Gennaio 9th, 2020 Riccardo Fucile
E’ DI ORIGINI RUSSE, LA SUA TESTIMONIANZA E’ STATA SEGRETATA
Una donna entra nell’inchiesta sui fondi russi per la Lega e l’ormai famoso incontro al Metropol. Di origini russe, alta e con i capelli neri lisci, è stata ascoltata per ore dai pm della procura di Milano che indagano su Gianluca Savoini, braccio destro di Matteo Salvini, e gli altri due italiani indagati nel fascicolo aperto per corruzione internazionale, ovvero Gianluca Meranda e Francesco Vannucci anche loro presenti all’incontro presso l’albergo moscovita del 18 ottobre 2018.
Sull’identità di questa donna c’è il massimo riserbo e anche il verbale della donna – ascoltata sommarie informazioni – è stato secretato.
Nel pomeriggio, in procura i pm Sergio Spadaro e Donata Costa assieme ai militari della guardia di finanza e a un’interprete, hanno raccolto quindi una nuova testimonianza sulla vicenda che fa tremare i vertici della Lega: l’ipotesi alla base dell’inchiesta è che l’incontro al Metropol servisse per organizzare un acquisto di petrolio dai russi e usare parte del passaggio di denaro per finanziare la campagna elettorale del partito di Salvini.
La Cassazione a metà dicembre aveva confermato la legittimità dei sequestri della procura di Milano nei confronti di Gianluca Savoini.
Tornando a ribadire la validità dell’elemento di prova su cui si incardina l’accusa di corruzione internazionale, ovvero l’audio dell’incontro al Metropol di Mosca. Un’ulteriore conferma degli atti di indagine firmati dai sostituti procuratori che, con il coordinamento del procuratore aggiunto Fabio De Pasquale, stanno lavorando all’inchiesta: nelle mani degli investigatori ci sono tre cellulari di Savoini, una chiavetta usb e una serie di documenti trovati dalla guardia di finanza a casa del fedelissimo di Salvini.
L’inchiesta giudiziaria era partita dopo che a febbraio 2019 l’Espresso aveva pubblicato il primo articolo con cui svelava la trattativa del Metropol per ottenere finanziamenti alla Lega. A luglio il sito Buzzfeed aveva pubblica la trascrizione della registrazione e alcuni audio dell’incontro con i russi.
(da agenzie)
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Gennaio 9th, 2020 Riccardo Fucile
RITIRO DELLE FIRME CONTRO IL TAGLIO DEI PARLAMENTARI E GERMANICUM PER RIFORMARE LA LEGGE ELETTORALE
Le coincidenze, in politica, raramente esistono. C’è una logica nelle cose.
In questo caso la logica che unisce fatti, apparentemente, senza un nesso comune è il grande pressing sulla Corte Costituzionale, che il 15 gennaio, si riunisce per decidere l’ammissibilità del referendum abrogativo sulla legge elettorale, il cosiddetto “referendum Calderoli”.
Se la Corte darà il via libera, gli italiani voteranno per eliminare dal Rosatellum la quota proporzionale con le liste bloccate. Detta in sintesi: in caso di vittoria del sì l’Italia diventerebbe come il Regno Unito, dove si eleggono tutti parlamentari in collegi uninominali.
Bene, torniamo ai fatti, che coincidenze non sono.
Il primo, proprio oggi, è che è stato rinviato il deposito in Cassazione delle 64 firme necessarie per chiedere l’altro referendum, questa volta confermativo, sul taglio dei parlamentari.
Il senatore di Forza Italia, Andrea Cangini,, ha spiegato che “quattro parlamentari hanno chiesto di ritirare la firma, mentre altri hanno chiesto di aggiungerla”. Sarebbero otto i parlamentari di Forza Italia, che hanno cambiato idea, proprio mentre si stava chiudendo il verbale provocando così uno slittamento dei tempi (le firme dovrebbero essere depositate entro il 12).
E, nelle ore successive, è accaduto che il dubbio ha assalito un numero crescente di parlamentari che, inizialmente, avevano firmato sicuri che il referendum avrebbe allungato la legislatura.
Sempre oggi, l’altro fatto: la fumata bianca, dopo mesi di chiacchiere, sulla legge elettorale. Nero su bianco, è stata depositata alla Camera un disegno di legge che prevede un “sistema tedesco”: proporzionale con una soglia di sbarramento al 5 per cento e un diritto di tribuna per chi non lo raggiunge. Insomma, il proporzionale, ovvero l’opposto di quel che produrrebbe il referendum di quel diavolaccio di Calderoli.
Adesso la logica che li mette in fila. Che non c’entra col tema: allunga o no la vita della legislatura, argomento che è diventato negli ultimi tempi un tormentone.
La durata della legislatura non c’entra, anche perchè si è capito che dura.
C’entra una questione “tecnica” per nulla irrilevante. In parecchi si sono accorti che un referendum tira l’altro e cioè che quello sul taglio dei parlamentari potrebbe contribuire a rendere ammissibile l’altro sulla legge elettorale.
Ecco, a nessuno è venuta una crisi di coscienza a difesa del Parlamento per come è oggi, ma è scattato un allarme sulla dinamica che innesca sulla decisione della Corte. Vediamo il perchè.
Calderoli, per rispondere alla domanda sulla auto-applicabilità del suo referendum elettorale, aveva agganciato nel quesito la delega per ritagliare i collegi in seguito al taglio dei parlamentari. Delega presente nella leggina 51 del 2019.
Ha cioè detto alla Corte, detta in modo grossolano ma efficace: io non ho i collegi, ma ho la delega che vi porta ad ammettere il mio quesito. Non la meta, ma la strada che ti porta alla meta.
Il che significa questo: se nessuno chiedesse il referendum sul taglio dei parlamentari, la delega per fare i collegi partirebbe subito, prima della decisione della Corte. E morirebbe prima del referendum elettorale.
Quindi la Corte potrebbe chiudere il discorso dichiarando inammissibile il quesito sul Rosatellum. Diciamola sempre in modo grossolano: caro Calderoli, tu mi proponi di risuscitare un morto, perchè la delega è stata già usata, quindi non ti ammetto. Se invece ci sono le firme, e dunque si celebra il referendum confermativo sul taglio dei parlamentari, la delega è “dormiente” ma viva .
E Calderoli a quel punto non è più colui che propone di ri-suscitare un morto, ma colui che propone di svegliare un dormiente.
Conclusione: è più probabile che il 15 gennaio la Corte possa ammettere il referendum sulla legge elettorale, perchè ci sarebbero tutti i presupposti giuridici.
Non è dato sapere come e perchè in parecchi si siano accorti proprio oggi del giochetto. Forse per disattenzione o per la complessità della materia che è, al tempo stesso, un uovo di colombo politico e un rompicapo giuridico.
Sia come sia quel che sta accadendo è una pirandelliana inversione dei ruoli. Parecchi, con l’intento di azzoppare Calderoli vogliono ritirare le firme, mentre la Lega sta favorendo la raccolta, anche se non direttamente tra le truppe della Lega. Non a caso Salvini ha dichiarato “io i referendum li farei su tutto”.
Ecco il punto: il verdetto della Corte. Così come è un messaggio alla Corte la proposta di legge proporzionale depositata oggi in Parlamento.
È come dire: non c’è bisogno che ammettiate il referendum perchè la legge è in grado di farla il Parlamento, senza bisogno che venga attivato un meccanismo di supplenza, come accaduto altre volte, con la Consulta che, di fronte a un Parlamento non in grado di decidere, favorisce che si esprima in materia il corpo elettorale.
Questa la logica che spiega le coincidenza. Il tentativo di sterilizzare la decisione del 15. Perchè il quesito di Calderoli è davvero insidioso. Rappresenta l’ultima occasione di fare dell’Italia un paese maggioritario, che interpreta un sentimento diffuso e un certo spirito che nel paese c’è sin dagli storici referendum del ’92 e del ’93.
E anche all’interno della Corte non trova una palese ostilità , se non ci dovessero essere palesi ostacoli giuridici. E infatti, anche se formalmente i giudici ancora non ci hanno messo la testa, le voci informate che circolano nei Palazzi raccontano di una riflessione aperta, da parte di chi ci ha buttato un occhio.
Per completare il quadro giova ricordare che il Parlamento è sempre sovrano e in materia di legge elettorale può intervenire sia prima che dopo il referendum ma, se il quesito viene ammesso, è norma che non possa andare nella direzione opposta, a maggior ragione dopo il pronunciamento popolare.
La proposta depositata oggi è, invece, esattamente l’opposto.
(da “Huffingtonpost”)
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Gennaio 9th, 2020 Riccardo Fucile
SPUNTA UN DOCUMENTO IN CINQUE PUNTI: SEPARAZIONE FRA RUOLI DI GOVERNO E INCARICHI NEL M5S
Il Movimento Cinque Stelle continua a perdere pezzi. i deputati Massimiliano De Toma e Rachele Silvestri hanno infatti lasciato il gruppo alla Camera e sono transitati nel gruppo Misto.
Un addio che arriva alla vigilia dell’importante appuntamento di questa sera quando si svolgerà l’assemblea congiunta di senatori e deputati. A cui parteciperà anche Davide Casaleggio.
Una prova del fuoco per Luigi Di Maio che dovrà affrontare il malcontendo dei suoi parlamentari. Anche se il sottosegretario agli Esteri Manlio Di Stefano dice: “Non credo che si presenti in difficoltà , così come non credo in questo momento interessi dell’assemblea agli italiani”.
In vista di questa riunione alcuni senatori grillini hanno preparato un documento in cinque punti da presentare all’assemblea. Il primo punto prevede un posizionamento politico di M5s definitivamente nel fronte riformista e dunque nella parte progressista del paese. Anche se non viene disdegnato il contributo della migliore cultura sovranista.
La seconda questione che i senatori pongono è quella del rapporto fra i gruppi parlamentari e il governo, con la richiesta di concertare meglio tutta la parte che riguarda la decretazione d’urgenza.
La terza questione riguarda la piattaforma Rousseau: si chiede che diventi uno strumento gestito dal Movimento con un comitato dei garanti che supervisioni la rete alla quale M5s si affida per le decisioni.
Poi si chiede che non vi siano sovrapposizioni fra ruoli di governo e ruoli organizzativi interni al Movimento. La proposta dei senatori affronta anche la spinosa questione delle rendicontazioni.
I senatori chiedono che il Movimento continui su questa strada, ma propongono che il sistema venga rivisto . Fonti dello staff grillino hanno fatto sapere che il documento non sarà discusso e lo sarà ai prossimo stati generali del Movimento. E che lo hanno firmato solo tre senatori. Ma a scriverlo sarebbero stati in sette, guidati dal senatore Dessì.
Intorno a questo testo si combatte dunque la nuova battaglia interna al Movimento. Perchè il testo è un attacco al doppio incarico di Luigi Di Maio e un altro, ancora più netto, alla piattaforma Rousseau. Il tutto contenuto in un documento presentato all’assemblea dei senatori. Tre pagine che certificano il profondo dissenso interno al M5S e che chiedono che al vertice ci sia “un organo collegiale democraticamente eletto”.
(da “Huffintonpost”)
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Gennaio 9th, 2020 Riccardo Fucile
SALVO CHE NON VOGLIA APPOSTARSI LEI PERSONALMENTE DAVANTI ALL’USCIO DELLE ABITAZIONI PER SVENTARE I FURTI
Lucia Borgonzoni ha fatto un’altra promessa elettorale
Vuole fare accordi con le forze dell’ordine per permettere loro di contrastare la criminalità
Ma non c’è bisogno di accordi specifici per far fare alle forze dell’ordine quello che già fanno
«Siglerò accordi con le Forze dell’ordine per contrastare fenomeni criminali sempre più preoccupanti, come i furti nelle abitazioni» — scrive Lucia Borgonzoni su Facebook parlando del tema sicurezza e dello spazio che dedicherà a questo argomento all’interno del suo programma, una volta diventata presidente della regione Emilia-Romagna. Lo scrive e dopo aver postato una foto in cui, sorridente, saluta alcuni rappresentanti delle forze dell’ordine e dopo aver annunciato l’istituzione di uno specifico assessorato alla sicurezza in caso di sua elezione.
«Sempre una gioia e un privilegio poter stringere la mano a chi, indossando una divisa, difende ogni giorno la sicurezza dei cittadini e del territorio — ha scritto la candidata leghista -. Mentre il PD di Bonaccini vuole cancellare i Decreti sicurezza (!), io da presidente istituirò proprio un Assessorato specifico alla Sicurezza e aumenterò i fondi per la videosorveglianza».
Poi, arriva la parte sugli accordi da siglare con le forza dell’ordine per sventare i furti nelle abitazioni. Se è pacifico far rientrare nella disputa elettorale l’enfasi su alcune tematiche, è pur vero che promettere cose che, in realtà , sono già previste dal normale ordinamento civico del nostro Paese (non solo in Emilia-Romagna) è una misura un tantino eccessiva per accattivarsi l’elettorato.
Le forze dell’ordine non hanno bisogno di siglare accordi specifici, tantomeno con i presidenti delle regioni, per sventare i furti nelle abitazioni.
Un’altra cosa, invece, è promettere l’istituzione di un assessorato alla sicurezza, misura senz’altro sui generis, ma perfettamente in linea con la politica della Lega su questo particolare aspetto della gestione e del controllo del territorio.
Proprio nella giornata di oggi, Lucia Borgonzoni era stata al centro di una disputa con il principale sfidante in Emilia-Romagna, Stefano Bonaccini. Quest’ultimo l’aveva accusata di aver proposto due leggi, una per tutelare le rievocazioni storiche in regione e un’altra per istituire un assessorato al turismo, che erano già operative da anni sul territorio dell’Emilia-Romagna, proprio grazie alla precedente attività amministrativa del centrosinistra.
Era stata questione con cui aveva inaugurato la campagna elettorale, invece, quella relativa all’apertura degli ospedali la notte, il sabato e la domenica «come in Veneto». Un’affermazione che aveva subito solleticato l’ilarità dei social network.
(da agenzie)
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Gennaio 9th, 2020 Riccardo Fucile
PICCOLO CABOTAGGIO POLITICO SENZA COERENZA E SOLO IN NOME DELLA CONVENIENZA DEL MOMENTO
La notizia ha dell’incredibile e a riportarla è l’agenzia di stampa AGI: la Lega è “al lavoro” per dare supporto al referendum costituzionale sulla riforma che introduce il taglio dei parlamentari.
Lo riferiscono fonti del partito di via Bellerio. La Lega, con le firme di alcuni suoi senatori, dovrebbe così sopperire alle sottoscrizioni mancanti che oggi hanno costretto i referenti a rinviare il deposito in Cassazione, e permettere il raggiungimento delle 64 firme necessarie per poter presentare il quesito referendario in Cassazione.
Il cambio di strategia, riferisce ancora l’agenzia di stampa, è stato deciso dopo che alcuni senatori, tra cui 4 di Forza Italia, hanno ritirato la loro.
La notizia ha dell’incredibile perchè proprio la Lega ha votato insieme al MoVimento 5 Stelle la legge per il taglio dei parlamentari.
Non solo: a settembre, dopo il ritiro della mozione di sfiducia nei confronti di Conte, proprio Matteo Salvini in Aula al Senato aveva proposto al MoVimento 5 Stelle di votare in quarta lettura il taglio dei parlamentari per poi andare alle elezioni.
Adesso ci sarebbe quindi un clamoroso dietrofront. Nessun senatore leghista finora aveva firmato a sostegno del referendum, tranne le due new entry Ugo Grassi e Francesco Urraro, che pero’ si erano dichiarati a favore del quesito prima di passare al partito di via Bellerio, quando erano ancora nel Movimento 5 stelle.
Il cambio di strategia, spiega però l’agenzia di stampa, è una scelta dettata dall’opportunità politica di non perdere l’occasione di contribuire a un gesto che comunque potrebbe ‘scavare’ una “piccola breccia” nel muro della maggioranza — viene spiegato — e indebolire il governo in carica.
Un altro motivo che ha spinto i leghisti a cambiare orientamento è la convinzione che un eventuale referendum sul taglio degli eletti possa, combinato, andare a rafforzare l’altro referendum caro alla Lega, quello che abroga la parte proporzionale del Rosatellum.
(da “NextQuotidiano”)
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Gennaio 9th, 2020 Riccardo Fucile
“COLPIRA’ IL BIOMEDICALE” SOSTIENE MENTRE VISITA UN’AZIENDA DEL SETTORE… NON HA LETTO CHE LA LEGGE FINANZIARIA ESCLUDE LE IMPRESE DEL SETTORE BIOMEDICALE
Lo scivolone della Borgonzoni sulla legge regionale per i carnevali è nulla di fronte a quello che ha scritto sulla Plast Tax.
Come tutti sanno la cosiddetta Plastic Tax è assieme alla sugar tax uno dei cavalli di battaglia della Lega e di Matteo Salvini nella propaganda contro il Governo.
La senatrice leghista è andata in visita alla HMC Premedical di Mirandola (Modena) e ha lanciato un appello a favore del genio imprenditoriale del territorio.
Purtroppo, scrive la Borgonzoni «gli effetti distorsivi della PLASTIC TAX, voluta proprio dal PD di Bonaccini, rischiano di avere ripercussioni anche per il biomedicale».
La HMC infatti è un’azienda che produce e commercializza su scala mondiale dispositivi medici. Tra questi ci sono ad esempio cannule per l’aspirazione, apparati per l’artroscopia o l’endoscopia, prodotti veterinari, sacche per la nutrizione parenterale o per il drenaggio toracico.
La maggior parte di questi prodotti medicali è fatta in plastica e secondo la Borgonzoni l’aumento della tassazione ( 0,45 euro per chilogrammo di materia plastica) rischia di penalizzare l’attività dell’azienda.
A parte il fatto che qualsiasi azienda che produce materie plastiche si può rifare sul cliente finale (e non sarebbe la prima volta, le accise sulla benzina non hanno certo penalizzato l’industria petrolifera).
Il problema è che nello specifico quello che dice la candidata leghista non è vero.
Lucia Borgonzoni, che è senatrice e che ha avuto modo di leggere e votare la legge di Bilancio dovrebbe saperlo.
Perchè all’articolo 634 della LEGGE 27 dicembre 2019, n. 160 recante il Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2020 e bilancio pluriennale per il triennio 2020-2022 si parla dell’imposta sul consumo dei manufatti con singolo impiego (MACSI), vale a dire la plastic tax.
Si legge che «sono esclusi dall’applicazione dell’imposta i MACSI che risultino compostabili in conformità alla norma UNI EN 13432:2002, i dispositivi medici classificati dalla Commissione unica sui dispositivi medici, istituita ai sensi dell’articolo 57 della legge 27 dicembre 2002, n. 289, nonchè i MACSI adibiti a contenere e proteggere preparati medicinali».
In buona sostanza le aziende che producono dispositivi medicali sono escluse dal pagamento della Plastic Tax.
Ma Lucia Borgonzoni, che si candida a governare l’Emilia-Romagna e che è senatrice della Repubblica, questo non lo sa.
(da agenzie)
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Gennaio 9th, 2020 Riccardo Fucile
NEL 2011 VOTO’ A FAVORE DEL DECRETO N° 201 DEL 06-12-2011 CON IL QUALE MONTI ABBASSO’ LA SOGLIA DEL CONTANTE DA 3000 A 1000 EURO… CON CHE FACCIA OGGI SOSTIENE L’OPPOSTO?
Ieri su Twitter il senatore della Lega Alberto Bagnai ha rivelato l’esistenza di una lettera inviata dalla Banca Centrale Europea al ministro dell’Economia Roberto Gualtieri e ai presidenti di Camera e Senato. Nella missiva si legge che la BCE chiede di essere consultata in merito alla conversione in legge del decreto numero 124 del 26 ottobre 2019. In particolare la Banca Centrale Europea è interessata all’articolo 18, quello recante modifiche al regime dell’utilizzo del contante.
Come è noto infatti il Governo ha deciso di abbassare la soglia per i pagamenti in contanti alla cifra di 2.000 euro a partire dal 1° luglio 2020 (oggi il tetto per il pagamento in contanti è di 3 mila euro) e a mille euro a decorrere dal 1° gennaio 2022.
Secondo la BCE questo limite rischierebbe di penalizzare le persone meno abbienti (non è molto chiaro come, a meno che non si intenda persone che non hanno la possibilità di avere un conto corrente) e gli anziani.
Oltre a questo la BCE sottolinea che «mentre in uno Stato membro possono esistere in generale altri mezzi legali di estinzione dei debiti pecuniari diversi dai pagamenti in contanti, la loro disponibilità in tutti gli strati della società a costi comparabili con i pagamenti in contanti dovrebbe essere verificata con attenzione dalle autorità nazionali competenti» e che i metodi di pagamento alternativi al contante «possono non costituire delle alternative del tutto equivalenti».
Ora, mentre Bagnai gongola per la ramanzina della BCE vale la pena ricordare che non è la prima volta che in Italia si abbassa o si ritocca il limite per i pagamenti in contanti. Nel 2007 era fissata a 12.500 euro. Prima del 2011, quando il governo Monti decise di limitare i pagamenti cash ad un massimo di mille euro, il limite era stato molto più alto: 5.000 euro nel 2010.
Poi con la manovra economica del governo Renzi del 2016 venne nuovamente alzata per consentire i pagamenti in contanti fino a 3.000 euro. In tutti questi cambiamenti il parere della BCE, se c’è stato, o non è stato vincolate o è stato ignorante.
I sovranisti però oggi scoprono che il parere della BCE è importante. Il che è un paradosso, perchè sono quelli che dicono che deve essere il Governo a decidere le questioni nazionali senza intromissioni da parte delle istituzioni comunitarie.
Sovranisti sì, ma solo quando fa comodo. Oppure la BCE ha anche scritto cose buone.
Il caso più interessante però è quello di Giorgia Meloni, che già qualche tempo fa tuonava contro la decisione del Governo spiegando che «se un papà vorrà donare più di 1000€ al proprio figlio dovrà per forza farlo con bonifico, altrimenti multa salata» e che l’abbassamento della soglia del contante «ci riporta ai tempi di Monti».
Oggi la leader di Fratelli d’Italia gongola: la BCE le ha dato ragione e rivendica che il suo partito «è l’unica forza politica che porta avanti con coerenza la battaglia per la libertà del contante».
Che Fratelli d’Italia sia un partito coerente lo potremo dire quando sarà al governo e farà le cose che ha promesso di voler fare mentre stava all’opposizione.
Sulla coerenza di Giorgia Meloni invece possiamo sollevare qualche dubbio, perchè nel 2011 votò a favore alla conversione in legge del decreto numero 201 del 6 dicembre 2011, quello con cui il governo Monti abbassò il limite dei pagamenti in contanti da tremila a mille euro.
È così che si porta avanti la battaglia per la libertà del contante?
(da “NextQuotidiano”)
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Gennaio 9th, 2020 Riccardo Fucile
IL SEQUESTRATORE DI PERSONE E’ PASSATO DAL “MI VOGLIONO PROCESSARE PERCHE’ VINCO” AL “NON MI VOGLIONO PROCESSARE PERCHE’ HANNO PAURA DI PERDERE”
Dopo settimane passate a lamentarsi perchè lo vogliono mandare a processo Matteo Salvini oggi ha deciso che è una buona occasione per lamentarsi del fatto che non lo vogliono far processare.
La vicenda è sempre quella di Nave Gregoretti della Guardia Costiera. In in Giunta per le immunità PD M5S e Leu, ha detto il senatore Maurizo Gasparri, hanno chiesto un rinvio del voto in Commissione (che precede quello dell’Aula) previsto per il 20 gennaio.
«Hanno paura di perdere la faccia, sono senza onore e senza dignità » ha scritto Salvini su Facebook spiegando con una card di quel genio di Morisi che il rinvio del voto è stato chiesto perchè il PD e il M5S hanno «il terrore di perdere in Emilia-Romagna». Dimenticando però che PD e M5S questa volta non sono alleati, e che in ogni caso anche dopo il voto in Commissione ci dovrà essere quello al Senato.
Fa sorridere che uno che ha tenuto a mollo un centinaio di persone facendo credere agli italiani che rappresentassero un pericolo per il Paese parli di dignità e onore.
Ieri però il leader del Carroccio dichiarava il contrario: «Vogliono processarmi perchè sanno che vinco in Emilia-Romagna», teorizzando che qualcuno volesse farlo fuori per via giudiziaria.
Ma oggi è un altro giorno e quindi l’accusa e di non volerlo processare perchè sanno che vince. Sulla stessa linea anche Lucia Borgonzoni che mentre sorseggia un caffè dà la notizia ai suoi elettori: «pensate che hanno chiesto stamattina di RIMANDARE il voto sul processo a Salvini a dopo le elezioni in Emilia-Romagna. Secondo voi perchè?».
Il tentativo della macchina della propaganda è quello di invertire la narrazione. Da Salvini che scappa dal processo — pur dicendo di essere pronto a farsi processare e ad andare in galera — con la storia che la decisione di tenere i migranti a bordo della Gregoretti è stata presa in maniera collegiale da tutto l’esecutivo al PD che scappa dalla responsabilità di decidere di mandare Salvini a processo per evitare di perdere le elezioni.
La soluzione sarebbe semplice: Matteo Salvini potrebbe prendersi le sue responsabilità e dire che vuole essere processato. Curiosamente però non lo fa.
Si limita a dichiarazioni come quella fatta a Castellarano (Reggio Emilia) «Oggi c’è stata la giunta al Senato e i giornalisti mi chiedono se ho paura del processo, io dico che se devo andare in tribunale per aver difeso i confini ci andrò a testa alta».
Dal momento che dal campo avversario non c’è alcuna spiegazione per la richiesta di rinvio del voto, quindi Salvini&Co hanno buon gioco a far passare quel messaggio.
C’è pure un “precedente” volendo. Quando si doveva votare per le regionali in Umbria il Governo decise cinicamente di ignorare le richieste della Ocean Viking di un place of safety per consentire lo sbarco dei 104 migranti soccorsi in mare una settimana prima del voto.
Una scelta dettata dalla volontà di non dare a Salvini e alla Lega pretesti per fare campagna elettorale ma che si è rivelata fallimentare.
Gli elettori del PD non capirono come mai non c’era alcuna discontinuità con la gestione Salvini. I leghisti invece non avevano certo bisogno di ulteriori “prove” per parlare del presunto immigrazionismo della sinistra.
Il giorno dopo la sconfitta tutti nel centrosinistra corsero a chiedere di far sbarcare quei migranti dimostrando che erano stati tenuti a mollo solo per convenienza elettorale.
Anche per il caso Gregoretti il governo e la maggioranza non dovrebbero aver paura. Perchè è sicuramente vero gli elettori di Salvini lo vedranno come un martire dopo il voto in Senato ma è anche vero che il PD non deve parlare agli elettori della Lega bensì ai suoi. Così come la popolarità di Conte è salita dopo il discorso a Salvini in Senato ad Agosto anche un voto per l’autorizzazione a procedere nei confronti di Salvini potrebbe essere vista come una svolta rispetto al passato.
Certo, non è l’abolizione dei Decreti Sicurezza, ma è senza dubbio un segnale che una discontinuità c’è. Il PD e il M5S non hanno nulla da temere dal voto sulla Gregoretti: Salvini sta già usando le due opzioni — “mi processano perchè vinco” e “non mi vogliono processare per paura” — a suo vantaggio.
Ci sono decine di post e di interviste in cui Salvini chiede di essere processato e rivendica di “aver bloccato uno sbarco di immigrati”. Il PD o il M5S possono semplicemente prendere quelle dichiarazioni e dire che stanno assecondando i desideri di Salvini, deciderà poi il giudice se è colpevole o meno.
C’è il rischio che Salvini si presenti come un perseguitato che ha lottato per difendere l’Italia? Sì, ma Salvini lo sta già facendo ora, quindi la situazione non può certo peggiorare.
Anche perchè a difendere Salvini ci pensa già Gasparri, che oggi ha dichiarato che la mancanza di una riunione dei Consiglio dei Ministri sul caso Gregoretti lungi dal dimostrare che Salvini ha fatto tutto da solo in realtà dimostra il contrario: «il fatto che non si sia riunito il Consiglio dei ministri vale per un rafforzamento dell’operato di Salvini, perchè non c’è stata nessuna riunione collegiale che abbia espresso un indirizzo diverso da quello assunto da Salvini nella gestione della vicenda».
Con argomentazioni giuridiche così di cosa ha paura Salvini?
(da “NextQuotidiano”)
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Gennaio 9th, 2020 Riccardo Fucile
NON AVENDO UNA VISIONE DEL MONDO CHE VADA AL DI LA’ DEL CORTILE CONDOMINIALE, SI TROVANO SENZA PAROLA DI FRONTE AI CONFLITTI INTERNAZIONALI
“Se la Lega fosse al governo…”, “se Fratelli d’Italia fosse al governo…”: è il mantra più in voga dalle parti del sovranismo nostrano, specie da quando la sua componente principale ha deciso di far saltare la prima versione del governo Conte e relegarsi autonomamente all’opposizione.
Già , ma cosa accadrebbe se questi due partiti fossero realmente al governo? Tralasciamo ogni considerazione di politica interna, l’annosa questione migratoria, ogni discorso concernente l’economia, il modello di sviluppo, la visione sociale, la scuola, l’università e quant’altro, e concentriamoci invece sul tema caldo di questi giorni, ossia i venti di guerra che spirano sempre più soffocanti in Medio Oriente e nel Golfo.
Come si comporterebbero Salvini e Meloni se toccasse a loro gestire questa crisi? Quale sarebbe la posizione dell’Italia? Quale il suo ruolo nel delicatissimo scacchiere globale? Cosa direbbero i sovranisti di casa nostra circa il proposito americano di trasferire cinquanta testate nucleari dalla Turchia alla base NATO di Aviano, nel cuore del Friuli Venezia-Giulia amministrato da Fedriga?
Probabilmente, si schiererebbero manu militari con Trump, in parte l’hanno già fatto, ma senza indicare una soluzione che sia una nè assumere una posizione che non sia una mera ripetizione di slogan e frasi fatte oggettivamente ingiustificabili per soggetti che si candidano con tanto vigore alla guida del Paese.
Il dramma del nazionalismo arrembante è proprio questo: la sua totale assenza di soluzioni. Essendo più abili degli altri nell’individuare i problemi e nel capire in che direzione si muova il dibattito pubblico, gli esponenti di questa galassia sono assai lesti nello sbraitare e nel denunciare tutto ciò che non va, ottenendo grazie alla propria intraprendenza e alla filosofia dell’urlo, che di questi tempi paga sempre, risultati elettorali di tutto rispetto.
Peccato che, una volta posti alle prese con la necessità di risolvere problemi enormi, non sappiano spesso da che parte cominciare.
Del resto, il populismo è questa cosa qui: una conseguenza del declino, dello sfacelo delle istituzioni democratiche, della disgregazione del tessuto sociale, della miseria incipiente, del senso di insicurezza e di autentico terrore per il futuro che attanaglia la maggior parte delle persone.
È la spia di un malessere che non può essere ignorato: guai a quell’ampia fascia della sinistra che continua a insultare a dritta e a manca e a rendersi antipatica al punto di perdere i pochi consensi che le sono rimasti.
Guai a chi pensa che vada tutto bene o che l’avanzata di determinati fenomeni sia dovuta a un imbarbarimento censitario, in quanto l’orrore cui assistiamo quotidianamente è senz’altro dovuto anche a una povertà non solo economica, ma la povertà , fino a prova contraria, non è una colpa.
È la condizione straziante di quanti sono costretti a vivere nei quartieri peggiori, nelle aree più disagiate, là dove l’immigrazione viene accolta il più delle volte con profondo razzismo, per il semplice motivo che le risorse davvero non bastano per tutti, là dove il concetto di solidarietà è venuto meno, al pari delle sedi di partiti e sindacati, di luoghi fisici nei quali recarsi, di contatti e punti di riferimento, di prospettive e occasioni lavorative.
Il populismo nasce dal dolore, dalla sofferenza, dalla disperazione, dal rancore e dall’abisso in cui sono costretti a dimenarsi gli ultimi, senza riuscire nemmeno a immaginarsi un domani.
Per questo, Salvini fatica a Bologna, Modena e Reggio, là dove c’è una libreria e un parco pubblico in ogni quartiere, ma dilaga nella “Vandea”, nel contado, nelle periferie esistenziali in cui basta gridare “Prima gli italiani!” per ottenere ascolto.
Non ha altro da dire, è vero, “il suo programma sono le sue felpe”, ha ragione Padellaro, ma tanto gli basta, al momento, per risultare insidioso.
Certo, qualora dovesse occuparsi di equilibri geopolitici, trattati internazionali, accordi con la Libia, trattative riservate con Putin, con la necessità di confrontarsi con i partner europei e di definire una strategia comune con Francia e Germania, andrebbe nel pallone, come probabilmente andrebbe nel pallone la Meloni.
Non a caso, entrambi, in questi giorni, tacciono, almeno a livello televisivo, e se parlano, parlano unicamente d’altro, nel tentativo di spostare l’attenzione dei media e dell’opinione pubblica sugli argomenti a loro più congeniali.
Lo stesso, come avrete senz’altro notato, stanno facendo i giornali d’area, intenti a trattare la crisi del Golfo come una questione di politica interna e ad attaccare gli esponenti del governo, nonchè il commissario Gentiloni, che si stanno interessando della vicenda, ma senza dire altro.
È bastata l’uccisione del generale Soleimani, un dibattito non comprimibile nei confini nazionali, un susseguirsi di vicende non riassumibili in una parola a effetto stampabile su una felpa o gridabile da un palco, è bastata un’incertezza vera, che riguarda il pianeta e non la sagra di paese o il comunello di mille abitanti, per mettere fuorigioco chi, onestamente, non ha una visione del mondo che vada al di là del cortile condominiale.
Questo è il tormento contemporaneo: avere una classe dirigente del tutto priva di complessità . E il primo è proprio Trump, colui che ha scatenato questo disastro e adesso, al netto delle sparate quotidiane con una birra sul tavolo e il cellulare in mano, non sa come uscirne.
Se non fosse il presidente degli Stati Uniti, ci sarebbe da ridere.
(da TPI)
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