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INSEGUITA COME UNA BESTIA E PRESA A CALCI: RAGAZZA TRANS AGGREDITA DA DUE RIFIUTI UMANI

Febbraio 9th, 2021 Riccardo Fucile

UN TERZO DELINQUENTE FILMA LA SCENA,   LE TERRIFICANTI URLA DELLA RAGAZZA MENTRE LA FECCIA INFIERISCE

Sono terrificanti le urla di una ragazza trans che si sentono in un video che testimonia l’aggressione che ha subìto da parte di due persone che l’hanno inseguita e fatta cadere a terra per poi prenderla a calci.
A pubblicare per primo il filmato è stato il consigliere regionale della Campania Francesco Borrelli che scrive: “Ci hanno inviato un video che sarebbe stato girato in via Nazionale a Torre del Greco dove si è consumata una vile aggressione, sembra di chiara matrice omofoba, ai danni di un’indifesa che oltre ad essere stata rincorsa e scaraventata al suolo è stata presa a calci da due squadristi codardi. La vittima ha provato a scappare e urlare ma è stata braccata e ha dovuto sottostare ai calci degli aggressori”. Ancora più agghiacciante è il dettaglio che al pestaggio partecipava una terza persona, quella che ha filmato la ragazza a terra mentre soccombeva agli aggressori.
Il video è stato girato alle forze dell’ordine, spiega Borrelli: “Abbiamo provveduto a girare le immagini alle forze dell’ordine affinchè procedano all’identificazione dei due vigliacchi, perchè siano denunciati. Episodi del genere sono inaccettabili, sanno di prevaricazione e pregiudizi intollerabili. Niente può giustificare l’esercizio della violenza e della prepotenza, nessuno può decidere deliberatamente di agire a scopo intimidatorio contro altri”.
Anche il sindaco di Torre del Greco, Giovanni Palomba, ha voluto dire la sua: “Personalmente ho appreso della vicenda solo attraverso i social. Noto che doveva essere tarda ora visto che la zona, seppur periferica, è comunque inserita in un contesto urbano assai popolato”.
La ragazza verrà  ascoltata dagli inquirenti che stanno indagando per rintracciare i responsabili della violenza. Arcigay Napoli spiega di conoscere la ragazza, e che non è la prima volta che è stata aiutata: “Conosciamo la persona inseguita e presa a calci. Si tratta di una donna trans già  supportata da Antinoo Arcigay Napoli e Pride Vesuvio Rainbow in diversi momenti. Stiamo in tutti i modi cercando di contattarla per mostrarle sempre vicinanza e aiuto. Ci impegneremo a darle il massimo sostegno”

(da “NextQuotidiano”)

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PICCHIATO E FILMATO DA UNA BABY GANG: LA STORIA DI FILIPPO, IL CLOCHARD MORTO AD ARZACHENA

Febbraio 9th, 2021 Riccardo Fucile

GLI HANNO ANCHE SPENTO UNA SIGARETTA SULLA MANO… SEI DELINQUENTI, DI CUI 5 MINORI, SONO INDAGATI: CAMPI DI RIEDUCAZIONE PER QUESTI INFAMI

Si chiamava Abdellah Beqeawi ma per tutti era Filippo,   il senzatetto di 54 anni che da una vita viveva ad Arzachena in Sardegna. à‰ morto in un parcheggio sotterraneo di un supermercato, la sera del 22 dicembre.
Per la sua morte ora sono iscritti nel registro degli indagati sei ragazzi. 5 di loro sono minorenni, hanno un’età  che varia dai 14 ai 16 anni. Qualche settimana prima del decesso di Filippo la baby gang aveva aggredito il clochard filmando tutto.
Ora gli inquirenti stanno cercando di capire se ci sia una correlazione tra le aggressioni e la morte di Filippo. I video sono sequestrati dagli inquirenti che stanno svolgendo le indagini   coordinate della Procura di Tempio e dal Tribunale dei minori di Sassari. La Nuova Sardegna riporta la testimonianza dei clienti del supermercato dove Abdellah Beqeawi raccoglieva qualche spicciolo. E che hanno visto i ragazzini tormentare l’uomo:
Diversi clienti del supermercato, sconvolti e arrabbiati per la notizia del pestaggio, ieri, raccontavano di aver visto più di una volta un gruppo di ragazzini che lo derideva. Li avevano notati proprio nel parcheggio sotterraneo e li avevano sgridati. «Lasciatelo in pace», gli avevano detto. «Filippo va tutto bene?», avevano chiesto al clochard. E lui aveva risposto di sì. Perchè Filippo era fatto così: non si lamentava mai, non rispondeva a quegli insulti. Si stringeva nel suo giubbotto e nella sua solitudine e andava avanti
Cosa c’è nei filmati? Galluraoggi descrive le scene terribili che appaiono nei video, ora sequestrati: in uno Filippo viene deriso e preso a calci. In un altro uno dei ragazzini finge di offrigli una sigaretta per poi spegnerla sulla mano del senzatetto e buttarlo a terra con un calcio sulla pancia. I telefonini dei ragazzi sono sequestrati.

(da agenzie)

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SE NE VA FRANCO MARINI, IL “LUPO MARSICANO” EX PRESIDENTE DEL SENATO E LEADER CISL

Febbraio 9th, 2021 Riccardo Fucile

SCOMPARSO ALL’ETA’ DI 87 ANNI

“Io il mare l’ho visto per la prima volta durante una gita dell’Azione cattolica a Silvi Marina. Il primo calcio a un pallone di cuoio l’ho dato nell’oratorio. I primi corteggiamenti li ho fatti nella mia parrocchia. Come potevo non essere democristiano?”.
E lo è stato per tutta la vita Franco Marini, uno degli ultimi cavalli di razza dello Scudocrociato, scomparso stanotte all’età  di 87 anni stroncato dal Covid.
Lui stesso si raccontava così su Repubblica a Sebastiano Messina alla vigilia di una delle sue più importanti battaglie, l’elezione alla presidenza del Senato. Che fu anche una vittoria, ottenuta non senza patemi. Ma nella vita del “Lupo Marsicano”, (il soprannome che gli piaceva di più, forse perchè legato ai suoi monti abruzzesi), ci sono state anche pesanti sconfitte.
Nel 2008 per poco non divenne premier, ma la disfatta peggiore fu senz’altro quella che impedì all’alpino Marini di scalare l’ultima vetta, quella del Quirinale. Perchè a sbarrare il passo prima a lui e poi a Romano Prodi, non furono gli avversari ma il fuoco amico. Sarebbe stato, il Colle, il suggello di una vita spesa tutta dentro le istituzioni, la lunga carriera nei palazzi del potere di un uomo del popolo.
Le origini
Primo dei sette figli di Loreto, un operaio della Snia Viscosa, Marini nasce a San Pio Delle Camere, paesino di poche anime in provincia dell’Aquila, nel 1933. Sembra che sia stata la sua professoressa di lettere delle medie, a Rieti, a caldeggiare per lui liceo classico, un tempo riservato solo alle classi più agiate. A 17 anni prende la tessera della Dc, milita nelle Acli e nell’azione cattolica. Poi legge all’università  e l’ingresso in Cisl. Il sindacato è la sua prima vera passione, in cui si getta anima e corpo appena finita la leva negli Alpini.
L’ingresso in Cisl
“Nella mia vita più di ogni altra cosa ho voluto diventare leader della Cisl” confidava spesso. Non fu semplice, perchè ci mise 20 anni prima di sedersi su quella poltrona. Un’ambizione nata fin da quando approda a Roma come funzionario dell’ufficio organizzativo: “Ero un giovane arrembante, mi davo da fare fino all’inverosimile, non mi perdevo neanche un’iniziativa, comprese quelle di congiura contro Storti” ammise in seguito. Tanto che l’allora segretario generale, scoperte le manovre, lo licenzia. L’estromissione però dura poco: Marini rientra nella Cisl nel 1965 grazie a uno dei suoi fondatori, Giulio Pastore. Vent’anni all’opposizione, due congressi persi, il Lupo Marsicano già  in quegli anni dà  prova di tenacia e capacità  di mediazione. Stringe con Pierre Carniti un patto per la successione. E così nel 1985 conquista per la Dc il vertice dell’organizzazione.
“In quegli anni   – spiegò in una intervista a Gianni Pennacchi – non era facile fare il moderato e il democristiano nel sindacato”. Si spende per ricucire l’unità  sindacale con la Cgil dopo la rottura sul taglio della scala mobile, ma è un anticomunista viscerale: “Noi eravamo l’ala più a sinistra della Dc, la più vicina al mondo operaio, ma proprio per questo avevamo un rapporto molto competitivo con i comunisti”.
Non ha mai temuto il conflitto. Alle assise Dc del 1984 in un epica rissa sfidò l’allora leader Ciriaco De Mita. Ma in realtà  il Lupo Marsicano si teneva lontano dai clamori, preferiva agire dietro le quinte senza dare neanche il tempo all’avversario di accorgersi che gli aveva dato scacco matto. “Franco è uno che ti uccide col silenziatore” diceva di lui Donat Cattin.
La pipa e le cravatte colorate
Amava andare al sodo, senza tanti giri di parole, mentre non gli piacevano i salotti, da cui si è tenuto sempre alla larga. Con i giornalisti era sbrigativo, minimizzava: “E mo’ vediamo…” rispondeva alle domande più incalzanti. Le sue vacanze frugali per molti anni sono state sempre le stesse: l’isola del Giglio, nella casa comprata con la moglie Luisa, scomparsa nel 2012, dove andava a   trovarli il figlio. O le montagne abruzzesi della sua infanzia. Unici vizi la pipa e il toscano. Unico vezzo, negli anni del sindacato, le giacche e le cravatte colorate che gli valsero un altro soprannome, quello di “Scintillone”.
Dalla Dc al Pd, passando per la Margherita
Il suo esordio in politica fu un successo. Legato alla corrente Forze Nuove, quella che nella Dc era più vicina al mondo del lavoro, Marini ne eredita la guida alla morte di Donat Cattin nel 1991 e diventa ministro del Lavoro dell’ultimo governo Andreotti.
Nel 1992 si candida alla Camera e fa il pieno di voti: è il primo degli eletti con oltre 100 mila preferenze. Dopo Tangentopoli e il crollo del partito si schiera con Buttiglione per la guida del Ppi. Ma quando il politico filosofo stringe il patto con Berlusconi, Marini lo silura per affidare il partito a Gerardo Bianco.
Qualche   anno dopo toccata lui   guidare i Popolari e ingaggia un braccio di ferro con Romano Prodi resistendo al progetto dell’Ulivo, ma negò sempre l’esistenza di un complotto per far cadere il Professore. Con la stessa tenacia, una volta entrato nella Margherita, osteggia inizialmente la nascita del partito democratico, di cui poi invece divenne uno dei fondatori.
La presidenza del Senato nel 2006
Nel 2006, dopo una votazione notturna al cardiopalma, viene eletto presidente del Senato. È una sfida tra due ex grandi della Dc, perchè a perdere per un pugno di voti è Giulio Andreotti, sostenuto dalla Casa delle Libertà .
Durante quei venti mesi di governo dell’Unione al Senato se ne vedono di tutti i colori. La maggioranza ha solo due voti di vantaggio sul centrodestra, che in aula si scatena. Una volta Marini schiva per un pelo il libro del regolamento lanciatogli da qualche pasdaran della Cdl, spesso deve censurare gli insulti, con tanto di esibizione di pannoloni, contro la senatrice a vita Rita Levi Montalcini. Poi arriva la caduta di Prodi e il centrodestra festeggia in aula con champagne e mortadella. “Colleghi – grida – questa non è una osteria”
L’incarico esplorativo dopo il crollo di Prodi
Tocca proprio a lui poi provare a cercare una soluzione per il dopo Prodi. Alla fine del gennaio 2008 Giorgio Napolitano gli affida un incarico esplorativo per formare un nuovo governo finalizzato alla riforma elettorale. Ma il tentativo naufraga e si va ad elezioni.
La corsa al Quirinale
E arriva l’ultima battaglia. Nell’aprile 2013 Marini entra nella rosa di candidati che Bersani propone a Berlusconi per la presidenza della Repubblica. Il favore del Cavaliere ricade proprio su di lui, che diventa così il candidato di Pd, Pdl e Scelta civica. Ma le cose si mettono male da subito: all’assemblea dei grandi elettori del Pd la corsa del Lupo Marsicano passa con 220 sì, ma si contano ben 90 no e 21 astenuti. Renzi, che lo aveva già  inserito tra i big da rottamare, lo ostacola apertamente: “Non lo votiamo, è un uomo del secolo scorso, ve lo immaginate con Obama?”. E così alla prima votazione è fumata è nera: oltre 200 franchi tiratori fermano Marini a quota 521, molto al di sotto della soglia dei 672 voti necessari. Ma più che sufficienti per essere eletti al quarto scrutinio. Al quale però non arrivò, nonostante la sua ostinazione. Il ruolo di nuova vittima sacrificale del centrosinistra toccò a Prodi, impallinato dai famosi 101. La ferita lasciò un segno profondo. Marini si sfogò contro quella   operazione “volgare e ingiusta”. A Renzi non gliele mandò a dire: “Ha una ambizione smodata”.
Ma nonostante la disfatta si può dire che insieme a Bertinotti è stato uno dei pochissimi sindacalisti ad avere una carriera politica di primo piano. Marini era a suo agio sia quando doveva placare gli animi in una assemblea in fabbrica che quando doveva cimentarsi in un congresso di partito: “Ero capace di duellare   al microfono, dare la caccia ai delegati e tenere le fila dell’organizzazione contemporaneamente. Poi – confidò – quando si cominciava a votare, io avevo già  fatto quello che dovevo fare e andavo a dormire”

(da “La Repubblica”)

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LE PRIME LINEE GUIDA DEL PROGRAMMA DI DRAGHI: POCHE LUCI E TANTE OMBRE

Febbraio 9th, 2021 Riccardo Fucile

SI CONFERMANO TUTTE LE PERPLESSITA’ : EUROPEISMO E AMBIENTALISMO DI MANIERA SENZA VISIONE VALORIALE E AIUTI A BANCHE , IMPRESE E CEMENTIFICATORI

Dai colloqui con i partiti politici, molti osservatori e giornalisti hanno potuto stilare un primo bilancio provvisorio delle linee guida di Mario Draghi nella formazione del nuovo governo.
Non ci interessa in questa sede approfondire la “composizione” del governo, qualunque esso sarà , ma le idee con cui il premier incaricato intenderebbe affrontare emergenze e destinare i fondi del Recovery.
1)   “Fuori i temi divisivi: immigrazione, Mes, reddito di cittadinanza, quota 100, flat tax”.
In pratica si congelerebbero tutte le materie   in cui non si troverebbe un accordo tra forze politiche. Ovvero quello che molti media vicini ai “poteri forti” hanno imputato al premier Conte, di non decidere mai nulla. Conte mediava senza grandi risultati, Draghi accantona, così fa prima. Non un grande esempio di “decisionista”
2) “Europeismo” declinato nel “niente pugni da battere sul tavolo, più soldi per il bilancio europeo”.     “Atlantismo: l’Italia sta con gli Stati Uniti “
Nessun riferimento valoriale a una visione di “Europa” come blocco e modello democratico, culturale e sociale   alternativo a Stati Uniti, Russia e Cina, ma solo una “Europa del mercato economico” che si mette sotto le ali di una grande potenza senza avere l’ambizione di guidare il futuro.   Qualcuno ci spieghi perchè un domani una Europa unita non possa provvedere da sola a difendere i propri confini europei con un apparato militare comune ai vari Stati. Per non parlare della dipendenza dai mercati finanziari di oltreOceano.
3) Ambientalismo: il recovery prevede che il 37% delle risorse finisca lì. “Ambiente, però, anche come chiave di sviluppo e di crescita”. Concetto vago, cosa intende Draghi in concreto? Riduzione dell’inquinamento ambientale, scelte energetiche verdi o fondi ad aziende senza un ritorno adeguato? Basterebbe investire per interventi sul dissesto idrogeologico che costa ogni anno 20 venti miliardi di danni al nostro Paese, peccato che non ne abbiamo ancora sentito parlare.
4) Pandemia
Draghi sarebbe propenso a “messaggi di fiducia, positivi, niente toni allarmistici”.
Deve dire che via sceglie: salute o economia? Conte ha scelto una via di mezzo, Draghi che vuole fare? Aprire tutto o tutelare la salute degli Italiani?
5) “La macchina dei vaccini va implementata, deve partire davvero”. Il problema viene inquadrato non tanto nell’approvvigionamento, cioè nelle fiale che seguono la via dei contratti stipulati da Bruxelles, ma nella logistica. I tempi delle prenotazioni, il timing delle iniezioni, l’organizzazione parcellizzata tra le Regioni. Il punto focale: più Stato”
A parte la gaffe sul “modello Gran Bretagna” che ha fatto peggio di noi finora nel rapporto vaccinazioni/popolazione, il problema sono gli approvigionamenti che vanno incrementati ma non dipendono da noi e il numero di medici e infermieri da schierare sul campo. Su quello bisogna lavorare, giudizio sospeso quindi e tutto da verificare.
6) Lavoro e aiuti a imprese e banche
“Gli aiuti alle attività  colpite dalle restrizioni e dalle chiusure sono destinati a cambiare segno. Il fondo perduto, cioè i soldi sul conto corrente, a pioggia, quelli che hanno caratterizzato la gestione dell’emergenza economica da parte del governo Conte, saranno rimpiazzati da incentivi” (cosa vuol dire non si sa)
Pienamente d’accordo sul porre un freno agli aiuti “a fondo perduto”, lo diciamo da mesi: gli aiuti vanno calibrati non per categorie ma per soggetti. Se uno ha 50.000 euro in banca può anche sopravvivere a qualche mese di restrizioni, chi non ha nulla va aiutato. Abbiamo speso 130 miliardi per ritrovare categorie di questuanti che si lamentano, come se li avesse obbligati qualcuno a fare gli imprenditori (e nessuno meglio di Draghi può spiegare loro cosa è il rischio d’impresa). Sarebbe meglio destinare una parte dei fondi a giovani che vogliano intraprendere una attività  individuale o in società , nascerebbero più posti di lavoro   invece che buttarli in aziende bollite.
Poi viene la parte dolente: Draghi pensa ad “aiuti alle imprese – come quelli per le ricapitalizzazioni – in modo da favorire una ripresa strutturale mentre le banche generanno “sofferenze” a causa di un tessuto imprenditoriale che impiegherà  molto tempo prima di risollevarsi. E per questo servono misure anche per gli istituti di credito”
Aiuti alle imprese che erano già  decotte o a quelle in difficoltà  collegabili realmente alla pandemia? Aiuti alle banche sono già  previsti per chi ha chiesto un prestito e non lo restituirà  mai, che altri aiuti vogliamo dare? Perchè qui stanno le vere perplessità  su “chi ha voluto Draghi”, tanto per capirci, in quanto interessati ai 209 miliardi.
7)   “Una spinta alle infrastrutture, anche attraverso un piano per lo sblocco dei cantieri più incisivo”: concetto per ora vago. Un suggerimento: se proprio vogliamo cementificare non sarebbe meglio costruire o ristrutturare case popolari in modo da dare un alloggio dignitoso a chi non ce l’ha ?
8 ) “Riforma pubblica amministrazione, quella della giustizia civile e quella del fisco”. Per ora solo dichiarazione di principio, lo hanno detto tutti i governi degli ultimi 30 anni.

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