Febbraio 9th, 2021 Riccardo Fucile
“PER VOTARE BISOGNA PRIMA CONOSCERE IL PROGRAMMA CHE INTENDE ATTUARE” (E SU QUESTO HA RAGIONE, NON BASTA ASCOLTARE, NON SIAMO IN UN CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONE, I VOTI SI PRENDONO SUL PROGRAMMA)
Beppe Grillo esce dal colloquio con Mario Draghi e ferma la fuga in avanti: per il voto si dovrà aspettare. Occorrono elementi in più, bisogna avere chiaro quale sarà il programma, e quale tipo di squadra il presidente incaricato metterà in piedi.
Per questo niente consultazione su Rousseau, almeno fin quando “Draghi non dirà in pubblico le stesse cose che ha detto a noi”, dice un esponente di governo, perchè, spiegano dal Movimento, “non si possono costringere gli attivisti a votare al buio”.
È insieme una frenata tattica per avere margini di trattativa e non cedere di schianto a un governo con Matteo Renzi, Silvio Berlusconi e Matteo Salvini, e una mossa di riguardo nei confronti del premier incaricato, il destino della cui maggioranza sarebbe stato legato alla consultazione sul blog.
“Mi aspettavo il banchiere di Dio, ma l’ho visto quasi grillino”, dice Grillo in un video pubblicato a tarda sera. Strizza l’occhio a Draghi, spiega che gli ha detto che “il Movimento 5 stelle ha cambiato la politica”, che il reddito di cittadinanza ci vuole. Poi la frenata: “È sincero? Finge o non finge? Io aspetterei che faccia le dichiarazioni che ha fatto a noi in modo pubblico. Aspettiamo un attimo a votare su ste robe, perchè ancora non ha le idee chiare, vi chiedo di aver pazienza”.
Dice poi di “non volere la Lega”, ma solo nel ministero della Transizione ecologica che ha proposto a Draghi, spiegano i suoi, mentre Salvini coglie la palla al balzo e attacca: “Incredibile Grilllo che vorrebbe imporre governo senza noi, ma andiamo avanti tranquilli nello spirito che ha chiesto Mattarella”.
In giornata era arrivata la smentita di un contrasto tra lo stesso Grillo e Davide Casaleggio. Pomo della discordia la tempistica di una consultazione sulla quale avrebbe spinto fortemente il figlio del fondatore, in asse con Vito Crimi, che ha fatto storcere a larga parte della truppa parlamentare.
Il rinvio certifica che il passo è stato più lungo della gamba. Si voterà probabilmente quando Draghi scioglierà la riserva, almeno con la lista dei ministri in mano, e pazienza se non è assolutamente chiaro su quale perimetro potrà essere costruito il governo con questa spada di Damocle puntata sul collo.
Una lettura delle parole di Grillo, di difficile interpretazione anche all’interno del Movimento, è che Draghi abbia spiegato al garante che il suo sarà un governo di soli tecnici: “Altrimenti non si capirebbe come fa a coinvolgerci prima ancora che noi gli diciamo sì o no”. Tra i 5 stelle è il caos.
“Io domani voto no, non dimentico quel che Mario Draghi ha fatto da direttore generale del Tesoro”. Alessandro Di Battista, prima che si sapesse del rinvio, aveva preso una posizione secca, inequivocabile. No al premier incaricato, no alla maggioranza che lo sostiene: “Siamo stati insultati e vilipesi, come facciamo a sederci insieme a chi ci ha trattato in questo modo”, ha detto in un’intervista ad Andrea Scanzi (“Iniziative destabilizzanti”, schiuma rabbia un deputato) mettendo in fila Renzi, Berlusconi e Salvini. Lo ha detto proprio negli stessi minuti in cui Grillo era entrato a colloquio con Draghi, una calata a Roma improvvisa e tenuta nascosta anche a gran parte dei vertici 5 stelle, “perchè di Vito [Crimi] non si fida”, come dice un parlamentare di lungo corso. Ma anche per dare un altro, ennesimo segnale che questo governo s’ha da fare, “è la soluzione migliore dopo il tradimento subito da Conte”, come ha ripetuto ancora una volta alla delegazione 5 stelle che ha riunito per qualche minuto al quarto piano di Montecitorio.
È una battaglia politica senza esclusione di colpi, uno psicodramma, come lo definiscono tanti onorevoli pentastellati. Alla riunione convocata su Facebook dal titolo inequivocabile, “V-Day, no governo Draghi”, partecipano una quindicina di portavoce, il dissenso è più ampio dell’iceberg che prende una posizione pubblica, “anche se lo stiamo contenendo”, spiegano dai vertici. Un senatore che appena lo scorso venerdì era schierato convintamente per il no oggi spiega: “Draghi ha già vinto, che stiamo a fare fuori con il rischio che facciano porcate?”.
Crimi aveva assicurato tutti quelli che lo avevano sollecitato sul punto: “Ho sentito ieri Draghi per informarlo che avremo dato la parola agli attivisti”, una telefonata definita serena, e come potrebbe essere altrimenti. Nel Movimento i vertici spingevano per il sì, buona parte della base è schierata sul no.
Nelle considerazioni del rinvio anche il timore concretissimo che l’esito non sarebbe stato quello sperato. “La votazione darà come esito, magicamente, sì a Draghi. Non serve mica per far decidere agli iscritti, ma solo per blindare ulteriormente i parlamentari”, era sicura Giulia Di Vita, in Parlamento per M5s la scorsa legislatura. “Ma se Beppe non fa il suo appello la vedo molto dura per il sì” confidava un ministro
Grillo si è defilato dopo l’incontro con Draghi, ha scelto di non metterci la faccia, non subito almeno, non davanti taccuini e telecamere che così poco gli vanno a genio. Si chiude a registrare un video, il sostegno a Draghi, la frenata su Rousseau, poi una lunga riunione con tutto lo stato maggiore. Il Movimento è una babele. Elio Lannutti usa la mano pesante: “Draghi è qui per completare il programma lacrime e sangue imposto dalla Troika”. Carlo Sibilia si sbilancia fino al punto di dire che “l’idea di futuro di Draghi coincide con la nostra”. Nel mondo alla rovescia Grillo e Silvio Berlusconi solcano i marmi dello stesso palazzo per andare a dire all’ex presidente della Bce un sì convinto. L’ex comico e lo “psiconano”, come veniva bollato il leader di Forza Italia appena qualche tempo fa non si incontrano.
Ad incrociare la delegazione M5s che entra per il colloquio è quella del Pd che esce, con tanto di scambio di saluti tra il fondatore e Nicola Zingaretti, poi Grillo prosegue verso un incontro che durerà quasi un’ora, parlando nel tragitto di “evoluzione delle batterie” con Andrea Cioffi, vicepresidente del gruppo al Senato.
“Mi darebbe molto fastidio vedere ministri del Movimento 5 Stelle sedersi accanto a ministri di Forza Italia”, contrattacca Di Battista. Che continua: “Mi auguro che questa scelta non si farà , in caso contrario rifletterò su quello che dovrò fare io”. Non parla apertamente di scissione, non la esclude ma non la alimenta. Il clima è incandescente.
A metà pomeriggio, per cercare di placare il dissenso interno, il Movimento dirama una lunghissima nota per definire “il perimetro politico e le priorità ” fondamentali per M5s, che si conclude così: “Ascolteremo con attenzione e senza pregiudizi, cercando di raccogliere ogni elemento utile per formarci un’opinione chiara e consapevole, basata su cose concrete, che ci consenta di comprendere se davvero possiamo prendere parte in modo incisivo a un nuovo governo”.
Di Battista si definisce “europeista”, spiega di aver “cambiato idea”, ma sul governo non fa marcia indietro: “Quando i miei colleghi hanno detto mai più con Renzi io l’ho condiviso. Non ho cambiato la mia linea”. Crimi dopo le consultazioni spiega di aver avuto rassicurazioni su un ministero dello Sviluppo sostenibile, sul reddito di cittadinanza, sugli investimenti del Recovery plan, sul Mes nemmeno menzionato nel colloquio. “Decideranno i nostri iscritti”, chiosa. O forse no.
(da “Huffingtonpost”)
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Febbraio 9th, 2021 Riccardo Fucile
GRILLO TORNA A ROMA PER TENERE I PEZZI DEL MOVIMENTO E GARANTIRE L’APPOGGIO AL TREDICESIMO APOSTOLO
L’Elevato appare di colpo a Montecitorio. E manca poco che finisca tra le braccia di Silvio che è ancora qui e che non è più, come da vecchia satira grillina, lo psiconano. Oltretutto i colori scelti per l’occasione sono uguali tra Grillo e Berlusconi: total blu. Ma il primo ovviamente senza cravatta e senza cerone, e con aria più trasandata. L’aria di chi ha dovuto fare anche questa pur di tenere insieme i mille pezzi M5s alla vigilia del voto su Rousseau. Voto che però potrebbe essere rinviato “per — è la motivazione che circola — mancanza di elementi per poter decidere”.
Grillo e Berlusconi riescono comunque a non incontrarsi, così come il Garante pentastellato riesce ad evitare anche Matteo Salvini.
Quest’ultimo lascia la sala della biblioteca del Presidente per avvicinarsi al podio per parlare con stampa, quando Grillo e la delegazione M5s sono stati fatti accomodare nella sala della Lupa. Complice il fatto che le sale vanno sanificate tra una consultazione e l’altra. Eppure a sentire parlare il leader della Lega c’è un bel pezzo di parlamentari grillini. “Senti, senti — esclama uno di loro — ora Salvini dirà ‘prima l’Europa’. Guardate cosa ci tocca fare? Con chi ci tocca stare?”. “Vabbè, ma quando ci ricapita di far parte del governo Draghi?”.
Tuttavia Grillo invita tutti però a tenere i toni bassi. Lo stesso Garante M5s, che ormai si sposta tra Genova e Roma in auto come se niente fosse, ha abbandonato l’abito del mattatore per indossare quello del governista.
Aveva incontrato Mario Draghi sabato scorso per il primo giro di consultazioni e ora è tornato per il secondo. Quello più difficile perchè tocca convincere la fronda pentastellata, in procinto di abbandonare i gruppi parlamentari, a sostenere il nuovo governo.
Anche per questo a fine serata i vertici mettono in conto di far slittare il voto su Rousseau. Non ci si mette d’accordo sui quesiti o sul singolo quesito e soprattutto Draghi non ha ancora scoperto le carte relativamente alla squadra di governo.
Il piano di battaglia viene quindi studiato al quinto piano del palazzo dei gruppi della Camera, dove Grillo riunisce i vertici prima e dopo di incontrare il premier incaricato. Incontro che durerà un’ora e mezza, il più lungo della giornata.
Quando mancano pochi minuti all’inizio del turno dei pentastellati con Draghi, al secondo piano della Camera appare un capannello di assistenti parlamentari, giornalisti dell’ufficio stampa, deputati e senatori che fanno da scudo. Lì in mezzo, che neanche lo si vede bene, c’è Grillo. Accanto Andrea Cioffi, il vice capogruppo al Senato. Si riescono a sentire poco parole, tra queste “batterie ricaricabili”, pronunciate da Grillo. Qualcosa che riguarda le fonti di energia rinnovabili.
Argomento trattato a lungo con il presidente del Consiglio incaricato, tanto che Vito Crimi, sarà lui a parlare al termine dell’incontro, riferisce che “l’azione di governo avrà come pilastro la transizione ambientale e quella energetica”. E poi ancora: “Abbiamo proposto un ministero, un super ministero su questo ed abbiamo avuto rassicurazioni che Draghi sta immaginando un assetto istituzionale che possa prefigurare questo tipo di approccio. Draghi è andato a verificare com’è l’esperienza francese che ha messo sotto un unico ministero le tre aree: infrastrutture, trasporti ed energia”.
Grillo nel frattempo ha lasciato la sala, rinuncia a parlare lasciando spazio a Crimi e si avvia con aria pensierosa verso gli uffici dei gruppi. Prende sottobraccio il sottosegretario Stefano Buffagni ma gli addetti stampa gli fanno cenno di non parlare ad alta voce perchè i cronisti potrebbero ascoltare. Quindi il Garante va via, niente battute e neanche insulti come era abituato a fare fino a qualche mese fa, si chiude in una stanza, mette la mano tra i capelli ed esclama: “Niente, un’ora e mezza e non abbiamo elementi su cui far votare. Però la transizione energetica e lo sviluppo sostenibili al centro dell’azione di governo sono nostre vittorie”. Evidentemente non basta a convincere una base in subbuglio.
(da “Huffinghtonpost”)
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Febbraio 9th, 2021 Riccardo Fucile
LA MARCIA DI AVVICINAMENTO AL PPE DOPO AVER RINNEGATO LE PROPRIE IDEE
Il primo sì parlamentare al governo Draghi la Lega lo esprime a Bruxelles. Nel giro di pochi giorni, dalla svolta della scorsa settimana a sostegno del tentativo dell’ex governatore della Bce di formare un governo, Matteo Salvini capovolge la posizione del partito sul regolamento della ‘Recovery and resilience facility’, il cuore del recovery fund. Dall’astensione votata in Commissione all’Europarlamento nemmeno un mese fa, gli eurodeputati leghisti passano al sì in plenaria.
Un sì che annuncia il voto favorevole alla fiducia per il governo Draghi in Parlamento in Italia. Ma quello di oggi è proprio un sì ‘sulla fiducia’ a Draghi, che, secondo la nuova linea del Carroccio, ha lo standing adeguato per limare le criticità del regolamento approvato dall’Eurocamera. Ma questo sì apre una crepa nel gruppo sovranista ‘Identità e democrazia’, di cui la Lega detiene la presidenza.
Il resto di Identità e Democrazia, a cominciare dai lepenisti del Rassemblement National per finire all’ultra-destra tedesca Afd, non sostiene il regolamento sulla ‘Recovery and resilience facility’. Eppure per ora le tensioni non deflagrano, se si eccettua il battibecco tra il presidente Marco Zanni e il tedesco Jorg Meuthen proprio sulla figura di Draghi, il leghista lancia in resta a difendere l’ex presidente della Banca Centrale dagli attacchi teutonici.
Per ora la Lega resta nel gruppo sovranista, seppure in una posizione molto complicata, nè le altre delegazioni nazionali di Identità e democrazia mostrano interesse ad espellere la testa del gruppo: la delegazione della Lega è la più numerosa, 29 parlamentari, da qui la presidenza assegnata a Zanni. Perderli significherebbe perdersi.
E pur di non disperdersi, gli alfieri del sovranismo anti-europeista si ‘inventano’ la formula secondo cui “soprattutto sulle decisioni economiche, ogni delegazione ha libertà di voto”, ci dice una fonte parlamentare del gruppo ‘Identità e democrazia’.
Dunque, nessuna decisione formale, sebbene la temperatura sia alta nel gruppo sovranista, più eterogeneo che mai. Afd è partito impegnato nella campagna elettorale in vista delle politiche in Germania il 26 settembre, contro la Cdu di Angela Merkel e gli altri partiti europeisti tedeschi. E anche il Rassemblement National si calerà presto nella campagna elettorale per le presidenziali dell’anno prossimo in Francia contro Emmanuel Macron. Non è il periodo buono per seguire il tentativo di svolta europeista di Salvini, ammesso che ce ne fosse la volontà da parte di Marine Le Pen e dell’ultra-destra tedesca, cosa che non è all’orizzonte.
E allora per ora si preferisce concedere libertà di voto: del resto, quando mai i sovranisti sono stati compatti visto che per costituzione sono divisi dagli interessi nazionali sull’immigrazione, per dire, e anche sulle materie economiche?
I nazionalisti del nord-Europa sono sempre stati contrari al pacchetto di aiuti anti-crisi messo in campo dall’Ue. “Non un centesimo per l’Italia”, disse l’alleato di Salvini in Olanda, l’ultra-nazionalista Geert Wilders, l’estate scorsa alla vigilia dell’approvazione del Next Generation Eu da parte del Consiglio Europeo.
Ma, malgrado Identità e democrazia tenti di far finta di niente, il passaggio della Lega su un crinale di governo con il banchiere Draghi segna inevitabilmente il futuro del sovranismo anti-europeo. Salvini era diventato il punto di riferimento per tutti gli altri partiti dell’ultra-destra in Europa. D’ora in poi non sarà più così, sempre che la conversione leghista regga alla prova del governo, all’impatto con i sondaggi, alla competizione con Fratelli d’Italia.
Quanto alla Lega, non è un mistero che per il futuro l’intento è di lasciare i sovranisti per aderire al Ppe, la famiglia politica più grande in Europa, che comprende dalla Cdu di Merkel a Forza Italia di Berlusconi fino a Fidesz di Orban, pur sospeso dal partito da ormai due anni per le violazioni dello stato di diritto in Ungheria. C’è posto anche per Salvini?
Il presidente del gruppo dei Popolari, il tedesco Manfred Weber, non si sbilancia ma non chiude la porta. “La mia speranza – dice – è che la gente capisca che viviamo in un mondo globalizzato e che nessuno può governare un Paese come l’Italia o la Francia, la Spagna o la Germania, senza un approccio favorevole a riforme costruttive e senza la volontà di dare contributi pro-europei. Se ci sono persone disposte ad avere un comportamento costruttivo e pro-europeo, io come leader Ppe lo accoglierò sempre con favore. Questo vale per tutti, anche per la Lega”.
Ma nel Ppe non la pensano tutti come Weber: ci sono le delegazioni del nord che da due anni chiedono l’espulsione di Orban. Non l’hanno ottenuta, a maggior ragione non faranno sconti a Salvini.
(da “Huffingtinpost”)
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Febbraio 9th, 2021 Riccardo Fucile
LA REGIONE IN 40 GIORNI E’ RIUSCITA A VACCINARE APPENA 500.000 CITTADINI… A FINE GIUGNO SE VA BENE SI ARRIVA A 2 MILIONI, ALTRO CHE I 6 MILIONI PREVISTI DA BERTOLASO… MANCANO MEDICI ED INFERMIERI
Il modello Bertolaso è poco più di uno slogan: sono state effettuate delle simulazioni per capire quante vaccinazioni si possano effettuare nell’arco di 24 ore. Ma i dati raccolti sono realistici
Ieri infatti il Pirellone si vantava di aver vaccinato una persona in 7 minuti: 2 per l’accettazione; 3 per l’anamnesi; 2 per la somministrazione e 15 d’osservazione.
Ciò che è stato taciuto è che quella prova è stata svolta su 8 ore (e non 24); che i vaccinandi erano tutte persone in salute, in grado di capire ed eseguire le istruzioni; tutti operatori di sanità . E che a operare fossero i migliori sanitari di Areu ed esercito.
Una condizione difficilmente ripetibile se il modello viene replicato in ogni capoluogo o piccolo paese: secondo il piano vaccinale, per uno spazio “molto grande” (oltre 13.500 mq), dove si possano fare 16.500 vaccini/giorno, servono 452 sanitari (216 medici + 236 operatori) e 150 amministrativi. Un enormità .
Non a caso ieri Moratti è tornata ad attaccare il governo chiedendo sanitari e vaccini. Come se non fossero incognite comuni a tutte le Regioni
Inoltre, come sottolineava anche il presidente di Nursing Up, sindacato degli infermieri, c’è qualche perplessità anche sul personale necessario per una campagna vaccinale H24: “Non siamo più solo preoccupati, siamo letteralmente allarmati! In Lombardia eravamo alle prese con una carenza strutturale di 4800 infermieri, ben prima che esordisse il Covid 19: carenza oggi a dir poco raddoppiata, se si pensa a quanto sono saliti i livelli e i tempi di impegno dei professionisti sanitari dopo l’arrivo del Covid 19, e se si considera proprio l’aumento dei carichi di lavoro per trattare quel tipo di pazienti, per non parlare poi dei numerosi colleghi che nel frattempo sono andati in pensione, anche con quota 100″.
Il problema dei vaccini
I vaccini in circolazione in Italia, come in Europa, ad oggi ce ne sono pochi. Se in 40 giorni, e con la massima disponibilità di vaccini, la Lombardia non è riuscita a vaccinare neanche mezzo milione di persone, immaginate quello che potrebbe fare in appena il triplo dei giorni con l’attuale scarsità di dosi.
Nella migliore delle ipotesi, a questo ritmo, a giugno si raggiungerebbero a malapena i 2 milioni, ovvero 1/3 di quanto annunciato da Bertolaso
(da agenzie)
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Febbraio 9th, 2021 Riccardo Fucile
CENTRODESTRA BLOCCATO DALLA SPACCATURA TRA FDI E ALLEATI… M5S DORME, PD HA SOLO UN CANDIDATO DI BANDIERA… SI VOTA L’11 APRILE
In molti giocano ancora sul rinvio, sebbene ufficialmente nessuno lo ammetta. Ma dopo mesi di stallo, iniziano a prendere forma le “squadre” per le prossime regionali dell’11 aprile in Calabria.
Trattative, incontri e discussioni hanno finito per portare in dote al polo civico di Luigi De Magistris la rete dell’ex responsabile della Protezione civile, Carlo Tansi. Il Pd invece sceglie la fuga in avanti, proponendo il suo consigliere regionale Nicola Irto a chi ci sta, con buona pace di tavoli e confronti – in primo luogo con il Movimento Cinque Stelle – che stancamente si trascinano da dicembre.
Il patto dei civici fra De Magistris e Tansi
“Non un passo indietro, nè di lato, ma un passo in avanti per la Calabria” dice De Magistris, per battezzare l’alleanza con Tansi, e il suo movimento “Tesoro Calabria”. Per i più, l’intesa fra i due era naturale, quasi scontata. Ma ci sono volute settimane di trattative per trovare la quadra e soprattutto convincere l’ex capo della Protezione civile a rinunciare a quella candidatura alla presidenza che aveva inizialmente posto come condizione inderogabile. “Saremo come Coppi e Bartali” promette Tansi, annunciando che se De Magistris sarà presidente della Giunta, “io mi propongo come presidente del Consiglio”.
Trovare lo schema non è stato facile, “non ci ho dormito diverse notti” dice Tansi. Ma il progetto e l’ambizione comune è – affermano entrambi – rivoluzionare la Calabria. “Rompere l’incantesimo di forze che tengono sotto scacco la Calabria da trent’anni” per usare le parole dell’ex responsabile della Protezione civile calabrese. “Costruire un laboratorio politico, un momento di rottura del sistema e capacità di governo” secondo De Magistris, che nelle ultime settimane sembra aver incassato anche il sostegno dell’ex sindaco di Riace, Mimmo Lucano, e la sua disponibilità a impegnarsi come candidato di punta della coalizione.
“Oggi effettivamente può sembrare un sogno, un’utopia vincere contro apparati clientelari, contro forze organizzate – spiega l’ex pm – ma penso che quando si ha una grande volontà , un grande cuore, l’ottimismo, essere visionari è il più grande atto di realismo”. E da politico ormai consumato lancia un sasso che rischia di aprire non poche contraddizioni negli schieramenti tradizionali. “Questa – dice e ci tiene a specificare – non è una crociata contro i partiti ma una seria alternativa a ciò che è stato fino ad oggi. E oggi lavoreremo per allargare la coalizione”.
Il M5S in mezzo al guado
Una “minaccia” da prendere seriamente in considerazione per il centrosinistra, che sperava in una divisione del fronte e dei voti del civismo, e un bivio ormai quasi ineludibile per il Movimento Cinque Stelle, sempre più spaccato fra l’ala “governista” che blinda l’alleanza con il Pd e chi guarda al nascente polo civico come unico mezzo per tornare agli antichi fasti. È a loro che parla il sindaco di Napoli quando dice “per il M5S potrebbe essere un’opportunità di tornare alle origini, e quindi vedere nella Calabria un laboratorio che porta quelle lotte per i diritti, per l’ambientalismo, per l’onestà , non delle parole ma dei fatti” dice De Magistris, spargendo sale sulle ferite aperte dalla crisi di governo. E paradossalmente, un assist lo riceve proprio dal Pd.
Il Pd lancia Nicola Irto candidato del centrosinistra
Al termine dell’ennesima riunione regionale, i dem hanno proposto il consigliere regionale Nicola Irto come candidato governatore del centrosinistra. Peccato che lui per primo non abbia ancora sciolto la riserva e nessun accordo previo ci sia stato con le forze che – quanto meno in teoria – sostengono il centrosinistra, a partire dai pentastellati.
Giovane dirigente dei dem al secondo mandato in Regione, dopo la gavetta da consigliere comunale a Reggio Calabria, Irto è un candidato dal profilo chiaramente politico, su cui i dem hanno spinto fin dal principio, senza però riuscire però a convincere nè i 5s, in larga parte poco convintamente seduti al tavolo del centrosinistra, nè i cespugli civici, che settimana dopo settimana da quegli incontri si sono sfilati. Risultato, un infinito stallo nelle trattative. Da qui – pare – la decisione di sparigliare le carte e stravolgere il metodo della discussione, che per i dem deve partire da una (propria) concreta proposta di candidato governatore. Sempre che il diretto interessato accetti. Il perimetro della coalizione che lo sosterrà poi è tutto da definire e i delicatissimi equilibri nazionali di certo non semplificano il quadro.
I tormenti di Leu, che a Roma potrebbe sfilarsi in caso di un esecutivo allargato alla Lega di Salvini, inevitabilmente avrebbero riverberi anche sulle regionali. Tutta da chiarire poi è la posizione di Italia Viva. Nel frattempo, le sirene di De Magistris iniziano a parlare anche a quella parte di elettorato dem che ad un governo con la destra di Salvini non si vuole rassegnare.
“Io non ho nulla contro il Pd – dice il sindaco di Napoli – in questi giorni sto incontrando amministratori del Pd, consiglieri del Pd, militanti del Pd. Avrei mai potuto fare il sindaco di Napoli senza il voto di tantissimi elettori ed elettrici del Pd? Il tema è il ceto politico dominante di quel partito. Le nostre porte sono aperte per quella gente che non ha mai avuto voce”. E non è da escludere che in tanti le imbocchino. Ad animare le decine di associazioni, comitati, gruppi territoriali che l’ex pm ha incontrato nelle ultime settimane, sono tanti gli elettori storici di dem e pentastellati e in molti hanno iniziato a guardare al nascente polo civico con interesse proporzionale all’avvitarsi della crisi del Conte bis.
E il centrodestra? Al momento sembra ancora lontano da una soluzione. E anche qui tocca fare i conti con le ferite aperte dalla crisi di governo. Le consultazioni avviate da Mario Draghi sono bastate a far saltare la professata unità di Forza Italia, Fdi e Lega, con i partiti di Berlusconi e Salvini pronti a saltare sul carro del “governo del presidente” e quello di Meloni convintamente fuori dal gioco. Un cambio di assetti che in Calabria rischia di pesare e non poco.
Forza Italia conta ancora su percentuali di consensi a due cifre e in nome di vecchi accordi rivendica il candidato governatore. Ma il partito calabrese è lacerato e non è detto che sul derby interno non decida di giocare Fratelli d’Italia, azzoppato da inchieste e arresti, ma comunque ancora in grado di far pesare i propri voti.
A complicare il quadro, c’è poi un Carroccio dilaniato da una guerra per bande più che per correnti, secondo indiscrezioni tenuto a fare i conti anche con le ambizioni personali del governatore facente funzioni, Nino Spirlì, determinato – dicono – a proporre una propria lista di non stretta osservanza leghista.
Ad aggiungere caos a caos, l’azzeramento – causa inchieste giudiziarie e l’arresto di due dei più importanti dirigenti – di quell’Udc quasi scomparsa nello scenario politico nazionale, ma che in regione fino a poco tempo fa ha fatto da ago della bilancia. Variabili buone – si ragiona all’interno – per puntare su un rinvio della partita per impraticabilità di campo. Ma servirebbe un governo per disporlo. E al momento non c’è.
(da agenzie)
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Febbraio 9th, 2021 Riccardo Fucile
NELLE MARCHE TROVATI STUDENTI POSITIVI ALLA VARIANTE INGLESE… IN GERMANIA, CON I CONTAGI IN CALO, GLI STUDENTI NON TORNANO IN CLASSE DAL 16 DICEMBRE
Dalla Provincia di Bolzano a quella di Caserta: l’esplosione di nuovi focolai locali, spesso riconducibili alla presenza di varianti del coronavirus, ha portato le autorità locali a optare nuovamente per la chiusura delle scuole e il ritorno alla didattica a distanza.
Se l’Alto Adige da oggi è in lockdown e la Dad durerà almeno fino al 22 febbraio, in Umbria e Abruzzo sono scattate le mini zone rosse e in diversi territori le lezioni si svolgono solo da remoto.
La stretta è stata decisa per arginare l’aumento dei contagi dovuti alle varianti inglese e brasiliana. Da ieri la preoccupazione è estesa anche alle Marche, dove casi positivi alla variante inglese sono stati rilevati tra gli alunni delle scuole di Tolentino, Pollenza e Castelfidardo.
La scuola quindi richiude in tutta Italia, seppure a macchia di leopardo, per la paura di una crescita incontrollata dei positivi. Gli stessi timori che una settimana fa hanno portato la cancelliera Angela Merkel a dire: “Non siamo ancora pronti per riaprire asili nido e scuole”. In Germania, dove i contagi sono in calo ormai da un mese, gli studenti non sono più tornati in classe dal 16 dicembre scorso.
A Bolzano la decisione di tornare in lockdown, scattata per via dell’alto numero di infezioni, è diventata inevitabile dopo la scoperta di un caso positivo alla variante inglese, che si caratterizza per una maggiore trasmissibilità .
Proprio i focolai dovuti alle mutazioni preoccupano in questo momento il Centro Italia. L’Abruzzo, oltre a decidere la zona rossa per tre Comuni (Atessa, San Giovanni Teatino e Tocco da Casauria), ha disposto la didattica a distanza, a partire da oggi e fino al 21 febbraio, nelle scuole superiori.
A Pescara, il sindaco Carlo Masci ha esteso il provvedimento a tutte le scuole dell’infanzia, primarie e secondarie di primo grado della città : “Sono stato costretto a decidere per la Dad al 100% fino al 16 febbraio per un aumento repentino dei contagi, dal 4 al 14% nella fascia di età tra i 3 e 12 anni. Contagi della variante inglese”.
Variante inglese che è stata trovata anche tra gli studenti marchigiani.
Nelle scuole di Tolentino (Macerata) si sono registrati due casi certi e un altro di elevato sospetto che coinvolgono anche un lavoratore presso una pelletteria locale. Un altro caso positivo si registra nella prima media della scuola Vincenzo Monti di Pollenza (Macerata) e altri 3 casi alla scuola Rodari di Castelfidardo (infanzia e primaria), in provincia di Ancona. Domenica sera la decisione di porre in didattica a distanza tutti gli studenti degli istituti coinvolti, mentre da lunedì è stato predisposto un piano per sottoporre a tampone molecolare tutti i ragazzi e il personale docente a rischio.
Stop alle lezioni in presenza da oggi anche in tutti i Comuni dell’Umbria in cui è scattata la zona rossa, ovvero tutta la provincia di Perugia e 6 località del Ternano.
Identico provvedimento anche a Chiusi, Comune toscano in provincia di Siena, dove sabato l’Azienda sanitaria ha comunicato 7 bambini positivi su 15 nuovi contagi totali. Sono di oggi invece le notizie di casi di Covid tra gli alunni delle scuole del Casertano: istituti chiusi ad Aversa, Casapulla e Conca della Campania. A Torre Annunziata, vicino Napoli, il primo cittadino Vincenzo Ascione ha firmato l’ordinanza sindacale che sospende le attività didattiche in presenza di tutti gli istituti scolastici di ogni ordine e grado dal 9 al 16 febbraio.
(da agenzie)
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Febbraio 9th, 2021 Riccardo Fucile
NON SONO CONSIDERATI GLI UTENTI “INATTIVI”
Gli iscritti del Movimento 5 stelle chiamati a decidere sull’appoggio o meno del governo Draghi sono 119mila e 671.
Stando ai dati ufficiali forniti dalla piattaforma Rousseau, la piattaforma per la partecipazione online del M5s, gli iscritti totali al 9 febbraio sono 188mila e 431 .
Di questi però, circa 70mila sono iscritti ma non possono votare: comprendono “diverse casistiche”, si limitano a dire dall’associazione Rousseau, ma probabilmente si tratta perlopiù di utenti inattivi.
L’iscrizione è infatti annuale e il rinnovo è automatico se si accede al sistema almeno una volta entro 15 mesi. Questo permette di avere le cosiddette liste elettorali aggiornate con gli utenti che hanno un minimo di attività sulla piattaforma.
Chi può votare
“Per poter votare”, si legge sulla piattaforma Rousseau, “è necessario essere iscritti certificati da almeno 6 mesi. Se sei un iscritto certificato dal almeno 6 mesi vedrai un bollino VERDE in alto a destra accanto al tuo nome”.
Come ci si iscrive
L’iscrizione è gratuita e non prevede tessera. Per essere accettato è sufficiente compilare un form e caricare la carta d’identità . “Quando avrai completato tutta la procedura, sarai iscritto al Movimento 5 stelle, ma dovrai attendere la certificazione per poter diventare un iscritto certificato”, si legge.
Quando scade l’iscrizione e si diventa inattivi
A specificare lo status di un utente M5s è un bollino. Se giallo significa che “l’account è in stato di verifica”. Se invece il bollino è blu, significa “che il documento è stato verificato, ma non hai effettuato l’accesso su Rousseau per più di 15 mesi”. Per riattivarlo è sufficiente fare un nuovo login e “per votare si dovranno aspettare 6 mesi dalla data di riattivazione”.
I precedenti
Gli ultimi voti sulla piattaforma Rousseau possono essere indicativi per il livello di partecipazione e per l’orientamento della base. Il 14 agosto scorso gli iscritti 5 stelle sono stati chiamati a votare su alcune modifiche al regolamento M5s: l’introduzione del mandato zero ha ottenuto 39.235 (80,1%) sì e 9.740 (19,9%) no. Gli utenti in quell’occasione hanno anche dato il via libera alle alleanze con partiti e liste civiche alle amministrazione: 29.196 sì (59,9%), no 19.514 (40,1%). La differenza tra il sì e il no è stata di circa 9mila voti.
Due via libera dagli iscritti sono arrivati sia al momento della nascita del governo Lega-M5s che quando è nata l’alleanza Pd-M5s. Nel primo caso infatti, era il 18 maggio 2018, ci fu il 94 per cento dei sì per 44.796 votanti. Nel secondo, 3 settembre 2019, l’approvazione arrivò con il 79.3 per cento dei consensi e votarono in 79.634.
In un solo caso, a marzo 2017, il garante Beppe Grillo bloccò la pubblicazione della lista di Marika Cassimatis, aspirante candidata sindaca a Genova, arrivata prima alla consultazione sulla piattaforma Rousseau. In quell’unica occasione, il voto fu ripetuto. “Vi chiedo di fidarvi di me”, scrisse Grillo. “Non ho nessun interesse se non il bene del Movimento 5 Stelle. Non possiamo permetterci di candidare persone su cui non siamo sicuri al 100%. Vi garantisco che non accadrà , nè a questa tornata delle comunali, nè alle politiche”.
(da agenzie)
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Febbraio 9th, 2021 Riccardo Fucile
I GOVERNISTI CERCHERANNO DI PORRE IL QUESITO SU DRAGHI IN MODO INDIRETTO, PUNTANDO SUI TEMI
È una battaglia, una vera e propria battaglia quella che si è scatenata all’interno del Movimento 5 stelle in vista della consultazione su Rousseau dalla quale dipenderà l’adesione o meno al governo dell’ex governatore della Banca centrale europea.
I ribelli si stanno organizzando per far pendere la bilancia in loro favore. Di Battista è un martello: “La sola cosa che il Professor Draghi ha effettivamente moltiplicato – ha scritto ieri – sono i titoli derivati italiani. Fu sotto la sua direzione del Tesoro che vennero sottoscritti contratti su contratti sui derivati, molti dei quali sono risultati tossici”.
Rousseau è la pietra della discordia all’interno dei 5 stelle. Il voto, che si aprirà domani e si chiuderà giovedì mattina, è sicuramente un viatico per rompere le barricate di chi è ancora trincerato sul no. Dice Giulia Di Vita, parlamentare nella scorsa legislatura: “La votazione darà come esito, magicamente, sì a Draghi. Non serve mica per far decidere agli iscritti, ma solo per blindare ulteriormente i parlamentari”.
Indire la consultazione ancor prima del secondo incontro con Draghi ha attirato sulle teste di Vito Crimi e di Davide Casaleggio una gragnuola di critiche interne. Un blitz che viene contestato nei tempi e soprattutto nelle modalità , perchè scarsa o nulla sarebbe stata la condivisione della scelta anche tra i vertici riunitisi con Beppe Grillo sabato scorso a Roma, anche se, spiegano, lo stesso Crimi avrebbe chiamato ieri Draghi per informarlo della scelta, senza registrare alcun tipo di irritazione da parte del presidente incaricato.
Il ruolo del fondatore è cruciale nell’indirizzare l’orientamento di voto. Atteso un suo video o un suo post per spingere gli iscritti che sono a chiamati a votare verso il sì. Così come una certa influenza la avrà Giuseppe Conte, che sembra aver accantonato bruscamente quel che diceva poco più di un mese fa (“Il pensiero di tornare all’avvocatura mi da serenità ”) per ritagliarsi e in fretta un ruolo eminentemente politico.
Ma gli irriducibili del no non mollano, e l’influenza “che ha Alessandro tra i nostri attivisti è profonda”, spiega un parlamentare, osservando che “sulla piattaforma non votano i milioni di italiani che ci hanno dato fiducia, ma i nostri attivisti più stretti, le dinamiche sono differenti”.
Per questo è in corso un lavorio che riguarda “i quesiti”. Perchè ovviamente non ci sarà una domanda secca sul sì o sul no a Draghi, ma una serie di scelte che riguarderanno temi e programmi. Tra le quali Lezzi vorrebbe fosse inserita anche l’astensione al prossimo voto di fiducia, “perchè ci consentirebbe piena libertà di valutare ogni provvedimento presentato in Parlamento e saremmo più forti di incidere sulle scelte del governo”.
“Draghi è qui per completare il programma lacrime e sangue imposto dalla Troika”, tuona il senatore Elio Lannutti, estremo nel rappresentare un malessere che, soprattutto a Palazzo Madama, è assai diffuso. Dalla war room pentastellata si confida che l’impatto di Grillo, Conte, Di Maio e di tutti i maggiorenti M5s sarà decisivo per l’affermazione del sì. Ma la partita rimane comunque incerta.
(da agenzie)
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Febbraio 9th, 2021 Riccardo Fucile
MA NON ERA L’ITALIA IL PAESE DOVE, SECONDO LE BUFALE SOVRANISTE, I RISTORI ARRIVAVANO IN RITARDO?
“Da novembre ad oggi non è arrivato assolutamente niente“: con queste parole il neo-presidente della Cdu, Armin Laschet, ha confermato il flop dei ristori in Germania.
Le critiche al governo di Angela Merkel arrivano direttamente dal nuovo leader del partito della cancelliera, la principale forza in Parlamento. Ma la stampa tedesca racconta che la stessa Merkel sarebbe furiosa per l’operato del ministro delle Finanze, il socialdemocratico Olaf Scholz, e del titolare dell’Economia, il cristiano-democratico Peter Altmaier: sono loro due ad aver gestito gli aiuti economici stanziati per la pandemia. Domenica, in un talk della Bild, è arrivato il mea culpa di Altmaier, che si è scusato per i forti ritardi nei pagamenti.
Negli ultimi giorni sui ristori si è scatenata una forte polemica in Germania con critiche da parte dell’opposizione, in particolare dai Verdi. La co-leader del partito ecologista, Annalena Baerbock, è tornata a chiedere maggiore rapidità nel pagamento dei due pacchetti d’aiuto. Al momento è stato versato in due trance appena il 50% di quanto previsto.
I ritardi riguardano soprattutto i ristori previsti da novembre in poi, quando la Germania è tornata in lockdown (prima “soft”, poi “duro” a partire da metà dicembre). Uno studio dell’Institut der Deutschen Wirtschaft (Iw) mostrava che a metà gennaio le imprese tedesche avevano hanno ricevuto appena l’8% dei fondi stanziati questo autunno per gli àœberbrà¼ckungshilfe I e II (gli aiuti-ponte, ovvero i rimborsi di una parte dei costi fissi delle imprese, introdotti da settembre). E ancora peggio era andata sul fronte dei ristori promessi per i mesi di novembre e dicembre: a destinazione era arrivato solo il 4% del totale previsto.
Sono proprio questi gli i ristori a cui si riferisce Laschet quando dice: “Il bazooka annunciato, mai arrivato“. Dopo le critiche dell’opposizione, ora è lo stesso leader del partito di maggioranza ad affermare che tante persone che hanno fatto domanda non hanno ancora visto un centesimo.
Nel mirino ci sono il ministro delle Finanze Scholz e quello dell’Economia Altmaier. Quest’ultimo, parlando alla Bild, ha ammesso: “Per prima cosa mi scuso che sia durato così a lungo. Se avessi visto una qualche possibilità di velocizzare lo avrei fatto”. Altmaier ha provato a giustificarsi, spiegano che per la gestione degli aiuti si è dovuta creare una piattaforma dal nulla. I problemi informatici sono però solo una parte del problema, perchè la principale ragione dei ritardi è un pasticcio burocratico che ha costretto il governo a modificare in corsa le condizioni di accesso ai ristori
Un sondaggio che ha coinvolto 1.600 aziende di medie dimensioni, citato da Der Spiegel, riporta che il 71% delle imprese si è lamentato per l’eccessiva burocrazia e per la complessità delle domanda da presentare. Nel corso della pandemia, secondo questa rivelazione, il 61% delle aziende ha chiesto i ristori del governo. Tuttavia, prima di ricevere gli aiuti hanno dovuto aspettare anche diversi mesi: quasi la metà ha affermato di aver aspettato più di quattro settimane per vedere i soldi, il 24% ha dichiarato che l’attesa è durata più di due mesi, il 27% spiega di aver aspettato anche più di dodici settimane. Der Tagesspiegel spiega che a Berlino un terzo dei ristoratori ancora non ha ricevuto gli aiuti.
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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