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SALVINI HA DUE PROBLEMI E TUTTI E DUE INIZIANO CON LA LETTERA G

Febbraio 17th, 2021 Riccardo Fucile

GIANCARLO GIORGETTI E GIORGIA MELONI

“Salvini avrà  presto due problemi e tutti e due cominciano per G”, spiegano in ambienti parlamentari solitamente bene informati su quanto avviene in ambito di centrodestra. Uno è interno al partito, l’altro è esterno: uno si chiama Giancarlo e l’altro Giorgia.
Ne avevamo già  scritto nei giorni scorsi ed ora finalmente se ne accorge anche il capogruppo della Lega a Montecitorio, il fedelissimo del Capitano leghista Riccardo Molinari: “La tattica di Fdi è chiarissima, è molto semplice. Quando hai numeri parlamentari così esigui e non sei determinante è anche semplice stare all’opposizione. Con il ruolo di unica opposizione, vogliono cercare di lucrare politicamente sugli errori che inevitabilmente il Governo farà , fregandosene dell’appello del presidente della Repubblica”.
Traduzione per chi non lo avesse capito: Fratelli d’Italia proverà  a rubare voti alla Lega e, magari, se dovesse arrivare il sorpasso, anche a reclamare la leadership del centrodestra a favore di Giorgia Meloni.
Insomma, parole come pietre lanciate all’indirizzo dell’alleato (fino a prova contraria) Fdi.
Resta poi il “problema” Giorgetti, che Matteo Salvini con dichiarazioni pubbliche (ecco perchè ha subito alzato la voce con il governo) e cene private sta tentando in tutti i modi di “blindare”.
Il leader di via Bellerio sa benissimo che non c’è uomo più stimato dai poteri forti di GG (a proposito: chissà  cosa avrà  pensato stamattina vedendolo sedere alla destra di Mario Draghi). E sa altrettanto bene che, se la Lega nei prossimi mesi dovesse scendere sotto la soglia psicologica del 20%, per lui sarebbero dolori e qualcuno comincerà  a chiedere aria nuova al vertice della Lega. Magari proprio a vantaggio dell’attuale ministro dello Sviluppo economico oppure del super leghista veneto Zaia.
Insomma, il Capitano è stretto in una morsa a tenaglia: da un lato, imprenditori e poteri forti avranno come interlocutore privilegiato Giorgetti (con Zaia pronto a subentrare) e, dall’altro, c’è Giorgia Meloni che punta al sorpasso per soffiargli la leadership del centrodestra, forte anche del fatto che a breve Fratelli d’Italia potrebbe ritrovarsi tra le mani commissioni potenti come Copasir e Vigilanza Rai.
Capito ora perchè Matteo ha alzato la voce con Draghi?

(da TPI)

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LA CAMPAGNA SOCIAL DI TESSERAMENTO DI FRATELLI D’ITALIA DOVE SPUNTA LA BANDIERA DELLA LEGA

Febbraio 17th, 2021 Riccardo Fucile

NON CI SONO PIU’ LE BANDIERE DI UNA VOLTA: LA GAFFE DEL POSTER

Non ci sono più le bandiere di una volta. Nel calcio, ma anche nella politica. Non parliamo di trasformismo, male atavico di molti parlamentari italiani da anni. Ma l’attenzione va sugli ultimi post/poster social pubblicati sui canali social per la campagna tesseramento FdI del 2021.
Annunci in pompa magna, con tanto di richiamo ai patrioti e al patriottismo, elemento fondante della linea meloniana. Ed ecco, però, che dall’immagine utilizzata su Facebook, Instagram, e Twitter emerge un intruso.
La fotografia scelta come sfondo della campagna tesseramento FdI 2021 mostra tre giovani di spalle uniti dal tricolore italiano. Sopra le loro teste campeggia lo slogan: «Sono un patriota. Coraggioso, libero, coerente».
Quest’ultimi aggettivo sembra molto in linea con le polemiche interne al Centrodestra, con Giorgia Meloni che — anche senza mai rilasciare esternazioni dirette sui social e utilizzando parole molto pacate nelle sue continue apparizioni televisive, spesso e volentieri su Rete4 — ha sempre esaltato la sua coerenza e quella del suo partito, anche dicendo no (a differenza di Matteo Salvini e di Silvio Berlusconi) al nuovo governo Draghi.
E, tornando alla campagna social per il tesseramento di Fratelli d’Italia, quei tre giovani avvolti nel tricolore volgono il proprio sguardo verso una platea di bandiere. Ed è lì che arriva l’intruso.
Insomma, la bandiera della Lega — con il nome di Matteo Salvini — compare anche nella campagna tesseramento FdI del 2021. Sarà  frutto dell’intergruppo (simile a quello di Pd-M5S-LeU) proposto questa mattina proprio da Giorgia Meloni agli alleati della coalizione di Centrodestra?

(da agenzie)

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GLI AMBIENTALISTI E LE “ABERRAZIONI” DI SALVINI CHE VUOLE FAR COSTRUIRE DALL’ILVA IL PONTE SULLO STRETTO

Febbraio 17th, 2021 Riccardo Fucile

“NON SI PERMETTA DI FARE PROPAGANDA SULLE DISGRAZIE ALTRUI”,,, “L’ACCIAIO NECESSARIO PER IL PONTE SULLO STRETTO LO PRODURREMMO IN MENO DI UN MESE, ALTRO CHE LAVORO ASSICURATO PER ANNI”

Inizialmente l’ha detto a Lucia Annunciata a Mezz’ora in più su Rai Tre. Poi l’ha ribadito a L’aria che tira da Myrta Merlino.
Ora che è di nuovo al governo Matteo Salvini ricomincia a lanciare idee, alcune che lasciano a bocca aperta. E che fanno saltare sulla sedia i protagonisti.
Quella ribadita negli studi Rai e La7 è la proposta (di nuovo) di costruire il famoso ponte (che ormai è quasi mitologia, da Berlusconi in poi) sullo Stretto di Messina, che collegherebbe la Sicilia alla Calabria. Come? Facile, dice il leader della Lega: si potrebbero prendere due piccioni con una fava. Collegare l’isola alla terraferma e far lavorare gli operai dell’Ilva di Taranto (secondo il senatore ci vorrebbero anni, quindi anni di stipendi pagati ali operai), facendo produrre da loro l’acciaio necessario per rendere (finalmente!) realizzabile l’opera.
Suona tutto liscio, e anzi: agli occhi e alle orecchie meno attente di chi vede e sente cioè che dice, sembra quasi un’idea illuminata. Verrebbe da dire: caspita, che trovata!
Eppure la risposta di chi è protagonista di questa storia è arrivata, ed è arrivata forte e chiara, con una lettera diretta alla giornalista di Rai Tre ed ex direttrice di Huffington Post, Lucia Annunziata.
Punto numero 1: per produrre l’acciaio necessario alla costruzione del ponte ci vorrebbero al massimo quattro settimane di lavoro, che comporta il numero 2: non ci sarebbero lavoro e stipendi pagati per anni; 3: non è sufficiente bonificare l’area di Taranto se si continua a inquinarla.
Ma comunque, il destinatario lo abbiamo detto, il mittente della lettera è “Giustizia per Taranto“, un’associazione attenta ai valori della giustizia ambientale e della giustizia sociale. Che, tanto per mettere i puntini sulle “i”, scrive:
Buongiorno dottoressa,
siamo dell’associazione Giustizia per Taranto. Ieri (14 febbraio) abbiamo ascoltato le farneticazioni del senatore Salvini sulla questione Ilva di Taranto. Ci siamo permessi di estrapolare 44 secondi del suo intervento per evidenziare le aberrazioni dette riguardo al siderurgico ed al ponte sullo stretto di Messina.
Innanzitutto non è con le semplici bonifiche che si risolve il nostro problema, che dura da ben 60 anni. Non ha molto senso bonificare se si continua contemporaneamente a produrre. È come voler raccogliere acqua dal pavimento quando c’è un rubinetto che perde. Si deve riparare il guasto; chiudere quel rubinetto. Poi si possono anche effettuare le bonifiche. Altrimenti togliamo le diossine per riceverne la stessa quantità  sulle nostre teste dopo pochi giorni.
Ma la cosa persino più incredibile, è stata ascoltare che per il senatore Salvini ci vorrebbero anni per costruire il ponte dello stretto, e questo darebbe lavoro agli operai dell’ilva per anni e anni… Ma dai brevi e semplicissimi calcoli che hanno fatto i nostri ingegneri, per fare il ponte di Genova (poco più di un km) si sono utilizzate 17.500 tonnellate di acciaio. Se anche il ponte sullo stretto (3-4 km) fosse 30 volte più massiccio, servirebbero 500mila tonnellate di acciaio. Quante ne produce oggi l’ex Ilva in meno di 3 o 4 settimane!
Noi riteniamo che il senatore Salvini non debba permettersi di fare propaganda sulle disgrazie altrui. Questo è sciacallaggio, fatto, tra l’altro, con un mix di populismo, ignoranza e incompetenza!
Le saremmo grati se volesse dar conto delle nostre dichiarazioni durante la sua trasmissione

(da agenzie)

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LA MELONI VUOLE LA SANTANCHE’ ALLA COMMISSIONE VIGILANZA RAI

Febbraio 17th, 2021 Riccardo Fucile

MA NON E’ DETTO CHE VADA A FINIRE COSI’

“Ora non stiamo parlando di poltrone e siamo concentrati sulle riaperture, sugli indennizzi ai lavoratori del settore sciistico. Se me lo chiedessero, io sono a disposizione del partito” Con queste parole Daniela Santanchè non ha smentito la sua candidatura alla presidenza della commissione di Vigilanza Rai
La candidatura della “pitonessa” è stata riportata con un’indiscrezione del Fatto Quotidiano che citava fonti bene informate di Fratelli d’Italia:
La Vigilanza Rai, come le altre commissioni di garanzia, svolge un ruolo fondamentale come contropotere della nostra democrazia. E per questo deve essere riservata alle forze di opposizione”.
Oltre alla Vigilanza Rai Fratelli d’Italia preme per sostituire il leghista Volpi alla presidenza del Copasir.
E non è l’unica poltrona ambita da Giorgia Meloni nelle commissioni. In ballo ci sono anche quella per le autorizzazioni del Senato e la commissione per la vigilanza di Cdp. Un piatto ricco che avrebbe anche un bonus track mediatico.
Una visibilità  in tg e trasmissioni politiche che abitualmente riservano un terzo degli spazi all’opposizione. Una finestra di visibilità  che Fratelli d’Italia non ha mai avuto finora. Come andrà  a finire?
Non è detto che, sia per le liti nel centrodestra che per prassi istituzionale alla fine la Santanchè riesca a subentrare all’attuale presidente Alberto Barachini di Forza Italia. Infatti solo all’inizio della legislatura la presidenza della Vigilanza Rai viene affidata all’opposizione, ma non è scritto da nessuna parte che se cambia il governo si cambi anche presidente: come spiega Adginforma “i precedenti ci raccontano un’altra storia. Dal 2001 ad oggi tutti i presidenti della Vigilanza sono rimasti al loro posto per l’intera Legislatura, salvo il caso di Claudio Petruccioli che lasciò per incompatibilità  al collega — sempre dell’opposizione al governo Berlusconi — Paolo Gentiloni”.

(da TPI)

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TUTTI I PASSAGGI DEL DISCORSO DI DRAGHI CHE NON SARANNO PIACIUTI A SALVINI

Febbraio 17th, 2021 Riccardo Fucile

IRREVERSIBILITA’ DELL’EURO, MIGRANTI E FISCO

Questa sera il Senato voterà  la fiducia al governo di Mario Draghi. Che si è presentato in Parlamento per illustrare il suo programma di governo davanti a tutte le forze politiche. Un esecutivo che fin da subito si è iscritto in una chiara prospettiva europeista.
Un fattore che ha sollevato alcune incognite rispetto alle posizioni politiche di parte della maggioranza: in particolare la Lega, che negli anni non ha mai abbandonato la sua chiara impronta sovranista. Proprio ieri Matteo Salvini era stato interpellato su alcune frasi pronunciate dallo stesso Draghi quando era alla presidenza della Bce, sul fatto che l’euro fosse irreversibile. E il segretario del Carroccio aveva commentato: “Solo la morte è irreversibile”.
Durante il suo discorso, il presidente del Consiglio però ha replicato a queste affermazioni: “Sostenere questo governo significa condividere l’irreversibilità  della scelta dell’euro, significa condividere la prospettiva di un’Unione Europea sempre più integrata che approderà  a un bilancio pubblico comune capace di sostenere i Paesi nei periodi di recessione”.
Un affondo nemmeno troppo nascosto al leader leghista, per ribadire che sostenere la sua maggioranza un atteggiamento profondamente pro-euro è imprescindibile. E sul sovranismo Draghi ha aggiunto: “Gli Stati nazionali rimangono il riferimento dei nostri cittadini, ma nelle aree definite dalla loro debolezza cedono sovranità  nazionale per acquistare sovranità  condivisa. Anzi, nell’appartenenza convinta al destino dell’Europa siamo ancora più italiani, ancora più vicini ai nostri territori di origine o residenza. Senza l’Italia non c’è l’Europa. Ma, fuori dall’Europa c’è meno Italia. Non c’è sovranità  nella solitudine. C’è solo l’inganno di ciò che siamo, nell’oblio di ciò che siamo stati e nella negazione di quello che potremmo essere”.
Non è stato l’unico passaggio che probabilmente non piacerà  a Salvini. Nessun accenno alla flat tax nel discorso di Draghi alla riforma del fisco.
“Non bisogna dimenticare che il sistema tributario è un meccanismo complesso, le cui parti si legano una all’altra. Non è una buona idea cambiare le tasse una alla volta. Un intervento complessivo rende anche più difficile che specifici gruppi di pressione riescano a spingere il governo ad adottare misure scritte per avvantaggiarli”.
E ancora: “Inoltre, le esperienze di altri Paesi insegnano che le riforme della tassazione dovrebbero essere affidate a esperti, che conoscono bene cosa può accadere se si cambia un’imposta. Una riforma fiscale segna in ogni Paese un passaggio decisivo. In questa prospettiva va studiata una revisione profonda dell’Irpef con il duplice obiettivo di semplificare e razionalizzare la struttura del prelievo, riducendo gradualmente il carico fiscale e preservando la progressività “. Per poi concludere insistendo sull’importanza di combattere l’evasione fiscale.
Infine, sull’immigrazione. “Altra sfida sarà  il negoziato sul nuovo Patto per le migrazioni e l’asilo, nel quale perseguiremo un deciso rafforzamento dell’equilibrio tra responsabilità  dei Paesi di primo ingresso e solidarietà  effettiva”, ha detto Draghi. E ha aggiunto: “Cruciale sarà  anche la costruzione di una politica europea dei rimpatri dei non aventi diritto alla protezione internazionale, accanto al pieno rispetto dei diritti dei rifugiati”.
Non esattamente la linea dei porti chiusi portata avanti da Salvini quando era ministro dell’Interno.

(da TPI)

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CARTABELLOTTA (GIMBE): “LE VARIANTI CORRONO, SERVE LOCKDOWN DURO DI 2-3 SETTIMANE”

Febbraio 17th, 2021 Riccardo Fucile

“NECESSARIO ABBATTERE LA CURVA DEI CONTAGI PER RIPRENDERE TRACCIAMENTO, ALLENTARE LA PRESSIONE E CONTENERE LE VARIANTI”

Decretare un nuovo lockdown totale ed abbattere la curva dei contagi oppure continuare con la strategia di “convivenza” con il virus attuata negli ultimi mesi dal governo italiano? È il dilemma su cui da tempo dibattono gli esperti mentre giorno dopo giorno si moltiplicano le segnalazioni di nuovi focolai causati dalla variante inglese e cresce il timore che, nel giro di poche settimane, il paese possa essere investito da una nuova ondata di contagi, con il conseguente sovraccarico degli ospedali e decine di migliaia di morti. Ne abbiamo parlato con il dottor Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe, organizzazione indipendente che fin dall’inizio dell’emergenza sanitaria monitora l’andamento dell’epidemia in Italia e i risultati dei provvedimenti assunti dai governi.
Nell’ultimo report di GIMBE si riferisce di un andamento dei contagi stabile, aggiungendo che si tratta però di una “calma apparente”. Cosa dobbiamo aspettarci nel prossimo mese a causa delle varianti di coronavirus?
Il numero dei nuovi casi settimanali è stabile da settimane a livello nazionale, ma in metà  delle Regioni si osserva già  un’inversione di tendenza, anche se i numeri per ora non impattano in maniera rilevante sulle curve nazionali perchè si tratta principalmente di Regioni di piccole dimensioni. E in svariate Province l’incremento percentuale dei casi inizia a preoccupare: situazioni molto critiche come quelle dell’Umbria in cui le nuove varianti hanno determinato rapidamente un’impennata dei casi e la saturazione di ospedali e terapie intensive potrebbero improvvisamente esplodere ovunque, visto che le varianti del virus circolano in maniera sostenuta ormai in tutto il Paese. Ecco perchè è fondamentale monitorare tutte le “spie rosse” per attuare tempestive strategie di contenimento.
In quali zone d’Italia le varianti sono riuscite a diffondersi più rapidamente nell’ultima settimana?
Nella impossibilità  di seguire i dati comunicati dalle singole Regioni che, di fatto, documentano la presenza di tutti le varianti nel nostro Paese, possiamo solo fare riferimento ai dati ufficiali. L’indagine condotta dall’Istituto Superiore di Sanità  il 4-5 febbraio ha documentato che la variante inglese è presente in 14 delle 16 Regioni che hanno partecipato. La prevalenza della variante è del 17,8% con un range che varia dallo 0% al 59%. Purtroppo il report non fornisce i dati per singole regioni. Dalla banca dati GISAID che promuove la condivisione internazionale dei sequenziamenti di virus influenzali e SARS-CoV-2 risulta che l’Italia (oltre a effettuare poche attività  di sequenziamento) tende a non condividere tutti i risultati. Infatti, della variante brasiliana sono depositate 3 sequenze; di quella sudafricana nessuna e di quella inglese 541.
Walter Ricciardi ha proposto al ministro Speranza un lockdown totale. Lei è d’accordo? Come andrebbe attuato?
Il rigore delle misure da attuare dipende dalla strategia politica di contrasto alla pandemia. Visto che, nonostante i risultati ottenuti dal sistema delle Regioni a colori, continuiamo ad avere più di 393 mila positivi, oltre 18,4 mila ospedalizzati e più di 2.000 terapie intensive delle due l’una: se manteniamo la strategia di mitigazione, che ha l’obiettivo primario di contenere il sovraccarico degli ospedali, ci trascineremo inevitabilmente lo sfiancante stop&go degli ultimi mesi per tutto il 2021, magari rivedendo criteri e tempistiche del sistema delle Regioni a “colori”. Se invece si deciderà  di perseguire una strategia COVID-free è necessario abbattere la curva dei contagi con un lockdown rigoroso di 2-3 settimane al fine di riprendere il tracciamento, allentare la pressione sul sistema sanitario, accelerare le vaccinazioni e contenere l’emergenza varianti. Ma ovviamente tutto questo presuppone che il sistema, sanitario e non, sia in grado di gestire una simile strategia. Dal potenziamento dei sistemi di testing alla ripresa del contact tracing anche con strumenti elettronici; dal passaggio della quarantena fiduciaria a quella monitorata; dal potenziamento del trasporto locale ad una messa in sicurezza di scuole e luoghi pubblici sul versante dell’areazione e deumidificazione dei locali; da nuove politiche di controllo delle frontiere e flussi turistici a misure più rigorose per il rispetto delle regole. Io sospetto che la politica non abbia paura del lockdown, bensì dell’impossibilità  di raccoglierne i risultati perchè, di fatto, ad un anno dallo scoppio della pandemia le criticità  non sono state affatto risolte.
Nel nuovo governo convivono sensibilità  molto diverse. Salvini, ad esempio, in passato ha ripetutamente chiesto di “aprire tutto”. Altri hanno invece manifestato posizioni più rigorose. Quali sono i rischi di una gestione disordinata dell’epidemia in questa fase?
Il Governo Draghi è chiamato ad affrontare immediatamente questioni chiave per la gestione della pandemia. Oltre alla necessità  di accelerare le forniture vaccinali per mettere al sicuro persone anziane e fragili, occorrerà  arginare la circolazione delle nuove varianti. Con un’Italia ancora molto “in giallo” rischiamo un’impennata dei contagi con conseguente saturazione degli ospedali, nonostante il potenziamento del sequenziamento virale e i lockdown mirati. Servono decisioni tempestive perchè la corsa del virus e delle sue varianti non ha certo rallentato per la crisi di Governo e, questa volta, sarebbe imperdonabile farci trovare impreparati o distratti. E la strategia può essere solo una: giocare sempre d’anticipo sul virus.

(da Fanpage)

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SI VA VERSO MEZZA ITALIA IN ARANCIONE E TANTE ZONE ROSSE LOCALI

Febbraio 17th, 2021 Riccardo Fucile

LE VARIANTI COVID PROVOCHERANNO UNA NUOVA STRETTA, VENERDI’ LA DECISIONE

Le varianti, con la loro carica di contagiosità , spaventano. E proprio in questa settimana la mappa dell’Italia si appresta a cambiare colore.
Cinque o sei Regioni potrebbero passare da giallo ad arancione, ciò significa che i bar e ristoranti resteranno chiusi anche a pranzo e per le scuole superiori sarà  introdotta di nuovo la didattica a distanza a pieno regime. Nelle ultime 24 ore sono 12.074 i nuovi casi Covid in Italia, contro i 10.386 di martedì. Ciò significa che in un solo giorno si sono registrati quasi duemila casi in più rispetto al precedente. E sono aumentati anche i morti, 369 oggi, 33 in più rispetto a martedì.
Di fronte a questi numeri sta scattando l’allarme dei tecnici e degli esperti. “Avanti con le zone gialle e potremmo arrivare a 40mila casi al giorno a metà  marzo”, sostiene il virologo Andrea Crisanti se non saranno attuate misure di contrasto alla diffusione della variante inglese.
La decisione sarà  presa, come ogni settimana, venerdì quando in mattina si riunirà  la cabina di regia per esaminare i dati, a seguire il Comitato tecnico scientifico e in serata il ministro della Salute Roberto Speranza firmerà  le nuove ordinanze.
Cinque o sei regioni rischiano di passare dal giallo all’arancione. Tra queste l’Emilia-Romagna, come ha già  anticipato il presidente Stefano Bonaccini, e la Lombardia, dove quattro comuni sono già  entrati in fascia rossa. Si tratta di Viggiù, Bollate, Mede e Castrezzato “oltre ad esserci l’evidenza di alcuni focolai — spiega il presidente Fontana – si è evidenziato che derivavano da varianti del virus, per lo più inglesi. Per il comune di Viggiù addirittura si tratta di una variante della variante inglese, definita variante scozzese”. Tra le grandi regioni rischia anche il Piemonte. Tante altre sono in bilico, per i dati definitivi bisogna attendere venerdì perchè mancano ancora i dati epidemiologici di due giorni. Ma guardando il trend emerge che sono in bilico anche il Friuli Venezia Giulia e le Marche. Mentre resterebbero in arancione Abruzzo, Liguria, Toscana, Provincia di Trento, Provincia di Bolzano e Umbria.
Tuttavia quest’ultima che formalmente è in zona arancione si trova coperta da fasce rosse. Qui c’è stato un forte aumento di casi e di ricoveri tanto che dal 7 febbraio tutta la provincia di Perugia e sei piccoli comuni del Ternano (Lugnano in Teverina, Attigliano, Calvi dell’Umbria, Amelia, San Venanzo e Montegabbione) sono in zona rossa.
Anche l’Abruzzo è diviso a metà . La regione è passata in zona arancione, come da ordinanza del 13 febbraio del ministro della Salute, ma nei giorni scorsi il presidente della giunta regionale, Marco Marsilio, ha emanato un’ordinanza più restrittiva per le province di Chieti e Pescara a cui viene applicato il regime di zona rossa. Ecco le chiusure chirurgiche per contrastare la variante. E anche se non si parla di vero e proprio lockdown, si tratta comunque di zone rosse rafforzate. In bilico c’è anche il Lazio che potrebbe passare da gialla a zona arancione. Tuttavia per ora l’assessore alla Sanità  del Lazio Alessio D’Amato spiega che “i dati dell’incidenza e i dati dei tassi di ospedalizzazione sono al di sotto delle soglie di allert. Anche se il RT potrebbe essere lievemente in aumento”.
Anche le zone rosse potrebbero però non bastare. “Se ci sono zone con la variante brasiliana va bloccato tutto. Le zone rosse — dice Crisanti non bastano se ci sono focolai con la variante brasiliana o sudafricana: se si diffondono queste varianti, abbiamo eliminato l’arma del vaccino. Serve una strategia di medio contenimento con zone arancioni e zone rosse, ma se c’è la variante brasiliana bisogna bloccare tutto. In Italia ci sono un paio di focolai, in Umbria e in Abruzzo, in questo casi bisogna chiudere tutto, fare un lockdown chirurgico”. Il timore è sempre lo stesso, che il vaccino possa non individuare queste varianti che si stanno diffondendo in Italia con grande rapidità .

(da agenzie)

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SOLDI E GIOIELLI RUBATI AD ANZIANI DI CUI ERA TUTORE: ARRESTATO EX ASSESSORE DELLA LEGA DI PAVIA, HA SOTTRATTO 1,2 MILIONI DI EURO

Febbraio 17th, 2021 Riccardo Fucile

“HA RUBATO PER DIECI ANNI AD ANZIANI NON AUTOSUFFICIENTI”

Per dieci anni avrebbe rubato denaro, gioielli e altri beni a persone anziane non autosufficienti, approfittando del suo ruolo di amministratore di sostegno, fino ad accumulare beni per oltre 1,2 milioni di euro.
Per questo la guardia di finanza ha arrestato Sergio Contrini, 66 anni, ex assessore della Lega ai servizi sociali del Comune di Pavia ed ex presidente dell’azienda dei servizi alla persona della città  lombarda. Arrestato anche il suo presunto complice, un brasiliano di 41 anni.
Già  nel mese di dicembre del 2020 si era saputo che l’ex amministratore pavese era coinvolto in un’indagine del nucleo di polizia economico-finanziaria, coordinata dal procuratore Mario Venditti e diretta dal sostituto procuratore Andrea Zanoncelli. Questa mattina sono scattati gli arresti per peculato aggravato e continuato (in concorso), rifiuto e omissione di atti di ufficio.
Dal 2011 ad oggi Contrini è stato amministratore di sostegno di molte persone non autosufficienti. Una posizione che, come hanno verificato le fiamme gialle, gli ha consentito di gestire i patrimoni dei suoi assistiti non per tutelare i loro interessi, ma i propri. Nel corso di un decennio avrebbe dirottato patrimoni e denaro degli anziani a favore del complice brasiliano.
Appartamenti del valore anche di svariate centinaia di migliaia di euro, sono diventati di proprietà  del complice. In altri casi denaro arrivava su conti correnti riconducibili al brasiliano. E così sono evaporati i risparmi di una vita delle vittime, che avrebbero dovuto garantire loro una serena vecchiaia.
Gli arresti sono scattati dopo quasi un anno di indagini finanziarie. I finanzieri di Pavia avevano già  sequestrato ai due indagati tre appartamenti e tre box oltre alle disponibilità  liquide sui loro conti bancari e le quote sociali di quattro attività  commerciali. Sequestrati anche gioielli e preziosi rinvenuti nella disponibilità  del tutore, per un valore complessivo approssimativo di circa mezzo milione di euro.
Anche dopo i sequestri e l’iscrizione nel registro degli indagati, l’amministratore di sostegno avrebbe effettuato altre operazioni, mentre il cittadino brasiliano a più riprese avrebbe tentato di aprire nuovi conti bancari con documenti falsi, sui quali trasferire, probabilmente dall’estero, somme che non era state individuate con il sequestro di dicembre
A metà  del mese di gennaio, osservati dai militari, i due complici si sono incontrati in una zona appartata, evidentemente convinti di non essere osservati.
Tutti questi comportamenti hanno fatto ritenere agli inquirenti che fosse concreto il rischio di recidiva e di inquinamento delle prove da parte di entrambi gli indagati. Per questo la Procura ha chiesto l’arresto, diposto dal Gip. I due indagati, dopo gli atti di rito, sono stati associati alla casa circondariale di Pavia.

(da agenzie)

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IL PROGETTO DI DRAGHI, ENTRIAMO NEL MERITO: ASPETTI POSITIVI, NEGATIVI E SILENZI

Febbraio 17th, 2021 Riccardo Fucile

PANDEMIA, RECOVERY E RIFORME, COSA HA IN MENTE IL PREMIER

Il lungo silenzio di Mario Draghi si rompe alle 10.16. Quando nell’aula del Senato inizia ad illustrare le linee programmatiche di quello che battezza come “il governo del Paese”
Eccola l’agenda.
PANDEMIA
Il perno è il cambio di passo sui vaccini perchè “combattere con ogni mezzo la pandemia” – dice – è “il principale dovere”. Ecco cosa ha detto il presidente del Consiglio. E quali scenari si aprono con le sue parole.
La spinta alla campagna di vaccinazione. Così cambierà  il modello Arcuri
La prima priorità  per ripartire indicata da Draghi è voltare pagina sul piano di vaccinazione. Il passaggio clou: “La nostra prima sfida è, ottenutene le quantità  sufficienti, distribuirlo rapidamente ed efficientemente. Abbiamo bisogno di mobilitare tutte le energie su cui possiamo contare, ricorrendo alla protezione civile, alle forze armate, ai tanti volontari. Non dobbiamo limitare le vaccinazioni all’interno di luoghi specifici, spesso ancora non pronti: abbiamo il dovere di renderle possibili in tutte le strutture disponibili, pubbliche e private”. La direzione politica è l’accelerazione. Alle 7 di oggi, secondo quanto riporta il contatore online della struttura commissariale per l’emergenza guidata da Domenico Arcuri, sono stati somministrati poco più di 3 milioni di vaccini (3.122.631). Il metodo apre a una revisione profonda del modello Arcuri.
La priorità  per Draghi non è la testa della macchina (almeno ad oggi), ma come funziona. Quindi un ruolo più forte dell’esercito e delle forze armate, ma anche dei volontari.
I luoghi “spesso ancora non pronti” rimandano alle primule incompiute di Arcuri, i grandi padiglioni da installare nelle piazze per “fare rinascere l’Italia come un fiore” (il copyright dello slogan è di Arcuri, avallato da Conte). Il nuovo modello di Draghi guarda a una vaccinazione a tappeto. In questo senso si apre a un coinvolgimento maggiore della Protezione civile. Più operatori e più luoghi dove fare i vaccini. Quindi palestre, fiere, camioncini per strada.
Un altro indizio del cambio di contenuto del piano di vaccinazione lo dà  sempre Draghi quando dice che bisogna fare “tesoro dell’esperienza fatta con i tamponi che, dopo un ritardo iniziale, sono stati permessi anche al di fuori della ristretta cerchia di ospedali autorizzati”. Fine della logica esclusiva dell’ospedalizzazione dei vaccini, che si tira dietro intasamenti e ritardi nel sistema delle prenotazioni.
Cosa non quadra
Giusto accelerare coinvolgendo protezione civile, esercito e volontari, ma il problema di fondo è un altro: procurarsi i vaccini da chi li produce, dando per scontato che la richiesta è ad oggi superiore all’offerta. Possiamo avere 10.000 militari, 5.000 tende da campo, migliaia di addetti alla vaccinazione con la siringa pronta in mano ma se mancano le dosi di vaccino sono tutte chiacchiere. E su questo Draghi non ha detto nulla su come intende procedere. Fino ad oggi non sono stati con le mani in mano, visto che quasi tutti i vaccini sono stati iniettati alle categorie previste, ovvio che senza i vaccini non si può procedere. L’accenno alla “strutture private” è pericoloso perchè c’e’ il rischio di aprire a un mercato parallelo e in Italia si sa come va a finire.

RIFORMA DELLA SANITA’
Dice Draghi: “Il punto centrale è rafforzare e ridisegnare la sanità  territoriale, realizzando una forte rete di servizi di base (case della comunità , ospedali di comunità , consultori, centri di salute mentale, centri di prossimità  contro la povertà  sanitaria)”. Queste considerazioni guardano a un’evoluzione del sistema sanitario nazionale ancora largamente incompiuta. Il Ssn è fortemente centralizzato sulle strutture ospedaliere e sulle Asl. La spinta di Draghi guarda alla telemedicina per non intasare pronti soccorso e più in generale i reparti degli ospedali e all’assistenza domiciliare integrata. Quest’ultima altro non è che la “filiera” che tiene insieme l’Asl, il medico di famiglia e il paziente. Spesso soggetta a problemi di comunicazione e organizzazione. La scommessa, ora, è renderla più fluida ed efficiente. La base sociale di questo disegno è “rendere finalmente esigibili i livelli essenziali di assistenza”.
Cosa non quadra
In teoria quadra tutto, ma lo sentiamo dire da anni mentre contestualmente si è andati nella direzione opposta, smantellando le strutture sanitarie territoriali, favorendo la sanità  privata ( e nel governo Draghi sappiamo bene chi rappresenta le speculazioni dei privati). Manca una dichiarazione chiara da parte di Draghi sul ruolo prioritario della sanità  pubblica rispetto agli interessi dei grandi gruppi della Sanità  privata (privata negli utili e finanziata dalle Regioni). Non è questione solo di maggiore organizzazione ma di scelte di politica sanitaria.

SCUOLA
La scuola in presenza (anche in estate), lezioni pomeridiane. La formazione dei docenti per spingere gli istituti tecnici
“Non solo dobbiamo tornare rapidamente a un orario scolastico normale, anche distribuendolo su diverse fasce orarie, ma dobbiamo fare il possibile, con le modalità  più adatte, per recuperare le ore di didattica in presenza perse lo scorso anno, soprattutto nelle regioni del Mezzogiorno in cui la didattica a distanza ha incontrato maggiori difficoltà ”. Per Draghi la didattica a distanza ha sostanzialmente fallito. Nella prima settimana di febbraio, con un meccanismo quindi a pieno regime, solo il 61,2% degli studenti delle superiori (i numeri li dà  lo stesso premier) ne ha usufruito. La direzione è quella di un’intensificazione del ritorno degli studenti nelle aule. Ma anche di un allungamento del calendario scolastico. L’orizzonte, al di là  della data precisa, è tenere dentro anche l’estate, quantomeno una parte. Anche con lezioni pomeridiane.
Come la sanità , anche la scuola ha una doppia prospettiva. In quella più larga, Draghi contempla “una transizione culturale a partire dal patrimonio identitario umanistico riconosciuto a livello internazionale”. Nel menù delle materie potrebbero arrivare nuove materie di studio. Ma è sugli istituti tecnici che Draghi mette l’accento. I modelli sono la Germania e la Francia. La stima che motiva la direzione: nel quinquennio 2019-2023 serviranno circa 3 milioni di diplomati di istituti tecnici per il digitale e per l’ambiente. Nel Recovery plan ci sono a disposizione 1,5 miliardi, uno stanziamento superiore di venti volte al finanziamento di un anno normale, pre-pandemia. Qui per Draghi la questione non è economica (considerando che le risorse ci sono), ma di metodo. Va bene calare soldi negli istituti tecnici, ma il personale docente deve essere formato adeguatamente. Il digitale corre, le politiche sull’ambiente si fanno più integrate e molto più evolute rispetto all’ambientalismo tout court degli ultimi dieci anni. Anche la scuola – è il ragionamento del premier – deve tenere il passo. Stessa logica per l’università .
Cosa non quadra
La didattica a distanza era e rimane l’unica possibilità  per poter insegnare in tempi di pandemia. Draghi non dice che, a causa della riapertura delle scuole, il numero dei contagi è aumentato (basta leggere i dati delle riviste scientifiche europee) persino nelle scuole di primo grado, la scuola non ha bisogno di demagogia. Come si fa dire in questo momento, con l’aumento previsto dalla variante inglese, che bisogna prolungare i tempi (fino a luglio e agosto?) quando non sappiamo che situazione avremo tra qualche mese?

Poi finiamola con la storia dei “ragazzi che vogliono tornare a scuola”: i giovani vanno a scuola per socializzare, per vedere gli amici, perchè i genitori li vogliono a scuola così sono liberi di andare al lavoro o avere qualche ora di respiro, nessuno muore se non va a scuola, qaulcuno rischia di morire se ci vanno.
Condividiamo la parte che riguarda preparazione e indirizzo degli istituti professionali, alla luce delle nuove specializzazioni del futuro.

LAVORO, LICENZIAMENTI E POLITICHE ATTIVE
Draghi non dà  indicazioni dettagliate sul blocco dei licenziamenti che scadrà  il 31 marzo. Dà  però una lettura dell’impatto che avrà  lo sblocco: “La diffusione del virus ha comportato gravissime conseguenze anche sul tessuto economico e sociale del nostro Paese. Con rilevanti impatti sull’occupazione, specialmente quella dei giovani e delle donne. Un fenomeno destinato ad aggravarsi quando verrà  meno il divieto di licenziamento”. Insomma, il colpo sarà  durissimo. In linea con un’economia che tornerà  ai livelli pre-pandemia non prima della fine del 2022. I danni sono già  tanti. I nuovi poveri, secondo i dati dei centri di ascolto Caritas, sono passati dal 31% al 45%. Quasi una persona su due si rivolge a questi centri per la prima volta. I 444mila posti di lavoro persi, il peso della “disoccupazione selettiva” su giovani, donne. Quasi tutto sui precari. Sugli autonomi se l’ottica è quella della tipologia di lavoro. L’impennata delle disuguaglianze.
Draghi punta tutto sulle politiche attive. Sono quelle che servono per reinserire i disoccupati nel mondo del lavoro. E questo è un primo indizio che spinge a pensare che il blocco dei licenziamenti non sarà  prorogato. Quantomeno non per tutte le aziende e i lavoratori. È qui uno dei punti di maggiore discontinuità  rispetto al governo Conte. La logica del vecchio governo è stata quella di blindare il lavoro con il blocco dei licenziamenti per un anno (caso unico in Europa). Il colpo della crisi è stato fortissimo con il lockdown nazionale della scorsa primavera, ma questo schema è stato mantenuto anche dopo che il virus ha contenuto la sua corsa e con l’allentamento delle restrizioni. Le politiche attive sono state declamate da tutti, dai 5 stelle al Pd, ma mai spinte davvero. Anzi. La pandemia non solo non ha costituito un’occasione per potenziare le politiche attive, ma ha affossato anche il disegno partito già  con il Conte 1, quando le stesse politiche sono state riformulate con la nascita dei navigator e la gestione dell’Anpal, l’Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro, affidata a Mimmo Parisi.
Draghi prova a tirare fuori le politiche attive da questa secca. Fa un riferimento esplicito a un cambio di passo. Qui le prospettive sono due. La prima è ridisegnare l’assegno di riallocazione. Quindi cambiare il sistema dei voucher per i disoccupati, in linea con una nuova prospettiva delle azioni che devono aiutare i lavoratori senza impiego a cercarne uno. La seconda è rafforzare le dotazioni di personale dei centri per l’impiego. Il premier non nomina i navigator. Anzi parla di più personale “in accordo con le Regioni”. Una differenza sostanziale, che guarda al sistema delle politiche attive precedente all’innesto dei navigator. È anche una questione di tempi. Le politiche attive devono partire subito: verranno tirate fuori dal Recovery plan e anticipate.
La prospettiva più larga guarda a un possibile scambio. Politiche attive che funzionano e una riforma degli ammortizzatori sociali per allargare e potenziare il periodo non lavorativo possono controbilanciare lo stop al blocco dei licenziamenti.
Cosa non quadra
Anche qui pare che il problema sia “come ricollocare i lavoratori”, se “i voucher funzionao o no”, se “gli uffici del lavoro sono efficienti o meno”, quando il problema è a monte; il lavoro non c’e’! E dove c’è in teoria, non c’è manodopera specializzata. Allora Draghi dovrebbe spiegare: a) come intende sostenere i “nuovi poveri” in aumento b) come intende creare nuovi posti di lavoro. Altrimenti facciamo solo filosofia.
Intanto il reddito di cittadinanza va riformulato, inutile collegarlo alla ricerca   del lavoro che non esiste. Diventi un sussidio vero e proprio da destinare a chi ne ha veramente bisogno. Fuori tutte le pratiche e accertamenti a tappeto. Poi si toglie ai truffatori e si aumenta ai veri bisognosi. Ma di questo nel discorso di Draghi non c’e’ traccia.

AIUTI SELETTIVI ALLE IMPRESE
Il passaggio chiave è questo: “Il governo dovrà  proteggere i lavoratori, tutti i lavoratori, ma sarebbe un errore proteggere indifferentemente tutte le attività  economiche”. La logica della selettività . Gli aiuti alle imprese non più a pioggia, ma a chi ha avuto perdite effettive a causa della crisi provocata dal virus. I prossimi ristori non andranno a tutti. Una linea che combacia perfettamente con quella dell’Europa e che in tal senso segna una continuità  con l’ultima fase del governo Conte. Dopo una lunga stagione di aiuti a tutti, il decreto Ristori 5 messo in cantiere al Tesoro guidato da Roberto Gualtieri era incentrato sul criterio della selettività . Draghi seguirà  questa strada. La visione: alcune aziende non ce la faranno, inutile dare soldi ad attività  che non hanno futuro. Ancora di più a quelle che erano in crisi già  prima della pandemia.
Cosa non quadra
Finalmente un cambio di linea, peraltro previsto da Gualtieri e dall’Europa. Basta ristori a tutti i questuanti, basta 25.000 di prestiti a tutti senza garanzie, basta 200.000/500.000 euro di prestiti garantiti dalo Stato che se uno non paga alla fine pagheranno tutti i contribuenti italiani. Chi vuole fare impresa sa i rischi che corre, nessuno l’ha obbligato. Abbiamo sputtanato almeno 50 miliardi per finanziare soggetti che hanno decine di migliaia di euro in banca, vogliamo dirlo? Quello che va verificato è un altro aspetto: chi decide se una azienda va ancora aiutata e chi no? Draghi pensa veramente che in un sistema come quello italiano attuale i quattrini non finiscano nelle tasche dei soliti raccomandati con appoggi politici? Quando avrà  creato una struttura affidabile sui controlli siamo pronti a dargliene atto, ma senza quello le perplessità  restano.
E ancora: perchè non finanziare progetti imprenditoriali di giovani piuttosto che certe aziende obsolete? Se vogliamo aiutare i giovani si dia loro la possiblità  di mettersi in gioco: basterebbe qualche decina di migliaia di euro di aiuto iniziale e nascerebbero tante attività  nuove nei più svariati campi, dalle partite Iva al turismo, dal commercio alle nuove tecnologie, imprese fresche con voglia di lavorare e non di mendicare sussidi.
FISCO

La riforma fiscale. No alla flat tax, semplificazione delle aliquote per l’Irpef
Innanzitutto bisogna coinvolgere gli esperti. La critica rimanda a chi nella politica si è avventurato. Gli 80 euro di Matteo Renzi sono un esempio. Ma anche tanti altri interventi spot di altri governi. Per quel che verrà  alcune prospettive si possono delineare chiaramente. Niente flat tax: la bandiera dei leghisti non vedrà  la luce. Ci sarà  invece una “revisione profonda dell’Irpef”. La direzione ipotizzabile è quella di una modifica dell’assetto che oggi poggia su cinque scaglioni e altrettante aliquote. Chi pagherà  meno tasse potrebbe essere il ceto medio. Gli interventi possibili, quindi, sul terzo scaglione, quello che oggi ha un’aliquota del 38% per i redditi compresi tra 28.001 e 55.000 euro. Accento di Draghi anche sulla necessità  di potenziare l’azione di contrasto all’evasione fiscale.
Cosa non quadra
Giusto il No alla flat tax che favorisce solo i ricchi, giusta l’imposta progressiva ma inutile illudersi che in tempi brevi si possano ridurre le tasse se non attraverso il gioco delle rimoludazioni minime (un 2% in meno al ceto medio, un 2% in più a più abbienti). Draghi avrebbe dovuto avere il coraggio di dichiarare che l’obiettivo primario è far entrare nelle casse dello Stato almeno il 50% delle imposte evase, ovvero 50 miliardi. E con questi   allora sì che si possono ridurre le tasse. Dando un segnale semplice: chi evade tradisce il Paese e da domani non avremo pietà . Dopo di che creare una struttura che compia almeno tre milioni di accertamenti l’anno e la galera per chi evade più di 50.000 euro l’anno. Agli evasori andrebbe sempre meglio che in certi Paesi dove finiscono con una corda al collo.
PUBBLICA AMMINISTRAZIONE E GIUSTIZIA

La novità  più importante è un piano di smaltimento dell’arretrato che si è accumulato negli uffici a causa della pandemia. Dovranno farlo gli uffici pubblici e i cittadini dovranno conoscerlo. Poi più tecnologia e assunzioni sprint, intervenendo con l’accetta sulle attese di decine di migliaia di candidati. Resta coperto invece l’indirizzo sullo smart working. Oggi lavora da casa circa il 40% dei dipendenti pubblici. E le regole snelle per il lavoro agile sono state prolungate fino al 30 aprile. Bisognerà  qui capire come e se si ritornerà  verso una metodologia di lavoro pre Covid.
La riforma della giustizia civile punta su più personale e sullo smaltimento degli arretrati
Bisognerà  “aumentare l’efficienza del sistema giudiziario civile, attuando e favorendo l’applicazione dei decreti di riforma in materia di insolvenza, garantendo un funzionamento più efficiente dei tribunali, favorendo lo smaltimento dell’arretrato e una migliore gestione dei carichi di lavoro, adottando norme procedurali più semplici, coprendo i posti vacanti del personale amministrativo, riducendo le differenze che sussistono nella gestione dei casi da tribunale a tribunale e infine favorendo la repressione della corruzione”.
Quello che non torna
Sono 40 anni che sentiamo questi discorsi, ma se poi non si assume restano solo le chiacchiere. Come fai a smaltire l’arretrato con lo stesso personale?
IL SUD
Fa specie che al Sud Draghi non abbia dedicato una parola, aspettiamo che affronti il problema con proposte concrete.

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