Febbraio 16th, 2021 Riccardo Fucile
3,5 MILIONI IN 5 ANNI AL LABORATORIO DI LECCE… ANCHE IL MARITO E IL FIGLIO DELLA BABY SITTER DEI FIGLI DI CINGOLANI SONO STATI ASSUNTI DALL’IIT
Nel 2006, Roberto Cingolani, neo ministro della Transizione ecologica voluto da Grillo, trasferì 3,5 milioni di euro dai fondi dell’Istituto italiano di tecnologia (Iit), di cui era direttore dal 2004, al Laboratorio nazionale di nanotecnologie di Lecce diretto dalla moglie Rosaria Rinaldi (oggi ex moglie) e da lui stesso fino al 2004.
Il travaso di fondi di Iit al Laboratorio salentino è stato possibile grazie al doppio ruolo di Cingolani in quel momento: dal 2004 direttore Iit nominato da Giulio Tremonti e, fino al 2006, responsabile della fase di accorpamento dell’Istituto nazionale di fisica della materia (Infm) dentro il Cnr su nomina dell’allora presidente Cnr Fabio Pistella.
Era stato Cingolani a fondare il Laboratorio nazionale di Nanotecnologie di Lecce nel 2001, quando ricopriva la carica di vicedirettore Infm.
Lo ha diretto fino al 2004, anno in cui Cingolani si sposta ad Iit e la moglie Rinaldi diventa responsabile dello stesso laboratorio. Athanassia Athanassiou, la seconda moglie di Cingolani, fisica della materia, è tra i primi ricercatori ad essere assunta a tempo indeterminato presso l’Iit. Il Fatto può ricostruire la storia grazie a documenti pubblici del Cnr, soggetto alla legge sulla trasparenza.
Itt è una fondazione privata, sebbene finanziata con fondi pubblici, non è obbligata a pubblicare le convenzioni che stipula nè i bilanci. La vicenda vede Cingolani vicedirettore dell’Infm dal 2001 al 2003, anno in cui viene nominato commissario straordinario per guidare la sua chiusura e il suo assorbimento da parte del Cnr.
A giugno 2005, è il Cnr a nominarlo responsabile Cnr-Infm per l’accorpamento dei laboratori dell’Infm, con mandato prorogato più volte, fino al 31 dicembre 2006. È in questo periodo di proroghe che Iit stabilisce una convenzione di ricerca con il Cnr, il 7 giugno 2006.
Come si evince dai documenti Cnr, a firmare la convenzione per conto di Iit non è il suo direttore, Cingolani, ma l’allora vicepresidente di Iit, Giuseppe Cerboni. Per il Cnr, firma Pistella. Cingolani firma invece come responsabile Cnr-Infm la delibera in cui si autorizza che la convenzione Iit-Cnr venga svolta presso il laboratorio di Lecce e sotto la direzione della Rinaldi.
Autorizza anche un trasferimento di 3,5 milioni in 5 anni da Iit al laboratorio leccese. Cingolani era, quindi, al tempo stesso erogatore (in qualità di direttore di Iit) e beneficiario dei fondi, visto che risultava ancora responsabile dei laboratori Cnr-Infm, come quello diretto dalla moglie.
La Rinaldi ottenne anche un contratto di collaborazione esterna di un anno con Iit. Altri laboratori precedentemente apparenti a Infm vennero scelti discrezionalmente da Iit per collaborare e beneficiare dei suoi fondi: il centro di ricerca Soft-Infm della Sapienza diretto dal fisico Giancarlo Ruocco, e il centro Nest alla Normale di Pisa, diretto da Fabio Beltram, ordinario di Fisica della materia nello stesso ateneo. Oltre a un altra decina di gruppi e centri dell’università pubblica scelti da Iit.
Da gennaio 2006 a dicembre 2010, Athanassia Athanassiou, attuale moglie di Cingolani, è stata anche lei ricercatrice senior presso il Laboratorio di nanotecnologia di Lecce.
Da gennaio 2011 è diventata coordinatrice della Piattaforma materiali intelligenti nello stesso laboratorio, parte della rete Iit. Nel settembre 2012, si è trasferita all’Iit ed è stata tra i primi 5 ricercatori a ottenere una posizione di tenure track, cioè un contratto a tempo indeterminato.
Anche il figlio e il marito della tata dei figli di Cingolani, rispettivamente Paolo e Arcangelo Barbieri, sono stati assunti ad Iit. Il primo in categoria protetta e il secondo come tecnico di laboratorio.
Lo riporta Thomas Mackinson in un’intervista allo stesso Cingolani nel 2014 sul Fattoquotidiano.it. Non c’è nulla di opaco, aveva risposto il neo ministro, spiegando che al laboratorio di Lecce c’era un ragazzo che aveva potuto conoscere e apprezzare. Così decise di assumerlo a Iit come tecnico della sicurezza. Fece un contratto anche al padre tra le categorie protette. La moglie era la baby sitter dei figli.
Cingolani non ha risposto alla richiesta di chiarimenti del Fatto.
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Febbraio 16th, 2021 Riccardo Fucile
COSA DIRA’ ORA RENZI CHE HA CREATO LA CRISI ANCHE PERCHE’ NON VOLEVA CHE CONTE TENESSE LA STESSA DELEGA?
È durato un “niente” l’appello di Mario Draghi ai ministri a parlare solo con i fatti. Nelle ore in cui prepara il discorso sulla fiducia in Parlamento, la larghissima maggioranza di cui dispone è già piena zeppa di palesi distinguo e conflitti sotterranei.
E la tensione è arrivata alle stelle quando i partiti hanno saputo che Super Mario vuole tenere per sè almeno quattro posti tra viceministri e sottosegretari.
Insomma, un tesoretto di fedelissimi da sottrarre all’ingordigia dei partiti. A Palazzo Chigi, però, si stanno già muovendo per sistemate anche un altro tipo di poltrone, quelle che “contano” veramente. Una su tutti, la delega ai servizi segreti.
Già , perchè Mario Draghi starebbe pensando di tenere stretta nelle sue mani l’autorità delegata per la sicurezza della Repubblica. Esattamente come avrebbe voluto fare (e per un abbondante periodo di tempo ha fatto) un certo Giuseppe Conte.
Per la delega di Palazzo Chigi all’editoria, invece, si fa il nome del super tecnico Mauro Masi, profondo conoscitore della materia. Ma sarebbe in rampa di lancio anche una delega per la riforma del fisco: in pole position c’è Ernesto Maria Ruffini attualmente al vertice dell’agenzia delle entrate.
(da TPI)
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Febbraio 16th, 2021 Riccardo Fucile
TRA PENNELLATE E SALAMELECCHI DELLA STAMPA “AMICA” DEI GRANDI GRUPPI EDITORIALI
Salvate il soldato Draghi. Perchè a leggere gli osanna, le pennellate e i salamalecchi di questi giorni, sia pure accompagnati sul fronte opposto da selve di insulti e ironie, vengono in mente certe iscrizioni apologetiche tipo quella lasciata alla Porta al Serraglio di Prato: «Qui Giuseppe Garibaldi sottratto alle austriache insidie fermossi due ore la venseesima (sic) notte d’ agosto del 1849…» Un capolavoro, tra 253 tonanti epigrafi censite nella sola Toscana. Figuratevi in tutta l’ Italia.
Anche Mario Draghi «fermossi due ore». Accadde «qualche anno fa, diciamo una trentina», alla trattoria «Sogni d’oro» a Monteverde, in Irpinia, paese d’ origine di un pezzo della famiglia e la signora Elena, la cuoca, ha raccontato a una tivù locale di ricordare perfettamente che si sistemò con gli zii «a quel tavolo laggiù in fondo» e mangiò «una specialità particolare, cioè la braciola» che lì in paese è un involtino al pomodoro: «Draghi è una persona educata e umile e suo zio Fulvio ne tesseva le lodi ed era sicuro che il nipote avrebbe fatto carriera».
Il cugino invece, che vive a Genova, viene sempre a mangiare i cavatelli». Ma sia chiaro: guai a chi pensi che Draghi sia l’ennesimo figlio di quella terra irpina che per Ciriaco De Mita ospitava «il 70% dell’intelligenza italiana» al punto che un giorno Napoli «si sarebbe chiamata Avellino Marittima».
Manco il tempo che l’ex presidente della Bce venisse arruolato tra i romani romanisti tottiani cresciuti dall’ istituto Massimo e sono saltati su i veneti, pronti a ricordare un altro pezzo della famiglia paterna strettamente legata a Padova e Venezia tanto da spingere il Gazzettino a salutarlo come «il primo veneto a Palazzo Chigi mezzo secolo dopo il vicentino Mariano Rumor».
Ed ecco l’ intervista a due gemelli amici d’ infanzia, Gino e Giampaolo, l’ uno oggi avvocato e l’ altro docente universitario, coi quali il presidente del Consiglio condivise anni di vacanze estive in riva al Brenta e qualche puntata a pesca dalle parti di Chioggia. Per non dire del ricordo dei primi incontri di Mario con Serenella, sposata a Stra, «nella chiesetta di villa Morosini Antonibon Cappello» e subito omaggiata per lontani legami familiari come parente dei Medici di Firenze.
Fino a qui, per carità , cronaca. Pedaggio scontato anche per chi, pur avendo da anni ruoli pubblici, ha sempre cercato di stare alla larga dalle copertine dei rotocalchi. Oddio, non che l’ incursione nella vita privata sia una novità assoluta. Basti ricordare un libro che qualche anno fa raccontò d’ una visita all’ allora premier Silvio Berlusconi in Sardegna, dove il futuro governatore si presentò eroico «nonostante non potesse quasi camminare per il taglio profondo che si era fatto sugli scogli di Porto Rotondo, facendo diventare rosso di sangue un grande tratto di mare».
Testuale. Roba che manco un capodoglio fiocinato…Tutto già visto. Ricordate Carlo Azeglio Ciampi? «La zia Milla era tra le più impegnate in diocesi». «Ho donato al Presidente pasta di grano duro trafilata in ottone e mozzarella di bufala campana per ringraziarlo d’ aver dato “un grande contributo a Napoli, apprezzando la tipicità della sua cucina”». «I lavoratori “rossi” del cantiere navale di Livorno suonano felici le sirene».
Silvio Berlusconi? «Silvio è uno chansonnier amabile, un fine dicitore con la pasta vocale di Frank Sinatra». «Segreterie e collaboratori si alternano, con diversi turni, mentre il Cavaliere sembra l’ omino delle pile Duracell: chi scrive riesce a stento a girare lo zucchero nella tazzina del caffè, nello stesso tempo in cui il presidente di Forza Italia fa almeno tre cose».
Mario Monti? «La sua riservatezza è proverbiale, tanto che intervistato davanti a casa quando era in predicato per diventare il nuovo ministro dell’ Economia al posto di Giulio Tremonti, rispose con un “no comment” anche alla domanda sul nome del suo golden retriever».
Il punto di partenza, per capire tanta devozione verso chi è al potere, devozione che non è neanche parente del rispetto e a volte è vissuta con sofferenza da chi è sommerso da elogi spropositati, come è nel caso di Draghi, resta un geniale sonetto di Trilussa: «Disse un Porco a la Quercia / “Tu sei grande, / forte e potente! / È tanto che t’ ammiro!” / “Lo so” rispose lei con un sospiro / “è un pezzo che t’ ingrassi co’ le ghiande!”». Figuratevi se in ballo non ci sono ghiande ma 209 miliardi di aiuti europei. Più tutta una serie di interventi, distribuzioni di incarichi, accelerazioni invocati da decenni…
Fatto sta che, da un paio di settimane in qua, si è letto di tutto. Che il nuovo premier non solo è meglio di Conte ma «ha più stile e, cinematograficamente, ha un volto molto cinematografico, da attore americano, interessante, affascinante», ideale come presidente Usa protetto da un bodyguard «come Jason Statham».
Che è uguale identico a Clark Kent, che passa inosservato ma se vuole schizza nel cielo come Superman. Che ha una moglie «di origini aristocratiche e modi semplici» la quale un giorno, durante il G7 economico del 2017 a Bari, «accennò al ritornello di “Volare” di Modugno» ma tra gli applausi si schermì: «Non mi riprendete coi cellulari, mi raccomando. Mio marito ama molto la riservatezza». E poi che eccelleva nel basket tanto da venir premiato con «la retìna d’ Oro».
Che è un fondista provetto che nello jogging, accompagnato dal suo bracco ungherese, «trova un momento di evasione dagli impegni istituzionali» per pensare e «trovare soluzioni a problemi complessi» e insomma uno col «passo corto, lento e costante» così da correre la mezza maratona di Ostia arrivando nel 2005, cinquantottenne, al 4.131° posto «nell’ apprezzabile tempo di 1h55’53″». Ed eccolo «pastore» in giacca e cravatta nel presepio napoletano di San Gregorio Armeno.
Cliente con la moglie al supermercato nell’ atto di spingere il carrello senza l’ assistenza di uno schiavo nubiano. Amato al mercato rionale Pinciano dal pescivendolo Manuel fiero che lui gli abbia negato un selfie: «Sa, è molto riservato». Benedetto dalle suore Clarisse di Città della Pieve che lo vedono a messa e «pregano per lui»… Avanti così e, pur essendo mille miglia lontano dal Duce che ci teneva assai a mostrarsi mentre nuotava o cavalcava il suo destriero (che alla sua voce «nitriva in modo significativo»: testuale) lo stesso Draghi finirà forse per invidiare i tempi in cui Benito poteva arginare l’ eccesso di lodi mandando al troppo servile direttore della Gazzetta del Popolo telegrammi come questo: «Moderi atteggiamento ultra-demagogico della Gazzetta che facendo attendere miracoli finisce per sabotare l’ opera del governo».
(da “il Corriere della Sera”)
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Febbraio 16th, 2021 Riccardo Fucile
LE GRANDI ASPETTATIVE SONO IL PRELUDIO DELLE GRANDI DELUSIONI
Ieri, nel corso di un tg, siamo rimasti con la forchetta a mezz’aria alla comparsa di un molto piccato presidente ligure Giovanni Toti che bacchettava il premier Mario Draghi e il ministro Speranza rei di non avere autorizzato l’apertura degli impianti sciistici, causa Covid perdurante. Eh così non va, agitava il ditino costui, che nell’assembramento da unità nazionale si ritiene, e giustamente, in diritto di dire la sua in quanto leader di Cambiamo! (con il punto esclamativo), partito a mezza pensione extra a parte (ma con più voti di Italia Viva). Perchè il bello di questo nuovo, fervido clima da assemblea condominiale è che tutti, proprio tutti (a eccezione di Meloni e Di Battista) hanno diritto di rimostranza, e di veto, purchè in possesso dei millesimi.
Infatti, il noto virologo Matteo Salvini chiede la sostituzione in blocco del Cts e pretende “un cambio di passo” pensando forse che il governo sia la sua personale palestra. Infatti, i gestori della Piana di Vigezzo, in alta Ossola hanno riaperto lo stesso le seggiovie sensibili al richiamo della comune responsabilità , quella del facciamo come cazzo ci pare.
Tutto merito di quella falsa coscienza che si forma sulla pomposa e vuota retorica delle apparenze e del sentito dire.
Il querulo richiamo, per esempio, allo spirito del Cln quando non occorre la cattedra di Storia Moderna per sapere che furono quelli tempi di scontro e di intrighi, che portarono alla defenestrazione di Ferruccio Parri, poi alla guerra frontale De Gasperi-Togliatti, e infine al regime democristiano.
Certo, furono anche gli anni del modello di sviluppo, che diventò la base del decollo industriale degli anni Cinquanta. E del successivo boom economico accompagnato tuttavia dall’arretratezza cronica e mai superata della macchina statale, dalla grave insufficienza delle infrastrutture civili, dal persistente, drammatico squilibrio tra Nord e Sud.
Per non parlare del “governo dei migliori”, annunciato dalla festosa grancassa dell’informazione unica e risoltosi, come nella norma, con qualche ministro migliore, molti peggiori e alcuni così così.
Anche nei Baci Perugina c’è scritto che le grandi aspettative sono il preludio delle grandi delusioni e non si vede per quale motivo, davanti alle pretese di sei o sette tra partiti, partitini e dèpendance si dovesse accantonare il prezioso manuale Cencelli.
Quanto alla deludente presenza femminile nell’esecutivo, urge una domandina: ma secondo l’articolo 92 della Costituzione i ministri, e dunque le ministre non sono di nomina del presidente della Repubblica su proposta del presidente del Consiglio? O abbiamo letto male?
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Febbraio 16th, 2021 Riccardo Fucile
LA CENTRALE ACQUISTI DELLA REGIONE LOMBARDIA LI HA RIFIUTATI
Che fine hanno fatto i camici del cognato di Attilio Fontana? Quale è stato il destino degli oltre 25mila dispositivi di protezione finiti al centro di un’inchiesta giudiziaria che ha coinvolto direttamente il governatore della Regione Lombardia?
Sono finiti a Palermo, a quasi 1.600 chilometri di distanza da Varese, città dell’inquilino del Pirellone e della Dama spa, cioè la società del cognato Andrea Dini, che la moglie di Fontana possiede al 10%.
Dopo mesi di corrispondenza con Aria, la centrale acquisti della Regione — depositata agli atti dell’inchiesta dall’avvocato Giuseppe Iannaccone — Dini si è dovuto arrendere: la Lombardia non vuole più i suoi camici. Neanche gratis.
E quindi ha deciso di regalarli alla Croce Rossa di Palermo. Che non ci ha pensato due volte ad accettarli. “Facendo seguito alla vostra missiva, tenuto conto del perdurare dell’emergenza sanitaria e della necessità di porre in essere quanto necessario per limitare il contagio da Covid-19, confermiamo la nostra disponibilità ad accettare la donazione”, rispondono dalla Sicilia, neanche tre giorni dopo aver ricevuto l’offerta da Varese. “Facendo seguito ai colloqui intercorsi per le vie brevi con l’avvocato Caterina Fatta, con la presente la società Dama propone alla Croce Rossa italiana, comitato di Palermo la donazione di 25.622 camici monouso dotati di apposita certificazione Dpi categoria III”. Il 9 febbraio il materiale è stato quindi caricato su un camion e inviato a 1.600 chilometri di distanza.
L’avvocato Iannaccone, che rappresenta Dini, interpellato dal fattoquotidiano.it non vuole commentare le scelte della Regione Lombardia, ma si dichiara lieto che i camici siano pervenuti ad un’istituzione seria come la Croce Rossa, che sta combattendo ogni giorno in questa fase ancora molto difficile. In attesa di capire l’esito dell’inchiesta giudiziaria, si chiude così un capitolo di una vicenda che va avanti da tempo.
La storia è ampiamente nota: nei mesi scorsi i pm Paolo Filippini, Luigi Furno e Carlo Scalas hanno iscritto nel registro degli indagati Fontana, accusato di frode in pubbliche forniture, Dini, l’ex dg di Aria Filippo Bongiovanni, entrambi accusati anche di turbata libertà nel procedimento di scelta del contraente, e una funzionaria della società regionale. Tutto comincia il 16 aprile, quando Aria affida a Dama una fornitura da mezzo milione di euro per circa 75.000 camici.
Secondo l’accusa, quando Fontana scopre dei “rapporti negoziali” tra il cognato e Aria — che lo pongono in evidente conflitto d’interessi — “chiede” personalmente a Dini di “rinunciare al pagamento per evitare polemiche e strumentalizzazioni”, come ha sostenuto lo stesso governatore intervenendo in consiglio regionale. Il 20 maggio l’imprenditore scrive alla Regione e trasforma i 50mila camici inviati fino a quel momento in donazione, considerando conclusa la fornitura.
Secondo la procura, però, quel contratto non è mai stato modificato — nonostante la risposta inviata da Bongiovanni a Dini e agli altri vertici di Aria sempre il 20 maggio — e per questo motivo la società del cognato di Fontana era obbligata a inviare alla Regione anche gli altri 25mila camici.
Materiale che viene sequestrato il 28 luglio e poi restituito a Dini due mesi dopo. Come ha raccontato ilfattoquotidiano.it il 17 ottobre il cognato di Fontana scrive ad Aria spiegando che la procura ha dissequestrato i camici al fine di rimettere Dama agli “obblighi derivanti dall’ordinativo di fornitura del 16/4/2020“.
E quindi, “pur continuando a ritenere concluso il rapporto conseguente all’ordine di fomitura in oggetto”, Dini vuole consegnare i camici alla Regione “precisando che nessun importo sarà addebitato neppure per i costi di trasporto dei predetti camici”. L’imprenditore spiega che vuole donare quei dispositivi di protezione sia “in ragione della recente recrudescenza dello stato emergenziale e della preoccupante escalation dei contagi attualmente registrati nel territorio regionale”, ma anche perchè “con tale immediata disponibilità la Società avverte l’esigenza di tutelare sin d’ora la propria immagine e la propria reputazione in relazione al travisamento ed alla strumentalizzazione dei fatti relativi all’oggetto”. Tradotto vuol dire che anche se il patron di Paul&Shark continua a considerare conclusa la fornitura/donazione di camici ai quasi 50mila del maggio scorso, intende comunque regalare alla regione la parte restante.
Francesco Ferri, il nuovo presidente della centrale acquisti regionale, risponde spiegando che anche se è “vero è che vi sarebbe effettiva utilità , nell’attuale situazione emergenziale, di acquisire i camici”, occorre comunque “procedere alla formalizzazione dell’accettazione della donazione, e ciò richiede inevitabilmente un chiarimento circa il titolo giuridico corretto da riconoscere alla Vostra offerta”.
Per questo motivo Aria “ritiene imprescindibile, a fini cautelativi, acquisire ogni utile elemento in proposito, anche compulsando, nei limiti consentiti, la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano”.
Insomma: la centrale acquisti della Regione, coinvolta nell’inchiesta con l’ex dg Bongiovanni, vuole evitare di fare qualsiasi movimento senza il via libera della procura. Posizione ribadita più volte in un botta a risposta a colpi di pec che dura per settimane. Fonti della procura, da parte loro, avevano fatto sapere che dopo il dissequestro l’indagato è “dominus” dei camici: poteva insomma utilizzarli come meglio credeva.
La Regione, però, quei camici non li voleva più neanche gratis. Anche per questo il 14 dicembre dalla Dama, la società di Dini, scrivono ancora, spiegando che “in definitiva, chiediamo ad Aria soltanto di accettare gratuitamente i camici in oggetto, affinchè vengano messi a disposizione della sanità lombarda, ma qualora ciò non sia possibile li doneremo a chi (altro ente territoriale o associazioni) ne abbia oggi urgente bisogno”. Così è stato. E alla fine i camici del cognato di Fontana sono finiti a Palermo.
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Febbraio 16th, 2021 Riccardo Fucile
MAGGIORE COINVOLGIMENTO DELLA PROTEZIONE CIVILE E ZONE ROSSE LOCALI, MA CAMBIA POCO, SEMPRE A META’ DEL GUADO
Zone rosse per fermare le varianti estere di Covid-19 e accelerazione della campagna vaccinale utilizzando anche le caserme e gli aeroporti.
Dopo l’ allarme dell’ Istituto superiore di sanità sulla diffusione del virus, il governo studia le misure per cercare di tenere sotto controllo la curva epidemiologica che risulta di nuovo in salita.
La strategia sembra escludere al momento il lockdown, puntando su interventi mirati proprio come sta già accadendo con la chiusura di intere aree decisa a livello locale, ma d’ intesa con l’ esecutivo.
Appare difficile che possa esserci un allentamento dei divieti, anche se nei prossimi giorni dovrà essere effettuata una ricognizione per valutare se e come poter soddisfare almeno in parte le istanze delle varie categorie.
Una delle priorità rimane quella di vaccinare nel più breve tempo possibile i cittadini e per questo saranno coinvolti militari e volontari della Protezione civile negli hangar e nelle caserme, preferiti alle «primule» del commissario Domenico Arcuri.
Parte bene l’ asse tra Roberto Speranza e Mariastella Gelmini, neoministro per gli Affari regionali, ma soltanto nei prossimi giorni si metterà a punto la strategia di contenimento del Covid-19.
Anche perchè in vista della scadenza del Dpcm in vigore, prevista per il 5 marzo, dovrà essere il presidente del Consiglio Mario Draghi a decidere se utilizzare lo stesso metodo, oppure procedere per decreto lasciando ai ministri il potere di ordinanza su aperture e chiusure.
La strada per evitare il lockdown nazionale passa dalla chiusura di paesi, città e intere province dove circolano la variante inglese, ma anche quella brasiliana e sudafricana che finora sembrano resistenti ai vaccini.
Aree dalle quali non si può uscire e dove non si può entrare, dove gli spostamenti sono vietati e la maggior parte dei negozi resta chiusa. Per questo è stata ribadita a sindaci e governatori la necessità di intervenire d’ urgenza chiudendo anche le scuole, appena si ha la percezione che ci siano positivi al virus mutato.
Il sistema dei colori dovrebbe rimanere con la divisione in fasce rosse, arancione, gialle e bianche, ma proprio la presenza delle varianti potrebbe portare a un ulteriore ritocco dei parametri.
Attualmente con l’ Rt a 1 si entra in fascia arancione e con 1,25 si va in fascia rossa, ma non è escluso che gli scienziati propongano di abbassare ulteriormente le soglie. Sarà poi il governo a dover stabilire quali attività tenere aperte e quali invece vietare nelle varie aree.
Il Consiglio dei ministri stabilirà se e come dare seguito alle richieste dei gestori dei locali pubblici di poter aprire bar e ristoranti la sera in fascia gialla e a pranzo in fascia arancione.
L’ altro settore da valutare è quello dello sport. Le nuove linee guida prevedono infatti aperture scaglionate e comunque lezioni individuali almeno nella prima fase della ripresa. Oltre a un distanziamento straordinario rispetto alle altre attività : 2 metri in palestra, 10 metri quadri in piscina.
La ripresa dello spettacolo «in presenza» è una delle richieste che ormai da mesi pressa i ministri e anche su questo dovrà essere fatta una valutazione dal nuovo esecutivo tenendo conto che molte attività sono in grande affanno e la maggior parte delle sale rischiano di non riaprire.
I ritardi nella campagna vaccinale — dovuti soprattutto alla mancata consegna da parte delle industrie farmaceutiche — dovranno essere recuperati. Ecco perchè si sta pensando di coinvolgere la Protezione civile e i militari per intervenire in quelle regioni che rischiano di accumulare ulteriori rinvii per la mancanza di personale e luoghi adatti a somministrare le dosi.
Proprio come sta avvenendo nel Lazio — dove è stata reperita un’ ala dell’ aeroporto Leonardo da Vinci — si cercherà anche in altre zone di seguire lo stesso esempio utilizzando caserme, palestre, hangar e affidandosi all’ aiuto dei militari e dei volontari della Protezione civile per vaccinare i cittadini.
L’ ipotesi più probabile è che il supporto ai governatori — compresa la distribuzione — arrivi proprio dalla struttura che dipende da Palazzo Chigi, lasciando invece al commissario Domenico Arcuri esclusivamente l’ approvvigionamento delle dosi.
(da “Il Corriere della Sera”)
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Febbraio 16th, 2021 Riccardo Fucile
IL TIMORE CHE I VACCINI NON SIANO EFFICACI SU QUESTE VARIANTI
Ci sono due nuove varianti inglesi del coronavirus che preoccupano scienziati e medici in Regno Unito. Per ora non è stato lanciato un allarme nazionale, almeno per la seconda, anche perchè tutto il Paese è in lockdown totale da oramai il 3 gennaio e potrebbe esserlo con tutta probabilità fino a Pasqua.
Quindi il controllo di una eventuale diffusione in questo momento è meno complicato, a differenza di Paesi come l’Italia. Tuttavia, destano preoccupazione soprattutto in ottica vaccini e su quanto questi possano essere efficaci come sulle varianti già esistenti.
Premessa: il Regno Unito sequenzia il 10% dei test anti Covid che fa – l’Italia non arriva neanche a 0,5% – e quindi scopre settimanalmente nuove varianti del Sars-Cov-2. Molte di esse sono decisamente simili a quelle che circolano da molti mesi, dunque non turbano gli scienziati.
Ci sono due mutazioni però che di recente sono presto passate all’attenzione di esperti e scienziati britannici e che sembrano più gravi delle stessa “variante inglese” del Kent, B.1.1.7, ovvero quel ceppo che ora si sta diffondendo anche in Italia (come in altri Paesi europei) e che potrebbe richiedere presto un lockdown, o una chiusura più o meno serrata del Paese, come ha deciso oramai sei settimane fa il governo Johnson per il Regno Unito.
L’ultima variante all’attenzione degli scienziati inglesi è la cosiddetta B.1.525. Ne sono stati intercettati 38 casi sinora, tra l’altro in vari punti dell’Inghilterra, segno che potrebbe essere più diffusa di quello che si crede.
Non è chiaro se sia più contagiosa o mortale ma una cosa è certa: il ceppo B.1.525 contiene la mutazione E484K, che incarna le maggiori apprensioni in questo momento perchè è colei che modifica la proteina spike del Covid (quella del virus che penetra le nostre cellule) rendendola sfuggente a diversi vaccini esistenti sinora, come per esempio quello di Oxford AstraZeneca, per cui sarà pronta una versione aggiornata e specifica in autunno proprio alla luce di questo.
La mutazione E484K è anche alla base di un’ennesima variante della “variante inglese” B.1.1.7, che sinora è stata registrata soprattutto tra Bristol e Manchester e che la rende decisamente simile a ceppi ancora più pericolosi come quello “brasiliano” e quello “sudafricano”.
Anche questa potrebbe aggirare più facilmente gli anticorpi dei vaccini esistenti e soprattutto è certo che sia più contagiosa delle varianti precedenti (circa del 60-70%) e probabilmente “più letale”, anche se non ci sono studi certi su quest’ultimo punto. Il problema delle mutazioni è ancora più grave durante una campagna vaccinale monstre, che sta coinvolgendo tutti i Paesi più colpiti.
Per questo lo scorso gennaio il governo di Boris Johnson, a differenza di altri Paesi europei come l’Italia, ha deciso di richiudere tutto il Paese per mesi: più il virus si diffonde, più si verificano mutazioni. Sperando che questo sia l’ultimo, seppur lunghissimo, lockdown.
(da “La Repubblica”)
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Febbraio 16th, 2021 Riccardo Fucile
POLITICI SOVRANISTI ATTACCANO CHI PRIVILEGIA LA SALUTE DEGLI ITALIANI … NON BASTA AVER MIGLIAIA DI VITTIME SULLA COSCIENZA CON IL LORO CATTIVO ESEMPIO
Tira una brutta aria per la scienza. Avevano iniziato i no-vax, dopo la fine della prima ondata, a inseguire ambulanze, a riprendere le anticamere dei pronto soccorso, a creare gruppi Telegram in cui progettare rivolte contro la dittatura sanitaria, contro gli esecutori dello sterminio di massa negli ospedali, contro i soloni della medicina.
Poi i no-vax si sono fatti via via più silenziosi e il processo di delegittimazione della scienza ha cominciato ad avere interlocutori più autorevoli: la stampa e la politica
Non so se ve ne siete accorti, ma la scienza è passata dall’essere riferimento e à ncora di salvezza a qualcosa di antipatico e fastidioso. I virologi non sono più “esperti”, ma “saccenti”.
Se nella prima fase bersaglio di ironia e critiche erano stati i grandi ottimisti (da Zangrillo a Bassetti), ora tocca ai pessimisti: i meme su Crisanti, le battute sul “gufo” Galli e così via, fino alla inspiegabile campagna contro il consigliere del ministro della Salute, Walter Ricciardi. Campagna che va avanti da giorni, con toni sprezzanti e impensabili, fino a qualche mese fa.
Il tutto perchè Ricciardi ha osato dire che servirebbe un “lockdown totale” e il Cts ha bocciato la riapertura degli impianti di sci. Un lockdown totale invocato anche da Galli, Pregliasco e Crisanti, tanto per citare qualche nome, e che non sarebbe certo il capriccio di qualche esperto che gode nel mettere i lucchetti ai bar.
Semplicemente, la diffusione delle varianti del virus sembra fuori controllo e, considerato che a quanto pare la variante inglese ha un tasso di mortalità molto più alto del ceppo originario, secondo Ricciardi e gli altri la chiusura totale sarebbe necessaria.
Apriti cielo. La corazzata anti-chiusure sui giornali ha ribattezzato Ricciardi “Cassandra”, ha rispolverato dei vecchi video sul suo passato da attore, ha riportato sue frasi inesatte sul virus del febbraio 2020, ha addirittura ipotizzato che questa sua “cannonata” sulle chiusure nasca da un supposto livore per non essere stato nominato ministro.
In pratica, Ricciardi vorrebbe chiudere tutti gli italiani in casa per ripicca nei confronti del governo, certo. Se gli muore il cane che fa, ci fa inoculare arsenico anzichè il vaccino?
Ma l’insofferenza, nei confronti di Ricciardi, si estende anche alla politica. A parte i soliti leghisti — per cui l’idea di chiudere è impensabile (Salvini: “Non ci sta che un consulente del ministero della Salute una mattina si alzi e senza dire nulla a nessuno dica che bisogna chiudere le scuole e le aziende. Prima di terrorizzare tutti ne parli con Draghi”) — Davide Faraone di Italia Viva ha twittato: “Qualcuno comunichi a Ricciardi che siamo passati alla fase in cui si parla meno e si lavora di più”.
Quindi, per Faraone, Ricciardi deve smettere di giocare a freccette al pub. Pub che vuole pure chiudere, per giunta, ma come si permette.
“Ricciardi fa piombare la grande mietitrice sul collo, in un perenne ‘ricordati che devi morire’” scrive qualcun altro, come se non fosse chiaro che nel caso qualcosa dovesse andare storto e le varianti sfuggissero da ogni controllo, la colpa, ovviamente, sarebbe di Ricciardi, del ministro Speranza e di chi “doveva proteggere il paese e invece”.
Come se non bastasse, arriva anche Matteo Bassetti che, forte delle sue previsioni azzeccatissime alla prima ondata, si lancia in nuovi suggerimenti: “Il lockdown totale non serve, bisogna tenere il virus sotto controllo e conviverci come stiamo facendo adesso, cambiando i colori a seconda della diffusione”. In pratica, siamo passati dal “bisogna precedere il virus” a “bisogna rincorrerlo con un’Ape Piaggio”.
Il ministro leghista del Turismo, Massimo Garavaglia, battezza così la sua stima per Speranza e i suoi consulenti in tema di salute: “Assurdo che un ministro decida da solo”. Ma tu pensa, in tema di salute decide il ministro della Salute.
Giovanni Toti propone che nella cabina di regia Covid entrino anche i ministri economici: “Entrino anche quei ministri che rappresentano la parte economica del paese, ovvero quelle categorie che più hanno sofferto le misure di contenimento del virus, così da poter far compenetrare le misure sanitarie con gli effetti che producono anche sul mondo dell’economia”. Dunque, la salute non è più una cosa della scienza, ma è cosa dell’economia.
Esattamente un anno fa il virus si diffondeva in Val Seriana, si decideva di non fermare le aziende in una delle zone più produttive del paese e si contavano migliaia di vittime. Commentavamo indignati quell’osceno compromesso tra economia e salute, andavamo a caccia dei cinici che avevano deciso di non chiudere le aziende, ci sono indagini ancora in corso per accertare le responsabilità e oggi, quel compromesso odioso, lo si rivendica. A gran voce per giunta, e senza che nessuno si scandalizzi.
Del resto, non guardiamo neanche più i bollettini dei morti, siamo assuefatti. Quello che però sembra sfuggire alla politica e alla stampa che percula “i pessimisti” è che non dobbiamo perdere di vista un tema fondamentale: arginare le varianti vuol dire mettersi in condizione di continuare a vaccinare
Se la pressione sulla sanità tornerà quella pesante della prima ondata, tutto il personale ospedaliero e i medici di base che devono vaccinare non potranno più farlo. Tutto verrà nuovamente inghiottito dall’emergenza, entreremo in un vortice di inefficienza che posticiperà le vaccinazioni e la ripresa per tutti, dunque anche per l’economia.
Volete le piste da sci piene e la moglie ubriaca, ma non si può. E dirò di più: andrebbe ricordato ogni tanto che Cassandra, alla fine, aveva ragione. Speriamo che la variante muti anche la mitologia greca, ma per ora — forse — meglio darle ascolto.
(da TPI)
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Febbraio 16th, 2021 Riccardo Fucile
AVEVA 73 ANNI, UNA ECCELLENZA SANITARIA E UNA GRANDE UMANITA’
Dopo un mese di terapia intensiva è morto il professor Giuseppe Basso, una vita dedicata all’oncoematologia pediatrica. Aveva 73 anni, è stato ucciso dal Covid. “È stato l’angelo custode dei nostri figli”, dicono i genitori di alcuni bambini che a lui devono la vita.
Giuseppe Basso, storico direttore della clinica di Oncoematologia Pediatrica di Padova, era uno dei professionisti del settore più noti a livello italiano.
Era stato anche presidente della Città della Speranza, l’istituto di ricerca con sede a Padova. Nel 2018, dopo la pensione, venne nominato direttore dell’istituto italiano per la Medicina Genomica di Torino. E lì è rimasto fino al giorno prima di essere ricoverato in ospedale.
“Scienziato di valore e medico appassionato, con competenza e determinazione ha applicato i progressi della scienza alla cura dei giovanissimi pazienti, che nei momenti difficili della malattia in lui hanno trovato le terapie più efficaci ed un sorriso amico. Intelligente, critico, ironico, mai banale, di lui ricordo tante discussioni accese, animate dalla comune passione per la scienza e da una profonda stima reciproca. Mancherà a tutti noi”, ha detto Rosario Rizzuto, rettore dell’Università di Padova.
Basso era stato ricoverato in terapia intensiva il 17 gennaio scorso, dopo i primi inequivocabili sintomi: febbre alta e insufficienza respiratoria. Fin da subito si è resa necessaria la sedazione ma le sue condizioni non sono mai migliorate. Lunedì sera l’epilogo. “Il Covid ci ha portato via la stella cometa delle cure per i bambini malati di tumore. Con Giuseppe Basso la sanità veneta perde non solo un grande clinico, ma anche una persona incomparabile per le qualità sul piano umano, che ho avuto la fortuna di conoscere molto bene”, ha detto invece il governatore Luca Zaia.
Chi ha lavorato a stretto contatto con Basso è Chiara Girello Azzena, anima dell’associazione Team For Children. “Quando c’era un bambino che stava male rimaneva con lui fino all’ultimo. Questo ricorderò del professor Basso”, evidenzia Azzena.
Una delle sue grandi battaglie fu il caso di Eleonora Bottaro, la ragazzina di 17 anni morta di leucemia dopo aver rifiutato la chemioterapia. Dopodomani, in corte d’Appello a Venezia, si celebrerà il processo ai genitori, convinti che la ragazza sarebbe guarita con le vitamine e terapia psicologica che prevede il metodo Hamer. Contro questa decisione Basso, che era medico di Eleonora, si era schierato con tutte le sue forze: “Il genitore può pensare ciò che vuole ma io, da medico, devo intervenire e così feci con Eleonora. Fui io ad avvisare il tribunale dei minori e avviare l’iter di sospensione della potestà genitoriale”, disse Basso in una intervista a Repubblica, senza mai nascondere la sua amarezza.
(da agenzie)
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