Febbraio 22nd, 2021 Riccardo Fucile
SORPRESA: IL 56% DEGLI ITALIANI NON E’ SODDISFATTA DELLA COMPOSIZIONE DEL GOVERNO DRAGHI (IL DOPPIO DEI CONTENTI)
Lega ancora primo partito nelle intenzioni di voto degli italiani secondo l’ultimo sondaggio Swg per il Tg La7, ma in calo.
Più nel dettaglio, il Carroccio sarebbe al 23,1% delle preferenze, con uno 0,4% perso in una settimana.
Pd al secondo posto al 18,3% (-0,5%). Terzo posto per Fratelli d’Italia, al 17,5% e che segna un +1,5% in una sola settimana.
Seguono M5S, stabile al 15,4%, Forza Italia al 7,5% (+0,6%), Azione al 3,9% (-0,4%), Italia Viva al 2,6% (- 0,5%) e Sinistra Italiana al 2,5%.
Sinistra Italiana di Fratoianni è rimasta all’opposizione (prima era in Leu insieme a Mpd che ora è all’1,8%)
La maggioranza degli italiani, per la precisione il 56%, è poco o per nulla soddisfatta della composizione del nuovo governo.
La percentuale sale al 63% tra gli elettori M5S, mentre scende al 45 e al 41 tra quelli, rispettivamente, di Lega e Pd.
(da agenzie)
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Febbraio 22nd, 2021 Riccardo Fucile
SI SPERA DI CHIUDERE, QUANDO NON SI SA… MANUALE CENCELLI IN CORSO (E NOMI DA BRIVIDI)
La partita si doveva chiudere oggi, è stata rimandata a domani, possibile che ci voglia anche qualche giorno in più. Mario Draghi ha lasciato carta libera ai partiti: indicatemi voi le designazioni per i sottosegretari, il messaggio fatto pervenire ai vertici dei partiti, che si sono incartati tra questioni interne e veti contrapposti, compulsando il manuale Cencelli e rallentando il completamento della squadra di governo.
Una delle prime risultanze dell’appetito dei partiti potrebbe così essere l’aggiunta di un sottosegretario al ministero dell’Economia. Tutti vogliono il proprio uomo al Mef, nessuno si fida di Daniele Franco, ministro tecnico dal lungo e robusto curriculum, che potrebbe passare sopra come un treno ai desiderata delle forze politiche.
Ecco che Movimento 5 stelle e Partito democratico spingono per le riconferme di Laura Castelli e Antonio Misiani, semplici sottosegretari e non più viceministri, visto che le indicazioni del premier sarebbero quelle di non aggiungere vice nell’organigramma dei ministeri.
Un posto lo vuole anche la Lega, che pensa a Massimo Bitonci, uno Forza Italia, quotato il deputato Andrea Mandelli, uno se lo contendono Italia viva con Luigi Marattin e Leu con la conferma di Maria Cecilia Guerra.
Sono undici o dodici le caselle che devono riempire i 5 stelle. Insieme a quella della Castelli, si va in direzione di alcune riconferme pesanti. Pierpaolo Sileri va verso il bis alla Salute, così come Giancarlo Cancelleri ai Trasporti e Carlo Sibilia all’Interno (Vito Crimi si è chiamato fuori), anche se non è sicuro che M5s confermi un suo uomo nella squadra di Luciana Lamorgese.
Stefano Buffagni potrebbe traslocare alla Transizione ecologica dallo Sviluppo economico, dove invece si avvia verso una riconferma Mirella Liuzzi.
Tra le new entry I nomi che circolano sono quelli di Maria Pallini al Lavoro, Luca Carabetta all’Innovazione digitale, Gilda Sportiello al Sud, Gianluca Vacca, un’esperienza alla Cultura nel governo gialloverde, all’Istruzione e Gianluca Perilli alla Giustizia.
C’è poi il nodo dello Sport, che probabilmente sarà appannaggio di un sottosegretario ad hoc, per il quale Simone Valente si gioca il posto con Paolo Barelli e il compagno di partito Marco Marin.
Silvio Berlusconi avrebbe sottoposto a Draghi una lista di poco meno di trenta nomi sui sette o otto posti a disposizione degli azzurri. Verso una promozione Giorgio Mulè, ma più che nell’esecutivo potrebbe raccogliere l’eredità di Maria Stella Gelmini come capogruppo.
Francesco Battistoni, fedelissimo di Antonio Tajani, è indirizzato verso l’Agricoltura, Gilberto Pichetto Fratin è in lizza per completare la squadra del Mise, mentre Maria Rizzotti potrebbe esordire alla Salute, Giuseppe Moles è papabile per uno tra Interno e Difesa. In quota Forza Italia anche un esponente dell’Udc (più probabile Antonio Saccone ai Trasporti di Paola Binetti alla Famiglia), mentre un posto spetterebbe anche a Cambiamo di Giovanni Toti.
Avendo due donne in Consiglio dei ministri Forza Italia ha più libertà di manovra rispetto al Pd, stesso numero di posti, ma dilaniato da giorni da una polemica sulla parità di genere.
Deputate come Chiara Gribaudo e Giuditta Pini hanno invitato le colleghe a non accettare incarichi finchè nel partito non sarà affrontato politicamente l’argomento nella prossima Direzione, ma difficile che la richiesta venga accolta.
Insieme a Misiani possibili altre tre conferme di peso: Andrea Martella manterrebbe la delega all’Editoria, Matteo Mauri rimarrebbe all’Interno, dove ambisce ad avere peso anche la Lega e Alessia Morani allo Sviluppo economico, a marcare stretto Giancarlo Giorgetti.
Il nome nuovo potrebbe essere quello di Marianna Madia: il nome dell’ex ministra circola sia per il Mef, sia per la Transizione ecologica. Marina Sereni potrebbe rimanere agli Esteri, Anna Ascani all’Istruzione, Cecilia D’Elia è in corsa per il ministero della Famiglia, Valeria Valente per la Giustizia e Sandra Zampa si gioca una conferma alla Salute.
Un presidio nel ministero che decide sulle questioni relative alla pandemia è ambito anche dalla Lega, che ha individuato in Andrea Colletto la figura giusta. Il Carroccio, ovviamente, vuole rimettere piede anche al Viminale, per il quale Stefano Candiani sembra in vantaggio su Nicola Molteni. Il capogruppo al Senato Massimiliano Romeo potrebbe passare nell’esecutivo, ai Rapporti con il Parlamento o al Lavoro, la collega Lucia Borgonzoni è indirizzata verso Istruzione o Cultura, Giulia Bongiorno alla Giustizia.
Si parla anche Paolo Formentini alla Farnesina (insidiato da Guglielmo Picchi, che tornerebbe agli Esteri dopo esserci già stato in era gialloverde) e di Edoardo Rixi alle Infrastrutture. Due le caselle per Italia viva. Non dovrebbe essere della partita Maria Elena Boschi, mentre Ettore Rosato si gioca un posto all’Interno, per marcare stretta la Lega.
Con Luigi Marattin in ballo per il Tesoro, qualche chance potrebbe averla Daniela Sbrollini allo Sport, con il capogruppo a Palazzo Madama Davide Faraone è indirizzato verso il ministero del Lavoro. Possibile che anche +Europa e Azione spuntino un sottosegretariato, con Benedetto Della Vedova e Matteo Richetti tra i papabili.
(da “Huffingtonpost”)
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Febbraio 22nd, 2021 Riccardo Fucile
NESSUN CONTROLLO SULLE AZIENDE CHE POSSONO VENDERE A STATI ED ENTI PUBBLICI… PUNTARE SULL’AUMENTO DELLA PRODUZIONE NON RISOLVERA’ IL PROBLEMA
Passano le settimane, ma l’Unione Europea non riesce a venire a capo della campagna vaccinale comunitaria contro il Covid. L’ultima falla è che, secondo quanto riferiscono fonti della Commissione europea, a Bruxelles non sanno che le aziende farmaceutiche stanno proponendo contratti per la fornitura di vaccini anche a singoli Stati o singole Regioni, in violazione dei contratti firmati dall’istituzione di Palazzo Berlaymont a nome di tutti i paesi membri. Nè per ora la Commissione Ue pensa di indagare su questo fenomeno che pure promette di vanificare la strategia ed erodere un altro pezzo di unità europea. Il commissario Thierry Breton punta tutto sull’aumento della produzione dei vaccini, ma questo non risolve i problemi che nell’immediato stanno rallentando le forniture.
Eppure il sistema che minaccia seriamente di mettere in crisi l’iniziativa europea sui vaccini è molto chiaro, da quello che emerge dalle dichiarazioni non smentite di Juri Gasparotti, broker farmaceutico intervistato da Repubblica sabato scorso. Gasparotti è titolare di un’azienda croata (la J&C di Novigrad). Per conto di una “società X estera” che ha opzionato un certo quantitativo di fiale prodotte in Belgio da Astrazeneca, il broker sta cercando di stipulare contratti con enti Statali e Regionali per la fornitura di vaccini. È stato lui a proporre all’Emilia Romagna uno stock di fiale Astrazeneca, per dire. Il prezzo – 2,90 euro per dose – lo fa il mercato, vale a dire il ‘borsino’ del Covax, la piattaforma punto di riferimento per la distribuzione dei vaccini nel mondo. Gasparotti sostiene che il meccanismo è “legittimo” e che non si tratta di “mercato nero”, bensì di “mercato”.
Interpellate sul tema, fonti della Commissione Europea dichiarano di “non essere consapevoli” di questo meccanismo e si limitano a scoraggiare l’acquisto da fornitori terzi. Eppure potrebbe stare qui la chiave per svelare il giallo sulla riduzione delle consegne da parte di Astrazeneca, l’azienda anglo-svedese con cui la Commissione europea ha ingaggiato un vero e proprio braccio di ferro qualche settimana fa.
Se Gasparotti dice la verità , probabilmente non tutte le dosi prodotte in Europa vengono destinate al mercato europeo secondo gli accordi stipulati con la Commissione. Probabilmente alcune di queste dosi sono accatastate perchè opzionate da grandi compagnie (Gasparotti non rivela il nome della ‘società X estera’) in attesa di essere piazzate da qualche compratore: l’importante, dice il broker, è che sia un ente pubblico, non privato.
Di fronte a tutto questo, la Commissione non prevede nemmeno di avviare un’indagine, sottolineano fonti interpellate da Huffpost. Probabilmente perchè Gasparotti ha ragione: il meccanismo da lui descritto è legittimo, è mercato, Bruxelles non può farci niente.
Ma allora cosa rimane della lodevole strategia comunitaria sui vaccini? Rimangono le briciole: le fiale arrivano col contagocce mentre le aziende farmaceutiche nuotano indisturbate nel mercato per guadagnare il più possibile.
E’ evidente che possono trarre maggiore profitto vendendo a singoli Stati o Regioni. Due euro e 90 centesimi per dose, dice Gasparotti, un margine di guadagno di oltre un euro rispetto al contratto stipulato dalla Commissione Europea a nome di tutti gli Stati membri: qui una fiala Astrazeneca costa 1,78 euro, secondo quanto trapelato da un tweet – poi cancellato – di Eva De Bleeker, ex sottosegretaria al Bilancio del Belgio. I prezzi infatti sono tra le parti secretate dei contratti europei, ma il ‘listino prezzi’ di De Bleeker pubblicato per errore recitava: Oxford/AstraZeneca: €1.78; Johnson & Johnson, $8.50 (circa €7); Sanofi/GSK: €7.56; BioNTech/Pfizer: €12; CureVac: €10; Moderna: $18 (circa €15). Prezzi fissi, mentre quelli del ‘metodo Gasparotti’ sono fluttuanti, seguendo il Covax.
La sensazione è che man mano che si va avanti emergeranno altri meccanismi di questo genere, a meno che l’Ue non trovi un modo per intervenire e per difendere il suo piano comunitario. Ma, più che controllare e magari sanzionare l’operato delle aziende, l’Ue punta tutto sull’aumento della produzione dei vaccini: così si risolveranno i problemi, è il piano di Bruxelles.
“Ci lavoriamo giorno e notte”, dice Thierry Breton, commissario all’Industria messo a capo della task force nata dopo i primi intoppi della campagna vaccinale. “Ho visitato lo stabilimento di Seneffe”, in Belgio, di Hènogen/Novasep, che lavora per AstraZeneca, “per vedere come andavano le cose: ho constatato che, in rapporto al rendimento che era stato constatato all’inizio dell’anno, c’è una produzione normale, i rendimenti aumentano”.
In collaborazione con gli Usa, continua il Commissario, “dobbiamo realizzare tutti insieme un exploit industriale che è quello di poter effettivamente aumentare la capacità di produzione di vaccini anti Covid in modo significativo in Europa, per far fronte alla pandemia. Ma non è legato solo all’Europa, riguarda tutto il mondo”.
Problemino: il piano europeo punta anche alla riconversione di alcuni stabilimenti industriali per la produzione dei vaccini, ma questo significa che le Big Pharma dovrebbero cedere la tecnologia. Ma Bruxelles non le obbliga a farlo. Scelta volontaria delle aziende. No, non ne veniamo a capo.
(da “Huffingtonpost”)
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Febbraio 22nd, 2021 Riccardo Fucile
LA GOGNA SOCIAL DOPO UNA FOTO DELLA RAGAZZA ACCANTO ALL’EX SINDACO FASSINO FACENDO PESANTI ALLUSIONI… OGGI LA CASTELLI ESPRIME SOLIDARIETA’ ALLA MELONI PER LE OFFESE SESSISTE, MA IERI ERA LEI A FARLE
“Quel post mi ha cambiato per sempre la vita. Ho ritirato la mia candidatura perchè dopo quell’episodio tutti mi chiedevano, alludendo alla foto e a centinaia di commenti. Battute sessiste e insinuanti, forse anche perchè sono giovane e di origine romena”: racconta così in aula, Lidia Roscaneanu, la ragazza che ha querelato l’onorevole grillina Laura Castelli, viceministro all’Economia, per diffamazione, dopo un post che la politica grillina ha pubblicato su Facebook nel maggio 2016 commentando una foto scattata in campagna elettorale che immortalava lei e l’allora candidato sindaco, in corsa per la rielezione, Piero Fassino
“Che legami chi sono fra i due?” scriveva Laura Castelli. “Fassino dà un appalto per il bar del tribunale a un’azienda fallita tre volte, che si occupa di aree verdi, con un ribasso sospetto. La procura indaga. Fassino candida la barista nelle sue liste. Quantomeno inopportuno… che ne dite?”.
Sotto il post i commenti erano stati particolarmente offensivi: “sono dei delinquenti”, “basta aprire le gambe”, solo per citare i meno volgari.
Una vicenda sconcertante, soprattutto se paragonata, ora, alla legittima solidarietà espressa dalla stessa Castelli alla collega Giorgia Meloni, vittima a sua volta di insulti sessisti da parte dello storico Giovanni Gozzini.
Il pm aveva chiesto inizialmente l’archiviazione ma il gip aveva disposto l’imputazione coatta, spiegando: “Il post pubblicato dalla Castelli, tra l’altro in qualità di parlamentare (tale da costituire agli occhi dei più non tanto la titolare del diritto di critica politica quanto una fonte privilegiata di notizie politiche) e con modalità leggibili a ogni utente è dolosamente diffamatorio nei confronti della Roscaneanu”
Lidia Roscaneanu è una giovane di origine romena che vive in Italia dal 2004. Quando si è verificato l’incidente era dipendente del bar del Tribunale di Torino come cassiera.
“Avevo deciso di candidarmi alle elezioni comunali perchè pensavo che mi sarebbe piaciuto che la comunità romena fosse rappresentata – ha raccontata in aula – Ma ho dovuto rinunciare, la notizia di quei commenti è arrivata fino in Romania. Ripubblicati sul blog di Beppe Grillo quel post seguito dagli insulti ha avuto un milione di condivisioni”.
“Io non ho mai sporto querela per quel post – ha aggiunto Piero Fassino, anche lui in aula chiamato come teste dalla parte civile – ma solo perchè una causa tra due politici può essere strumentalizzata. Ma ritengo assolutamente legittima l’iniziativa della signora Roscaneanu perchè è chiaro fin dal taglio della foto che il post era stato pubblicato con l’intenzione di accreditare cose non vere. Io non mi sono occupato delle candidature per le circoscrizioni quindi la signora l’ho conosciuta in occasione dello scatto di quella foto poi tagliata isolando me e lei”.
“Il linguaggio d’odio e la diffamazione infetta società , rete e istituzioni. So quanto è diffuso, essendone stato più volte vittima – aggiunge Fassino – Sono comportamenti inaccettabili sempre, e sono tanto più gravi quando a ricorrervi è chi riveste incarichi politici. Potremo sconfiggerlo – sottolinea – soltanto quando tutti smetteranno di usarlo come strumento di battaglia politica. E allora sarà un momento in cui cresceremo in civiltà ”.
(da agenzie)
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Febbraio 22nd, 2021 Riccardo Fucile
NAPOLI STA PERDENDO IL CONFINE TRA CRIMINE E LEGALITA’
Napoli è una sorta di “acceleratore”, meraviglioso e folle, nel quale i sentimenti umani si esprimono in condizioni estreme. Ma a volte la velocità è tale, che la città sbanda: come nel caso del murale dedicato al baby rapinatore Ugo Russo, freddato da un carabiniere durante un tentativo di rapina.
Un murale che in qualche modo sembra avallare l’intero sistema sociale (e criminale) che quel ragazzo ha mandato a morire, indicando in lui non una vittima di quel sistema stesso, ma del carabiniere che gli ha sparato. Cioè dello Stato.
Gli abitanti del quartiere che ospita l’opera hanno raccolto un migliaio di firme di artisti, scrittori, intellettuali, persino ex magistrati che, sostenuti dal Sindaco, la difendono.
Ma il Prefetto ha ordinato di cancellarla, e un’altra Napoli reclama il diritto a esprimere il proprio punto di vista: “Sabato 27 febbraio”, anticipa a TPI Francesco Emilio Borrelli, consigliere regionale di Europa Verde, da anni impegnato in una lotta senza quartiere all’illegalità , “dedicheremo due iniziative all’unica vera vittima della notte in cui fu ucciso il rapinatore quindicenne Ugo Russo: Irina, vittima di femminicidio, morta mentre amici e parenti di Russo sfasciavano il pronto soccorso dell’ospedale Pellegrini di Napoli”.
Alla manifestazione parteciperà anche Eduardo Di Napoli, il giovane barista a cui il racket incendiò il bar per non essersi piegato. “Dopo aver annunciato di voler pagare le spese dei danni arrecati”, continua Borrelli, “gli autori del bestiale raid si sono tirati indietro, forse i soldi servivano per realizzare altri omaggi abusivi alla criminalità ”. In queste parole terribili, “omaggi abusivi alla criminalità ”, si sintetizza il dramma di una città che sembra aver perso ogni riferimento.
La cronaca continua a raccontare di una gioventù bruciata e violenta, di pestaggi, aggressioni, omicidi con protagonisti adolescenti. L’ombra di comportamenti criminali che viaggiano veloci sui social, si allunga sulla quotidianità perduta di una generazione senza regole. Eppure la tutela delle ragioni di chi delinque, sembra destinata sistematicamente a prevalere su quella di chi il crimine invece lo subisce.
Fin quasi a procurare, nel sentire comune della gente, la rassegnata sensazione di una involontaria ma micidiale collusione fra uno Stato imbelle e incapace, e una criminalità sempre più impunita e arrogante. Ed ecco che la città , invece di unirsi, si spacca. Napoli è una “ciudad sin ley”, scriveva qualche tempo fa un quotidiano spagnolo, ma il vero problema sembra la rimozione collettiva che i napoletani attuano dei loro problemi.
Le coltellate sul lungomare di sabato scorso, quando altri adolescenti si sono affrontati all’ultimo sangue in pieno giorno, è l’ennesimo episodio finito nelle pagine di una cronaca monotona. E tutto viene diluito dal grande nemico di questa città : una narrativa autocommiserativa che impedisce di vedere la realtà , e per la quale il Nord Italia sarebbe costantemente impegnato in una sorta di complotto antinapoletano.
Infatti, mentre Gomorra trionfa, non manca chi fa campagne di sensibilizzazione per sostituire alla statua di Garibaldi, quella di Totò… “Porteremo dei fiori sulla panchina rossa dedicata a Irina”, continuano Borrelli e Di Napoli, “e ringrazieremo i medici con tutto il personale sanitario, ricordando tutte le persone scomparse a causa della criminalità organizzata, le sole a cui dovrebbero essere dedicati gli omaggi pubblici. Alle 13 saremo alla caserma dei Carabinieri ‘Pastrengo’ per fare un lungo applauso a tutti gli uomini delle Forze dell’ordine che si sacrificano per la nostra terra. Caserma che fu presa d’assalto a colpi di pistola sempre dagli amici e dai parenti di Ugo Russo, quelle stesse persone che adesso scendono in piazza per sostenere la realizzazione dei murales criminali”.
“Chiediamo supporto alla Napoli vera, alla gente perbene, quella che ripudia il modello sociale delinquenziale e abbraccia quello della civiltà e dell’onestà . Ma è bene sottolineare che non si tratta di qualcosa in contrapposizione alla manifestazione organizzata per salvare il murale di Ugo Russo. Anzi, noi con quel modo di pensare non c’entriamo nulla e troviamo inaccettabile che una parte della nostra città elevi come modello culturale i rapinatori o addirittura idolatri un boss come Cutolo. Noi siamo per la legalità , sempre e lo vogliamo ribadire pubblicamente”.
Già , “la gente perbene”, invoca Borrelli. E ce n’è tanta, sicuramente la stragrande maggioranza: ma che non fa notizia. Gente che crede nelle Forze dell’Ordine e odia la camorra, ma che resta impantanata nell’incapacità di ritrovare, anche sul piano civile, quello slancio che la contraddistingue in altri campi. Napoli è fucina di letteratura, domina la scena della fiction italiana, è grembo inesauribile di idee, ma poi quasi tutto si perde nell’ossessiva lotta al cosiddetto “sputtanapoli”, la teoria che vorrebbe appunto la città eterna vittima di un complotto universale.
Il che, occasionalmente, intendiamoci, può anche accadere. E accade. Ma che non può e non deve mai diventare assolutorio delle proprie secolari e conclamate “colpe”. “Il problema non è se murale e serie televisive, tipo Gomorra”, spiega ancora a TPI Francesco Bellofatto, docente di Prevenzione del Cyberbullismo, Università Suor Orsola Benincasa di Napoli, e co-autore di libri sul tema, come ‘Lo scarto’ e ‘La mia paranza’, “propaghino modelli violenti, ma l’assenza di un mediatore, e la Scuola, da sola, non basta, in grado di sviluppare una capacità critica nei giovani, tale da permettergli di distinguere il confine tra finzione e realtà , tra il bene e il male”.
“La realtà cittadina è molto più complessa rispetto alla visione di chi liquida frettolosamente questi fenomeni, facendone un distinguo pericoloso dalla criminalità organizzata, ben radicata in tutti i quartieri e nei principali centri dell’area metropolitana. La risposta delle istituzioni è debole. Manca un dialogo con la società civile. Il problema delle baby gang ci riguarda tutti. Perchè ormai il linguaggio della violenza ha contaminato anche ambiti che con la camorra nulla c’entrano”.
I principi del recupero sociale di chi delinque sono sacri. Lo Stato non può diventare un giustiziere. Ma il maternalismo oltranzista della retorica che respinge l’esistenza stessa del male, che assolve il giovane in quanto tale, che assicura impunità a chi ha spezzato un’altra giovane vita, e abbandona nella solitudine e nel dolore i suoi cari, rischia di corrodere il concetto stesso di legalità , e di cancellare ogni confine fra lecito e illecito, trascinando Napoli in un caos senza ritorno.
Un caos che annuncia, come aveva intuito con molti anni di anticipo Giorgio Bocca, quello in cui l’intero Paese rischia presto di venirsi a trovare.
(da Tpi)
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Febbraio 22nd, 2021 Riccardo Fucile
LA MAPPA DEI 6,6 MILIARDI GIA’ ELARGITI, IN ATTESA DI UN’ALTRA VALANGA DI 10 MILIARDI A CHI SI LAMENTA SEMPRE… CONTRIBUTI PARI AL 20% DEL FATTURATO, OVVERO CIRCA ALLA META’ DEGLI UTILI E CASSA INTEGRAZIONE AI DIPENDENTI, OLTRE A TASSE SOSPESE
Dai 930 milioni di euro arrivati al commercio al dettaglio, scendendo ai 630 della ristorazione per arrivare ai 13 delle imprese di assicurazione.
Oltre 1,2 miliardi in Lombardia, meno di 30 milioni in Molise e 15 in Valle d’Aosta.
Ecco dove sono andati i contributi a fondo perduto che il governo ha stanziato con il decreto Rilancio e l’Agenzia delle Entrate ha versato in media in 15 giorni sui conti correnti delle imprese che hanno perso fatturato a causa del Covid.
Il governo Draghi in questi giorni dovrà scaricare a terra la rivoluzione copernicana dei Ristori, lasciando i criteri fin qui adoperati e che hanno portato in media a contribuire per il 20% del fatturato perso.
La guida è stata il danno subito nell’aprile 2020 rispetto all’anno precedente da parte delle categorie toccate dal lockdown e dalle chiusure a zone.
La nuova via da intraprendere per orientare (almeno) 10 miliardi dei 32 di nuovo deficit è quella di vagliare chi è stato colpito indipendentemente da codici di attività e aiutarlo coprendone i costi fissi. Un punto di partenza della nuova operazione resta verificare quanto già fatto per vedere dove andare a operare correttivi.
Alle imprese sono arrivati poco più di 10 miliardi in 3,3 milioni di pagamenti. A questo supporto si potrebbe aggiungere il sollievo dato dai 14 miliardi di scadenze fiscali messe nel congelatore, che offre ossigeno in momenti di tensione sulla liquidità .
Il grosso dei contributi risale al decreto Rilancio: 6,6 miliardi frazionati in quasi 2,4 milioni di pagamenti effettuati alla fine di dicembre. Su questa fetta importante di sussidi è possibile estrarre dai dati dell’Agenzia guidata da Ernesto Maria Ruffini uno spacchettamento per tipologia di attività e territorio.
La Lombardia guida la classifica dei ristori con 1,2 miliardi (421 a Milano, 176 a Brescia e 146 a Bergamo), seguita dal Veneto a 678, poi Emilia Romagna a 636 e Toscana a 563. I 532 milioni del Lazio sono andati quasi tutti (407) a Roma.
Tra le imprese, il commercio al dettaglio registra la cifra più alta seguito da quello all’ingrosso (670 milioni) e dalle attività della ristorazione (630). Poi lavori di costruzione specializzati (528), coltivazioni agricole (379) e costruzione di edifici (331).
L’indicazione è parziale, come detto, perchè non considera le cifre erogate con i successivi decreti Ristori e che portano il totale dei contributi a quota 10 miliardi.
Ma è un quadro indicativo se si considera che quasi 3 miliardi dei successivi Ristori sono stati erogati su base automatica (ovvero a chi aveva già fatto richiesta del primo aiuto del dl Rilancio) e poche centinaia di milioni sono arrivati con nuove domande. In pratica, nei successivi ristori molte attività hanno ricevuto un ‘seguito’ del primo supporto, di fatto non modificando la mappa delle categorie che sono andate in maggiore sofferenza.
In aggiunta, va ricordato che 628 milioni stanziati a seguito delle chiusure di Natale sono andati alla ristorazione e che il contributo “centri storici” ha generato poco meno di 90 milioni di euro.
Insomma, da una parte è ragionevole pensare che ristoranti e bar – che hanno visto rimpinguare il conto dei contributi per aver sofferto la stretta di fine dicembre – abbiano scalato loro malgrado la classifica, per il resto il quadro complessivo dovrebbe esser coerente con quanto emerge dai dati sui primi 6,6 miliardi erogati del decreto Rilancio.
(da agenzie)
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Febbraio 22nd, 2021 Riccardo Fucile
L’AMBASCIATORE E IL CARABINIERE VITTIME DI UNA GUERRA TRA MILIZIE PER IL CONTROLLO DI UN PARADISO MINERARIO
Per il sindaco di Limbiate, Luca Attanasio rimarrà sempre “un fanciullo immortale”, “una forza della natura”. Carriera diplomatica e impegno umanitario lo avevano portato a ricoprire il ruolo di ambasciatore italiano nella Repubblica Democratica del Congo dal 2017, incarico che ha sempre svolto con consapevolezza e passione. Consapevolezza, come quella con cui, in un’intervista a Vatican News, spiegava l’origine delle violenze nel nord-est; e passione, la stessa che lo aveva spinto a mettersi in viaggio con una delegazione del World Food Programme per visitare una scuola a Rutshuru, a nord di Goma. Con lui, nello stesso mezzo, il carabiniere Vittorio Iacovacci e l’autista congolese Mustapha Milambo: tutti e tre morti in un attacco su cui la Procura di Roma ha aperto un fascicolo per sequestro di persona con finalità di terrorismo.
“La Repubblica Italiana è in lutto per questi servitori dello Stato che hanno perso la vita nell’adempimento dei loro doveri professionali in Repubblica Democratica del Congo”, ha dichiarato il presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Il presidente del Consiglio Mario Draghi ha espresso “profondo cordoglio” per le tragiche morti, assicurando che la presidenza del Consiglio sta seguendo con la massima attenzione gli sviluppi in coordinamento con il Ministero degli Affari Esteri.
I carabinieri del Ros, su delega della Procura, partiranno domani alla volta di Kinshasa, capitale della Repubblica Democratica del Congo, per affiancare gli investigatori locali nelle indagini relative alla morte dell’ambasciatore italiano e del carabiniere, che sarebbe dovuto tornare in Italia tra pochi giorni. Orientarsi, in quel dedalo di milizie e gruppi armati che spadroneggiano per il controllo di una delle aree minerarie più ricche del pianeta, non sarà facile. La Farnesina ha chiesto all’Onu di fornire quanto prima un report dettagliato sull’attacco in cui sarebbero state rapite altre tre persone mentre una quarta sarebbe stata rilasciata. Il capo delle operazioni di pace delle Nazioni Unite, Jean-Pierre Lacroix, ha annunciato che ci sarà un’indagine sostenuta dalla missione Onu in Congo (Monusco) sull’attacco
Tra le piste più accreditate – secondo fonti inquirenti citate dall’Ansa — è che a sferrare l’attacco siano stati uomini delle Forze Democratiche per la liberazione del Ruanda: il Fdlr-Foca è il principale gruppo residuo di ribelli ruandesi di etnia Hutu, conosciuti per il genocidio in Ruanda. Il governo ha subito puntato il dito in questa direzione, la meno compromettente per le forze di sicurezza nazionali.
Secondo lo US Counter Terrorism Center, le Fdlr sarebbero responsabili di una dozzina di attentati terroristici commessi nel 2009, costati la vita a centinaia di persone nel Congo orientale. In seguito all’azione dell’esercito congolese e dei ranger dell’Istituto Congolese per la Conservazione della Natura (Iccn), a partire dal 2010 le Fdlr hanno rimodulato le loro attività preferendo quelle che vengono definite “azioni a bassa intensità ”, ma con un’alta resa, specie in termini finanziari. Una nuova strategia che ha raggiunto forse il suo punto massimo nel 2018 quando furono rapiti due turisti inglesi, sempre nel parco nazionale di Virunga, rilasciati dopo due giorni. Nell’aprile del 2020 una sessantina di membri del Fdlr-Foca attaccarono una pattuglia dell’Iccn provocando 17 morti, di cui 12 ranger.
Per il Centro Studi Internazionali, “le ipotesi più concrete conducono a valutare la possibilità di un attacco di una milizia a scopo intimidatorio verso la missione Monusco oppure di un’azione ostile perpetrata dall’Adf/Stato Islamico in Africa Centrale al fine di proseguire il proprio percorso di crescita e ‘accredito’ internazionale”. Quel che è certo è che la pista di un tentativo di sequestro mirato di un ambasciatore segnerebbe uno scatto finora inedito nelle ambizioni e nell’aggressività dei gruppi che terrorizzano il Nord e Sud Kivu. Prima d’ora, infatti, nessuna milizia si era mai spinta ad attaccare un target di così alto valore politico. In particolare, riguardo all’Adf/Isis, il CeSi sottolinea che, “sebbene questa branca del Califfato sia una delle più attive e in espansione nel continente (dal Congo fino al Mozambico), ancora le manca un’azione dalla grande eco mediatica e politico-simbolica. In tal senso, l’attacco al convoglio di Monusco rientrerebbe perfettamente in tale strategia”.
Quel che è certo è che l’ambasciatore Attanasio era consapevole di muoversi in un contesto pericoloso e imprevedibile. Anche per questo — riporta l’agenzia Dire — il mese scorso aveva portato a compimento una gara per fornire all’ambasciata di cui era a capo “un’autovettura blindata avente sette posti a sedere e con un livello di blindatura vr6, cig 7864299”. In attesa di poterne disporre, il 43enne, padre di tre figlie e vincitore insieme alla moglie del Premio Internazionale Nassiriya per la Pace, non rinunciava lo stesso a missioni delicate ma considerate “sicure” dalle forze Onu impegnate nel Paese. Attanasio e Iacovacci, infatti, sono stati uccisi mentre viaggiavano a bordo di un convoglio del Pam, il Programma alimentare mondiale dell’Onu. La strada era stata precedentemente controllata e dichiarata sicura per essere percorsa anche “senza scorte di sicurezza”, ha fatto sapere il Programma alimentare mondiale in una nota.
“Prometto al governo italiano che il governo del mio Paese farà di tutto per scoprire chi c’è dietro questo vile omicidio”, ha garantito la ministra degli Esteri della Repubblica Democratica del Congo, Marie Tumba Nzeza, secondo la quale il convoglio è caduto in un’imboscata. Per le autorità del vicinissimo parco nazionale di Virunga, si sarebbe trattato di un tentativo di rapimento. Anzi, stando a quanto riferito dal governatore congolese del Nord Kivu, Carly Nzanzu Kasivita, veicoli del convoglio del diplomatico sono stati presi in ostaggio e scortati nella boscaglia.
È nella foresta, ai bordi del parco Unesco in cui vive un quarto dei gorilla di montagna del mondo, che secondo le prime ricostruzioni sarebbero stati colpiti a morte l’ambasciatore e il carabiniere: Iacovacci è morto sul colpo; Attanasio è stato portato di corsa all’ospedale della missione Onu a Goma, ma non c’è stato niente da fare.
Oggi la tragedia che ha colpito l’Italia ha fatto riaccendere i riflettori su una situazione di instabilità e violenza permanenti che da decenni affliggono la popolazione locale. “L’area orientale del Congo è sicuramente una delle più travagliate e complesse del continente africano”, spiega ad HuffPost Luca Barana, ricercatore dell’Istituto Affari Internazionali ed esperto di Africa. “È un’area che da quasi trent’anni conosce un ciclo continuo di violenze, con più conflitti che si sono succeduti sin dalla seconda metà degli anni Novanta, dopo la caduta del regime dell’allora Zaire, che ha visto il coinvolgimento in più momenti dei Paesi vicini, come Uganda e Ruanda”. Dopo l’accordo di pace del 2003, in realtà il Paese ha continuato a vivere una situazione di instabilità e violenza continua con il proliferare di milizie, gruppi armati, signori della guerra. “Ovviamente le prime vittime di questa situazione sono le popolazioni locali, che da decenni vivono in una situazione umanitaria estremamente difficile, una circostanza che finisce per alimentare le fila dei gruppi ribelli che diventano banalmente una fonde di reddito”, osserva Barana. “Non a caso è presente una missione di peace-keeping delle Nazioni Unite, che ha cambiato nome nel corso dei decenni ma che è una presenza fissa nella regione. Goma è uno dei principali centri attorno a cui ruotano le attività dei gruppi armati”.
Il contesto è quello di un Paese dalle dimensioni immense: tutto il Congo è grande quanto l’Europa occidentale, tra la capitale Kinshasa e Goma ci sono quasi 2.500 chilometri, 50 ore di macchina. “Non è un dato solo puramente geografico: in queste regioni la presenza statale è molto debole, tanto più che parliamo di un Paese dalle istituzioni non così salde proprio perchè vittima di invasioni e continui conflitti, e caratterizzato da una scena politica molto complicata”, osserva il ricercatore Iai. “Non a caso molti dei gruppi armati che si muovono in queste zone sono composti da ribelli, componenti dell’esercito che si staccano avanzando rivendicazioni… è un ciclo che si alimenta anche e soprattutto grazie all’estrema ricchezza di risorse minerarie che caratterizza il Paese”.
Sono proprio queste risorse a fare del Congo un Paese “ricco da morire (letteralmente) e proprietario di uno scandalo geologico”. Nel Paese, infatti, si trova di tutto: coltan, diamanti, cobalto, oro, rame, zinco, argento, carbone, petrolio… “Goma si trova al confine tra le regioni orientali del Nord Kivu e del Sud Kivu: sono aree caratterizzate da una ricchezza naturale e mineraria straordinaria, che ovviamente attira gli interessi di gruppi armati che si combattono tra loro e combattono le autorità dello Stato per accaparrarsi le risorse. Parliamo in primo luogo di risorse minerarie, a cominciare dal coltan: un minerale fondamentale per la componentistica elettronica degli smartphone. Probabilmente lo smartphone con cui ci stiamo parlando contiene del coltan proveniente da queste aree del Congo, che ne detiene la maggior parte delle riserve mondiali”.
Si tratta di un minerale che viene estratto in condizioni molto difficili, spesso tramite operazioni illegali che vedono il coinvolgimento di gruppi armati, potentati locali e milizie dei Paesi vicini. Durante le guerre in Congo della fine degli anni Novanta, quando le forze ugandesi e ruandesi invasero queste regioni, misteriosamente le esportazioni di coltan esplosero. La porosità dei confini e la scarsità dei controlli alimentano il contrabbando, rendendo il puzzle ancora più sfuggente: di fatto, la regione dei Grandi Laghi — che comprende anche Ruanda, Burundi e Uganda — resta un’area che sfugge al controllo di un governo centrale a sua volta impegnato in una fase di transizione politica abbastanza delicata.
Barana ne ricorda a grandi linee gli ultimi sviluppi: “Le elezioni di fine 2018 hanno certificato il passaggio di potere dal presidente storico, Joseph Kabila, il vero uomo forte del Congo, all’attuale Fèlix Tshisekedi. Tra i due ci sarebbe stato un accordo sottobanco per un passaggio di consegne, con Kabila che è rimasto l’uomo ombra alle spalle dell’attuale presidente. Negli ultimi tempi, però, Tshisekedi ha intrapreso una serie di mosse politiche che indicano la volontà di sganciarsi dal suo predecessore: proprio la scorsa settimana ha nominato un nuovo primo ministro molto vicino a lui, lo scorso anno ha formato una nuova coalizione parlamentare e ha sostituito alcuni giudici della Corte costituzionale. Kabila resta un uomo molto potente, ma ora Tshisekedi sembra volerlo estromettere dalla regia, come suggerisce la nomina a primo ministro di Jean-Michel Sama Lukonde, fatalità del caso un alto dirigente dell’azienda statale mineraria”. Tutto ritorna sempre allo stesso punto: il tema delle risorse minerarie che fa del Paese uno “scandalo geologico”, troppo attraente per tutti, dai ribelli ruandesi ai seguaci del Califfato africano.
(da “Huffingtonpost”)
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Febbraio 22nd, 2021 Riccardo Fucile
L’ASCESA JIHADISTA, I RIBELLI RUANDESI, LA GUERRA PER LE RISORSE
Secondo fonti inquirenti, dietro l’uccisione dell’ambasciatore Attanasio e del carabiniere Iacovacci ci sarebbero le Forze per la Liberazione del Ruanda. Ma il CeSi non esclude il coinvolgimento della milizia Tutsi e dei gruppi salafiti
È un convoglio appartenente alla missione di peacekeeping dell’Onu MONUSCO quello coinvolto oggi in un attacco nella Repubblica Democratica del Congo in cui sono rimasti uccisi l’ambasciatore italiano Luca Attanasio e il carabiniere Vittorio Iacovacci. La missione, istituita nel 2010, era stata prorogata proprio alla fine del 2020 per un altro anno. Lo scopo era quello di procedere al lento disimpegno dei 12 mila militari e più di 30 mila civili impegnati in una delle aree più instabili del continente.
L’attivismo di Daesh
L’attentato è avvenuto nelle vicinanze della città di Goma, capitale del North Kivu, regione al confine con il Ruanda, dove hanno trovato rifugio miliziani del gruppo armato ugandese di ispirazione salafita dell’Adf che progettava di trasformare il vicino Uganda in una Repubblica islamica. Inoltre, lo scorso 16 aprile — come fa notare un report dei servizi segreti italiani — l’attacco ad una postazione militare — la caserma di Kamango — è stato rivendicato da Daesh, che ha nell’occasione annunciato la costituzione di una Islamic State Central Africa Province. Il Paese, secondo il monitoraggio degli 007, sconta «un quadro di pronunciata fragilità sulla cui evoluzione appare ora gravare anche la crescita della violenza di segno jihadista».
Ma a rendere il Paese ancora più vulnerabile — oltre alla presenza di oltre 100 gruppi armati ribelli — è la competizione per lo sfruttamento delle ricchezze (materie prime e minerali). Si stima che ci siano risorse minerarie non sfruttate per il valore di 24 migliaia di miliardi. Il commercio dei minerali — tra cui oro, pietre preziose e minerali per l’industria ad alta tecnologia, come il coltan — permette alle milizie presenti sul territorio di acquistare armi. Per questo, a partire dal 2010 gli Stati Uniti hanno deciso di ridurre l’acquisto di minerali nel paese. Tuttavia, dopo che molte multinazionali hanno smesso del tutto di acquistare minerali dalla RDC, molti minatori si sono trovati senza lavoro, spingendo così molti a unirsi ai gruppi armati per ottenere una fonte di sostentamento.
Oltre 900 mila rifugiati e 4,5 milioni di sfollati interni
Un’instabilità interna che ha portato la RDC ad avere al momento circa 4,5 milioni di sfollati interni e più di 900 mila rifugiati in altre nazioni. Come fa notare nel suo ultimo report il centro studi CeSi, in questo contesto l’Adf ha proliferato, riuscendo ad agganciare l’universo jihadista dello Stato Islamico. Con la mancanza di solide strutture statali, le organizzazioni jihadiste mirano ad espandere il loro controllo sul territorio. Ed è in questo contesto che «gli attacchi delle milizie etniche contro le Forze Armate congolesi ed il personale sia civile che militare delle Nazioni Unite acquisiscono un significato politico ed economico».
Mentre rimangono da chiarire le dinamiche dell’attacco, secondo fonti inquirenti, la pista più credibile porta agli uomini delle Forze Democratiche per la liberazione del Ruanda. Il Fdlr-Foca è il principale gruppo residuo di ribelli ruandesi di etnia Hutu, conosciuti per il genocidio in Ruanda. E’ questa l’ipotesi prevalente, sebbene non la sola, privilegiata anche dalle forze di polizia e dalle autorità locali. Il CeSi, da parte sua, cita come possibili responsabili la milizia Tutsi, che si oppone agli Hutu, e l’Adf.
(da Open)
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Febbraio 22nd, 2021 Riccardo Fucile
UN GRUPPO DI OPERAI HA RISCHIATO DI PRECIPITARE, ERANO APPENA PARTITI I LAVORI PARZIALI DI CONSOLIDAMENTO
Dicono gli abitanti di questa parte di riviera, fatta di roccia più che di sabbia, che “ogni cento anni la falesia cambia pelle”, cioè si staccano pareti rocciose che piombano in mare ridisegnando il profilo di questo bellissimo litorale.
Oggi la falesia ha cambiato pelle e lo ha fatto precipitando in mare un costone accompagnato dal macabro spettacolo di centinaia di bare che galleggiano in acqua. Sono immagini spaventose per due ragioni, quelle che arrivano da Camogli dove oggi è franato il terreno che ospitava una parte del cimitero.
Da un lato è l’ennesima dimostrazione della fragilità del territorio ligure, anche quello urbano, quello più familiare, frequentato. Dall’altro, appunto, l’angosciante visione delle bare semidistrutte che si schiantano sulla scogliera e poi come rovine di navi naufragate finiscono trasportate verso il porticciolo dalla corrente.
L’allerta
A dare l’allarme sono stati alcuni operai che stavano lavorando alla ristrutturazione di alcuni colombai. Hanno prima sentito un forte rumore poi il terreno ha iniziato a vibrare e in pochi secondi la parete della falesia con alcuni colombai si è staccata ed è precipitata in mare da diverse decine di metri. Il rumore del crollo ai piedi della scogliera è stato avvertito da tutti gli abitanti della zona.
Il cimitero si trova lungo la strada che da Recco raggiunge il paesino. Quello di Camogli è uno dei cimiteri più suggestivi della riviera e sono molte le richieste di persone non residenti che chiedono di esservi seppellite.
Fra i primi ad essere informati il sindaco Francesco Olivari che sta coordinando la messa in sicurezza della zona. Si sta anche verificando se il terreno circostante sia stato interessato dal cedimento soprattutto in funzione delle abitazioni che si trovano poco distanti dal cimitero.Si sta mettendo a punto la strategia migliore per il recupero delle bare finite in mare e quelle rimaste in bilico. Sul posto anche il nucleo specializzato per la prevenzione del rischio biologico della Asl.
Sul posto anche l’assessore alla Protezione civile Giacomo Giampedrone che ha poi partecipato a una riunione in Comune per decidere il da farsi. La Regione poco tempo fa aveva stanziato 400 mila euro proprio per interventi che riguarderebbero il consolidamento di un parte di terreno di quella zona.
Il sindaco: “Imprevedibile”
“Vicino all’area del crollo – ha spiegato il sindaco – sono in corso lavoro di consolidamento della falesia. Da una prima analisi, ma solo domani potremo fare esami più accurati, emerge che è stato un crollo difficilmente prevedibile e contenibile. Sulla cima di questa falesia c’erano una serie di loculi che sono precipitati”
La Guardia costiera ha sistemato delle barriere in mare per contenere i materiali finiti in acqua e non ancora recuperati.
L’assessore regionale ha spiegato che “al momento sono stati trovati in acqua 10 feretri e non risultano altre bare da recuperare”. Domani sarà eseguito però un sorvolo con i droni per ricerche più precise e organizzare il recupero delle salme sotto la frana. Prima però sarà necessario valutare i movimenti della parete rocciosa per operare in sicurezza.
Dopo il crollo della falesia che ospita il cimitero di Camogli circa 200 bare sono finite in mare e la corrente le ha trascinate nel porticciolo della celebre località rivierasca. Le operazioni di recupero dei vigili del fuoco sono iniziate sotto gli sguardi della popolazione. Nel cimitero c’è stato il sopralluogo degli amministratori, il sindaco Francesco Olivari e l’assessore regionale alla protezione civile Giacomo Giampedrone hanno ispezionato i luoghi con i vigili del fuoco.
Un episodio del genere era accaduto alcuni fa a Nervi in via Capolungo quando anche in quella occasione una parte del promontorio era crollato di schianto e diverse abitazioni erano rimaste a lungo evacuate in attesa che fra cause giudiziarie e definizione delle responsabilità partissero i lavori di recupero che per alcuni stabili sono ancora fermi.
I lavori programmati
Che la falesia fosse soggetta a fenomeni di instabilità era per altro un fatto noto. Pochi mesi fa, a settembre si era aperto un cantiere per “interventi di consolidamento e manutenzione straordinaria della falesia rocciosa sottostante il cimitero comunale” che erano stati finanziati con 400 mila euro dal dipartimento della Protezione civile della Regione Liguria. L’area dei lavori, guardando dal mare la costa, interessava una porzione di terreno leggermente spostata sulla destra rispetto a dove si è verificata la rovinosa frana.
In serata mente era in corso il sopralluogo delle autorità , alcuni residenti sostenevano che da tempo il terreno presentasse i segni di una evidente fragilità e annunciavano denunce, ma è un fatto che la zona fosse stata interessata da lavori già conclusi e altri da iniziare.
(da “La Repubblica”)
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