Gennaio 10th, 2020 Riccardo Fucile
E’ SOLO UN GIOCO POLITICO DI BASSA LEGA TRA CHI VUOLE DESTABILIZZARE IL GOVERNO PER PRENDERSI “PIENI POTERI” E CHI AMBISCE A STABILIZZARLO
È un pasticciaccio, classico all’italiana: firme ritirate al penultimo minuto da un pezzo di Forza Italia, contrarissima al taglio dei parlamentari, ma che si candida a fare da stampella al governo; firme aggiunte, all’ultimo minuto, dalla Lega che al taglio dei parlamentari è sempre stata favorevole.
Un’orgia di tattica, su queste benedette firme depositate oggi in Cassazione, per capire la quale occorre essere dei frequentatori abituali del Palazzo e aver preso 30 e lode a un esame di diritto costituzionale.
Sostanzialmente racconta questo: che del referendum in sè sul taglio dei parlamentari, che pure è una rilevante riforma costituzionale, non frega niente a nessuno, detta in modo rude ma efficace.
Il che è già un indicatore di una certa cultura politica e istituzionale. Quel che interessa è il gioco politico, la dinamica che si innesca.
Ecco, il pasticciaccio fa sognare alla Lega la “spallata”, chiamiamola così. O meglio: non l’immediata caduta, ma la grande destabilizzazione.
Salvini spera che un referendum tiri l’altro, spera cioè che l’ammissibilità di quello costituzionale faccia da traino alla decisione della Consulta del 15 gennaio su quello elettorale.
Si spiega così la sua dichiarazione altrimenti incomprensibile da Botricello, provincia di Catanzaro: “Abbiamo dato un contributo per avvicinare la data delle elezioni”.
Perchè mai un referendum sul taglio dei parlamentari, su cui sono favorevoli pressochè tutte le forze politiche, e che passerà con un plebiscito, dovrebbe mettere in crisi il governo?
Perchè per il leader della Lega, la mossa di oggi è il primo di una serie di step, il primo e più importante dei quali è, appunto, il pressing che si alzerà sul Palazzo della Consulta, chiamata a pronunciarsi sull’ammissibilità o meno del referendum Calderoli sulla legge elettorale, per il quale, secondo Calderoli, la legge costituzionale ancora sub iudice consente di mantenerne vivi importanti presupposti giuridici.
Insomma, due referendum ad alto impatto da tenere già nella prossima primavera, e presumibilmente qualcosa sarà accorpato alle regionali dove la Lega si prepara alla grande abbuffata: è uno scenario che getta le basi di una grande spinta, quantomeno costringe il Parlamento a legiferare in direzione diversa rispetto a quella all’idea di restaurare la proporzionale, sia pur in lingua tedesca.
Può il Parlamento far finta di niente e infischiarsene, qualora venga ammesso un referendum per il maggioritario, legiferando in senso ostile rispetto al quesito, e prima che si pronuncino i cittadini? Oppure non può non tenerne conto ragionando su ipotesi alternative?
Sembra una questione da legulei, ma invece è una gigantesca questione politica. Per una maggioranza nata con l’idea di impedire i pieni poteri, una legge proporzionale è una clausola di salvaguardia rispetto alla prospettiva dei pieni poteri a Salvini, quando si voterà .
Qualunque ipotesi maggioritaria fondata sui collegi consente al centrodestra, egemone nel paese, di fare asso pigliatutto nei collegi. E, al tempo stesso, rappresenta un cuneo ficcato nell’equilibrio di maggioranza.
Perchè col proporzionale le alleanze si fanno in Parlamento, col maggioritario si fanno prima, il che stressa le contraddizioni di un’alleanza politica mai nata, come quella tra Pd e Cinque stelle.
Sono tutte domande e ragionamenti le cui risposte arriveranno in parte solo il 15 sera, ma che spiegano, sin d’ora, quale sia la posta in gioco e quali siano i bellicosi intenti del leader leghista.
Che, non a caso, oggi si è scagliato contro la sinistra che, “con i trucchetti di Palazzo, vuole tornare a trent’anni fa, ai governi con cinque, sei o sette partiti e cambi di casacca ogni quarto d’ora”. La proporzionale, appunto.
E c’è da scommettere che, nei prossimi giorni, il pressing verso la Consulta, in nome del diritto dei cittadini di scegliere con quale sistema decidere chi governa, sia destinato ad aumentare, con l’idea di creare un clima e caricare di senso politico il verdetto.
Immaginate sin da ora cosa potrebbe dire Salvini in caso di esito sfavorevole. Non ci vuole tanta fantasia a prevedere strali contro la cupola partitocratica che impedisce ai cittadini di pronunciarsi, contro i soliti parrucconi che difendono un sistema sordo alla voce del popolo, e altre amenità di questo genere.
Ed effettivamente è un terreno molto insidioso, in questo momento e in questo clima. C’è il rischio che la Corte rischi di apparire come l’ultimo baluardo della conservazione, nell’Italia di oggi dei messaggi semplificati: non si può votare sul governo, non si può votare sulla legge elettorale, tutto ciò che è Palazzo vuole zittire tutto ciò che è popolo.
Referendum chiama referendum, dicevamo. Per questo Salvini ha iniziato a dire che “è sempre un bene quando si pronunciano i cittadini”. Parla di quello di oggi, pensa a quello di domani.
Non si vota, parliamoci chiaro, a maggior ragione se ci saranno tutte queste consultazioni. Ma si balla.
(da “Huffingtonpost”)
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Gennaio 10th, 2020 Riccardo Fucile
“CHI E’ LA FONTE?”… DOPO AVER DIMEZZATO I VOTI IN MENO DUE ANNI, VUOLE RESTARE PER RIDURLI A UN TERZO
“Il capo politico sono io. Nel Movimento sono tantissimi quelli che lavorano in silenzio per il bene dei cittadini. Per chi cerca un po’ di visibilità quella è la porta”.
È questo il ragionamento di Luigi Di Maio nel giorno in cui il Fatto Quotidiano esce con il retroscena del suo passo indietro.
Dimissioni da capo politico da qui a dieci giorni, arrivederci a tutti. La reazione è rabbiosa. Lo staff di buon mattino dirama una smentita dai toni durissimi: “Un fatto gravissimo, ci sorprende”, dicono, definendo la ricostruzione decisamente surreale. Da Alfonso Bonafede in giù è un profluvio di post e interventi che mirano a blindare il leader.
Nell’entourage del ministro degli Esteri le domande continuano ossessivamente a girare a vuoto: “Chi è la fonte? Chi vuole colpire Luigi fino a questo punto?”. Domande che rimangono senza risposte.
Le chat dei parlamentari esplodono. La traccia che con il passare delle ore si fa via via più battuta è anche quella più inquietante: e porta dritta a Palazzo Chigi.
Dritta cioè a quello che sarebbe lo showdown tra le due personalità che in questi mesi si sono rincorsi come punti di riferimento dell’universo pentastellato: Di Maio, appunto; e Giuseppe Conte
Un parlamentare di rango ragiona: “Il giornale parla di fonti di altissimo livello. E quello è un giornale che parla con noi. Con tutti i nostri vertici. Non credo che Beppe Grillo possa aver accreditato una cosa del genere. Vuole tenere su questo governo, non gli converrebbe. Chi rimane?”.
La domanda è retorica. La stella magica intorno al leader valuta, soppesa. C’è un clima strano, di attesa, quasi a voler stanare il traditore, capire da dove filtra un leak così pesante senza voler intorbidire ancor più le acque. Il filo rosso che porta al premier è una cosa incredibile in quegli ambienti, nel senso più letterale della parola: non si vuol credere che sia stato possibile. Però.
“Però – ragiona un uomo vicino al capo politico – qualunque altro leader che non fosse Luigi sarebbe indubbiamente più debole. È una cosa che a Conte farebbe comodo”.
È una vera e propria caccia alle streghe. I parlamentari bombardano il quartier generale della comunicazione. È una corsa a sfilarsi, ad allontanare da sè i sospetti. Tutti vogliono uscire con comunicati di solidarietà . I telefoni delle persone che seguono da vicino il leader non hanno tregua. Le risposte sono distribuite con il contagocce. “Non capiscono – spiega una fonte vicina a Di Maio -. Non capiscono che così si mette a rischio tutto. Non solo il governo. Così rischia pure il Movimento 5 stelle”.
I dimaiani sono furiosi. Ritorna in pompa magna il sospetto che Lorenzo Fioramonti sia un apripista, che l’ambizione di Palazzo Chigi sia traghettare nell’alveo del centrosinistra un pezzo di Movimento, lasciando Di Maio con il cerino in mano.
Le smentite si accumulano, il piano sarebbe tanto surreale per la tenuta del governo che Conte stesso presiede quanto non inimmaginabile nella maionese impazzita che è la situazione politica di questi tempi. Il capo politico ieri sera, durante l’assemblea congiunta, ha sfidato tutto il gruppo: “Ora non va più bene niente, neanche il capo politico, neanche Rousseau, ma molti di voi sono stati eletti proprio grazie a queste cose che abbiamo costruito nel tempo”.
Argomento di poca presa logica e presa.
A Di Maio non va giù il metodo. “Perchè – spiega uno dei suoi – in assemblea nessuno parla, tutti applaudono, e poi tirano queste coltellate alle spalle”. Veleni su veleni. Racconta un collega del senatore Emanuele Dessì, uno dei latori del documento che contesta il cumulo delle cariche del ministro e leader: “Emanuele si è alzato in assemblea, ha detto che il suo era un contributo alla discussione. Poi ha detto di non capire come sia potuto finire alle agenzie prima ancora che fosse completato. Il punto è che lo sanno tutti come è finito alle agenzie: lo ha passato lui”.
La mannaia sui morosi delle rendicontazioni non farà sconti. Quella è la porta, ripetono ossessivamente i colonnelli M5s, le regole sono chiare. Mentre continuano gli addii, e i numeri al Senato si assottigliano sempre più, ma ci sono gli Stati generali a marzo, ed è lì che il Movimento rinascerà .
Dicono.
(da “Huffingtonpost“)
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Gennaio 10th, 2020 Riccardo Fucile
SEA WATCH E OPEN ARMS NE SALVANO OLTRE 200… ALARM PHONE: “TEMIAMO ALTRI NAUFRAGI”… CHISSA’ SE PER I SOVRANISTI CHI SCAPPA DALLA GUERRA DEVE ESSERE FATTO AFFOGARE IN MARE
Negli ultimi due giorni si è registrato un aumento di barconi partiti dalla Libia, dopo un periodo di stallo e c’è stato il primo sbarco autonomo dell’anno a Lampedusa. Nel primo pomeriggio di oggi le motovedette della Guardia di Finanza di Lampedusa hanno avvistato a due miglia dall’isola un barchino, di circa 10 metri, con a bordo 97 immigrati che sono stati soccorsi dalla stessa Gdf e dalla Guardia costiera. I migranti sono stati tutti portati nel centro d’accoglienza di contrada Imbriacola dove non c’erano ospiti.
Nelle prime ore del mattino la nave Sea Watch3 aveva soccorso 42 migranti in zona Sar Maltese. L’imbarcazione su cui viaggiavano era stata segnalata ieri pomeriggio “ma le autorità maltesi si sono rifiutate di intervenire”, ha affermato la ong tedesca, secondo la quale le persone a bordo “correvano un serio rischio di ipotermia”. Nella serata di giovedì la nave aveva salvato altre 17 persone tra cui 8 bambini.
In tutto sono così diventate 119 le persone che la Sea Watch 3 ha soccorso in tre interventi nelle ultime 24 ore. Ieri mattina 60 persone sono state tratte in salvo su un gommone in pericolo a circa 24 miglia dalle coste libiche. Tra loro 53 uomini e 7 donne, di cui 31 minori. Poco prima l’imbarcazione, spiega l’ong, aveva documentato il respingimento, da parte della Guardia costiera libica, di circa 150 persone che si trovavano a bordo di due gommoni.
Terminato il soccorso, la nave si è messa alla ricerca di una seconda imbarcazione avvistata da Moonbird, l’aereo di ricognizione della Ong.
La Sea Watch ha individuato il barcone in zona Sar libica e ha soccorso le persone a bordo, tutte libiche. Tra loro 10 uomini e 7 donne, di cui 9 minorenni. L’ultimo intervento, in zona Sar maltese, ha portato in salvo 42 persone in preda al panico e con alto rischio di ipotermia. “Sea-Watch – spiega l’Ong – non ha ancora ricevuto alcuna risposta alle comunicazioni ufficiali inviate dal ponte rispetto ai soccorsi effettuati”.
La nave di Open Arms ha soccorso nel pomeriggio al largo della Libia 44 persone. I migranti, tutti uomini, afferma la Ong spagnola in un tweet, erano a bordo di una piccola imbarcazione alla deriva da due giorni. I migranti erano in stato di ipotermia grave e in “condizioni critiche”. “Senza benzina, iniziavano a imbarcare acqua – prosegue la Ong – Dimenticati dalla Ue, ora sono in salvo a bordo”.
In serata, un altro salvataggio: “Secondo soccorso, molto complesso – ha scritto la ong su Twitter – 74 persone, donne, donne incinta, bambini e neonati, in stato di shock. Una motovedetta libica con atteggiamento ostile presente sul posto. Due dei naufraghi, presi da loro a bordo, si sono lanciati in acqua e li abbiamo soccorsi”.
Uno sbarco di migranti è avvenuto anche sulle coste del sud Sardegna. Questo pomeriggio i carabinieri hanno rintracciato otto algerini che erano appena arrivati in località Maladroxia, a Sant’Antioco, nel Sulcis Iglesiente. Gli otto migranti, tutti uomini in buone condizioni di salute, si stavano allontanando forse per raggiungere il centro e poi spostarsi con i mezzi pubblici, quando sono stati bloccati dai carabinieri. Dopo le visite mediche e le operazioni di identificazione, sono stati tutti trasferiti nel centro d’accoglienza di Monastir (Cagliari).
In serata Alarm Phone ha lanciato l’allarme per una settantina di persone in fuga dalla Libia a bordo di una barca di legno: “Dopo aver ricevuto le loro coordinate gps, abbiamo informato le autorità di Italia e Libia, ma da allora abbiamo perso i contatti e non sappiamo che cosa sia successo loro”. Alarm Phone ha detto anche che oggi è stato contattato “da molte barche in pericolo nel Mediterraneo centrale. Con molte abbiamo stabilito solo contatti brevi, non siamo riusciti ad avere le coordinate e non conosciamo il loro destino. Temiamo respingimenti in Libia e naufragi”.
(da agenzie)
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Gennaio 10th, 2020 Riccardo Fucile
L’AVVOCATO AVEVA L’ABITUDINE DI REGISTRARE LE TELEFONATE: MOLTI FILE SONO STATI SCARICATI E TRASCRITTI NEL MASSIMO RISERBO
Si chiama Irina Aleksandrova la donna che giovedì sera è stata sentita come testimone negli uffici della Procura di Milano dai magistrati titolari dell’inchiesta per corruzione internazionale sull’incontro all’hotel Metropol di Mosca del 18 ottobre 2018 e sui fondi russi che dovevano finire nelle casse della Lega.
Aleksandrova è una giornalista russa che il 18 luglio 2018 ha moderato un incontro a Mosca a cui erano presenti il leader del Carroccio, Matteo Salvini, e l’ex portavoce Gianluca Savoini, uno dei sei uomini presenti ai tavolini dell’hotel Metropol avvenuto esattamente tre mesi dopo.
Durante l’interrogatorio, durato un paio d’ore con l’aiuto di un interprete, la donna ha fornito alcune informazioni legate alla vicenda al centro dell’indagine sulla corruzione internazionale, ma che nulla hanno a che fare con la sua attività professionale.
Il contenuto è stato subito secretato.
Gli inquirenti si stanno concentrando sulla ricostruzione della rete di contatti di Savoini, presidente e fondatore dell’associazione Lombardia-Russia, nella capitale russa, e sull’attività preparatoria in vista dell’incontro all’hotel Metropol del 18 ottobre 2018 nel quale, secondo l’accusa, insieme all’avvocato Gianluca Meranda e all’ex banchiere Francesco Vannucci ha trattato con tre intermediari russi un affare legato alla compravendita di idrocarburi per 65 milioni di dollari, finalizzata a finanziare la campagna elettorale della Lega per le successive elezioni europee.
Come racconta Davide Milosa sul Fatto Quotidiano oggi in edicola, l’inchiesta sui rubli alla Lega potrebbe essere a una svolta.
I pm di Milano stanno infatti esaminando i contenuti dei cellulari sequestrati nel luglio scorso. Si tratta degli smartphone in uso ai tre indagati dell’indagine: Savoini, Meranda e Francesco Vannucci.
Soprattutto su Meranda, che aveva l’abitudine, secondo i pm, di registrare le telefonate. I file scaricati e poi trascritti sono molti. I magistrati li stanno ascoltando.
Quale interlocutore ha registrato Meranda? Anche Salvini? Al momento il capo della Lega non è indagato. Di certo, però, il 17 ottobre 2018, il giorno prima del Metropol, Salvini era a Mosca per un convegno organizzato da Confindustria Russia. Lo stesso giorno vedrà il suo omologo russo, Dimitry Kozak, con deleghe per l’energia. L’incontro dell’ex capo del Viminale, non annotato nell’agenda ufficiale, si tiene nello studio dell’avvocato Vladimir Pligin, professionista vicino a Putin.
L’inchiesta, dunque, prosegue e tra pochi giorni la Procura dovrà mandare al giudice per le indagini preliminari la richiesta di proroga per indagare altri sei mesi.
(da agenzie)
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Gennaio 10th, 2020 Riccardo Fucile
CINQUE GIORNI DI VISITA AI PROGETTI POSTI IN ESSERE NELLA CONTEA SAMBURU CON L’ASSOCIAZIONE AMREF
La cantante Fiorella Mannoia e il portavoce de I Sentinelli Paladini hanno scelto di seguire Amref in una delle aree più affascinanti e remote del Kenya.
Dal 7 all’11 gennaio fanno visita ai progetti di contrasto alle mutilazioni genitali femminili nella Contea Samburu.
Amref – come si legge nel sito Vita- è impegnata in progetti di contrasto alla violenza di genere rappresentata dalle Mutilazioni Genitali Femminili (MGF) in Africa e in Italia. Le Mutilazioni Genitali Femminili rappresentano infatti un problema globale, che colpisce 200 milioni di bambine, ragazze e donne al mondo.
In Africa Amref lavora da decenni sul tema e ha sviluppato strategie ed approcci efficaci, che oggi si rivelano preziosi e utili anche per l’Italia e l’Europa che stanno sviluppando risposte al fenomeno che riguarda oggi più di 500.000 donne e ragazze in Europa e 80.000 in Italia
Attraverso gli sguardi e le parole di due attivisti, che da sempre si contraddistinguono per il loro impegno sui diritti umani, Amref racconta il problema in Africa, le sue cause e le risposte che un’organizzazione pienamente africana ha sviluppato affinchè le soluzioni siano sostenibili, di lungo termine e soprattutto garantiscano l’ownership comunitaria: i cambiamenti non possono infatti avvenire se non sono profondamente radicati e guidati dalle comunità stesse.
Il progetto in cui è inserito questo viaggio è sostenuto dall’Otto per Mille della Chiesa Valdese.
Fiorella Mannoia, straordinaria artista, ha dato la sua voce anche a battaglie sui diritti umani. Storica amica e testimonial Amref.
Luca Paladini, attivista sui diritti umani, fondatore e portavoce dei Sentinelli, è oggi una voce autorevole della società civile milanese.
Ha contribuito alla costruzione della rete milanese People (di cui Amref è tra i promotori), protagonista di iniziative di grande impatto pubblico
(da Globalist)
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Gennaio 10th, 2020 Riccardo Fucile
ECCO I COLLABORATORI CHE SALVINI SI ERA PORTATO AL VIMINALE A SPESE DEI CONTRIBUENTI ITALIANI
Non è il cambiamento che tutti speravano ma è sicuramente qualcosa. Con l’addio di Matteo Salvini e del suo sontuoso staff dal Viminale lo Stato si è tolto un bel peso, economico.
Perchè la prima diretta conseguenza del cambio della guardia al Ministero dell’Interno è che gli italiani non dovranno più pagare l’armata leghista che per quattordici mesi ha curato (a spese nostre) la comunicazione del leader della Lega, ministro e papà di tutti gli italiani.
A fare il conto del risparmio per le casse dello Stato è Mauro Munafò per l’Espresso che ha calcolato la differenza tra gli stipendi pagati a quelli della Bestia e il nuovo staff del ministro Luciana Lamorgese.
Gli uomini del Capitano pesavano sulle finanze del Ministero per 718mila euro l’anno. Lamorgese ha tagliato notevolmente le spese per i suoi uffici di diretta collaborazione consentendo un risparmio di ben 560mila euro.
In pratica a quanto pare il Ministero si può gestire tranquillamente spendendo un quinto di quello che Salvini faceva spendere agli italiani.
Lo staff che Salvini si era portato al Viminale (e a Palazzo Chigi) costava ai contribuenti all’incirca mille euro al giorno.
Ad aiutare il capo della Lega a raccontare i suoi più grandi successi da ministro c’erano Luca Morisi e Andrea Paganella, soci della Sistema Srl che si occupano della comunicazione di Salvini e che erano stati assunti con l’incarico di Consigliere strategico per la comunicazione e Capo della Segreteria e della Segreteria particolare di Salvini.
Il compenso annuo di Morisi era di 65mila euro, quello di Paganella di poco più di 85mila euro l’anno. Nella segreteria di Salvini al Viminale lavoravano anche anche Cristina Pascale (30.000 euro) e Giuseppe Benevento(41.600 euro) e lo storico deputato leghista Luigi Carlo Maria Peruzzotti (41.600 euro).
Dal gennaio 2019 nell’organico era entrato anche Andrea Pasini, uno che scriveva che era meglio dar da mangiare ai propri figli che pagare le tasse e che poi grazie alle tasse pagate dagli italiani si è garantito un compenso da 41mila e rotti euro.
Al Viminale gli italiani pagavano anche lo staff di addetti alla comunicazione.
Persone che prima di arrivare al Ministero erano assunte (con un Co.Co.Co.) dalla Lega per Salvini Premier.
A capo dell’ufficio stampa c’era Matteo Pandini (che ha anche curato una biografia di Salvini) con un compenso lordo annuo pari a 90mila euro, c’erano poi il figlio del Presidente della RAI Leonardo Foa, Fabio Fisconti, Andrea Zanelli e Daniele Bertana che percepivano un compenso annuo pari a 41.600 euro.
Ai risparmi calcolati dall’Espresso vanno aggiunti anche quelli di Palazzo Chigi. Salvini infatti ricopriva il doppio incarico di ministro e Vicepremier (che nel Conte 2 non c’è) con uno staff di tutto rispetto che costava poco meno di cinquecentomila euro all’anno.
(da agenzie)
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Gennaio 10th, 2020 Riccardo Fucile
LO STUDIO DELL’ISPI: IL RISCHIO DI MORTE IN MARE PRIMA DI SALVINI ERA DEL 2,1% SALITO AL 6,7% CON IL LEGHISTA E CALATO ALL’1,7% CON LAMORGESE
Meno ONG, meno partenze, meno morti in mare. Questo è stato lo slogan che riassume la gestione dell’immigrazione da parte di Matteo Salvini e del Governo Conte 1.
Secondo la propaganda leghista impedire alle ONG di effettuare le operazioni di salvataggio avrebbe convinto i migranti a non tentare la traversata del Mediterraneo (perchè non c’erano garanzie di essere salvati) e così avrebbe ridotto le partenze e di conseguenza i morti in mare. Non è stato così.
Per mesi Salvini, la Lega e diversi giornalisti hanno sostenuto che l’unico modo per diminuire le morti in mare era quello di bloccare le operazioni delle ONG nel Mediterraneo Centrale. La tesi alla base di questa affermazione, che il Governo Conte One ha tradotto in pratica con i “porti chiusi” era che le imbarcazioni delle ONG costituivano un fattore di attrazione (pull factor) nei confronti dei migranti.
In buona sostanza i migranti partivano dalle coste libiche perchè sapevano che anche qualora si fossero trovati in difficoltà ci sarebbe stato qualcuno a metterli in salvo. Corollario: le ONG erano in combutta con gli scafisti.
La magistratura però non ha trovato nessuna prova di contatti e rapporti tra trafficanti e ONG mentre i dati raccolti dal ricercatore dell’ISPI Matteo Villa dimostrano che l’idea che la presenza delle imbarcazioni umanitarie favorisca le partenze è completamente campata in aria.
Le due cose vanno di pari passo: in assenza di accordi con gli scafisti i migranti non possono avere alcuna certezza che saranno salvati.
I trafficanti di esseri umani possono certamente raccontare ai loro “clienti” che durante la traversata qualcuno li salverà , ma questo non significa che una volta che si sono imbarcati sui gommoni e sui barchini i migranti sappiano che ci sarà qualcuno ad attenderli o a salvarli. Così come non sanno che Salvini ha “chiuso i porti” o che le ONG non ci sono.
Anche la chiusura dei porti non ha certo contribuito a diminuire le partenze.
Come abbiamo scritto una diminuzione delle partenze dalla Libia si stava già verificando prima dell’avvento di Salvini al Viminale (grazie agli scellerati accordi del Governo Gentiloni con i Libici).
Quello che è successo con Salvini è che gli arrivi hanno continuato a diminuire mentre le partenze non sono calate in maniera proporzionale.
La vita degli equipaggi delle ONG — e dei migranti da loro salvati — è stata resa più difficile mentre i barchini degli scafisti continuavano ad arrivare e approdare indisturbati. Perchè nessuno ha bloccato quegli sbarchi, che sono la maggioranza.
Ciononostante la Lega e giornalisti come Annalisa Chirico hanno continuatoa sostenere che ad una diminuzione delle partenze avrebbe — anzi ha, senza il condizionale — diminuito il numero di morti. Questo però è falso, perchè durante la gestione Salvini, quella dei porti chiusi e la guerra alle ONG, i morti non sono diminuiti.
Lo dicono i dati pubblicati su Twitter da Matteo Villa dell’ISPI. Quando Salvini era al Viminale il rischio di morte in mare per i migranti che affrontavano la rotta dalle coste del nord Africa all’Italia è passata dal 2.1% della gestione Minniti al 5,7% (nel periodo da giugno a dicembre del 2018) e al 6,7% del secondo semestre del Governo Conte 1. In pratica il rischio di morire in mare durante la traversata era più che triplicato.
Attualmente, ma siamo ad appena quattro mesi del nuovo esecutivo, il rischio di morire nel Mediterraneo Centrale si è ridotto all’1,7%. La differenza? Il nuovo governo ha smesso di fare la guerra alle ONG e anche se i Decreti Sicurezza non sono ancora stati abrogati i porti non vengono più chiusi (almeno formalmente, perchè anche il Conte 2 ha dimostrato un discreto cinismo sull’argomento).
In termini assoluti il numero di morti che ci è costata la strategia di Salvini è evidente. Villa scrive che «malgrado un calo del 60% nelle partenze, i morti in mare con Salvini sono aumentati».
Ecco che crolla la teoria secondo la quale “Meno partenze e meno ONG” significa meno morti in mare. In mare i migranti hanno continuato a morire perchè non c’era nessuno a salvarli e perchè chi li salvava veniva bloccato per giorni e settimane al largo delle coste italiane (o mandato in Spagna) per impedire che le operazioni di salvataggio si svolgessero con regolarità .
Il Governo Conte 1, così come già il Governo Gentiloni, ha preferito “appaltare” il salvataggio dei migranti alla sedicente guardia costiera libica, raccontando la farsa che la Libia era un paese sicuro dove poter far sbarcare i migranti. Le condizioni attuali della Libia, l’intervento della Turchia, la guerra tra le forze di Al Sarraj e Haftar dimostrano quanto i nostri governanti ci abbiano mentito per consentirci di stare con la coscienza in pace.
(da “NextQuotidiano“)
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Gennaio 10th, 2020 Riccardo Fucile
A NUTI, DE VITA E MANNINO INFLITTA UNA CONDANNA A UN ANNO E DIECI MESI
Riccardo Nuti, Giulia Di Vita e Claudia Mannino, ex parlamentari del MoVimento 5 Stelle, sono stati condannati dal tribunale di Palermo per la vicenda delle firme false.
In tutto il giudice ha decretato 12 condanne e due assoluzioni.
Un anno e dieci mesi sono stati inflitti agli ex deputati nazionali Riccardo Nuti, Giulia Di Vita e Claudia Mannino, alla ex collaboratrice del gruppo all’Ars, Samantha Busalacchi, agli attivisti Tony Ferrara, Alice Pantaleone e Stefano Paradiso.
Un anno e sei mesi invece all’avvocato Francesco Menallo e al cancelliere Gianfranco Scarpello.
Pena più bassa, un anno, ai tre che avevano ammesso i fatti: gli ex deputati regionali Claudia La Rocca e Giorgio Ciaccio e Giuseppe Ippolito a un anno.
Assolti invece gli altri attivisti Riccardo Ricciardi e Pietro Salvino. La pena per tutti i condannati è stata sospesa.
Erano accusati a vario titolo di falso e violazione della legge regionale del ’60 sulle consultazioni elettorali.
Gli imputati erano quattordici fra attivisti, deputati regionali e nazionali del M5S. I Pm che hanno sostenuto l’accusa sono Claudia Ferrari e Bernardo Petralia. I deputati si erano difesi attraverso una curiosa teoria del complotto che era stata smentita dalle indagini. Claudia La Rocca era stata la prima indagata ad ammettere responsabilità nella vicenda.
(da agenzie)
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Gennaio 10th, 2020 Riccardo Fucile
ROVIGO: DENUNCIATA PER SIMULAZIONE DI REATO, SI ERA INVENTATA TUTTO… MA PER GIORNI SUI MEDIA LOCALI E’ STATA UNA “CACCIA AL NEGRO”
Una denuncia che ha provocato tanta indignazione e la solita caccia alle streghe. Streghe che, alla fine, non sono mai esistite.
La triste storia di accuse a ‘neri a caso’ arriva da Rovigo, dove una ragazza 18enne si era recata nella Caserma dei Carabinieri insieme alla madre per denunciare il furto della sua borsetta che conteneva telefono, portafoglio e altri oggetti vari.
Secondo il racconto della giovane, a commettere la rapina — con tanto di minacce — erano stati due «nigeriani». Poi, però, la clamorosa svolta: quel furto non c’è mai stato.
A sbufalare la denuncia è stato il fidanzato della giovane di Rovigo, al suo fianco per tutta la serata.
Dopo il racconto della ragazza ai Carabinieri, infatti, anche l’uomo è stato sentito come testimone oculare dei fatti. Le sue dichiarazioni, però, hanno completamente smentito quanto detto dalla sua compagna.
In sintesi: l’aggressione e il furto all’interno del parcheggio multipiano sono state completamente inventate dalla giovane. Così come la presenza di quei generici due «nigeriani» responsabili della rapina.
La borsetta con portafoglio e telefono cellulare, infatti, era stata dimenticata e persa dalla giovane nella discoteca in cui aveva trascorso la serata proprio in compagnia del fidanzato. Nessun furto, ma uno smarrimento confessato dal compagno della ragazza che ora finisce nei guai.
Accertata la verità dei fatti, la giovane è stata denunciata dai Carabinieri per simulazione di reato.
La questione può far sorridere, ma ha dei retroscena inquietanti.
La notizia rilanciata da molti media locali, aveva provocato la reazione di moltissimi cittadini che avevano dato già il via alla classica ‘caccia al nero’, dando la colpa di questi atti criminali agli stranieri.
Peccato che il tutto si sia basato su un qualcosa mai accaduto.
(da agenzie)
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