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REGIONALI CAMPANIA, FORZA ITALIA NON SI LEGA: “ANDREMO DA SOLI, PER SALVINI SARA’ UN MASSACRO”

Febbraio 11th, 2020 Riccardo Fucile

SCOPPIA IL CAOS NEL CENTRODESTRA: SALVINI VUOLE LA CAMPANIA CHE SPETTAVA A FORZA ITALIA MA PRENDE UNA FACCIATA… ANCHE LA MELONI NON MOLLA LA PUGLIA: “SALVINI PENSI ALLA TOSCANA, LA PUGLIA E’ NOSTRA”

“Se vogliono riconsegnare la Campania alla sinistra facciano pure. Se la Lega rompe gli accordi e pretende la candidatura a presidente, noi non ci stiamo. Ci presenteremo con almeno 5 liste civiche, e li supereremo”.
Il big di Forza Italia è furibondo. Il Carroccio ha deciso di infrangere l’accordo nazionale sulle candidature alle regionali, sottoscritto da Silvio Berlusconi, Giorgia Meloni e Matteo Salvini, e cerca di imporre un proprio candidato (Aurelio Tommasetti o Gennaro Sangiuliano) per la presidenza della Campania.
I berluscones non hanno nessuna intensione di rinunciare: “Non accettiamo prepotenze”, aggiunge la nostra fonte, “siamo sempre stati leali, anche perdendo consensi. La Lega si assumerà  la responsabilità  della sconfitta in Campania. Stefano Caldoro è   e resterà  il candidato alla presidenza della Regione di Forza Italia e di molte liste moderate. Se Salvini vuole sfidare noi e il buon senso, troverà  pane per i suoi denti”.
“La Lega”, aggiunge un altro dirigente di Fi, “si ritroverà  a essere nel mirino di tutti, noi compresi. Vogliono forzare la mano? Si accomodino. Immagino già  la campagna elettorale della sinistra: tra Massimo Troisi, Pino Daniele, i cori contro i napoletani, sarà  un massacro. Quasi quasi spero che vadano fino in fondo”.
Ma anche la Meloni ne ha per Salvin
La leader di Fdi invita l’alleato di centrodestra a non mettere in discussione la corsa di Raffaele Fitto per la presidenza
“I patti stabiliti nel centrodestra sulle candidature alle prossime regionali vanno mantenuti. FdI li ha sempre rispettati e questo si aspetta anche dagli alleati”. Lo ha ribadito Giorgia Meloni parlando alla riunione dell’esecutivo nazionale del partito, in cui ha chiarito che il suo partito non rinuncia in nessun modo alla candidatura di Raffaele Fitto in Puglia.
“I patti – ha sottolineato la leader di Fdi – sono stati chiusi e sottoscritti mesi fa e riaprirli adesso servirebbe soltanto a indebolire i candidati della coalizione”. È stata ribadita inoltre l’urgenza di definire, da parte della Lega, il candidato in Toscana, anche per smentire le voci false e interessante che insinuano che Salvini parli più con Renzi che con Meloni.
Fdi – è il ragionamento della leader sovranista – chiede la stessa lealtà  dimostrata e lo stesso impegno totale che il partito ha dimostrato in Umbria e Emilia-Romagna, quando c’erano candidati presidenti della Lega.

(da agenzie)

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DAL PROCESSATEMI AL MI ASTENGO: IL GIORNO DEL GIUDIZIO PER SALVINI

Febbraio 11th, 2020 Riccardo Fucile

LUNGA RIUNIONE: LA BONGIORNO TEME IL PROCESSO, I SUOI CERCANO DI DISSUADERLO, LUI SI ERGE A MARTIRE… LE HA PROVATE TUTTE PER SCAPPARE DAL PROCESSO, QUANDO HA VISTO CHE I NUMERI NON CI SONO, SI GIOCA LA CARTA DEL DIFENSORE DEI CONFINI DEL PIANEROTTOLO XENOFOBO

O astensione o non partecipazione al voto.
Salvini affronta un duro confronto con i colleghi di Palazzo Madama per decidere la linea. E’ appena tornato da Venezia quando alle quattro del pomeriggio varca l’ingresso dei gruppi parlamentari di Palazzo Madama.
Nonostante siano le ore che precedono il voto in Aula sul caso Gregoretti, il Capitano leghista cerca di spargere tranquillità  in un ambiente scottato dal potenziale processo per sequestro di persona. I volti dei senatori sono scuri, preoccupati. I leghisti non se la sentono di mandare il loro leader alla sbarra. “Matteo, ripensaci. Commetti un errore”.
Eppure, a un certo punto della discussione l’ex ministro dell’Interno si ferma, guarda tutti negli occhi, e chiede espressamente di non opporsi all’autorizzazione a procedere. Molti contestano la decisione. Tra loro – la più autorevole – è   l’avvocato, nonchè senatore, Giulia Bongiorno, la quale ribadisce per filo e per segno le parole che ha scolpito ieri al Corriere della Sera: “Matteo, i tempi potrebbero essere lunghi e c’è il problema di restare bloccati per anni, ostaggi del processo”.
E ancora: “L’idea che un uomo possa rimanere a processo non dovrebbe piacere a nessuno”.
L’avvocato del Divo Andreotti è lì perchè vuole provare a convincere il leader di via Bellerio. Il braccio di ferro si dilunga per ore. Salvini versus Bongiorno. Bongiorno versus Salvini. Non c’è verso, però. Davanti a questi ragionamenti di chi conosce la macchina giudiziaria, di chi ha affrontato centinaia di migliaia di processi, il Capitano leghista tiene ferma la barra. “Io voglio dimostrare ai miei figli di non essere un delinquente, ma di essere solo un cittadino che nella veste di ministro ha difeso i confini nazionali”.
Il clima è più o meno così. Con Salvini nella veste sfrontata del “processatemi”, e con i suoi che in qualche modo cercano di applicare una sorta di moral suasion.
Qualcuno addirittura evoca il voto in dissenso dal gruppo. E la mette così: “Matteo, io domani voto contro il processo”. In Lega, però, l’opposizione interna non esiste. “Noi siamo un partito serio”, fa sapere a tarda sera un pezzo da novanta del gruppo parlamentare. Tutti uniti e compatti. Non a caso, racconta uno dei presenti, finisce con un lungo applauso a “Matteo” la riunione leghista.
Ecco, a meno di un colpo di scena, il voto in Senato domattina sarà  scontato. Per spuntarla servirebbe la maggioranza dei componenti di Palazzo Madama, vale a dire 160.
Che sia processo allora, con tutte le conseguenze del caso. Ad esempio, una condanna in primo grado farebbe scattare l’incandidabilità  prevista dalla Legge Severino. Tradotto, se si riaprisse la partita delle urne Salvini non solo non si potrebbe candidare al Palazzo Chigi ma non sarebbe più in corsa per Palazzo Chigi. Per la felicità  di alcuni detrattori interni alla coalizione, e, in particolare, della scalpitante Giorgia Meloni.
Detto questo ci troviamo davanti a un vero e proprio pasticcio. Perchè domani nell’emiciclo del Senato, Erika Stefani, senatrice leghista e relatrice sul voto in Giunta delle immunità  dello scorso 20 gennaio, depositerà  una relazione, ancora top secret, che riepilogherà  quanto avvenuto nella fase precedente e che dovrà  tenere insieme il sì al processo, così come chiesto da Salvini ai suoi, aprendo però a una possibilità  di un voto in Aula.
Insomma, un’operazione cerchiobottista che serve più a mettere una pezza al disastro salviniano e alla propaganda delle scorse settimane.
A quel punto l’aula si esprimerà  sull’autorizzazione a procedere perchè Fratelli d’Italia e Forza Italia   depositeranno un ordine del giorno per negarla, “in coerenza – afferma l’azzurro Lucio Malan – con quanto da noi detto e fatto in Commissione”.
E i leghisti come si comporteranno? Va da sè che Salvini interverrà  e farà  un discorso rivolto all’esterno ergendosi a paladino della difesa dei confini nazionali e sottolineando di essere innocente.
Interverrà  anche Giulia Bongiorno e sarà  un’arringa da avvocato che ruoterà  attorno al fatto che “il Parlamento ha abdicato al potere di legiferare in alcune materie sensibili e che per una sorta di pudore abbia rinunciato a tutelare la sua indipendenza”. Le Alla fine le truppe di Salvini o si asterranno o non parteciperanno al voto. Ovvero, manderanno processo il loro Capitano. Con un accusa pesantissima di sequestro di persona.

(da “Huffingtonpost”)

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LA VICEMINISTRA ASCANI A SALVINI: “CAPITANO, PAURA?”

Febbraio 11th, 2020 Riccardo Fucile

“LE ACCUSE NON TE LE HA FATTE IL PD MA I I MAGISTRATI CHE HANNO CHIESTO IL TUO PROCESSO E PURE I TUOI HANNO VOTATO A FAVORE, VAI IN TRIBUNALE E DIFENDITI COME FANNO LE PERSONE CHE NON HANNO PAURA DEL PROCESSO”

Botta e risposta sui social tra Anna Ascani (Pd), viceministra dell’Istruzione, e il leader della Lega Matteo Salvini, sulla vicenda della nave Gregoretti, per la quale l’ex ministro dell’Interno è accusato di sequestro di persona: domani 12 febbraio, dopo la decisione della Giunta per Immunità , che ha dato l’ok al processo lo scorso 20 gennaio, toccherà  all’Aula di Palazzo Madama esprimersi.
Poi la palla passerà  ai magistrati che dovranno stabilire se rinviare a giudizio l’ex titolare del Viminale.
La viceministra dem aveva ribadito così la posizione del suo partito e della maggioranza, che sull’ok al processo è compatta: “Sul caso Gregoretti noi siamo coerenti. Il Senato non deve decidere se Salvini è colpevole o no, ma è chiamato a stabilire se Salvini ha agito per tutelare l’interesse nazionale. Noi pensiamo che non sia così e voteremo di conseguenza”.
Poco dopo Salvini aveva replicato sul suo profilo Twitter: “Secondo il Pd devo andare a processo perchè, bloccando l’ennesimo sbarco di immigrati, non ho tutelato l’interesse nazionale. Secondo me è proprio il contrario! Voi che dite?”.
Ascani, intervenuta ancora una volta sul social network, ha risposto per le rime: “Matteo, non secondo il Pd, ma secondo i magistrati. Sono loro che hanno chiesto il processo. E pure i tuoi senatori, che hanno votato a favore. Capitano, paura??? Se mi avessi citofonato te lo avrei spiegato di persona… Bacioni”, e ha accompagnato l’ironico tweet con l’hashtag ‘#se citofonando’.
La vicemininistra dem ha ricordato che lo scorso 20 gennaio furono proprio i parlamentari leghisti a mandare a processo il segretario del Carroccio, votando contro la relazione del presidente della Giunta Maurizio Gasparri, che aveva chiesto di negare l’autorizzazione a procedere nei confronti di Matteo Salvini chiesta dal Tribunale dei ministri di Catania.
Ora Salvini sembra aver fatto un passo indietro, e i 60 parlamentari del Carroccio sarebbero pronti a lasciare domani i banchi di Palazzo Madama, dopo che la senatrice della Lega Erika Stefani avrà  esposto in Aula l’esito del voto in Giunta, all’apertura dei lavori.
I numeri non sono dalla parte di Salvini: l’ordine del giorno presentato da Fratelli d’Italia e Forza Italia, per respingere l’autorizzazione a procedere necessita della maggioranza assoluta dei componenti dell’Assemblea, e cioè 160 voti. Ma FI, Lega e FdI insieme hanno solo 139 senatori. Tolti i parlamentari leghisti i voti a favore dell’odg sarebbero solo 79.

(da agenzie)

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CARA BONGIORNO, NON SPETTA AL MINISTRO DEGLI INTERNI LA PRESUNTA “DIFESA DEI CONFINI”

Febbraio 11th, 2020 Riccardo Fucile

SORPRENDE CHE UNA PERSONA PREPARATA NON SAPPIA CHE E’ COMPETENZA DEL MINISTERO DELLA DIFESA

Sorprende come una persona intelligente e preparata come Giulia Bongiorno incappi per più volte nell’intervista rilasciata al Corriere della Sera del 9 febbraio in uno sproposito costituzionale come quello di attribuire al Ministero dell’Interno la protezione e sicurezza dei confini.
Forse le è sfuggito il nome del Ministero presieduto da Salvini: Interno significa protezione dello spazio nazionale da rischi “interni”, non da minacce provenienti dall’esterno .
A cosa serve altrimenti un Ministero della Difesa (e, in aggiunta, degli Esteri)? Oppure, in questo “mondo reverso”, la Difesa — quindi l’esercito – si deve occupare dei furti e delle rapine? Evidentemente la bulimia di potere salviniana ha contagiato anche persone insospettabili.
Del resto solo la pochezza del Ministro della Difesa del governo giallo-verde, Elisabetta Trenta, ha potuto lasciar spazio alle scorribande salviniane al di là  delle sue competenze.
Comunque l’on Bongiorno è in buona compagnia. Basti pensare ai sindacati accorsi deferenti in fitta schiera, all’epoca, al Viminale per parlare non dei contratti degli agenti di Ps ma di politica economica…

(da “Huffingtonpost”)

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DE FALCO, FATTORI, NUGNES: “HA RAGIONE LAMORGESE SUI DECRETI SICUREZZA, CHIEDIAMO DI ELIMINARE IN TOTO GLI ART, 1 E 2”

Febbraio 11th, 2020 Riccardo Fucile

NORME ILLEGALI IN QUANTO CONTRASTANO CON LA NORMATIVA INTERNAZIONALE

Il ministro dell’Interno, Luciana Lamorgese, intervistata da Fabio Fazio, ha avuto occasione di ribadire che ritiene necessario modificare i decreti sicurezza.
In particolare, ha specificato, ciò coinvolgerà  le norme sulle multe alle navi delle ONG che salvano i naufraghi; aspetti problematici che erano stati fatti già  oggetto di “irrituali osservazioni da parte del presidente della Repubblica”.
Ancora prima che il decreto sicurezza bis fosse approvato dal Consiglio dei Ministri, era già  chiaro che la norma fosse ingiusta e criminogena poichè dispone di punire coloro che adempiono al fondamentale obbligo umanitario di salvare la vita altrui.
Chiediamo perciò di eliminare in toto gli articoli 1 e 2 del decreto sicurezza.
Nella questione sono in rilievo contrapposti valori costituzionali e quindi occorre effettuare un bilanciamento tra il rispetto dei diritti umani fondamentali, da un lato, e il potere-dovere di tutelare la propria sovranità  da Parte dello Stato, dall’altro.
Ma non si può comunque prescindere dal tenere conto della necessaria uniformità  dell’ordinamento interno rispetto alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute (articolo 10 Costituzione) e della limitazione di sovranità  necessaria a tal fine (articolo 11 Costituzione).
Tra i principi di diritto universalmente riconosciuti vi è quello che impone a ogni Stato di salvare, e far salvare, la vita che si trovi in pericolo in mare; esso prevale su ogni altra norma o accordo finalizzato al contrasto dell’immigrazione irregolare.
L’articolo 1 del decreto sicurezza bis non solo è una norma ingiusta e criminogena, ma creando anche aporie nell’ordinamento giuridico, è del tutto inemendabile e deve essere quindi eliminato.
Infatti la norma, per il caso in cui una nave straniera effettui un passaggio “non inoffensivo” nelle acque territoriali, attribuisce ex articolo 19 della convenzione UNCLOS, al ministro dell’Interno, di concerto con i ministri della difesa e quello delle infrastrutture e dei trasporti, la potestà  di interdire il transito e la sosta alle navi straniere, se la loro navigazione possa essere pregiudizievole per il buon ordine, la pace dello stato, anche in relazione al carico di cose e persone presente a bordo.
L’articolo 19 Unclos, in altri termini, consente sì agli Stati di limitare l’ingresso degli stranieri all’interno dei propri confini e di qualificare il passaggio delle navi straniere che trasportano migranti irregolari quale passaggio non inoffensivo, ma tale potestà  deve recedere di fronte all’obbligo di fornire soccorso alle navi in difficoltà  e ai naufraghi che esse hanno tratto in salvo.
Secondo l’unica interpretazione costituzionalmente consentita, l’articolo 1 del Decreto non può, dunque, fondare il divieto di ingresso di una nave che chiede di poter sbarcare naufraghi soccorsi in mare, poichè tale situazione configura di per sè una delle ipotesi di passaggio inoffensivo, ai sensi dell’articolo 18 della stessa convenzione Unclos, mentre l’ ipotesi contemplata dall’articolo 19 lettera g, invocata dal decreto stesso, si riferisce ai soli casi di immigrazione illegale non connessi ad un’operazione di soccorso in mare.
In definitiva, quel bilanciamento tra opposti interessi alla difesa delle frontiere, espressione della sovranità  dello Stato, e alla tutela della vita umana, è già  risolto ovviamente in favore di quest’ultima, dalla convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare del 1982. Lasciare che permanga nell’ordinamento una norma criminogena, non idonea a raggiungere il proprio scopo, produce confusione, aporie, minando il principio fondamentale del dovere di solidarietà  umana.

sen. De Falco – Fattori – Nugnes
(da agenzie)

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LA TORTA MILIARDARIA DELL’ITALIA CON IL REGIME MILITARE EGIZIANO

Febbraio 11th, 2020 Riccardo Fucile

INTERESSI STRATOSFERICI DI ENI, EDISON, INTESA SAN PAOLO, PIRELLI, ITALCEMENTI, ANSALDO, TECNOMONT, DANIELI, TECHINT, CEMENTIR

Pecunia non olet. Anche quando l’odore è quello del sangue.
Globalist lo ha anticipato ieri: l’Italia si accingerebbe a vendere due Fregate all’Egitto, nel quadro di un programma di forniture militari che varrebbe 9 miliardi di euro.
Le navi, già  pronte nei nostri cantieri per la Marina Militare, sarebbero a questa sottratte per essere date all’Egitto in pronta consegna.
Altre da cantierare sarebbero consegnate in un secondo momento, assieme ad un certo numero di elicotteri. Si tratta dello “Spartaco Schergat” e dell'”Emilio Bianchi”. La prima arrivata presso il Muggiano nel gennaio 2019 e ormai prossima a prendere il mare nei mesi a venire, la seconda appena terminata per la parte strutturale e in procinto di iniziare i lavori di allestimento nel golfo.
Si tratta della nona e decima unità  del programma per una fregata europea multi missione sviluppato insieme alla Francia, che a sua volta nel 2015 ha ceduto il suo Normandie all’Egitto.
Non solo armi
La notizia della possibile commessa, ha presto raggiunto Parigi , definita “uno schiaffo” dal quotidiano La Tribune che sottolinea gli storici rapporti con Il Cairo.
Nell’operazione, di cui si starebbero definendo gli aspetti tecnico-finanziari, ci sarebbe il coinvolgimento di Cassa Depositi e Prestiti.
“Garantire l’approvvigionamento di armi a un Paese come l’Egitto ci fa perdere credibilità , oltre a essere in aperto contrasto con gli impegni assunti da governo e parlamento sulla ricerca della verità ”, annota Erasmo Palazzotto (Leu), presidente della Commissione parlamentare d’inchiesta sull’omicidio di Giulio Regeni. “Il governo italiano sta facendo approfondimenti tecnici per decidere se vendere all’Egitto due fregate militari della nostra Marina — dice Lia Quartapelle, capogruppo Pd alla -Commissione Esteri della Camera –   Servono però valutazioni politiche”.
Il finto imbarazzo
il 24 gennaio scorso, alla vigilia dell’anniversario della scomparsa di Giulio Regeni, a Palazzo Chigi era in agenda una riunione plenaria sulla commessa aIl Cairo, una “sovrapposizione sgradevole” che la Farnesina ha chiesto di evitare. Ma la riunione si è svolta lo stesso, seppur in forma ridotta e con   gli attori necessari.
La trattativa è stata seguita in gennaio direttamente dalla presidenza del Consiglio e da Carlo Massagli, consigliere militare di Giuseppe Conte.
La riservatezza è svanita quando è stata resa nota – come di dovere – a tutti gli uffici interessati, tra cui quattro ministeri e i vertici delle forze armate. La decisione avrebbe incontrato la delusione della Marina militare che sperava che le navi potessero far parte della propria flotta
Le due fregate dal valore di un miliardo e duecento milioni fanno parte della classe Fremm, ma l’accordo delinea un’intesa di massima per un programma di sviluppo militare che Il Sole 24 ore stima in almeno 9 miliardi di commesse. Il negoziato permetterebbe, secondo le intenzioni di Palazzo Chigi, di far tornare l’Italia più centrale nel quadro geo-politico del mediterraneo meridionale.
In ballo ci sarebbero anche pattugliatori, 24 cacciabombardieri Tifone, oltre ad aerei da addestramento Macchi M-346. La Marina egiziana, come riferisce La Stampa, avrebbe già  acquistato anche una ventina di elicotteri Leonardo AW149 da impiegare a bordo delle due portaelicotteri acquistate dalla Francia, la Ghamal Abdel al-Nasser e la Anwar Sadat. L’iniziativa è partita dal Cairo, che ha espresso una manifestazione di interesse per le fregate della Fincantieri. L’azienda ha subito informato il governo italiano per avere l’autorizzazione ad andare avanti.
Il progetto è quindi di una cooperazione su larga scala nell’industria militare, confermata dal giornale Mada Masr, che ha parlato di contatti con il ministro della Produzione militare Mohammed al-Assar, concretizzati con la firma di “nove memorandum d’intesa”, compresa la realizzazione di una “unità  logistica integrata” al Cairo.
Questo per il futuro. Il passato, recente, dice che ‘Egitto ha pagato all’Italia una cifra record per l’acquisto di armi. I dati sono stati presentati alla Presidenza del Consiglio dei Ministri il 2 aprile 2019. In particolare, la cifra pagata dall’Egitto per l’acquisto di armi, munizioni e sistemi di informazione per la sicurezza di provenienza italiana, nel 2018, ammonta a più di 69 milioni di euro.
Tale cifra supera di gran lunga i 7.4 milioni del 2017 ed i 7.1 milioni del 2016. Anche precedentemente, nel periodo 2013-2015, l’Italia ha venduto armi al Cairo per cifre inferiori a quelle attuali, per un massimo di 37.6 milioni di euro.
Nel 2018, l’Egitto si è classificato al decimo posto nell’elenco dei Paesi che importano armi italiane, ed è il primo Stato del continente africano, preceduto da Qatar, Pakistan, Turchia, Emirati Arabi Uniti, Germania, Stati Uniti, Francia, Spagna e Gran Bretagna. I beni di maggior rilievo, di cui è autorizzata l’esportazione verso l’Egitto, sono pistole e fucili di piccolo calibro indirizzate all’esercito, nello specifico “armi ed armi automatiche di calibro uguale o inferiore a 12,7 mm”, oltre a bombe, siluri, razzi missili, accessori e pezzi di ricambio per armi americane ma fabbricate in Italia, apparecchiature elettroniche e software per il controllo regionale. Tali armamenti sono volti principalmente all’impiego militare, sia per l’esercito sia per la polizia e le forze di sicurezza. L’ambito relativo ai sistemi informatici risulta essere tra le novità  delle relazioni Italia — Egitto.
Non solo armi
Ma con il regime del presidente-generale Abdel Fattah al-Sisi non sono in ballo solo affari navali. In Egitto l’Eni ha interessi stratosferici ed Edison, Intesa Sanpaolo, Pirelli, Italcementi, Ansaldo, Tecnimont, Danieli, Techint, Cementir stanno piantando tende. Oltre all’Eni, circa 130 aziende italiane operano in Egitto e producono circa 2,5 miliardi di dollari.   C’è Edison (con investimenti per due miliardi) e Banca Intesa San Paolo, che nel 2006 ha comprato Bank of Alexandria per 1,6 miliardi di dollari. Poi Italcementi, Pirelli, Italgen, Danieli Techint, Gruppo Caltagirone, e molti altri. Imprese di servizi, impiantistica, trasporti e logistica. L’Egitto fa gola. Ha lanciato grandi progetti di infrastrutture: dai porti e zone industriali lungo il canale di Suez appena raddoppiato, ai fosfati estratti nel deserto occidentale, a un nuovo triangolo industriale tra i porti di Safaga ed el Quseir sul Mar Rosso e la città  di Qena sul Nilo, fino a una nuova espansione urbana e industriale sulla costa mediterranea intorno a El Alamein.
La diplomazia degli affari
Il governo egiziano conta di investirvi cento miliardi di dollari, promessi in gran parte dalle monarchie del Golfo, e le imprese di tutto il mondo sperano di partecipare alla festa. Nel 2016 le esportazioni italiane verso l’Egitto hanno prodotto 3.089,11 milioni di euro. Un caso a parte è rappresentato dall’Eni.
Presente in Egitto dal 1954 attraverso la filiale IEOC, la petrolifera italiana è la principale produttrice del Paese con 260,000 boed di gas naturale al giorno. Un report dell’Eni indica il ritrovamento di una nuova riserva di gas a Faghur durante una nuova operazione di esplorazione. È sufficiente pensare a quello che è accaduto il 31 gennaio del 2018 con l’inaugurazione del giacimento gasiero di Zohr scoperto due anni e mezzo prima dall’Eni. Quel giorno l’amministratore delegato della compagnia Claudio Descalzi presenziò alla cerimonia mentre la stampa egiziana celebrava in pompa magna i rapporti tra Italia ed Egitto.
Ad agosto 2019 il ministro del Petrolio e le risorse minerali dell’Egitto, Tarek El-Molla, ha firmato tre nuovi accordi per l’esplorazione di petrolio e gas naturale nel Mediterraneo, Sahara Occidentale e il Nilo per circa 139,2 milioni di dollari. Il primo è siglato tra la Compagnia Egiziana di Gas Naturale, Tharwa Petroleum e l’Eni per due nuovi giacimenti nel Mare Mediterraneo dell’Egitto. Il secondo tra l’Autorità  Petrolifera dell’Egitto, l’Eni e la croata Ina per l’apertura di nuovi pozzi petroliferi a Raas Qattara e il terzo tra l’Autorità  Petrolifera dell’Egitto, Eni e la British Petroleum per quattro pozzi sul Nilo. Nuove scoperte che contribuiscono all’apprezzamento dei titoli di Eni a Piazza Affari.
Non basta. Ci sono poi gli interessi di gruppi come Leonardo-Finmeccanica che con l’Egitto hanno relazioni da tempo.
Per esempio, la società  italiana ha venduto hardware militare al governo egiziano anche nei sistemi di monitoraggio e controllo delle frontiere, fornitura che rientra nell’ambito degli accordi sul controllo dell’immigrazione e dove la dimensione politica, commerciale, economica e strategica si sovrappongono.
Stando alla Banca centrale egiziana, attualmente l’Italia è il quarto partner commerciale del Cairo dopo Cina, Stati Uniti ed Emirati Arabi Uniti e nell’anno fiscale 2018/2019 gli scambi commerciali tra i due hanno sfiorato i 4,5 miliardi di dollari.
Un passo indietro, neanche troppo lungo, nel tempo. Il 4 settembre 2017, l’allora ministro degli Esteri, nel governo Gentiloni, Angelino Alfano definiva l’Egitto un “partner ineludibile dell’Italia” e fa ancora riflettere la descrizione che Naguib Onsi Sawiris, imprenditore egiziano e magnate delle telecomunicazioni, ha fatto dell’Egitto durante un intervento al Forum Rome Med 2017. Naguib Onsi Sawiris è presidente e amministratore delegato di Orascom Telecom, presidente del Consiglio di Amministrazione di Wind Telecomunicazioni Spa e di Mobinil. È uno degli uomini più ricchi dell’Africa ed è figlio di Onsi Sawiris, fondatore del gruppo Orascom. Di fronte a una platea gremita, Onsi Sawiris ha descritto l’Egitto come un “ambiente economico positivo, dove si può investire, e dove molte cose giuste sono state fatte dal punto di vista strutturale”.
Morale della brutta favola: a Roma cambiano i governi, variano le maggioranze, ma i diritti umani calpestati sistematicamente dal regime egiziano vengono sempre in secondo piano rispetto agli affari. Così come la verità  sull’assassinio di Giulio Regeni. Che si sia trattato di un omicidio di Stato, su questo non esistono dubbi. Solo che i miliardi in ballo oscurano questa verità . E’ la vergogna italiana.

(da Globalist)

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ECCELLENZA ITALIANA: FUORI DALLA TERAPIA INTENSIVA TAFIDA, LA BIMBA A CUI I MEDICI INGLESI VOLEVANO STACCARE LA SPINA

Febbraio 11th, 2020 Riccardo Fucile

GRAZIE ALLE CURE DEL GASLINI DI GENOVA LA BIMBA COLPITA DA EMORRAGIA CEREBRALE STA MEGLIO E RESPIRA SETTE ORE AL GIORNO DA SOLA

Fino a sei mesi fa Tafida, bimba inglese di 5 anni di origini bengalesi, era destinata a morte certa ma oggi, grazie ai medici del Gaslini di Genova, le sue condizioni migliorano ed è uscita dalla terapia intensiva.
Secondo il Royal London Hospital (dove era ricoverata in seguito a un’emorragia cerebrale che le aveva provocato gravissimi danni, ndr) Tafida non avrebbe avuto speranze, eppure la bimba continua a combattere ogni giorno anche grazie al sostegno di sua mamma, che le è sempre accanto in uno dei quattro miniappartamenti del “Guscio dei bambini” del Gaslini.
A raccontarlo è il Corriere della Sera.
Oggi, quattro mesi dopo, è uscita dalla terapia intensiva e respira ormai sette ore al giorno da sola, senza macchine. La madre è già  autonoma nella gestione della bimba, le dà  da mangiare attraverso un buchetto nello stomaco e sa usare il ventilatore collegato alla trachea. I margini di miglioramento forse non sono finiti. Tafida non guarirà  mai, se per guarire si intende tornare a come era prima […] Si chiamano cure palliative pediatriche. Nel caso dei bambini non accompagnano alla morte, ma alla vita. Tafida non ha una malattia degenerativa […] Tafida è inguaribile, certo. Ma è curabile. “Se per curare intendiamo prendersi cura”.
A parlare delle condizioni attuali della piccola è Luca Manfredini, il direttore del “Guscio” del Gaslini, il luogo che ha accolto la bimba dopo il verdetto dell’ospedale inglese a cui i genitori si erano arresi.
Dopo aver intubato Tafida per farla respirare e dopo averla alimentata con un sondino naso-gastrico, infatti, il Royal London Hospital affermò che sarebbe stato meglio staccare la spina. Così i genitori di Tafida scrissero una mail a Pietro Petralia, direttore del Gaslini. “Aiutateci siamo disperati”: questo il loro grido di dolore, che non è rimasto inascoltato. Come riporta il Corriere:
Il direttore della terapia intensiva, Andrea Moscatelli, studiò per un mese il caso, poi andò con una èquipe a Londra, visitò la bambina. Proposero un piano terapeutico. Convinsero il giudice di Sua Maestà . Per la prima volta una sentenza emessa a Londra diceva che andava tenuto conto anche del parere della famiglia, a differenza di quanto era avvenuto in celebri casi come quelli di Charlie e Alfie. Tafida fu portata al Gaslini con un aereo specializzato, una specie di sala di rianimazione volante.
Anche se Tafida non guarirà  mai, le cure possono aiutarla a stare meglio. Come dice il dottor Manfredini al Corriere:
“Abbiamo quattro parametri per definire la cura proporzionata […] Possibilità  di successo, aumento della quantità  di vita, aumento della sua qualità , rispetto della dignità  del paziente e della famiglia, in modo che i costi, non quelli economici ma quelli umani, non siano eccessivi. Nel caso di Tafida tutte e quattro le condizioni si sono verificate”.

(da agenzie)

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PALERMO, IDENTIFICATI QUATTRO MINORENNI AUTORI DEL PESTAGGIO DEL GIOVANE LAVORATORE SENEGALESE

Febbraio 11th, 2020 Riccardo Fucile

IL CERCHIO SI STRINGE ANCHE SUGLI ALTRI AUTORI DELL’AGGRESSIONE

La polizia ha identificato quattro minorenni che sarebbero tra gli autori del pestaggio razzista ai danni di Boubacar Kande, picchiato in due riprese in strada, tra sabato e domenica scorsi.
Il senegalese, 19 anni, è stato accerchiato sabato notte prima vicino alla Banca d’Italia e poi a pochi passi dal Teatro Massimo. Stava tornando a casa dal lavoro. I ragazzini che lo hanno aggredito e preso a calci e pugni lo avrebbero anche apostrofato con la frase: “Negro di m…”.
Oltre ai quattro minorenni è stato identificato anche un adulto, che è stato ripreso dalle telecamere di videosorveglianza. Ma la sua posizione sarebbe marginale e il suo nome non è stato iscritto sul registro degli indagati.
La posizione dei giovanissimi che si sono scagliati contro il ragazzo senegalese è adesso al vaglio della procura per i minorenni. Non sono stati resi noti, al momento, altri particolari, a cominciare dall’età  dei ragazzini.
Sono una decina i giovanissimi che avrebbero preso parte, con ruoli diversi, all’aggressione. E non è escluso che nelle prossime ore gli investigatori del commissariato “Centro”, coordinati dalla sostituta procuratrice per i minorenni Paola Caltabellotta, rintraccino anche gli altri aggressori.
Boubacar Kande ha riportato una ferita al sopracciglio e i medici gli hanno dato una prognosi di dieci giorni. La città  di Palermo ha espresso il suo sdegno per quanto accaduto con messaggi di solidarietà  social indirizzati al giovane e il Comune si costituirà  parte civile nell’eventuale processo.

(da agenzie)

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GERMANIA: LA PROSSIMA CANCELLIERA POTREBBE ESSERE VERDE

Febbraio 11th, 2020 Riccardo Fucile

LA CRISI DELLA CDU APRE UN’AUTOSTRADA ALLA LEADER DEI GRUNEN ANNALENA BAERBOCK… NEI SONDAGGI I VERDI SONO A TRE PUNTI DALLA CDU

“Ora noi siamo visti come la forza politica stabile della Germania”, ci dice il co-presidente dei Verdi al Parlamento europeo Philippe Lamberts.
Il caos totale nella Cdu, aperto dall’accordo con l’ultradestra xenofoba dell’Afd in Turingia e sfociato ieri nelle dimissioni della leader e futura candidata per la Cancelleria, Annegret Kramp-Karrenbauer, non solo sconvolge la scena politica tedesca, ma si abbatte come pesante novità  anche sull’Unione Europea: potrebbe instaurare un nuovo ‘ordine’ (o disordine) in Europa, finora a guida franco-tedesca. Ecco perchè anche da Strasburgo, dove è riunita la plenaria del Parlamento europeo, molte attenzioni sono puntate verso la Germania, negli scambi tra parlamentari fuori dall’aula.
La possibilità  che alle elezioni dell’anno prossimo si imponga una Cancelliera dei Verdi non è più remota. Il nome è già  scritto: Annalena Baerbock.
Co-presidente dei Verdi da due anni, eletta insieme al popolare Robert Habeck con cui guida il partito in tandem, Baerbock è nata in Bassa Sassonia, studi alla London School of Economics, 38 anni, sposata con due bambini, ambientalista che coniuga l’ecologia alle tematiche sociali.
E, a sentire fonti tedesche, pare sia anche questo il segreto del suo successo, la chiave che le ha permesso di portare i Verdi oltre il 20 per cento nei sondaggi (secondo le ultime rilevazioni sono al 22 per cento, Spd al 12, Linke al 10) e assediare la Cdu (al 25 per cento).
Che ora barcolla, seminando panico in tutti gli altri partiti. Verdi compresi, anche se hanno già  la loro candidata alla Cancelleria, non ufficialmente in pista ma da quando ha preso le redini del partito in molti la vedono possibile successore di Angela Merkel alla guida del paese.
“Siamo molto preoccupati per quello che succede in Germania con i partiti che intendono cooperare con i partiti di estrema destra, è un segnale molto negativo che avrà  un impatto importante per tutti gli stati membri”, dice a Strasburgo l’altra co-presidente dei Verdi, la tedesca Ska Keller.
La Germania ”è uno degli Stati membri che avrà  tra poco la presidenza del consiglio”, aggiunge alludendo al fatto che a partire da luglio la presidenza di turno dell’Ue sarà  tedesca. Quanto sta accadendo “è anche un segnale di erosione della democrazia e dello stato diritto”
Il punto è che la crisi della Cdu preoccupa anche i rivali. Ora un futuro accordo di governo con i cristiano-democratici, obiettivo sul quale i Grunen stavano lavorando da tempo, determinati a sostituire la Spd nella GrosseKoalition, va ripensato. E tutto dipende dalla futura leadership della Cdu.
Uno dei pretendenti, Friedrich Merz, ricco avvocato, vecchio rivale della Merkel, liberal e filo-Atlantico, è molto apprezzato dall’ultradestra. Con lui al comando, appare complicato un accordo di governo con i Verdi, o almeno è quello che trapela adesso dal partito di Baerbock-Habeck.
Mentre se la Cdu si affidasse ad Armin Laschet, governatore del Nord-Reno Westphalia, un’intesa sarebbe possibile, dicono le fonti consultate da Huffpost.
Il punto è che la Cdu potrebbe ritrovarsi seconda dopo i Verdi alle prossime elezioni.
E potrebbe essere lei, Baerbock, eventuale futura Cancelliera, a dettare le carte. Certo, ma seduti al tavolo con chi? Ecco perchè il caos nella Cdu, cardine della politica tedesca in questi ultimi 15 anni di ‘regno Merkel e anche prima con Helmut Kohl, preoccupa gli stessi Verdi, pur pronti a vincere e determinati a erodere consensi alla stessa Cdu. La Spd è in crisi, vittima diretta dell’ascesa dei Verdi. La Die Linke è forte in Turingia, dove ha incassato il 31 per cento dei voti alle ultime elezioni, ma non in tutto il paese.
Lapidario il commento di Wolfgang Schauble, figura di rilievo della Cdu e della scena politica tedesca, presidente del Bundestag, ex ministro del Tesoro: “Se continuiamo così, il nostro candidato alla Cancelleria non diventerà  Cancelliere”.
Perchè, dopo le dimissioni di Akk, nella Cdu si è aperta la ‘guerra’ interna. E in molti scommettono sul fatto che dovranno anticipare il congresso, previsto per fine anno, nel tentativo di non dissanguare ulteriormente il partito.
In più, sui moderati della destra tedesca, si abbattono tutte le tensioni di questi anni: a cominciare dalla concorrenza a destra rappresentata dall’Afd.
“Nella Cdu c’è chi guarda al centrosinistra, Verdi o Spd, ma c’è anche chi non disdegna l’Afd, si veda quello che è successo in Turingia…”, ci dice Martin Schinderwan, tedesco della Die Linke, co-presidente del Gue, il gruppo della ‘Sinistra unitaria europea, sinistra verde nordica’ all’Europarlamento.
“Non c’è stato alcun accordo formale fra i cristiano-democratici e la destra estremista in Germania”, si difende Manfred Weber, presidente del Ppe, della Cdu bavarese. “Ma gli sviluppi sono preoccupanti – continua – Per me è chiaro, non ci può essere alcuna cooperazione fra i cristiano democratici e la destra populista o anche i nazisti: è una linea rossa che non si può attraversare per noi come Ppe”. Weber dice di non temere i Verdi: “Erodono consensi all’Spd, non alla Cdu”.
Ma i sondaggi indicano un altro trend, disegnando una traiettoria di successo per i Verdi anche a scapito del partito di Merkel. “Dobbiamo porci il problema di prendere voti anche tra i liberali e nel centrodestra”, ci dice Lamberts, “come è accaduto in Belgio”.
Del resto, la prova provata che in Europa la competizione tra moderati di destra e Verdi sia più che aperta, sta proprio nel Green deal, scelto dalla tedesca Ursula von der Leyen come bandiera della sua presidenza alla Commissione europea. Solo che pensava di portarla alta per la Cdu. Ora potrebbe invece dover ‘rispondere’ ad una Cancelliera verde, che — stando a quanto trapela dai fonti della Cdu a Bruxelles — verrebbe premiata anche dal voto femminile, in uscita dal partito di Merkel con la fine del ciclo politico della Cancelliera. Chissà .

(da “Huffingtonpost”)

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