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LA LEZIONE DI GISCARD ALLA DESTRA CHE L’ITALIA NON HA

Dicembre 3rd, 2020 Riccardo Fucile

L’EX PRESIDENTE FRANCESE, MORTO DI COVID, ERA UN CONSERVATORE, MA ANCHE UN EUROPEISTA

Il 27 maggio 1974 i francesi, allora popolo giovane, 50 per cento sotto i trent’anni, videro un quarantenne con “passo felino e occhio da rapace” (scrisse il Figaro) attraversare a piedi Parigi per arrivare all’Eliseo.
Valèry Giscard d’Estaing era appena stato eletto presidente, con 400 mila voti di scarto su Franà§ois Mitterrand (50,8 cento) ed apriva una stagione nuova nella rappresentazione stessa della politica.
Dopo i venticinque anni dominati dalla figura di paterna e pedagogica di De Gaulle, la breve parentesi di Pompidou deceduto per malattia prima della fine del mandato, mentre l’onda del 68 ancora muoveva aspettative di ogni genere, Giscard rappresentava un’alternativa di destra al gollismo, tecnocratica, competente, riformista in politica ed economia, ma radicale nell’idea di società .
L’inizio di settennato fu “abbagliante”, come scrive oggi Le Point: la semplicità  di quell’uomo a piedi nelle vie di Parigi era un taglio netto con la monumentalità  del generale e del suo successore Pompidou che alla notizia della morte di De Gaulle aveva pomposamente dichiarato per sempre “vedova” la Francia.
Giscard segnò innanzitutto una rottura con quella retorica, pur dichiarandosene figlio, rivendicando la Resistenza contro il nazismo e, benchè giovanissimo, la partecipazione alla liberazione di Parigi nel 1944 (anche se da sinistra ci fu qualche polemica sul suo reale coinvolgimento).
Ma era il rappresentante della “sociètè liberale avancèe”, di una destra moderna che non aveva bisogno di sdoganare il passato perchè la lotta al nazismo era la sua storia, non doveva occhieggiare ai collaborazionisti o ai nostalgici del colonialismo perchè a questi ci pensava dal suo ghetto Jean-Marie Le Pen.
Era – in poche parole – quella destra liberale, laica, radicale, riformista che l’Italia non ha mai avuto se non in una minoranza testimoniale. E che sapeva parlare alla sinistra senza complessi, come nell’ultimo faccia a faccia televisivo, quando Giscard si rivolse all’avversario con una battuta rimasta famosa: “Lei monsieur Mitterrand non ha il monopolio del cuore”.
Con Giscard la maggiore età  si abbassa a 18anni, le riforme civili si compiono con la legge per l’aborto, nel divorzio il ruolo tra uomo e donna diventa paritario, si riforma il sistema carcerario, salta il monopolio dell’azienda della radio e della televisione di stato.
Ma gli anni Giscard furono anche un rottura nel costume, è stato il primo a mostrare la sua vita privata, mai si era visto un presidente sciare in montagna o in pubblico con un maglione a girocollo e   i pantaloni di velluto.
Da ministro si era già  fatto intervistare a torso nudo negli spogliatoi di un campo di calcio alla fine della partita. La sua campagna elettorale per l’Eliseo fu condotta con la moglie Anne-Aymone per mano, in versione americana, come Kennedy con Jacqueline. Anche le figlie lo accompagnavano, una conversazione con la maggiore sui problemi dei giovani fu diffusa in tivù.
La comunicazione presidenziale fu completamente rivoluzionata. Giscard si invitava a cena nelle case dei francesi normali, riceveva all’Eliseo i rappresentanti degli addetti alla manutenzione delle fogne di Parigi, andò stringere   la mano ai detenuti del carcere di Saint-Paul di Lione a conclusione di una rivolta.
Ma tutto questa fenomenologia, in un paese che ha al tempo stesso una propensione monarchica e una uguale e contraria propensione a mettere il monarca sulla ghigliottina, non poteva che rovesciarsi nel suo contrario.
Come disse il cinico Mitterrand “non è colpa sua, è figlio di un ricco, la sua fortuna è stata la sua sfortuna”.
In effetti Valèry Giscard d’Estaing era nato in una famiglia di banchieri con radici nel 1600. Come la moglie Anne-Aymone Marie Josèphe Christiane Sauvage de Brantes, ma anch’essa con solide radici resistenziali e il padre ufficiale morto nei campi nazisti. Il grottesco paradosso della sua presidenza fu un dono di diamanti per la moglie ricevuto dal dittatore centroafricano Bokassa. Il piglio del giovane presidente si era mutato nella decadente allure di un Luigi XIV.
Ma a minare politicamente la corsa di Giscard è stata soprattutto l’infinita rivalità  con Jacques Chirac, scomparso pochi mesi fa. Tra i due, accaniti avversari da sempre, non c’è mai stata riconciliazione, nemmeno nella vecchiaia. Come scrive oggi Le Monde   “solo la morte ha spento questo duello, tra un aristocratico spesso arrogante, dallo spirito prodigiosamente cartesiano e un Rastignac godurioso e carismatico, tra un orleanista e un bonapartista”.
Alla fine, della sua parabola terrena, più che le innovazioni restano le sconfitte, compresa quella della commissione che ha guidato a Bruxelles per la “Costituzione europea” che il 55 per cento   dei francesi ha bocciato nel referendum del 2005, come una sanzione storica e definitiva.
Amaro e lucido, eletto all’Acadèmie, il senato degli “immortali” di Francia, Giscard non aveva illusioni per il futuro: “i posteri non ricorderanno niente di me, le nostre società  sono senza memoria”.

(da “Huffingtonpost”)

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WEBER, PORTAVOCE DEL PPE IN EUROPA: “BASTA PAROLE, E’ ORA DI AGIRE, FUORI ORBAN DAL PPE”

Dicembre 3rd, 2020 Riccardo Fucile

“LA DECISIONE ERA PREVISTA PER SETTEMBRE, ORA SI AGISCA”

Più volte tirato in ballo negli ultimi giorni dall’ala più liberale del partito, oggi anche il portavoce del gruppo Ppe al Parlamento europeo, Manfred Weber, si è esposto sul tema che ha di nuovo scatenato la guerra interna alla famiglia più rappresentata in Unione europea: l’espulsione di Fidesz, il partito del primo ministro ungherese Viktor Orban, dal Partito Popolare Europeo.
Parlando in videoconferenza con la stampa estera in Germania, il politico bavarese ha detto che “il tempo delle parole è finito, adesso è il momento di agire”.
Ai giornalisti Weber ha ricordato che come presidente del gruppo parlamentare del Ppe si è assicurato che la sospensione di Fidesz dalla formazione, avvenuta a marzo 2019, fosse effettiva: “È stato un segnale forte — ha dichiarato — Adesso Fidesz non è più rappresentata negli organi dei gruppi parlamentari”.
E ha poi colpito duramente i membri ungherese non nascondendo la sua posizione: “Purtroppo, a causa del coronavirus, a settembre non è stato possibile escludere Fidesz“.
La tempistica per prendere questa decisione è nelle mani del presidente del partito Donald Tusk, ma da statuto il voto all’assemblea del partito può avvenire solo in presenza, mentre a causa della pandemia gli incontri si stanno tenendo sempre da remoto.
Così i parlamentari che mirano alla cacciata di Orban hanno deciso di organizzare una raccolta firme per l’espulsione di Tamà¡s Deutsch, capo della delegazione ungherese colpevole di aver paragonato la clausola sullo Stato di diritto, sulla quale la maggior parte del partito è d’accordo, alla repressione nazista e comunista.
Una mossa che, se dovesse ottenere i risultati sperati dall’ala più liberale, secondo fonti interne convincerebbe lo stesso Orban ad abbandonare sia il Ppe che il relativo gruppo all’Europarlamento prima ancora di un voto sull’espulsione del partito.
Weber, però, non motiva la sua posizione con la questione Deutsch o con il recente scandalo sessuale che ha colpito l’ormai ex eurodeputato di Fidesz, Jà³zsef Szà¡jer. Bensì, il ragionamento del leader tedesco si rifà  all’impasse che si è venuta a creare in sede di Consiglio Ue, con Orban e il premier polacco, Mateusz Morawiecki, che hanno optato per la strategia dell’ostruzionismo sul Recovery Fund a causa della condizionalità  legata allo Stato di diritto per l’erogazione dei fondi europei: se non ci sarà  un soluzione nelle prossime ore o nei prossimi giorni, ha spiegato, “ciò avrà  un impatto enorme sulla fine definitiva dell’adesione”.
Sul bilancio dell’Ue, il portavoce del gruppo si è detto favorevole al fatto che tutti i Paesi arrivino insieme ad un accordo, “ma i colloqui stanno già  iniziando su posizioni di ripiego. Cosa fare se non si riesce a raggiungere un accordo?”. Con l’aiuto della “cooperazione rafforzata” di un gruppo di Stati dell’Ue, ha aggiunto, è legalmente possibile per gli altri Paesi decidere in merito agli aiuti per il Covid anche senza Ungheria e Polonia.
“Allora anche i fondi regionali, dai quali i due Paesi traggono grandi benefici, non andrebbero a Budapest e Varsavia”, ha avvertito. “Stiamo giocando con il fuoco”, per questo ha auspicato una depoliticizzazione del dibattito e lo stop alle azioni della Polonia e dell’Ungheria, da lui ritenute irresponsabili. Se il primo ministro ungherese Orban pensa che il compromesso negoziato non sia basato sul Trattato di Lisbona, ha concluso, c’è una sede nella quale ciò può essere chiarito: “La Corte di Giustizia europea, non con il veto”.

(da “Il Fatto Quotidiano”)

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QUATTRO EUROPARLAMENTARI M5S ABBANDONANO IL GRUPPO A BRUXELLES

Dicembre 3rd, 2020 Riccardo Fucile

PEDICINI, D’AMATO, CORRAO ED EVI LASCIANO IN CONTRASTO CON LE SCELTE DEL PARTITO… VI PROFILA UN PASSAGGIO AI VERDI

Quattro europarlamentari del M5S, Piernicola Pedicini, Rosa D’Amato, Ignazio Corrao (vicino a Di Battista) ed Eleonora Evi, abbandonano il gruppo pentastallato.
Lo hanno annunciato con una nota indicando di voler proseguire l’impegno a favore delle battaglie di cui sono stati portavoce in questi anni, mettendo al primo posto la difesa del pianeta e la tutela della salute dei cittadini.
La decisione è stata resa necessaria – dicono – dall’impossibilità  di “portare avanti con coerenza la difesa di questi temi, all’interno della delegazione del M5S, il cui operato oggi diverge irrimediabilmente sia dall’impegno preso con gli elettori che dalle aspirazioni originarie del movimento”.
La rottura in realtà  è in gestazione da diverse settimane. E le dichiarazioni rilasciate per giustificare l’abbandono appaiono in realtà  come un modo per celare la vera ragione del loro abbandono, le divergenze rispetto alla questione della riforma del Mes, un tema che divide profondamente il Movimento, con oltre 50 grillini pronti a votare no in aula a Roma e far vacillare il governo.
È il primo consistente segnale di rottura interna formalizzata mentre gli esponenti 5 Stelle cercano di chiudere la partita dell’affiliazione a un gruppo che permetta loro visibilità  (e risorse) nel Parlamento europeo.
Da tempo discussioni sono in corso per associarsi ai socialisti del Pse. I pentastellati eletti al Parlamento Ue sono 14 (compresi i 4 dissidenti).
L’avvicinamento ai Verdi
Rispetto al futuro dei quattro dissidenti, è possibile che transitino nel gruppo dei Verdi i cui vertici si riuniranno domani per prendere una decisione. I gruppo dei Verdi   al Parlamento europeo intanto annuncia che “avvierà  domani la discussione” sulla possibile adesione dei quattro ex europarlamentari M5S.
“Oggi è intervenuto un fatto nuovo “e quindi ne prendiamo atto e iniziamo la nostra valutazione. Ma faremo le cose con calma, non c’è ragione di agire in fretta”, ha osservato il copresidente del gruppo, il belga Philippe Lamberts.
Poi ha ricordato i “problemi strutturali” nell’organizzazione del Movimento già  evidenziati dai Verdi in passato e che hanno portato al nulla di fatto dopo i colloqui esplorativi per un avvicinamento tra le due formazioni politiche a Bruxelles. Problemi legati soprattutto al ruolo svolto dalla piattaforma Rousseau di Casaleggio. “Ma ora i quattro hanno lasciato il gruppo e questo cambia le cose”, ha detto Lamberts sottolineando comunque che chiunque voglia aderire al gruppo “deve condividerne i valori. Decideremo quando la situazione sarà  chiara”.
Corrao: “No al Movimento come partito”
Con una lunghissima lettera Ignazio Corrao ha dato il suo addio al Movimento. “Non sono nessuno – osserva – per dire che è finito, ma sono sicuramente in grado di dire che quello che oggi si chiama M5S è un’altra cosa, qualcosa di più simile agli altri partiti e sicuramente qualcosa a cui, da cittadino, non mi sarei avvicinato”.
Poi sottolinea: “Gianroberto Casaleggio diceva che i partiti, prima di scomparire, proveranno a somigliare al M5S. Purtroppo è successo l’esatto contrario grazie ad un fattore riconducibile alla natura umana che il visionario fondatore non aveva considerato”.
Ma Alessandro Di Battista in un commento sotto al post di Corrao replica che la scelta   di lasciare il Movimento “è un errore”. E poi dice all’europarlamentare dice: “Sei una persona per bene e sei un amico e per me l’amicizia così come la riconoscenza è un grande valore. à‰ stato un onore aver fatto battaglie e migliaia di km insieme a te… Ad ogni modo è la tua vita. In bocca al lupo”.
Pedicini: “Non mi farò cacciare, me ne vado”
L’europarlamnentare Pedicini affida il suo sfogo ad un lungo post. “Agli attivisti, agli iscritti e a tutti coloro che hanno riposto fiducia in me, e in noi – scrive sulla sua pagina social – dico che insieme ad alcuni colleghi abbiamo provato fino all’ultimo a riportare il Movimento sul giusto binario, senza riuscirci purtroppo”. Per questo motivo, prosegue, “è ormai evidente sono una persona scomoda per coloro i quali si sono autoproclamati vertice del M5S.Con questo mio post proverò a toglierlo dall’imbarazzo perchè non sono il tipo che si fa cacciare, piuttosto vado via da solo!”.
D’Amato: “Il Movimento non c’è più”
Dure anche le accuse di Rosa D’Amato al suo ormai ex partito. “È stata avviata una nuova procedura sanzionatoria del Movimento 5 Stelle nei miei confronti e dei miei colleghi al Parlamento europeo. Tolgo gli ex compagni di viaggio dall’imbarazzo di buttarmi fuori per motivi politici”, dice la parlamentare Ue. E poi spiega che la decisione di lasciare i pentastellati derive dal fatto che, a suo dire, il Movimento “al punto in cui siamo, non è in grado di rappresentare i principi e le speranze che sin dal primo giorno di attivismo avevano animato la mia passione politica”. Anzi, aggiunge, ormai “ha perso la sua identità  e ha cessato di esistere da un pezzo e in realtà  se ne sta distruggendo anche il ricordo”.
Evi: “Chi guidava nell’ombra continua a farlo”
Eleonora Evi polemizza invece sugli Stati generali. “Non hanno portato a nulla – accusa – Sono fermamente convinta che l’intero processo sia stato costruito per essere indirizzato fin dal principio e per silenziare e censurare le voci critiche. Il caso di Piernicola Pedicini, escluso dalla votazione per i 30 oratori in modo del tutto arbitrario dal capo politico è eclatante ed emblematico”. Per Evi, quindi, “dagli Stati Generali non emerge alcun cambiamento, nessuna discontinuità , chi guidava prima, formalmente e informalmente nell’ombra, continuerà  a farlo”.

(da agenzie)

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SOSTENETE “DESTRA DI POPOLO”: 13 ANNI DI INFORMAZIONE LIBERA

Dicembre 3rd, 2020 Riccardo Fucile

2.600.000 VISUALIZZAZIONI E 56.000 ARTICOLI PUBBLICATI, UN BLOG CHE VIVE SUL VOLONTARIATO

Oltre 13 anni fa abbiamo creato un blog di informazione che pubblica circa 20 articoli ogni 24 ore: tutto questo è garantito dal sacrificio personale di pochi che, oltre che a collaborare gratuitamente, devono fare fronte alle spese vive per acquisto quotidiani, abbonamenti, manutenzione del sito e rinnovo materiali.
Siamo diventati uno dei siti di area più seguiti in Italia, con centinaia di lettori ogni giorno anche dall’estero, fornendo un servizio gratuito di approfondimento attraverso una linea editoriale coerente.
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I DATI DEL MINISTERO CHE LA AZZOLINA NON DIFFONDE: “NELLE SCUOLE SEGNALATI ENTRO FINE OTTOBRE BEN 65.000 CASI DI CONTAGIATI”

Dicembre 3rd, 2020 Riccardo Fucile

PER GALLI “SONO DATI APPROSSIMATIVI PER DIFETTO”… ALTRO CHE IL PIAGNISTEO DI “RIAPRIRE LE SCUOLE PERCHE’ SONO SICURE”… 65.000 CASI IN UN MESE E SENZA CONTARE SCUOLE DELL’INFANZIA E DEI NIDI

Sono 64.980 i casi di positivi al Sars-Cov-2 nella popolazione scolastica ovvero tra alunni, docenti e collaboratori scolastici del primo e del secondo ciclo.
A diffondere questi dati, finora non diffusi dal ministero dell’Istruzione e nemmeno dall’Istituto superiore di sanità , è la rivista Wired che ha presentato un’istanza di accesso generalizzato ottenendo dagli uffici di viale Trastevere i numeri — aggiornati al 31 ottobre — inviati al dicastero dai dirigenti scolastici.
I dati sono stati forniti su base territoriale e riguardano 2.546 Comuni sugli oltre 6.700 sul cui territorio ha sede una scuola. Dati dunque parziali che forniscono una fotografia non nitida della capillarità  del contagio.
Una fotografia che allarma Massimo Galli, primario dell’ospedale Sacco di Milano: “Riapriamo tutto prima di Natale di fronte a una situazione di questo genere?”, si chiede il professore contattato da Ilfattoquotidiano.it.
Osservando la mappa rielaborata da Wired sull’incidenza del contagio nelle scuole possiamo vedere che le province dove il dato è più alto sono quelle di Cuneo, Varese, Monza e Brianza, Massa Carrara, Pisa, Arezzo, Perugia, Terni ed Isernia, dove si sono verificati circa 20 casi di positività  ogni mille persone (studenti e docenti).
La situazione migliora raggiungendo un numero tra i 10 e i 15 casi nelle province di Torino, Vercelli, Biella, Macerata, Firenze, Pistoia, L’Aquila e Oristano.
Il resto del territorio, invece, ha un numero di casi sempre rispetto a mille persone, inferiore a 10.
L’incidenza — spiega Wired — è inferiore negli istituti scolastici in Campania, che ha chiuso le scuole a più riprese, in Veneto e in Friuli Venezia Giulia.
Hanno invece un’incidenza simile dentro e fuori dalle aule l’Emilia-Romagna, la Lombardia e la Liguria.
Nel resto del Paese, invece, l’incidenza in classe è più alta che nella popolazione generale. Allegato alle mappe c’è anche un documento con 2.459 Comuni dove si sono registrati casi di infezione nel primo e nel secondo ciclo.
Nel primo caso, per quanto riguarda elementari e medie, la classifica dei primi dieci riguarda le città  di Roma (2850); Milano (1202); Torino (647); Genova (513); Napoli (355); Monza (334); Perugia (322); Palermo (302); Firenze (235) e Catania (204). Mentre per le superiori la lista delle prime dieci è così composta: Roma (1967); Milano (1332); Torino (645); Firenze (599); Genova (421); Napoli (388); Monza (215); Perugia (229); Palermo (232) e Catania (107).
Galli ricorda che “tutte le volte che io e altri abbiamo detto che le scuole sono un problema ci hanno attaccato dicendo che volevano togliere un diritto sacrosanto”.
E il professore del Sacco rimarca che “siamo di fronte ad un numero approssimato per difetto”. “In più — sottolinea — mancano i dati dei contagi della scuola dell’infanzia e del nido. È evidente che se non ci si contagia in aula, succede prima o dopo le lezioni”.
Ad attaccare la ministra Lucia Azzolina è invece la Gilda: “I dati sui contagi tra la popolazione scolastica smentiscono clamorosamente la campagna propagandistica condotta da Azzolina per le scuole aperte: a fronte della tesi strenuamente sostenuta dalla ministra circa la sicurezza delle scuole rispetto alla diffusione del virus, fino al 31 ottobre si sono registrati quasi 65mila casi di Covid-19 tra i banchi. Si tratta di un numero molto elevato se si considera che è riferito a un periodo poco più lungo di un mese (dall’inizio dell’anno scolastico a fine ottobre)”, spiega il coordinatore nazionale Rino Di Meglio. Altra questione: “Riteniamo grave che in un Paese democratico manchi la trasparenza su informazioni così cruciali e che per accedervi un giornalista sia stato costretto a ricorrere al Foia”, spiega Di Meglio. Dagli uffici di viale Trastevere, tuttavia, nessuno vuol commentare i dati ottenuti da Wired: “Aspettiamo il report dell’Iss”.

(da agenzie)

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I SOVRANISTI SVIZZERI NON VOGLIONO LIMITAZIONI PER LE PISTE DA SCI: BRAVI, ANDATE E INFETTATEVI TUTTI

Dicembre 3rd, 2020 Riccardo Fucile

PAESE CHE VAI, SOVRANISTI COGLIONI CHE TROVI

Non sono solo i sovranisti italiani a essere irresponsabili: in Svizzera, un’alleanza di deputati sovranisti ha chiesto al Governo di Brera di non imporre alcuna limitazione ai comprensori sciistici.
Se sarà  necessario adottare ulteriori misure, queste devono essere di competenza dei Cantoni e non della Confederazione, affermano i deputati che hanno convocato una conferenza stampa a Berna
L’alleanza, composta principalmente da politici del partito della destra populista UDC, si dice preoccupata per le “migliaia di imprese colpite, la cui sopravvivenza dipende dalle entrate generate durante le poche settimane di vacanze invernali”.
Il pomo della discordia è un progetto di ordinanza che il governo federale ha inviato qualche giorno fa ai Cantoni e ad altri ambienti per consultazione.
In base al progetto, i comprensori sciistici in Svizzera devono rimanere aperti. Tuttavia, per evitare la folla, si dovrebbero applicare misure come restrizioni di capacità  o un’ora di chiusura anticipata per i ristoranti e i bar.
Il governo svizzero dovrebbe decidere venerdì il pacchetto di misure contro la diffusione del virus durante le feste.
L’agenzia stampa svizzera Keystone Ats ricorda che il governo “si trova ad affrontare la pressione delle autorità  dei paesi alpini vicini, che hanno tutti scelto di chiudere gli impianti di risalita. Il governo è in stretto contatto con quelli dei paesi limitrofi”.

(da agenzie)

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IL PIANO DELLA MERKEL: RECOVERY FUND SENZA UNGHERIA E POLONIA

Dicembre 3rd, 2020 Riccardo Fucile

LA CANCELLIERA PRONTA ALLO STRAPPO: I DUE PAESI PERDEREBBERO MOLTI SOLDI

“E’ necessario che tutte le parti scendano ad un compromesso” sul bilancio Ue e il Recovery Fund, altrimenti l’accordo “non funzionerà ”, avverte Angela Merkel alla videoconferenza delle commissioni per gli affari Ue dei Parlamenti nazionali europei. Soprattutto, confermano diverse fonti europee ad Huffpost, la cancelliera non vuole uscire a mani vuote dal Consiglio europeo del 10 e 11 dicembre, l’ultimo della presidenza tedesca di turno dell’Ue.
Vuole portare a casa il recovery fund, a tutti i costi. Anche nel caso in cui dovesse essere costretta a usare l’arma più estrema. Cioè trasformare il recovery fund in un accordo intergovernativo a 25 senza Ungheria e Polonia.
La presidenza tedesca sta lavorando anche a questa possibilità . Perchè finora non ci sono spiragli nella trattativa con i governi di Budapest e Varsavia, scontenti per il meccanismo che lega l’erogazione dei fondi europei al rispetto dello stato di diritto.
Per questo hanno deciso di sollevare i veti che bloccano il recovery fund. E ora la mediazione è in alto mare. Nè si prevede una soluzione prima del summit dei 27 leader europei giovedì prossimo a Bruxelles. La materia sarà  sviscerata in quella sede. Ecco perchè si cerca di arrivarci con un piano.
A Bruxelles anche la Commissione europea sta lavorando ad un carnet di ipotesi. L’obiettivo è sempre quello di salvare il Next Generation Eu, lo strumento economico deciso dall’Ue quest’estate per combattere la crisi causata dal covid, 750 miliardi di euro da raccogliere sui mercati attraverso l’emissione di bond comuni della stessa Commissione.
E tra le ipotesi sulle scrivanie di Palazzo Berlaymont c’è anche quella di trasformare il recovery fund in un accordo intergovernativo a 25, senza Ungheria e Polonia che naturalmente verrebbero tagliate fuori dai nuovi fondi.
Non si tratta di una soluzione a costo zero. In questo caso, l’Europarlamento non potrebbe approvare il nuovo bilancio europeo, perdendone la potenza di fuoco di oltre 1800 miliardi. L’Unione andrebbe in esercizio provvisorio.
Significa non poter far partire i nuovi progetti, poter sfruttare solo quelli già  finanziati, usando solo un dodicesimo al mese del vecchio bilancio. Ma la soluzione potrebbe far paura a Ungheria e Polonia che subirebbero tagli ai fondi di coesione, quelli cui tengono di più.
“Dovremo lavorare fino all’ultimo giorno” per arrivare a un accordo, dice Merkel lasciando intendere che per lei il dado ancora non è tratto. Negli ambienti europei si continua a sperare che Ungheria e Polonia mollino la presa. Sembrano in trappola, ma non danno segnali di cedimento.
Nemmeno il danno di immagine dopo il coinvolgimento di un suo fedelissimo, l’eurodeputato ungherese Jozsef Szajer, nell’orgia interrotta dalla polizia a Bruxelles, sembra scalfire Viktor Orban. E dunque, accenna la cancelliera, inserire il Recovery fund nel pacchetto di bilancio si sta rivelando “difficile quanto far quadrare un cerchio”. La nuova corsa a 25 è quasi ai nastri di partenza.

(da “Huffingotonpost”)

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ORBAN ESPELLE DAL PARTITO L’EUROPARLAMENTARE DEI FESTINI GAY PERCHE’ “HA VIOLATO IL LOCKDOWN”, MA LA CENSURA STAVOLTA NON HA FUNZIONATO

Dicembre 3rd, 2020 Riccardo Fucile

GRAZIE A SITI INDIPENDENTI GLI UNGHERESI SONO VENUTI A CONOSCENZA DELLO SCANDALO E ORBAN SI BLINDA NEL PALAZZO

Alla fine in serata questo mercoledà­ si è dovuto esprimere e muovere Viktor Orbà¡n in persona:: “Jozsef Szà¡jer ha commesso atti inaccettabili e incompatibili con i valori del nostro partito”, ha detto in una breve dichiarazione rilasciata dai suoi portavoce e riportata dalle agenzie.
Ha dovuto muoversi per parare il colpo d’immagine dell’eurodeputato amante dei festini Lgbtq contrastante con la dura politica omofoba della maggioranza di governo, perchè censura e controllo sui media non hanno funzonato.
L’opinione pubblica ungherese è stata ampiamente informata dell’orgia-scandalo ma solo dai pochi media indipendenti: i siti Internet osteggiati da autorità  e oligarchi e agenzia di distribuzione della pubblicità , quali Telex.hu, 444.hu e 24.hu, e soprattutto dal canale ungherese della tv privata tedesca Rtl, di proprietà  dell’autorevole gruppo editoriale globale Bertelsmann, e da Blikk, quotidiano popolare controllato da Springer, massima editoriale tedesca.
L’agenzia di stampa ufficiale ungherese Mti (Magyar Tà¡virati Irà³da), radio e tv pubbliche e i media filogovernativi o controllati da oligarchi che appoggiano il premier, hanno taciuto dell’orgia e hanno dato solo la notizia che Szà¡jer aveva dichiarato di dimettersi, con effetto dal primo gennaio, per aver violato il lockdown belga.
Nelle prossime ore ci si aspetta che le opposizioni europeiste pongano chiare questioni alla maggioranza.
Nel frattempo, da quando i siti indipendenti e RTL hanno divulgato i fatti, la polizia ha eretto un cordone-barriera di isolamento che tiene chiunque a 50 metri di distanza dall’edificio-castello che Orbà¡n si è fatto costruire e dove abita e governa, dice al telefono un’autorevolissima fonte, Kà¡roly Và¶rà¶s, ultimo direttore del quotidiano Nèpszabadsà¡g, il quale dopo il 1989 da organo del Pc gorbacioviano divenne massimo giornale liberal di proprietà  dell’editoriale svizzera Ringier.
Il governo ha distrutto il Nèpszabadsà¡g prima riducendogli al minimo la pubblicità  distribuitagli, poi facendolo acquistare da oligarchi che lo hanno subito chiuso.
Con imbarazzo il ministro degli Esteri Pètèr Szà­jjà¡rtà³, responsabile delle informazioni confidenziali per l’esecutivo, ha ammesso parlando con un media indipendente di aver saputo del casoi Szà¡jer (avvenuto venerdì) solo leggendo i media stamane mercoledì.
Riunioni tra Orbà¡n e i suoi massimi collaboratori sarebbero in corso. È un colpo per il piຠcapo dell’esecutivo sovranista mentre egli e i suoi seguaci celebrano il suo record di premier magiaro più a lungo al potere nella storia moderna: 14 anni e 145 giorni, sommando il suo primo governo (1998-2002) e il ritorno al potere nell’aprile 2010, fino a oggi.
Ecco le dichiarazioni rese a caldo stamane a domande di media indipendenti da tre alti esponenti della Fidesz e dell’esecutivo. Zsà³lt Semjèn, autorevolissimo nel gruppo parlamentare, ha detto rispondendo a Telex.hu: “Perchè dovrei prendere posizione sul tema?”. Judit Và¡rga, ministra della Giustizia, potente e vicina al premier e alla sua famiglia, ha affermato: “In questa situazione Szà¡jer ha preso l’unica decisione giusta”. E poi alla domanda se il caso avrà  effetti nel confronto con la Ue su legame tra rispetto dello Stato di diritto e Erf e bilancio Ue con aiuti ai Paesi riceventi quali l’Ungheria (i due temi su cui Ungheria e Polonia hanno posto il veto alla Ue bloccando sia il nuovo bilancio sia gli aiuti anti-Covid) e sul tema stato di diritto in generale, la stessa Và¡rga non ha voluto rispondere.
Othmar Karas, europarlamentare del Ppe rappresentante della Oevp austriaca del cancelliere Sebastian Kurz, ha chiesto le dimissioni del capogruppo Fidesz all’Europarlamento Tamà¡s Deutsch, perchè quest’ultimo aveva detto che metodo e linguaggio verso l’Ungheria usati dal capogruppo dell’intero Ppe, il tedesco Manfred Weber, sono “paragonabili alle argomentazioni della Gestapo”.
Si attendono dichiarazioni dei partiti di opposizione. Il Parlamento avrà  la prossima sessione plenaria solo la settimana prossima. Ieri era in riunione plenaria conclusasi prima dell’arrivo delle notizie da Bruxelles sui motivi reali delle dimissioni di Szà¡jer. Il Parlamento però ha discusso dell’altro scandalo che nei giorni scorsi ha colpito l’immagine della maggioranza di governo.
Cioè delle dichiarazioni dell’alto esponente della politica culturale della Fidesz e direttore del Museo Petà¶fi, Demeter Szilard, il quale aveva paragonato il tycoon americano di origini ebree ungheresi George Soros a Hitler e la Unione europea al Terzo Reich, affermando che Soros e la Ue vogliono un nazismo liberale e una Shoah liberale e che ungheresi e polacchi oggi sono nella situazione degli ebrei tra il 1933 e il 1945.

(da agenzie)

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IL GIORNALE DIMENTICA CHE IL REDDITO DI CITTADINANZA FU APPROVATO GRAZIE ALLA LEGA

Dicembre 3rd, 2020 Riccardo Fucile

SE DUE TUNISINI FINANZAVANO LA JIHAD ISLAMICA CON IL REDDITO DI CITTADINANZA RINGRAZIATE SALVINI, NON SOLO DI MAIO

La notizia, come logico, ha destato molta rabbia e altrettanto stupore, anche se non si tratta — purtroppo — di una novità .
Si parla dei due cittadini tunisini che percepivano il sussidio di Stato, fortemente voluto dal Movimento 5 Stelle, e che finanziano jihad con reddito di cittadinanza.
I due sono stati denunciati dalla Guardia di Finanza. Una storia molto grave, come molte altre che si sono intrecciate negli ultimi due anni attorno a quel provvedimento che ha previsto controlli approfonditi solamente dopo l’ottenimento del sussidio.
Ma Il Giornale, nel raccontare questa vicenda nella sua prima pagina di oggi, ‘dimentica’ (le virgolette sono un eufemismo) come quel provvedimento sia stato firmato anche dalla Lega, con Matteo Salvini che all’epoca era vicepremier.
Insomma, il reddito di cittadinanza ha paternità  grillina, ma fecondato anche dal Carroccio. Fare finta che il leader della Lega fosse estraneo dalla dinamiche dell’approvazione di questo provvedimento è una forzatura. E non è la prima volta che accade.
Nel mese di settembre, infatti, fu lo stesso Salvini a criticare le norme per il reddito di cittadinanza. Forse il caldo di questa estate e la corsa alla propaganda elettorale ha fatto dimenticare a lui il suo ruolo nell’approvazione del sussidio che è stato fortemente voluto dal Movimento 5 Stelle, ma approvato anche dal suo Carroccio.

(da agenzie)

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