabatino Morelli e qualcuno che frequentava la curva», ha raccontato ai magistrati.
Quel gruppo era una sorta di batteria elettorale composta da ultras ed esponenti delle famiglie Sinti, i Morelli.
I clan, nel 2016, si erano divisi i candidati della destra come si fa con una piazza di spaccio, racconta Pugliese: «Noi abbiamo fatto la campagna per Noi con Salvini (…) allora avevamo l’incarico dell’attacchinaggio».
Il figlio di “Cha cha” operava nella politica insieme a un altro esponente dei clan, Agostino Riccardo, che ha iniziato a collaborare poco dopo. E in aula Riccardo ha aggiunto altri particolari, altri nomi del mondo politico della destra. Partendo dall’elezione di Maietta nel 2013. L’ex tesoriere di FdI alla Camera risultò il primo dei non eletti ed entrò solo per la rinuncia di Fabio Rampelli, presente anche in altri collegi.
Una scelta politica, ha sostenuto il vicepresidente della Camera. Un’imposizione dei clan, ha raccontato Agostino Riccardo: «L’onorevole Rampelli fu minacciato per dimettersi».
Il racconto del collaboratore attraversa gli ultimi anni della politica pontina, segnata da una sorta di passaggio del testimone. Prima l’appoggio a Maietta e Fratelli d’Italia, poi l’azione dei Di Silvio si sarebbe spostata sulla Lega: «In queste (elezioni) più recenti avevamo un candidato particolare, Adinolfi, il commercialista. Lo incontrammo nella sede di Noi con Salvini», ha dichiarato in aula il 7 gennaio scorso, citando per la prima volta l’eurodeputato della Lega. E potrebbe essere solo l’inizio di nuove inchieste. Tanti omissis coprono, ancora oggi, molti verbali.
(da “L’Espresso”)
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