Gennaio 4th, 2020 Riccardo Fucile
DATO CHE LA GIUNTA SARDA STA RIMEDIANDO SOLO INSUCCESSI, IMPROVVISAMENTE IL GOVERNATORE ELETTO CON LA LEGA DIVENTA ESPONENTE DEL PARTITO SARDO D’AZIONE
Nelle more della discussione sui “successi” della giunta guidata da Christian Solinas in Sardegna c’è chi sostiene che sia sbagliato attribuirli alla Lega. Perchè, scrivono, Solinas non è della Lega ma del Partito Sardo d’Azione. Ora è senz’altro vero che Solinas è il Segretario Nazionale del Partito Sardo d’Azione ma sostenere che non sia un leghista o che con la Lega abbia poco a che fare è una balla colossale.
Chi contesta il fatto che Solinas sia leghista sostiene anche che la Lega alle regionali in Sardegna ha preso pochi voti, un “misero 10%”. Chiaramente si tratta di un modo per scaricare sul PSd’Az le eventuali responsabilità di errori commessi dalla giunta regionale in Sardegna in modo da non intaccare la buona reputazione della Lega.
Ed in effetti ci si potrebbe anche chiedere cosa c’entri la Lega con la Sardegna visto che ha preso appena il 10% dei voti.
Come sempre si tratta di una questione di proporzioni e rapporti di forza. Perchè di fatto dopo le elezioni del 24 febbraio 2019 la Lega è diventato il secondo partito della Sardegna. Improvvisamente quel misero 10% non sembra poi essere così misero visto che la Lega ha eletto otto consiglieri regionali, lo stesso numero del Partito Democratico (che ha preso 13,4%) e uno in più del Partito Sardo d’Azione (che ha preso il 9.9%). Indovinate quanto aveva preso la Lega alle precedenti elezioni regionali sarde? Zero, perchè non si è mai presentata alle regionali in Sardegna.
All’interno della coalizione di centrodestra la Lega poi è il primo partito per numero di consiglieri (e di voti). Pensare che la Lega con il suo misero 10% conti poco significa non riuscire a vedere la realtà . Oppure tentare di riscrivere il passato.
Eh già , perchè Solinas — che è sempre stato eletto negli enti locali con il PSd’AZ) prima di essere eletto Presidente era stato eletto senatore. Indovinate con quale partito e sotto quale simbolo? La Lega. Anzi la Lega — Salvini Premier.
E questo è vero non solo perchè è quello che c’è scritto sulla scheda di Palazzo Madama dell’ex senatore Solinas e nemmeno perchè è stato sostituito da Michelina Lunesu, che è della Lega.
È vero perchè sulla scheda elettorale gli elettori sardi che hanno votato per Solinas alle politiche hanno barrato il simbolo della Lega. Solinas era infatti capolista del listino bloccato della Lega nel Collegio Plurinominale SARDEGNA — 01.
Si dirà , tutto questo non conta, perchè Christian Solinas è stato eletto dal Partito Sardo d’Azione. Che però a livello nazionale non esiste se non grazie all’alleanza con la Lega. E dalle parti di via Bellerio sembrano essere abbastanza convinti del fatto che Solinas sia stato il candidato leghista e che sia un Presidente della Lega.
Del resto non si capisce come Matteo Salvini si sia speso così tanto per far eleggere un presidente che non è del suo partito. Oppure perchè abbia fatto decidere il candidato presidente ad un partito, storicamente importante, ma che rispetto alla Lega conta decisamente meno.
Ma, diranno, Solinas non è certo l’unico Presidente di Regione che governa con una coalizione di centrodestra assieme alla Lega: questo non significa che i vari Toti (Liguria), Cirio (Piemonte), Marsilio (Abruzzo) o Bardi (Basilicata) siano diventati automaticamente leghisti.
Verissimo: infatti Cirio e Bardi sono di Forza Italia, Marisilio è di Fratelli d’Italia e Toti — eletto nelle fila di FI — ora dovrebbe essere il leader di un suo partito. Ma al contrario di Cirio, Bardi, Marsilio e Toti Solinas è della Lega.
E non lo è solo perchè è stato eletto coi voti della Lega e governa grazie ai voti della Lega. Non lo è nemmeno perchè così scriveva l’account ufficiale della Lega durante la campagna elettorale delle regionali sarde.
Lo è perchè a differenza dei citati presidenti di regione Solinas ha partecipato a due dei grandi eventi della Lega: Pontida e il meeting del Paladozza per lanciare la campagna elettorale di Lucia Borgonzoni (ed era pure alla manifestazione di Piazza San Giovanni).
A settembre Salvini citava Solinas tra i «nostri presidenti e governatori» nell’elenco assieme a Luca Zaia, Massimiliano Fedriga, Attilio Fontana e Maurizio Fugatti.
A novembre a Bologna Solinas era assieme a quelli che Salvini definiva nuovamente «i nostri governatori»: Donatella Tesei (ex senatrice della Lega ora presidente in Umbria), Massimiliano Fedriga, Zaia, e Fontana.
Che cosa ci facesse uno del Partito Sardo d’Azione a lanciare la candidatura della Borgonzoni non è possibile spiegarlo se non ammettendo che sì: Christian Solinas è della Lega.
(da “NextQuotidiano”)
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Gennaio 4th, 2020 Riccardo Fucile
L’ESCLUSIONE DALLE TELEFONATE DI MIKE POMPEO EVIDENZIA L’IRRILEVANZA DELL’ITALIA CHE PURE OSPITA LE BASI NATO… DI MAIO NON E’ ADATTO PER LA FARNESINA
Se questo fosse un Paese normale, e il nostro fosse un Governo efficiente, e i capi dei partiti fossero responsabili, come pure ripetono di essere, oggi noi discuteremmo delle possibili dimissioni del ministro degli Esteri Luigi Di Maio.
Questione non di punizione, per carità , ma di opportunità e sicurezza.
Il segretario di Stato Mike Pompeo, poche ore dopo l’assassinio del generale Qassam Soleimani, ha parlato, per spiegare le ragioni americane, con i ministri degli Esteri di
diversi paesi alleati, europei inclusi. Ma ha escluso l’Italia.
Un’omissione che nelle drammatiche circostanze di queste ore appare come una scelta gravissima, qualcosa che somiglia a un incidente politico. O no?
Qui le domande diventano tante. Al netto della possibilità che il segretario di Stato americano abbia comunicato non con il ministro degli Esteri, ma con Palazzo Chigi, o con il Quirinale (ma ci sarebbe stato detto), come mai non siamo entrati nella lista di Pompeo? Certo non sarà una svista — queste telefonate sono accuratamente preparate, persino nell’ordine in cui vengono fatte.
Se non è una svista, sarà frutto di un incidente diplomatico occorso con gli Usa, di cui non sappiamo molto? In un caso del genere avremmo comunque avuto almeno un segnale dagli Usa.
Oppure è stata una scelta di campo della Washington di Trump contro un Governo che considera non simpatizzante? Eppure, questo è il Governo sdoganato questa estate proprio da un caloroso tweet del presidente Trump in cui lodava “Giuseppi”.
Domande tante e non una risposta è arrivata da una classe politica rimasta in un silenzio quasi totale.
Salvo una breve comunicazione del ministro della Difesa Lorenzo Guerini sul fatto che per i nostri soldati all’estero “sono state innalzate le misure di sicurezza”. C’è poi un appello attribuito da fonti di Palazzo Chigi al Premier Giuseppe Conte “alla moderazione, al dialogo, al senso di responsabilità delle parti”, e un identico appello “al dialogo e alla responsabilità ” del ministro degli Esteri Luigi Di Maio.
Quest’ultimo, fotografato in attesa di un volo per tornare in Italia, ma non preoccupatevi, non ha rotto le regole M5S perchè ha preso un volo di linea. L’universo politico che ci informa con interviste permanenti, nelle ultime 24 ore non ha trovato il tempo o le idee per dire qualcosa di meglio agli Italiani, non fosse altro per rassicurarli.
È questo dunque, davvero, il punto in cui siamo? Siamo stati esclusi dalle consultazione di Washington alla vigilia di una nuova fase drammatica in Medio Oriente, dove abbiamo qualche migliaia di uomini e dove abbiamo contato non pochi morti, e dobbiamo accettare di non sapere come intendiamo muoverci?
Dobbiamo accettare che gli interessi che abbiamo in Iran siano una tomba anche della nostra inquietudine?
O più semplicemente dobbiamo immaginare come inevitabile che saremo parte di questo conflitto senza che nessuno ci spieghi esattamente nemmeno quali sono le forze in campo, qual è la differenza fra sciiti e sunniti, e fra sciiti e sciiti, fra interessi da una parte o dall’altra?
Abbiamo un problema di irrilevanza del paese che risale nel tempo di almeno un paio di decenni, mentre il ministro è entrato in carica solo a settembre, e gli Esteri non sono davvero il suo mestiere.
Ma non si può nemmeno accettare che un ministro di primissimo piano, nonchè capo politico di uno dei due maggiori partiti di governo, non assuma la responsabilità piena del suo incarico.
L’esclusione di Pompeo è uno smacco per il nostro paese, ci piaccia o meno. È il risultato, uno dei tanti, dell’instabilità e della inaffidabilità che ha contraddistinto il nostro ultimo anno e mezzo di due governi. Ma Luigi Di Maio, a sua volta, in questi suoi primi tre mesi di incarico non può vantare grandi contributi.
L’Italia ha dato segnali di recupero in Europa, ma il dossier europeo è fuori dalle mani se non della Farnesina, certo del ministro, gestito com’è nei fatti da una sorta di Troika Italiana, composta da Paolo Gentiloni, Roberto Gualtieri e David Sassoli.
Il rapporto con l’America di Trump è passato nelle mani di Palazzo Chigi e del Quirinale. Per quel che riguarda gli Stati Uniti, i primi due viaggi di Di Maio, uno a novembre del 2017 appena nominato capo politico e l’altro a marzo del 2019, si sono distinti soprattutto per la mancanza di incontri rilevanti.
Solo al seguito della visita del presidente Mattarella, nell’ottobre scorso, è riuscito a entrare alla Casa Bianca.
Sulla Cina ricordiamo, a parte le gaffe, che il tema più divisivo, Huawei e il 5G, non è nelle mani di Di Maio, ma di Palazzo Chigi e dei Servizi. Della Libia meglio non parlare.
Nel carniere del ministro degli Esteri, dunque, non ci sono grandi successi, e in un paese in cui la collocazione nei confronti degli Usa è stata alle radici di fortune e sfortune di politici, dalla caduta di Giulio Andreotti a quella di Bettino Craxi, un bilancio del genere avrebbe costituito una volta un epitaffio su una carriera.
È inutile girarci intorno. Il capo politico dei 5 stelle non è preparato per la Farnesina che, del resto, come ben si sa, è stata chiesta per lui dal Movimento 5 stelle per “rafforzare” il suo ruolo politico.
La politica estera è una specializzazione e Di Maio non ha avuto nè il tempo, nè forse la vocazione, per specializzarsi. Non a caso il suo ruolo più rilevante è quello di capo politico M5S. E infatti è il lavoro a cui si dedica indefessamente: oggi si è visto con Nicola Zingaretti per decidere sulla verifica di governo, e martedì affronterà la questione delle espulsioni dal Movimento.
Ma, e questa è la domanda, in tempi che ogni giorno diventano sempre più complicati e difficili, con altre guerre all’orizzonte, ci possiamo permettere di tenere alla Farnesina un uomo che non è tagliato, nè formato, per quell’incarico, e soprattutto che non lo esercita a tempo pieno? La risposta la conosciamo: nessun ministro si può toccare in questo Governo, meno di tutti Di Maio, pena una crisi interna.
Ma speriamo che nel suo cuore il Governo sappia la verità : che mettere le ragioni interne di un Governo davanti alla responsabilità di come viene condotta la Farnesina in epoca di scontri internazionali costituisce un grave errore politico.
(da “Huffingtonpost”)
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Gennaio 4th, 2020 Riccardo Fucile
LA RISPOSTA DI BONACCINI: “C’E’ CHI CHIEDE UN CONTRIBUTO VOLONTARIO E TRASPARENTE E CHI SOTTRAE 49 MIIONI AGLI ITALIANI”
La campagna elettorale per le regionali in Emilia-Romagna si fa sempre più serrata a poco più di venti giorni dal voto, previsto per il 26 gennaio.
Come capirlo? Basta guardare i profili social dei candidati, Stefano Bonaccini (governatore negli ultimi cinque anni) per il PD e Lucia Borgonzoni per la Lega.
L’ultimo dissidio? Quello riguardante la richiesta di finanziamenti pubblici. Borgonzoni accusa Bonaccini di domandare soldi agli elettori e il candidato PD non tarda a farsi sentire parlando dei 49 milioni di euro sottratti agli italiani.
Borgonzoni attacca per prima ma è Bonaccini a chiudere questa sfida
Due campagna elettorali diversissime, quelle di Bonaccini e Borgonzoni. Se il primo punta a evidenziare quanto bene ha fatto all’Emilia-Romagna nei passati cinque anni portando dati, la seconda lo critica per la richiesta di finanziamenti ai cittadini.
In cima al profilo Facebook del candidato PD è stato fissato tredici ore fa un video in cui Bonaccini domanda agli elettori un aiuto nell’ultimo rush in prossimità del traguardo. Il candidato, tra le altre cose, chiede un contributo volontario di 5 euro ai suoi sostenitori. Non tarda ad arrivare il post di Lucia Borgonzoni, che definisce assurda la richiesta di Bonaccini.
La Borgonzoni fa leva sul fatto che altro non chiede ai suoi elettori se non la buonanotte. Non si fa attendere Stefano Bonaccini, che stamattina ha ribattuto riportando il post della Borgonzoni e affermando che la sua altro non è che una richiesta di “contributo volontario per finanziare in modo trasparente” la sua campagna elettorale.
A differenza di “chi invece si finanzia in modo illecito sottraendo 49 milioni di euro agli italiani“.
(da agenzie)
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Gennaio 4th, 2020 Riccardo Fucile
A GIULIANO PAZZAGLINI SEQUESTRATI 38.000 EURO, ACCUSATO DI TRUFFA E PECULATO:… UNA PARTE DELLE DONAZIONI DESTINATE AI TERREMOTATI FINIVANO SU CONTI PRIVATI (UNO SUO, UN ALTRO DI UN ESPONENTE DI FDI)
Giuliano Pazzaglini rischia il processo per i soldi del terremoto. Per il senatore leghista, a cui a dicembre sono stati sequestrati 38mila euro nell’indagine, la procura di Macerata ha chiesto il rinvio a giudizio, come racconta oggi Il Fatto Quotidiano in un articolo a firma di Sandra Amurri:
È stata depositata la richiesta di rinvio a giudizio per Pazzaglini, eletto in Senato grazie anche alla denuncia di una ricostruzione post terremoto lenta e lacunosa. I reati contestati sono truffa, abuso d’ufficio e peculato, in concorso, solo per abuso d’ufficio, con l’allora presidente della Croce Rossa locale Giovanni Casoni (poi espulso dalla Cri) di Fratelli d’Italia.
Leggendo la richiesta inviata al Gip Claudio Bonifazi sembra di ascoltare Il gatto e la volpe di Edoardo Bennato.
Attraverso rocambolesche operazioni, forti della fiducia che gli ignari benefattori riponevano nei loro confronti, infatti, stando alla tesi accusatoria, si facevano confluire parte delle donazioni sui conti della Sybil Project, di Pazzaglini e Casoni e della Simil Iniziative del solo Casoni.
Un’indagine complessa, partita dalla nostra inchiesta sul l’acquisto delle casette per i commercianti e la vendita di pacchi solidali, condotta dalla Gdf di Camerino su delega del Procuratore capo di Macerata Giovanni Giorgio che ha portato al sequestro preventivo di quasi 50 mila euro.
La Sibyl Project —costituita da Pazzaglini nel 2018 —vendeva pacchi con prodotti locali, confezionati dalla Croce Rossa, fatturati alla Sibyl Project e alla Sibyl Iniziative, con la scritta: “Ripartiamo da qui. Pacco solidale Sisma”. I pacchi venivano acquistati pensando che il ricavato sarebbe andato ai terremotati, invece finivano nelle tasche dei due.
Emerge anche che, in un anno, il sindaco si è fatto rimborsare oltre 50 mila euro di spese. Pazzaglini, scrive ancora il Fatto, non ha mai chiesto di essere interrogato limitandosi a consegnare una memoria difensiva.
(da “NextQuotidiano”)
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Gennaio 4th, 2020 Riccardo Fucile
L’IMPRENDITORE SOSTENUTO DAL CENTROSINISTRA: “IL MIO STIPENDIO ANDRA’ TOTALMENTE A UN FONDO PER IL SOCIALE, IN GIUNTA VOGLIO PERSONE CHE RAPPRESENTINO L’ECCELLENZA”
Parte la campagna elettorale di Pippo Callipo alle elezioni regionali in Calabria, fissate per il 26 gennaio. Una partita complicata, a cui l’imprenditore sostenuto dal centrosinistra si prepara con un approccio comunicativo inedito. “Cento domande per Pippo” è la prima iniziativa ufficiale dell’aspirante governatore, un ring aperto senza filtri con la sala del T Hotel di Feroleto Antico, in provincia di Lamezia Terme.
“Voglio che la gente, disillusa da troppi anni di cattiva politica, torni ad avere fiducia” afferma Callipo, “dobbiamo liberare i calabresi: ne hanno piene le tasche di essere sudditi dei soliti noti. Questa è l’occasione per il riscatto”.
Queste le prime promesse: rinuncerà allo stipendio da governatore, l’indennità sarà “destinata a un fondo per il sociale”. Non terrà per sè “nemmeno una delega” e coinvolgerà nel Governo della Calabria “persone che rappresentano l’eccellenza”.
Nessun rappresentante di partito entrerà nella Giunta. Callipo ha aperto alle Sardine: “se non partecipiamo, se non ci incazziamo, non risolviamo niente”.
Quanto ai 5 stelle, che ancora oggi ribadiscono la presa di distanza dalla sua candidatura e puntano sul loro Francesco Aiello, il re del tonno ha sostenuto che “molti di loro ci voteranno”.
Infine l’impegno assoluto per la Regione: “Noi ci porteremo il letto alla Cittadella e lavoreremo 24 ore al giorno, perchè bisogna dare una svolta dal 27 gennaio e far capire ai calabresi che quella è la loro casa”.
(da agenzie)
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Gennaio 4th, 2020 Riccardo Fucile
DI BATTISTA PUNTA A FAR SALTARE IL GOVERNO E NEL M5S MOLTI LO CONSIDERANO ORMAI UN TRADITORE
Lo status su Facebook con cui ieri Alessandro Di Battista ha deciso di farci sapere cosa pensava dell’omicidio di Soleimani ordinato dal suo ex “miglior presidente degli USA di sempre” Donald Trump è la punta dell’iceberg dello scontro aperto ai vertici del MoVimento 5 Stelle, dove dalle parti di Di Maio l’uscita del Dibba è vista malissimo:
Si disse che fossero pronti a tornare in piazza a braccetto, si scrisse che «Alessandro» aveva ottenuto da «Luigi» carta bianca per muoversi in assoluta autonomia. Poi è nato il governo giallorosso. Di Battista (che tifava per la pacificazione con Salvini) è rimasto fuori e l’eterna disfida tra i Dioscuri stellati è ripartita sottotraccia. Finchè, due giorni fa, ecco che il «guerriero» delle origini movimentiste sgancia la bomba, dichiara via web il suo appoggio incondizionato all’espulso Gianluigi Paragone e riapre il duello con il capo politico.
Alessandro ha evocato la scissione e di fatto si è messo fuori, segno che punta a far saltare il governo – si sfogano i parlamentari vicini a Di Maio – Vuole far male al Movimento».
L’ordine del ministro degli Esteri è ignorarlo. Ma per quanto il leader fa sapere che se lo aspettava, il tradimento dell’amico di un tempo brucia, aggiunge caos al caos e rende plasticamente evidente la scomposizione dei 5 Stelle. Chi crede nel capo politico e tifa per il Conte bis, spera che Di Battista si penta e faccia pubblica ammenda. Ma non succederà .
L’ex deputato ha confidato agli amici che continuerà a sostenere Paragone e le sue tesi sovraniste: «Difendo un amico del quale condivido le idee politiche». E anche se sta facendo i bagagli per l’Iran, dove resterà per diverse settimane, non pare intenzionato ad arrendersi ai diktat dei vertici: «Io non abbozzo, anche da fuori continuerò a farmi sentire e a criticare, quando serve».
Ecco perchè, racconta sempre il Corriere, l’intenzione ai piani alti è quella di non ricandidare il Dibba:
In pochi giorni è cambiato tutto. Ora nel giro ristretto di Di Maio la sola idea che «Ale» possa essere ricandidato appare lunare. «Luigi è rimasto malissimo –conferma un esponente del governo –. Come si fa a schierarsi con Paragone, che ha definito Di Maio “il nulla”?».
(da “NextQuotidiano”)
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Gennaio 4th, 2020 Riccardo Fucile
SCOPERTI IL 28% DEGLI ORGANICI AMMINISTRATIVI E 1L 13% DEI MAGISTRATI
“Chi nu cianze nu tetta. A Genova si dice così, se non piangi non ciucci il latte.
Bisogna pur dirlo come più volte è stato fatto nelle sedi competenti. Altrimenti si diventa conniventi: la nostra Procura, che deve occuparsi del Morandi, è scoperta per il 28% degli organici amministrativi e per il 13% dei magistrati. Ne vanno di mezzo le inchieste”.
Lo dice il procuratore capo di Genova, Francesco Cozzi, intervistato dal Fatto Quotidiano. E “non c’è solo il ponte…”, sottolinea elencando le numerose indagini, tra cui quella “sui 49 milioni della Lega”.
“Per decenni non si sono fatti concorsi, oggi ne vediamo le conseguenze – osserva – È paradossale: c’è disoccupazione ma restano posti vacanti in servizi essenziali, come Asl e uffici giudiziari. Non voglio polemiche, ma mi chiedo se ci siano le stesse carenze negli studi di quiz e talk show”.
Cozzi spiega che “noi dovremmo avere 30 pm, ce ne sono 26. Due sono impegnati solo per ponte e autostrade. Ma il problema è soprattutto la mancanza di amministrativi che rendono un servizio fondamentale”:
“Senza impiegati la giustizia non va. In procura invece di 173 sono 119″. A che punto è l’inchiesta sul ponte? “I periti hanno chiesto una proroga dei termini fino a marzo. È un lavoro complesso: 40 quesiti e decine di indagati. Impossibile dire quando arriverà il processo, non dipende solo da noi”, conclude.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Gennaio 4th, 2020 Riccardo Fucile
IL PADRE DIREBBE CHE LA PRESUNTA AGGRESSIONE AL FIGLIO E’ STATA UNA MONTATURA ORGANIZZATA DAI VERTICI DELLA LEGA PER ACQUISIRE VISIBILITA’ … IL PADRE AMMETTE LA TELEFONATA: “L’HO FATTA PER AIUTARE MIO FIGLIO, SCARICANDO LE COLPE SUL PARTITO”
Lo aveva promesso e così è stato: la conferenza stampa di Lenny Bottai, indicato come “aggressore” del consigliere comunale leghista di Livorno Perini che da giorni sta monopolizzando la cronaca locale, è finita con il botto.
Dopo che vari testimoni avevano confermato la sua versione dei fatti (una discussione animata tra i due, Perini che spingeva Bottai e Bottai che lo prende per un orecchio, ma nulla di più, fino all’intervento di un energumeno che colpisce al volto Bottai, ex pugile professionista, che lo neutralizza a terra) Bottai oggi cala l’asso che fa diventare il caso nazionale.
Il padre del leghista Perini avrebbe in pratica cercato il Bottai (che ha registrato due telefonate) per dirgli che il figlio neanche voleva, ma che tutto è stato organizzato dai vertici toscani della Lega perchè “a Livorno abbiamo appena il 10% e dovevano trovare il modo di avere maggiore visibilità “. Il Perini sarebbe stato quindi “utilizzato” per provocare il Bottai (segretario del locale Partito comunista di Rizzo) e suscitare una sua reazione, in modo da finire sui giornali. E anche l’energumeno intervenuto per colpire Bottai farebbe quindi parte della sceneggiata.
Non solo: nella telefonata registrata il padre del Perini avrebbe anche indicato in Susanna Ceccardi , parlamentare europea ed ex sindaca di Cascina, l’ideatrice della messa in scena, d’intesa con altri.
Il padre di Perini quindi inviterebbe al telefono Bottai a non creare un caso perchè suo figlio avrebbe ritirato la querela e tutto sarebbe finito lì, una volta assicurata la pubblicità al figlio.
Una telefonata che apre nuove vie giudiziarie e che Bottai mette a disposizione della Magistratura, insieme ad un’altra, dello stesso contenuto, tra il padre di Perini e un amico di Bottai.
Puntuali arrivano le precisazioni:
Il padre di Alessandro Perini: “ero preoccupato per il clima che si stava creando, ed ho solo provato a difendere mio figlio ed a smorzare gli animi cercando di distogliere l’attenzione dalla persona di Alessandro e scaricando la colpa sui vertici del partito”
Quindi di fatto conferma il contenuto della telefonata.
L’europarlamentare Susanna Ceccardi: “Si tratta di una storia assurda. Io ho parlato con Perini e mi ha detto che il padre era spaventato per lui e si è inventato questa storia. Assolutamente non mi sogno di architettare cose false”
A questo punto non resta che attendere i risultati delle indagini della magistratura.
(da agenzie)
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Gennaio 4th, 2020 Riccardo Fucile
LE MAIL SCAGIONANO IL GOVERNO… “UN CASO PIU GRAVE DELLA DICIOTTI, IL SEQUESTRO C’E’ PERCHE’ I MIGRANTI GIA’ SI TROVAVANO SU UNA NAVE MILITARE ITALIANA, QUINDI IN TERRITORIO ITALIANO”
Matteo Salvini si autoassolve nelle nove pagine – quattro per ricostruire i fatti, cinque per negare qualsiasi sua responsabilità , frutto della penna da avvocato penalista di Giulia Bongiorno – depositate ieri presso la Giunta per le immunità del Senato.
Ma, politicamente, l’effetto è quello di un gelo.
Con un risultato: i 17 renziani di palazzo Madama, sul cui voto favorevole faceva conto l’ex ministro dell’Interno, sarebbero intenzionati a esprimersi contro di lui, come hanno fatto per la Diciotti.
Non solo in giunta il 20 gennaio, dove finirebbe con un 13 (un Pd, 3 Iv, 6 M5S, Grasso per Leu, De Falco, l’altoatesino Durnwalder) a 10 (5 Lega, 4 Forza Italia, un Pdl), ma anche in aula un mese dopo dove, come ha già scritto Repubblica il 30 dicembre, Salvini arriverebbe a fatica a 140 voti.
Ancora ieri i renziani non lasciavano dubbi: “La memoria di Salvini non introduce alcun elemento nuovo. Il caso della Gregoretti, dopo il decreto sicurezza bis, è più grave di quello della Diciotti, il sequestro scatta perchè i migranti si trovavano già su una nave militare, quindi in territorio italiano”.
Come dice l’ex grillino Gregorio De Falco, “ci fu collegialità del governo sulla redistribuzione dei migranti, che però è il momento successivo a quello dello sbarco, e di quest’ultimo non c’è traccia”.
Tant’è che Piero Grasso di Leu parla di “difesa suicida” ed evidenzia come “il governo non sia stato coinvolto nell’assegnazione del place of safety e nello sbarco dei migranti, ma solo nella ricerca di paesi disponibili per il ricollocamento”. Una fase che “nulla ha a che fare con il reato contestato a Salvini”.
(da agenzie)
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