Maggio 7th, 2020 Riccardo Fucile
SOLTANTO IN CALABRIA SONO 12.000 GLI STUDENTI CHE NON RIESCONO A SEGUIRE LA DIDATTICA A DISTANZA PERCHE’ NON DISPONGONO DELLA TECNOLOGIA NECESSARIA
La scuola italiana è la grande sacrificata nell’epidemia del Coronavirus. Non è stata la prima ad essere travolta dallo tsunami di contagi, ma probabilmente sarà l’ultima a riaprire dopo i bar, i ristoranti e i parrucchieri.
Questo perchè — così è stato detto dal Governo — rappresenta un rischio di contagio troppo elevato, aggravato anche dall’età avanzata di molti docenti. Così ci si è affidati alla didattica a distanza, tra mille problemi e contraddizioni.
Non ultima quella del digital divide, come viene chiamata la crepa che è andata aumentando tra chi “ha” e chi “non ha” accesso ad alcuni beni che dovrebbero essere primari, ovvero il web o l’apparecchiatura tecnologica come i pc e i tablet.
I dati in questo senso sono profondamente sconfortanti.
Ci ha pensato l’Istat a tracciare il confine della disuguaglianza, avvertendo che soltanto una famiglia su tre (33,8%) in Italia dispone di almeno un computer per ciascun componente.
Un dato che al Sud è ancora peggiore: 4 famiglie su 10 sono senza computer in casa. Sempre secondo l’Istat (dati 2018-2019) la percentuale più alta sarebbe in Calabria, dove oltre il 45% delle famiglie non gode di questo vantaggio. Un numero altissimo.
Per sopperire a questo problema il Governo ha messo a disposizione di tutte le Regioni circa 85 milioni di euro con il Decreto Cura Italia, di cui ne sarebbero già arrivati 70. Questo si traduce in circa 10mila euro per una scuola media con circa 800 alunni: una cifra non sempre sufficiente per fornire una strumentazione adeguata.
Per andare avanti con la didattica a distanza molte scuole — circa il 95% in Calabria — hanno dovuto svuotare i propri laboratori.
Eppure nella regione gli studenti senza dispositivi sarebbero almeno 12mila, pari a circa il 6% del totale.
A questo problema si somma quello dell’accesso all’internet: tutt’altro che scontato in alcune zone interne della Regione.
Ma anche quando gli aiuti sono presenti, non sempre si riesce a recapitarli con facilità alle famiglie in difficoltà , come spiega Carmen Aiello, docente all’Istituto Comprensivo Aldo Moro a Guardavalle in Provincia di Catanzaro.
Una testimonianza, la sua, non soltanto indicativa ma anche rappresentativa, visto il numero di studenti che hanno riscontrato delle difficoltà nel seguire le lezioni da casa, della situazione delle scuole locali.
Professoressa, avete riscontrato molte difficoltà nella transizione alla didattica a distanza?
«Inizialmente non si capiva cosa dovevamo fare, ma abbiamo pensato che si tratta di ragazzi che vivono già uno svantaggio socio-culturale non indifferente, quindi non era il caso di lasciarli soli. Non sapevamo quanto sarebbe durato, ma ci eravamo sentiti tra di noi per capire cosa fare. Dopo poco è arrivato l’annuncio del Ministero che ufficializzava la didattica a distanza, però senza alcuna indicazione. La vera difficoltà è stata capire esattamente come fare: ho 40 anni e non ho avuto nessun problema, ma penso ad alcuni colleghi più vicini alla pensione che non avevano mai fatto questo tipo di lavoro. Per fortuna la voglia di mettersi in gioco è stata molta»
Sono arrivati i finanziamenti predisposti dal Ministero?
«Il nostro preside aveva già fatto l’acquisto dei tablet — 30 in totale — poche settimane dopo l’annuncio, verso la fine di marzo. Inoltre abbiamo subito distribuito i computer che avevamo già in dotazione. I tablet sono arrivati praticamente subito ed immediatamente è stato fatto il bando. Adesso ci saranno delle altre possibilità per chi è rimasto fuori, magari perchè è stato usato il metodo dell’Isee per distribuirli. Il Consiglio d’istituto aveva stabilito che nel limite di un Isee massimo di 15mila euro ci sarebbe stata una graduatoria. Quelli che arriveranno verranno probabilmente distribuiti tra le famiglie dove ci sono più figli a casa»
Ci sono tuttora studenti che non possono seguire la didattica a distanza?
«Il primo mese ci sono state le difficoltà maggiori: erano una decina gli studenti non in grado di seguire le lezioni su un totale di quasi 140 alunni. I motivi erano vari e non necessariamente legati alla strumentazione. Alcuni erano in difficoltà perchè non avevano abbastanza giga, per esempio, soprattutto chi non vive in paese. Abbiamo cercato di risolvere il problema riattivando la vecchia connessione internet della scuola, però non è stata una cosa immediata anche perchè alcuni di loro disponevano di un solo telefonino per nucleo familiare»
Ci sono stati anche casi di irreperibilità ?
«Si, con due o tre alunni. Quando noi insegnanti abbiamo visto che la situazione era questa, abbiamo prima contattato le famiglie, e poi ci siamo attivati attraverso il dirigente. In alcuni casi sono anche venute fuori scuse banali come la mancanza di concentrazione e di volontà , soprattutto tra i più piccoli e nelle prime classi delle scuola media»
Dopo circa un mese di didattica a distanza ci sono altre difficoltà a cui andate incontro? Quali sono invece gli aspetti positivi?
«L’aspetto positivo è stato scoprire che da parte di alcuni alunni questa fase è stata vista come un momento di riscatto. Se penso alla mia classe, che ha 16 alunni, sono stati proprio gli studenti che prima avevano meno voglia di barcamenarsi a partecipare più attivamente. A livello dei docenti, quello che manca è la formazione. Ogni scuola ha fatto da sè: i miei colleghi si sono affidati a me e ad un collega informatico, ma non è arrivata alcuna formazione dall’esterno. Ciò ha comportato anche grande confusione rispetto alle piattaforme che venivano scelte, tra chi usava Whatsapp, chi Zoom e chi Google Classroom. Da quando facciamo le video-lezioni, però, va molto meglio»
Quando sono iniziate?
«Io le ho iniziate praticamente subito con Zoom — sono stati gli stessi studenti a chiederlo. Dicevano: quando ci vediamo? Per loro è stato un momento importantissimo»
Per quale motivo?
«Abbiamo assistito a due reazioni diverse. In alcuni casi i ragazzi sono stati entusiasti di potersi rivedere, di poter interagire tra loro e con noi, di poter fare domande — spesso anche sul momento particolare che stiamo vivendo. In altri, invece, non è andata così: alcuni colleghi mi hanno raccontato di aver incontrato difficoltà con alunni che, ad esempio, non volevano mostrarsi in video, per pudore o perchè si sentono inadeguati»
Avete riscontrato questo sentimento anche tra coloro che non avevano accesso alle lezioni?
«All’inizio alcuni si vergognavano di ammettere di non avere i mezzi per seguire le lezioni, e noi docenti abbiamo scoperto delle loro difficoltà grazie a chi gravitava attorno alle famiglie. Una ragazzina che non aveva il telefono e usava quello della mamma, ad esempio, ha addirittura preferito far passare il messaggio che non faceva i compiti perchè non le andava anzichè spiegare il motivo reale. C’è stata vergogna nel chiedere aiuto anche da parte degli stessi genitori: uno non voleva fare nemmeno la richiesta del tablet, quasi che chiedere un aiuto esterno rappresentasse una macchia per l’intera famiglia. E’ normale che in una situazione del genere anche i ragazzi abbiano avuto la tendenza a nascondersi»
Guardando anche alla Fase 3, le sembra una modalità di insegnamento sostenibile?
«La mole di lavoro è aumentata moltissimo per noi docenti — io stessa lavoro più del doppio di prima, perchè la didattica a distanza richiede uno sforzo di progettazione in più rispetto a quella in aula. Alla fine, però, vogliamo tornare in classe soprattutto perchè i ragazzi hanno bisogno di sentirci vicini, di vederci realmente e di stare insieme tra loro. In realtà come le nostre si potrebbe fare: io, ad esempio, insegno in una classe molto ampia che ospita soltanto 15 alunni. Bisognerebbe responsabilizzare le scuole e portarle a sviluppare un piano per organizzare la propria didattica, invece ci viene detto “metà dentro, metà fuori”».
(da agenzie)
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Maggio 7th, 2020 Riccardo Fucile
UNA STORIA DI SOLIDARIETA’ NEL GROSSETANO CHE MERITA DI ESSERE RACCONTATA
Era arrivato dalla Calabria in Toscana per lavorare come cuoco in uno dei tanti ristoranti di
Grosseto per tutta l’estate. Ma, a causa dell’emergenza covid-19, la stagione in Maremma non è mai partita. I locali sono chiusi da settimane.
E così, in attesa del sussidio di 600 euro che non è ancora arrivato, si è ritrovato senza un impiego, senza soldi, con l’affitto da pagare e con il frigo vuoto.
Per non morire di fame, allora, ha deciso di andare a pescare per procacciarsi un po’ di pesce: qualche sogliola, un polipo.
Ma lo scorso 22 aprile è stato sorpreso dalla polizia, a cui erano arrivate segnalazioni da parte di alcuni cittadini, lungo la spiaggia di Marina di Grosseto. Gli agenti, ai quali ha raccontato di essere in difficoltà , hanno deciso però di non fargli la multa. E da quel momento nei suoi confronti è partita una gara di solidarietà .
Protagonista della storia, raccontata da Il Tirreno, un giovane calabrese di 30 anni, arrivato in Toscana per lavorare come chef per la stagione estiva.
“Ero venuto qui per fare lo stagionale e sono rimasto intrappolato dall’emergenza coronavirus”, ha raccontato il ragazzo che – ironia della sorte – nella sua città d’origine, Tropea, fa volontariato, “consegnando pacchi di cibo alle famiglie bisognose, casa per casa”.
Una storia la sua identica a quella di altre migliaia di italiani, dipendenti di bar, ristoranti e locali rimasti a casa in queste settimane senza un paracadute per sopravvivere, in attesa della cassa integrazione e con lo spettro di non poter tornare a lavoro anche nei prossimi mesi.
Il giovane, arrivato a Grosseto prima che scoppiasse l’emergenza sanitaria, non ha preso servizio nemmeno per un giorno. E, non potendo far ritorno a casa, è rimasto bloccato “con a malapena 2 euro sul conto in banca e un alloggio in affitto da pagare”.
Ad aiutarlo, dopo che la sua storia è diventata pubblica, come lui stesso ha raccontato a Il Tirreno, due poliziotti che “gli hanno regalato soldi e spesa”.
E un’anonima cittadina di Marina di Grosseto che gli ha fatto recapitare “quattro buste di spesa con un sacco di roba da mangiare”.
Ed è loro che ora il giovane vuole ringraziare: “Voglio dirlo perchè mi sono stati vicino. Adesso ho del cibo in casa e soldi per fare la spesa per un altro po’, sperando di cominciare il lavoro quanto prima”.
(da agenzie)
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Maggio 7th, 2020 Riccardo Fucile
IL CENTRODESTRA COMPLESSIVAMENTE HA REGOLARIZZATO UN MILIONE DI IMMIGRATI: NON PER BONTA’, MA PERCHE’ SERVIVANO BRACCIANTI E BADANTI (COME ORA)
Matteo Salvini lancia la Lega all’attacco della bozza di legge per regolarizzare i migranti per il
lavoro nei campi di cui il governo Conte sta discutendo in queste ore.
Eppure c’è qualcosa che non torna.
Ora, a parte che bisognerebbe verificare, a proposito di numeri (e in questo caso sono seicentomila, non i trecentomila di cui parla Salvini), se questo Matteo Salvini è lo stesso Matteo Salvini che durante la campagna elettorale del 2018 prometteva invece di rimpatriare 600mila “clandestini” e sappiamo tutti com’è andata a finire. Ma magari si tratta di un’omonimia.
Più cogente è invece ricordare che la Lega di “irregolari” ne ha invece regolarizzati quasi un milione.
Lo ha fatto votando i provvedimenti dei governi Berlusconi a cui ha partecipato sia nel 2002 che nel 2009. Il primo, accompagnato alla Bossi-Fini, ne ha regolarizzati 700mila:
“Il decreto-legge reca norme in materia di legalizzazione del lavoro irregolare dei lavoratori extracomunitari ed attua l’impegno assunto dal Governo in Parlamento di accompagnare l’entrata in vigore della legge “Fini-Bossi” in materia di immigrazione (10 settembre) con norme per la legalizzazione dei lavoratori extracomunitari.
Il provvedimento prevede che i lavoratori extracomunitari occupati nei tre mesi precedenti l’entrata in vigore del decreto-legge possono essere regolarizzati a domanda, presentata direttamente dal datore di lavoro e con il versamento di una somma pari a 700 euro; previo accertamento da parte della Prefettura di eventuali motivi ostativi e la conclusione di un contratto di lavoro a tempo indeterminato o a tempo determinato di durata almeno annuale, potranno ricevere il permesso di soggiorno.
Viene inoltre stabilito che l’obbligo dei rilievi fotodattiloscopici previsto per i lavoratori extracomunitari sia esteso anche ai cittadini italiani all’atto della consegna della carta d’identità elettronica. (dal Comunicato del Consiglio dei Ministri del 6 settembre 2002)”
Il sito celebrativo del governo Berlusconi 2001-2006 riporta i risultati finali di quella regolarizzazione
Nel 2009 invece i numeri previsti erano quelli della precedente sanatoria, ma alla fine furono 294mila le richieste accolte. Il totale fa poco meno di un milione, ma in compenso è bello ricordare chi era all’epoca il ministro dell’Interno. Ovvero Roberto Maroni.
Quindi come si sono comportati i governi di centrodestra? Numeri alla mano, all’opposto da ciò che pensano oggi Matteo Salvini e Giorgia Meloni.
(da agenzie)
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Maggio 7th, 2020 Riccardo Fucile
PARLANO DI MADE IN ITALY E FAVORISCONO LE IMPORTAZIONI DALL’ESTERO, AFFOSSANDO LA NOSTRA PRODUZIONE
Quanta frutta avete mangiato in queste settimane per cercare di rinforzare le difese
immunitarie? Chi credete l’abbia raccolta?
Ve lo diciamo noi. 600 mila migranti pagati tre euro l’ora, molti sfruttati dalle mafie perchè irregolari.
Oggi nel governo c’è una parte della maggioranza, il M5S, che si sta opponendo alla regolarizzazione di queste persone.
Sì. Esseri umani.
Il movimento vuole che restino nell’ombra, illegali, schiavi di persone senza scrupoli.
La scusa ufficiale è non dare argomenti a Salvini.
La verità è che se hanno fatto un governo insieme e ancora molti di loro lo rimpiangono, un motivo c’e’.
Nel M5s non è cambiato nulla: ora è guidato da un anonimo reazionario che funge da prestanome al teorico dei “taxi del mare”, compagno di merende dei razzisti per un anno e mezzo e ora riciclato ad accogliere gli aiuti umanitari a Pratica di Mare.
Sono quelli che hanno approvato i decreti criminali chiamati “sicurezza”, che hanno buttato per strada centinaia di migliaia di immigrati togliendo loro la protezione umanitaria per poi strillare contro il degrado dei centri urbani, sono i complici di un sequestratore di persone cui hanno consentito di violare le leggi nazionali e internazionali, sono quelli che per mantenere una poltrona hanno tradito i valori fondanti del M5s.
Straparlano di tutela del “made in Italy” e, quando sarà impossibile raccogliere frutta e verdura per mancanza di manodopera, saremo costretti a importare i prodotti dall’estero.
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Maggio 7th, 2020 Riccardo Fucile
FORSE NEL DORMIVEGLIA HANNO SCAMBIATO LE MESSE PER IL MES
Forse i deputati di Lega e Fratelli d’Italia avevano scambiato le ‘messe’ per il ‘Mes’. Usiamo un po’ di ironia per parlare di quanto accaduto ieri alla Camera dei deputati dove — prima dell’accordo sancito oggi tra il governo e la Cei per la ripresa delle messe dal 18 maggio — si sono votati tre emendamenti che si incamminavano proprio in questa direzione.
Sta di fatto che Lega e Fratelli d’Italia si sono astenuti dal voto finale.
Il motivo?
Era stata rigettato un emendamento presentato da FdI che voleva far riaprire subito tutte le celebrazioni religiose alla presenza dei fedeli.
Forse qualcuno di loro si è ritenuto Pontefice, visto che a decidere quando ritornare alle funzioni religiose è prerogativa del clero, non dei sovranisti (sarebbe interessante sapere in che percentuali tali soggetti vanno a messa la domenica…)
Non si può non rimarcare l’incongruenza di questo voto visto che i due partiti da giorni sostenevano che le funzioni religiose andavano permesse e poi quando le riaprono non voti a favore.
Ma qui si entra nel campo della buona fede di certe esternazioni, qualità che in certa classe politica è estranea.
Restano i dati del tabellone: 331 voti a favore (compresa Forza Italia), 2 contrari e 134 astenuti (Lega e Fdi)
(da agenzie)
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Maggio 7th, 2020 Riccardo Fucile
“LE CELEBRAZIONI AVVERRANNO IN MANIERA SICURA”… BASSETTI: “GRANDE COLLABORAZIONE E SINERGIA”… ANALOGHE MISURE ANCHE PER LE ALTRE CONFESSIONI RELIGIOSE… IL RUOLO DETERMINANTE DELLA LAMORGESE
Dal 18 maggio si tornerà in chiesa per assistere alle messe. 
Questa mattina a Palazzo Chigi è stato firmato il protocollo per il riavvio delle celebrazioni dopo l’emergenza Coronavirus. L’accordo è stato siglato dal presidente della Cei, il cardinale Gualtiero Bassetti, dal Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, e dal ministro dell’Interno, Luciana Lamorgese.
“Le misure di sicurezza previste nel testo – ha spiegato il premier – esprimono i contenuti e le modalità più idonee per assicurare che la ripresa delle celebrazioni liturgiche con i fedeli avvenga nella maniera più sicura. Ringrazio la Cei per il sostegno morale e materiale che sta dando all’intera collettività nazionale in questo momento difficile per il Paese”.
L’accordo è arrivato dopo una lunga trattativa durata settimane e nata dalle proteste della Cei, che chiedeva la ripartenze delle messe aperte al pubblico già a partire dal 4 maggio, in contemporanea con l’inizio della fase 2. “Altrimenti – le parole delle Cei in una nota del 26 aprile – si compromette la libertà di culto”.
Per frenare lo scontro era dovuto intervenire anche Papa Francesco, sottolineando “la necessità di obbedire alle regole per non fare tornare alla pandemia”.
Per giorni, però, dal 26 aprile si è lavorato per trovare una data che rappresentasse un compromesso tra governo e Cei. Si era parlato, inizalmente, di una ripartenza delle celebrazioni delle messe con la presenza dei fedeli dall’11 maggio. Ora, inevce, l’accordo firmato questa mattina fa slittare la data di pochi giorni: si inizierà dal 18 maggio. Una soluzione che accontenta tutti.
“Il protocollo è frutto di una profonda collaborazione e sinergia, ciascuno ha fatto la sua parte con responsabilità “, ha sottolineato il cardinale Gualtiero Bassetti, presidente della Cei. “Da parte della Chiesa c’è stato – ha ribadito – l’impegno della Chiesa a contribuire al superamento della crisi in atto”.
E il ministro dell’Interno, Luciana Lamorgese, ha aggiunto: “Il lavoro fatto insieme ha dato un ottimo risultato. Analogo impegno abbiamo assunto anche con le altre confessioni religiose”.
(da agenzie)
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Maggio 7th, 2020 Riccardo Fucile
ALLE 00.38 PUBBLICA UN POST DOVE ACCUSA IL GOVERNO DI AVER PORTATO L’IMPRENDITORE AL SUICIDIO PER NON AVER FATTO ABBASTANZA PER LE AZIENDE IN CRISI, PECCATO CHE ALLE 18.46 L’ANSA AVESSE GIA’ INFORMATO CHE I FAMILIARI AVEVANO SMENTITO CHE L’ORIGINE DEL GESTO AVESSE RAGIONI ECONOMICHE, ERA SOLO DEPRESSO DA TEMPO
A Matteo Salvini si stringe notoriamente il cuore quando arrivano notizie tragiche. È per questo che stanotte ha pubblicato un post su Facebook in cui raccontava il suicidio di Antonio Nogara, imprenditore di Cercola, segnalando come fosse “un monito a fare di più” per “il governo” «con meno annunci e più fatti, a dare aiuto vero a chi non riceve contributi, non riceve prestiti, non ha garanzie e porta sulle spalle il peso dei propri lavoratori e delle loro famiglie».
Ma c’è un problema. Il post è stato pubblicato stanotte alle 00.38, come ci segnala Facebook. Alle 18 e 46 di ieri — prima del post di Salvini — un lancio dell’agenzia di stampa ANSA spiegava che l’uomo non si è suicidato per motivi economici, anche se l’articolo del Mattino pubblicato dal Capitano sosteneva il contrario:
Una depressione accentuatasi nell’ultimo periodo: ci sarebbe questo alla base del gesto di A.N., l’imprenditore di 58 anni originario di Cercola (Napoli) che nella serata di ieri si è tolto la vita impiccandosi all’interno del suo capannone alla periferia di San Giovanni a Teduccio, in via Murelle a Pazzigno, vecchia zona industriale a est di Napoli.
E’ quanto fanno sapere i familiari dell’uomo attraverso il sindaco del comune alle porte di Napoli, Vincenzo Fiengo, che li ha contattati per esprimere il proprio cordoglio. ”Mi hanno chiesto di far sapere che il suicidio non è legato a motivi economici — ha affermato Fiengo — ma che il loro congiunto soffriva da tempo di una forma depressiva che si è accentuata negli ultimi tempi. Questo non allevia il dolore per la perdita del 58enne, ed alla famiglia va tutta la vicinanza mia e dell’intera cittadinanza di Cercola”.
Alle 19 e 02 un altro lancio dell’AdnKronos spiegava la stessa cosa:
Un gesto legato a depressione e non a motivi economici. Si spiega così il suicidio di A.N., imprenditore 58enne originario di Cercola (Napoli) che ieri sera si è tolto la vita impiccandosi all’interno della sede della sua azienda in via Murelle, nel Rione Pazzigno, zona orientale di Napoli. I familiari ne hanno parlato con il sindaco di Cercola, Vincenzo Fiengo, che li aveva contattati per esprimere il proprio cordoglio. “Mi hanno autorizzato a far sapere che soffriva di problemi di natura depressiva e non ci sono ragioni di natura economica alla base del gesto, anzi l’azienda è sana e non ha avuto alcun tipo di problemi in quel senso”, spiega Fiengo all’Adnkronos sottolineando che la famiglia “chiede riserbo e rispetto per questa tragedia che stanno vivendo”. L’uomo, che abitava da sempre a Cercola, lascia la moglie e una figlia.
E quindi delle due l’una: o Salvini come al solito ha scritto una fregnaccia da disinformato, e allora fa ridere che uno come lui abbia fatto il ministro dell’Interno.
Oppure Salvini sapeva benissimo che il motivo del suicidio non era economico ma se ne è fregato per utilizzare quella morte a fini politici.
Chissà perchè, i precedenti ci fanno propendere per la seconda ipotesi. A pensar male si fa peccato. Ma raramente si sbagli
(da “NextQuotidiano”)
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Maggio 7th, 2020 Riccardo Fucile
LO SPOT DELL’AZIENDA E’ “TROPPO GAY FRIENDLY”… PER I PARANOICI SOVRANISTI LE FRASI DEL “DISCORSO ALL’UMANITA'” DI CHARLIE CHAPLIN SONO EVERSIVE
Troppi caffè, si sa, rendono nervosi. Evidentemente qualcuno, sponda sovranista — basta
ripercorrere le bacheche social -, ne ha bevuti troppi non riuscendo ad apprezzare la scelta della Lavazza di confezionare il suo ultimo spot con un discorso che ha fatto la storia del Cinema mondiale: Il Grande Dittatore di Charlie Chaplin.
Nelle ultime ore, infatti, su Twitter si è aperta una vasta e amara discussione sul fatto che l’azienda torinese avrebbe scelto un approccio ‘gay friendly’, ‘gender’, ‘multicolor’ e ‘mondialista’ per la loro ultima campagna pubblicitaria dedicata alla vita dopo il Coronavirus.
L’hastag che accompagna lo spot di Lavazza, ideato da Armando Testa, è #TheNewUmanity e ricalca in pieno le parole scelte per accompagnare una serie di
immagini che rappresentano il mondo attuale (e il mondo reale).
Musica di sottofondo di Ezio Bossio, parole di Charlie Chaplin (quelle del ‘Discorso all’Umanità ‘ del film ‘Il Grande Dittatore’.
«Tutti noi esseri umani dovremmo aiutarci sempre, dovremmo godere soltanto della felicità del prossimo, non odiarci e disprezzarci l’un l’altro. In questo mondo c’è posto per tutti. La natura è ricca. E’ sufficiente per tutti noi. Voi avete l’amore dell’umanità nel cuore. Vi avete il potere di rendere questa vita libera e magnifica, di trasformarla in un’avventura meravigliosa. Combattiamo per un mondo nuovo, un mondo giusto, che dia a tutti un lavoro. Ai giovani un futuro e agli anziani la sicurezza. Combattiamo per liberare il mondo, eliminando confini e barriere, eliminando l’avidità , l’odio e l’intolleranza. Combattiamo per un mondo ragionevole, un mondo in cui la scienza e il progresso, diano a tutti gli uomini il benessere. Uniamoci tutti!».
Il tutto si conclude con un’altra frase, un auspicio per ritrovare compattezza dopo uno dei periodi più difficili vissuti dal mondo fin dal tempo del secondo conflitto Mondiale: «È il buongiorno di un’umanità ritrovata. Viviamolo insieme».
Insomma, un qualcosa che dovrebbe unire e non dividere. Ma la folta squadra sovranista sui social ha deciso di criticare questa scelta con miotivazioni da psiche malata tipo questa: “Meno male che non bevo caffè: non corro il rischio di dare soldi alla Lavazza per ingurgitare un esotico intruglio, oltretutto pubblicizzato con uno spot che gronda insopportabile propaganda antifascista e antirazzista. Mi raccomando: acquistate sempre con coscienza patriottica”.
Patriotttica? Ma se la Lavazza è italiana, pirla.
(da agenzie)
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Maggio 7th, 2020 Riccardo Fucile
L’INVITO L’AVREBBE RICEVUTO DALLA SALINI IMPREGILO, D’INTESA CON TOTI (NON A CASO IN DATA POCO ANTECEDENTE LE POSSIBILI ELEZIONI REGIONALI A LUGLIO)… SCOPPIA LA POLEMICA SULLA MANCANZA DI RIGUARDO ALLE VITTIME E IL SINDACO PRENDE LE DISTANZE: “NON NE SAPEVO NULLA”
Il sindaco di Genova e commissario straordinario del viadotto Polcevera Marco Bucci non è mai stato al corrente dell’ipotesi che lo showman Amadeus potesse condurre la cerimonia di inaugurazione del nuovo ponte.
L’informazione arriva da ambienti vicini al primo cittadino. Il conduttore televisivo ha annunciato la notizia durante una diretta Instagram insieme al collega e amico Fiorello. “Ho fatto una riunione per l’inaugurazione del nuovo ponte, sarà a luglio, ci sarà anche l’architetto Renzo Piano”, ha detto Amadeus.
Non è chiaro con chi si sia svolta la riunione ma i due conduttori, durante la diretta, citano più volte una delle componenti del consorzio PerGenova, ovvero Salini Impregilo.
Al momento non esiste una data fissata per l’inaugurazione del ponte nè un programma delle celebrazioni.
Lo stesso architetto Piano, nei giorni scorsi, prima del varo dell’ultimo impalcato, aveva detto che non si può parlare di una festa dopo che sono morte 43 persone.
Sui social molti cittadini genovesi si dichiarano indignati: “fare una trasmissione con ballerine e canzoni su un ponte nato da una tragedia è un’assurdità “.
E’ chiaro che Salini Impregilo non invita Amadeus senza avere avuto prima un accordo con il presidente della Regione Toti, in questi giorni in prima linea per convincere il governo a far votare in Liguria a metà luglio.
Caso strano l’inaugurazione di cui parla Amadeus sarebbe pochi giorni prima di quella data.
Ci mancano le ballerine del Moulin Rouge e la pagliacciata sarebbe al completo.
(da agenzie)
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