Febbraio 1st, 2021 Riccardo Fucile
SALTA OGNI PRASSI CONSOLIDATA TRA PROGRAMMI ORALI E POLTRONE
Sopra il tavolo si discute non del programma, pomposamente ribattezzato “contratto” alla tedesca, ma se esso deve essere “scritto” o tramandato secondo la tradizione omerica, come meglio si addice alle intenzioni vaghe.
E, ovviamente, prevale questa seconda scuola di pensiero che più si adegua all’italica commedia dei sospetti, in cui nessuno vuole vincolarsi a impegni stringenti.
Sotto il tavolo, magari non quello alla presidenza della Camera, chissà quale, si discute di posti e ministeri, il vero oggetto del contendere, come neanche nei momenti più bui del pentapartito, quando almeno si faceva finta di ammantare di ragionamenti politici appetiti e furia lottizzatrice.
Tra la fantasia di una bicamerale per il Recovery e per le riforme, buona per concludersi quando i denari europei saranno già persi e la rimozione dei nodi più divisivi, dal Mes alla prescrizione, l’esplorazione è identica al dibattito, eternamente uguale a se stesso, iniziato tre mesi fa a palazzo Chigi e mai concluso, anche lì con i mitici tavoli: “sopra” il “patto di legislatura”, “sotto” il “riassetto”.
È la “meta-verifica”, ai tempi della pandemia con quattrocento morti al giorno. Ovvero la verifica della verifica o, se preferite, la verifica che celebra se stessa, rito che si autoalimenta e si auto-riproduce: la prosecuzione dell’inconcludenza con altri mezzi e in altri luoghi, da palazzo Chigi al Quirinale alle sale della Camera.
Mai si era visto che una crisi politica di un governo producesse un simile stravolgimento della prassi costituzionale. Da che mondo è mondo l’esplorazione serve a verificare la disponibilità su un nome da incaricare, lasciando il tema degli assetti e dei programmi all’incaricato.
A maggior ragione su un premier di una maggioranza uscente che governa assieme da oltre un anno e mezzo, non su forze politiche che si stanno mettendo insieme la prima volta.
Insomma, basterebbero un paio di telefonate per avere un “sì” o un “no”, anche per evitare un effetto paradossale. Perchè se Fico riuscisse mai dove Conte ha fallito non ci sarebbe una sola ragione per non proseguire, nell’azione di governo con chi ha garantito velocità nella risoluzione della crisi, dipanando i nodi più divisivi.
E invece, al termine della lunga esplorazione, a metà tra gli Stati generali di Colao e una zuffa sul Cencelli, non c’è un esito, ma una nuova tappa, anche se dovesse essere incaricato Conte che ripartirà proprio dalle “cose” e dai “nomi”.
Esattamente come sarebbe accaduto se avesse ricevuto un incarico venerdì sera. Mettetevi comodi, perchè non è finita, anzi non finisce mai.
Perchè in attesa dell’ennesima riunione dell’esploratore con i capigruppo per capire, prima di salire al Colle, se c’è la disponibilità da parte di Renzi a sostenere Conte, lo stesso Renzi ha fatto capire che la giungla proseguirà fino a sabato.
E cioè, anche se Conte sarà incaricato, la nascita del governo dipenderà dall’accordo sui nomi.
Fosse solo un problema di logoramento del governo sarebbe solo un trionfo dell’impotenza. E questo, francamente, si è capito: nessuno ha la forza di guidare politicamente la crisi.
Non ce l’ha il Pd che, come l’intendenza di De Gaulle, “seguirà ”: ha seguito Conte fino alla Caporetto dei responsabili, ha seguito Renzi, passando dal “mai più” con lui al “nessun veto” verso di lui, adesso segue l’esplorazione con lo spirito di salvare la governabilità sempre e comunque, mai nessuno che parla più di voto.
Non ce l’hanno i Cinque stelle che ormai senza bussola si adattano a tutte le cose contro cui sono nati, precipitando in una crisi di identità ai limiti della spersonalizzazione: dall’uno vale uno all’uno ai tempi di Scilipoti all’uno vale l’altro con la Rossi che viene ascoltata da Fico in pompa magna, dall’hashtag “mai con Renzi” al governo con Renzi.
Non ce l’ha neanche Renzi, che aveva spiegato quanto Conte fosse un “vulnus” per la democrazia, cioè un pericolo e ora, invece di combatterlo, prova a piazzargli la Boschi al Mise o alle Infrastrutture.
Il problema è che per perseguire la governabilità senza un fine, questa pantomima sta producendo un salto, non solo in termini di logica, ma in termini di logoramento delle istituzioni.
E anche di un certo stile istituzionale, come nella vicenda della Autorità delegata dei servizi. Il passaggio di consegne è avvenuto a crisi pressochè aperta, cose mai viste, e ora la nomina è di nuovo oggetto di discussione, con la disinvoltura con cui si parla del cda di una municipalizzata.
Il cronista ricorda che Carlo Azeglio Ciampi, per un analogo avvicendamento a governo saldamente in carica, si prese una ventina di giorni per fare delle verifiche su una questione così strategica e delicata.
Già , in altri tempi e a parti invertite, quando c’era un partito che si amava definire il “partito della Costituzione” qualcuno avrebbe urlato, di fronte a questo andazzo, al vilipendio verso il Paese.
Ma non c’era lo stato d’eccezione, grande lavacro collettivo che rende tutto lecito.
(da “Huffingtonpost”)
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Febbraio 1st, 2021 Riccardo Fucile
IMPAZZA IL TOTOMINISTRI, ECCO I NOMI
“La trattativa vera deve ancora iniziare”, dice a sera un ministro un po’ preoccupato per il suo futuro personale. L’esplorazione di Roberto Fico si dirige a grandi passi verso il Conte-ter: troppo rischioso cambiare un punto di equilibrio riconosciuto da M5s, Pd e Leu, almeno al primo giro.
Il nuovo esecutivo “entro fine settimana” pronostica Matteo Renzi, allungando di un po’ i tempi della crisi, perchè finchè il premier uscente non riceverà un incarico pieno il negoziato stenta a decollare, con accelerazioni e frenate al tavolo sul programma funzionali a lanciare messaggi in bottiglia incrociati.
Italia viva parte da un assunto: il nome di Conte è una scelta non sua, imposta dagli altri partiti di maggioranza, e che l’ok all’avvocato di Volturara Appula debba essere compensata.
Renzi e i suoi escludono categoricamente che il nuovo governo possa essere una copia sbiadita del Conte-bis. Una discontinuità che deve essere marcata nelle caselle chiave.
Da qui l’assalto a Roberto Gualtieri e ad Alfonso Bonafede, due delle caselle chiave del Nazareno e dei pentastellati.
Alla fine il ministro dell’Economia la dovrebbe spuntare, per evitare un devastante effetto domino sulle trattative ma soprattutto per garantire una continuità di indirizzo ai delicati provvedimenti sul Covid.
Tutto il resto è in movimento e oggetto di discussione. Iv punterebbe a due ministeri di peso: le Infrastrutture per Maria Elena Boschi e l’Interno per Ettore Rosato.
Il pacchetto di partenza vede la richiesta di un terzo dicastero, quello dello Sviluppo economico, ma difficilmente Renzi potrà ottenere due caselle così di peso nella gestione del Recovery plan, e già inizia a circolare una suggestiva seconda opzione: una conferma di Teresa Bellanova all’Agricoltura, una mossa anche simbolica dopo il “sacrificio” delle dimissioni.
“Così vuol far saltare il tavolo”, protestano una parte di 5 stelle e Pd, infuriati non tanto per le richieste, quanto per i veti
L’aria a Palazzo è che la conferma di Conte val bene un cedimento alle richieste del grande avversario, fin dove questo cedimento si spingerà sarà oggetto di discussione nelle prossime ore.
I 5 stelle al momento non sembrano fare le barricate attorno al Guardasigilli. Per via Arenula s’avanza l’idea di “spoliticizzare” il ministero sul quale ad oggi si addensano più tensioni, e il nome individuato è quello di Paola Severino: “È la ministra della legge sull’incandidabilità di Berlusconi, alla fine sarebbe difficile dirle di no”, commenta una fonte pentastellata. In corsa anche l’ex presidente della Corte costituzionale Marta Cartabia, che avrebbe la benedizione del Colle.
Se il capo delegazione 5 stelle facesse un passo indietro (per lui già si parla di un posto nella costituenda segreteria), al Movimento potrebbero andare il ministero del Sud, per il quale si fa il nome di Giancarlo Cancelleri, ma anche quello dei Trasporti, che verrebbero scorporati dalle Infrastrutture, con Stefano Buffagni, figura che intercetta consensi trasversali in maggioranza, possibile candidato, ma nel risiko dei nomi potrebbe rientrare anche il capogruppo Dem alla Camera Graziano Delrio.
Dovrebbe rimanere al suo posto Roberto Speranza: da Iv arrivano richieste per una discontinuità anche alla Salute, ma la difficoltà (e l’impopolarità ) nel gestire la casella, oltre al buon lavoro generalmente riconosciuto al ministro, dovrebbero confermarlo nel ruolo.
Quasi sicuro l’addio di Nunzia Catalfo al ministero del Lavoro. Il fardello del dicastero che dovrà gestire la possibile fine del blocco dei licenziamenti e della cassa integrazione dovrebbe spettare al Pd: in corsa Andrea Marcucci e Deborah Serracchiani.
Uno dei nodi principali in discussione in queste ore è la “quota Conte”, le caselle per le quali il premier vorrebbe avocare a sè la scelta per non finire eccessivamente indebolito dal passaggio al nuovo esecutivo.
Il presidente del Consiglio non ha nessuna intenzione di cedere su Pietro Benassi, l’ambasciatore fresco di nomina ai Servizi segreti, oggetto già di duro scontro con Renzi, che vorrebbe sottrarre il sottosegretariato dal controllo di Conte per affidarlo a un esponente Dem, Enrico Borghi o Emanuele Fiano.
Così come il presidente uscente punta a far suo il delicatissimo ruolo di sottosegretario alla presidenza del Consiglio. Con le quotazioni in ribasso di Riccardo Fraccaro, colpito anche da critiche interne e che potrebbe essere dirottato all’Ambiente, salgono quelle di Mario Turco, senatore M5s attualmente sottosegretario alla Programmazione economica che potrebbe traslocare di qualche stanza.
Il Pd reclama per sè quella posizione per Andrea Orlando o per Lorenzo Guerini, che ha chance anche per la Giustizia, con Turco che potrebbe slittare al ministero per il Sud, anche se al momento è l’ipotesi meno probabile.
In quota Conte si vocifera di un trasloco che avrebbe del clamoroso: quello di Domenico Arcuri da Commissario all’emergenza al Mise, anche se al solo sentire di rumors in questa direzione l’irrigidimento di Iv è stato totale, e per quella casella, se cambio ci deve essere, puntano su Luigi Marattin.
Ai responsabili, oltre un paio di sottosegretariati con deleghe pesanti, potrebbe spettare il ministero della Famiglia lasciato vacante da Iv, con Bruno Tabacci come nome al momento più quotato.
La moral suasion del Quirinale porterebbe a non toccare le caselle di Difesa e Esteri, attualmente occupate dallo stesso Guerini e da Luigi Di Maio, vista la delicata situazione internazionale e la continuità che verrebbe garantita anche in luce di un quadro in evoluzione dopo l’elezione di Biden, anche se i renziani, nel caso sfumasse il Viminale, non disdegnerebbero come piano B nè l’uno nè l’altro, magari proprio per Boschi. Nessuna smentita arriva sulla cooptazione di Alessandro Di Battista nella squadra, si parla dell’Innovazione, dove sostituirebbe Paola Pisano.
L’ex deputato romano non ha chiuso la porta, e per quanto la convivenza con Iv non sarebbe delle più facili nei 5 stelle si osserva che “garantendo Conte e con Alessandro dentro supereremmo anche le perplessità dei più scettici”.
Il rebus è ancora all’inizio, e il prerequisito affinchè la partita si avvii è ancora probabile ma non garantito: la permanenza dell’avvocato del popolo a Palazzo Chigi.
(da “Huffingtonpost”)
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Febbraio 1st, 2021 Riccardo Fucile
“O SPEGNI LE SIRENE O TI SPARO”… DISTURBANO I TRAFFICANTI DI DROGA E CREANO FALSI ALLARMI
Nessuno tocchi Ippocrate è un’organizzazione no-profit che nasce con uno scopo preciso, come spiega la mission: «Tutelare il personale sanitario aggredito durante l’esercizio delle proprie funzioni ed informare l’utenza sul corretto uso del Servizio di Emergenza Sanitaria Territoriale 118, ma soprattutto per far capire all’utenza che la violenza nei confronti del personale d’ambulanza o di Pronto Soccorso non è il modo giusto per manifestare la loro preoccupazione/rabbia».
Tramite la loro pagina Facebook denunciano le violenze subite dai sanitari raccontando i singoli episodi. L’ultimo denunciato riguarda la città di Napoli e il fatto che nei quartieri controllati dalla Camorra gli operatori di un’ambulanza siano stati minacciati perchè le sirene creano falsi allarmi.
“O spegni le sirene o ti sparo!”: comincia così il post di denuncia dell’associazione su quanto accaduto tra i vicoli di Napoli.
Siamo nei quartieri spagnoli, ore 20 di sabato sera scorso e un mezzo viene affiancato da due persone su un motociclo che «bussando violentemente sulla fiancata del mezzo fermano la corsa ed esclamano:” hai capito che qui le sirene non le devi usare? Spegnile altrimenti ti sparo” e successivamente una serie di offese non ripetibili», si legge nel post di denuncia.
L’autista del mezzo ha chiamato la polizia e non ha potuto proseguire, insieme ai colleghi, il suo lavoro. Tutto finisce con il mezzo di soccorso che ha dovuto essere scortato fuori dalla zona dalla polizia.
«Purtroppo il problema delle “sirene non gradite” è molto comune a Napoli , ci sono quartieri dove sono bandite, tipo Sanita’ , quartieri spagnoli, rione traiano.
Evidentemente le sirene sono “non gradite” poichè il paziente all’interno non è un loro congiunto!», conclude amaramente il post. Il problema, di base, è che il rumore delle sirene dell’ambulanza è troppo simile a quello delle voltanti di carabinieri e polizia.
Tutto questo creerebbe scompiglio nelle ordinarie attività di spaccio arrivando a rallentare o a bloccare le vendite di stupefacenti. Questo è quanto emerge dalle indagini scattate dopo la denuncia alle forze dell’ordine che stanno indagando su quanto accaduto alla postazione 118 di Pietravalle.
(da agenzie)
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Febbraio 1st, 2021 Riccardo Fucile
LA RAI PRESENTA IL PROTOCOLLO SANITARIO E SI ADEGUA
La Rai accetta le regole di tutti i teatri e il direttore artistico Amadeus sembra aver compreso che il festival di Sanremo non può essere un’isola a sè perchè il virus non si ferma certo davanti all’Ariston e dintorni se non ha il classico “pass”.
Non ci sarà pubblico nel teatro, neanche figuranti, non ci saranno eventi esterni che richiamano immancabilmente folle festanti e niente programmi collegati alla kermesse. così l’Ansa sintetizza i punti fondanti del protocollo sanitario della radio-tv di Stato concordato con Amadeus e che verrà mandato al Comitato tecnico scientifico domani 2 febbraio.
Scrive la Rai nel comunicato: “La Rai, al termine di una riunione con il direttore artistico in cui sono stati esaminati in dettaglio i vari scenari, ritiene che la 71a edizione del Festival di Sanremo, prevista dal 2 al 6 marzo debba concentrarsi esclusivamente sull’evento serale al Teatro Ariston. Per tale motivo domani l’azienda presenterà al Cts il protocollo organizzativo-sanitario che non prevede la presenza del pubblico al Teatro Ariston. La Rai ha dato pertanto indicazioni al direttore artistico per lavorare su idee creative compatibili con questa impostazione”. Amadeus deve quindi adeguarsi come è giusto che sia.
“Non sono previsti eventi esterni e la presenza a Sanremo di programmi collegati al Festival, che negli ultimi anni hanno animato la rassegna canora. Con tale impostazione – scrive ancora l’azienda – la Rai intende produrre il massimo sforzo per realizzare un Festival in sicurezza e portare lo show ai suoi telespettatori nel rispetto del mondo della musica e della storia del Festival”.
(da agenzie)
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Febbraio 1st, 2021 Riccardo Fucile
A DICEMBRE 101.000 LAVORATORI IN MENO, 99.000 SONO DONNE, AUMENTANO GLI INATTIVI
Il numero degli occupati è calato in Italia di 444.000 unità nel 2020.
A dicembre, in particolare, c’è stata una flessione di 101mila unità . Tra le persone che hanno perso il lavoro nell’ultimo mese del 2020 ci sono 99mila donne.
Le ripetute flessioni congiunturali registrate tra marzo e giugno 2020, unite a quella di dicembre, segnala l’Istat, hanno portato a una riduzione dell′1,9% nell’arco dei 12 mesi. La diminuzione coinvolge uomini e donne, dipendenti (235.000) e autonomi (20.000) e tutte le classi d’età , ad eccezione degli over 50, in aumento di 197.000 unità , soprattutto per effetto della componente demografica. Il tasso di occupazione scende, in un anno, di 0,9 punti percentuali, dal 58,9 al 58%.
Nell’arco dei dodici mesi, diminuiscono le persone in cerca di lavoro (-8,9%, pari a -222.000 unità ), mentre aumentano gli inattivi tra i 15 e i 64 anni (+3,6%, pari a +482.000).
Il tasso di disoccupazione sale a dicembre al 9,0% (+0,2 punti). Anche il tasso tra i giovani cresce e segna un 29,7% (+0,3 punti). I disoccupati complessivi sono 2.257.000 con un aumento di 34.000 unità su novembre e un calo di 222,000 su dicembre 2019.
Il dato risente del largo utilizzo della cassa integrazione e del blocco dei licenziamenti oltre che dall’uscita dal mercato del lavoro delle persone che non hanno fiducia nella possibilità di trovare un lavoro. Gli inattivi sono 13.759.000 e crescono di +42.000 unità su novembre e di 482.000 unità su dicembre 2019 (+3,6%)
(da agenzie)
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Febbraio 1st, 2021 Riccardo Fucile
L’EX INVIATO SPECIALE DELL’ITALIA IN SIRIA E MEDIO ORIENTE: PARLA IL DIPLOMATICO MARCO CARNELOS
Di fronte al principe ereditario saudita, Mohammed Bin Salman, in un gioco di lusinghe Renzi ha definito il Paese come la patria di un «neo-rinascimento». E il 31 gennaio, in un’intervista al Corriere della Sera, è andato addirittura oltre elevando Riad a «baluardo contro l’estremismo islamico».
Difficile pensare che il senatore non sia a conoscenza delle violazioni dei diritti umani, l’incarcerazione di attivisti e attiviste, e l’uccisione di un giornalista.
«Soltanto chi non conosce la politica estera ignora il fatto che stiamo parlando di uno dei nostri alleati più importanti» ha dichiarato Renzi.
Ma «la sensazione è che il primo a non conoscere la politica estera, e in particolare quella che caratterizza il Medio Oriente, sia proprio Renzi», commenta a Open Marco Carnelos, ex ambasciatore italiano in Iraq, e inviato speciale dell’ex ministro degli Esteri Paolo Gentiloni per il processo di pace in Medio Oriente e in Siria.
«È vero — dice Carnelos — che l’Arabia Saudita è un partner importante dell’Italia ma non al punto da giustificare la piaggeria di cui Renzi ha dato prova. Non si può parlare di alleanza con l’attuale Arabia Saudita a meno che l’Italia non intenda assumere un atteggiamento bellicoso in Medio Oriente».
Dottor Carnelos, Renzi ha anche parlato dell’Arabia Saudita come di un baluardo contro l’estremismo islamico. Ma che cosa ci dicono gli ultimi 20-10 anni del ruolo regionale dell’Arabia Saudita proprio in merito al contrasto, o meno, del radicalismo islamico?
«Quando Renzi identifica l’Arabia Saudita come un baluardo contro l’estremismo islamico è evidente che non sappia di cosa stia parlando. Il Paese che negli ultimi 40 anni ha maggiormente sostenuto l’estremismo islamico è proprio l’Arabia Saudita, che ha sovvenzionato copiosamente il filone più estremista dell’Islam, quello wahabita che è nato in quel Paese circa tre secoli fa; quello che, per intenderci, ha originato Al Qaeda, l’11 settembre e ISIS».
Pochi giorni fa l’Italia ha bloccato la vendita di armi ad Arabia Saudita ed Emirati Arabi in particolare alla luce della guerra nello Yemen. Qual è l’azione saudita nel Paese?
«L’Arabia Saudita ha intensificato lo conflitto nello Yemen tentando di imporre un’irrealistica soluzione militare e determinando un’immane catastrofe umanitaria ed esponendo se stessa ed i suoi alleati a probabili crimini di guerra. La decisione italiana sull’embargo sulle armi — adottata anche dall’Amministrazione Biden — va inquadrata anche in questo contesto».
Renzi ha parlato di neo-rinascimento. Perchè elogia il piano Vision 2030, e cosa prevede veramente?
«Il piano 2030 sulla carta sembra piuttosto attraente in materia di riforme, ma il giudizio sulla monarchia saudita deve fondarsi sui fatti e non sulle visioni proiettate verso il futuro. Sotto la gestione de facto del principe ereditario Mohammed bin Salman abbiamo avuto il conflitto fratricida nello Yemen ancora in corso, il sequestro del Primo Ministro libanese Saad Hariri, l’uccisione truculenta del giornalista Jamal Kashoggi, il sequestro a fini intimidatori ed estorsivo di decine di membri della famiglia reale saudita e la crisi nell’ambito del Consiglio di Cooperazione del Golfo con il fallito tentativo di isolare il Qatar. Ho qualche difficoltà a riconciliare questa condotta con un atteggiamento Rinascimentale. Mi domando chi sia il consigliere di politica estera di Renzi, se fossi in lui lo cambierei».
Pochi giorni fa anche Macron ha invitato l’Europa a includere l’Arabia Saudita nell’accordo sul nucleare iraniano. Perchè questo “avvicinamento”, sia d parte di Macron, che di Renzi, a Riad?
«Un conto è tenere in conto l’opinione dell’Arabia Saudita sul programma nucleare iraniano ben diverso è conferire a quest’ultima un diritto di veto sulla possibilità di ritornare al rispetto dell’accordo nucleare JCPOA siglato nel 2015 che, credo, sia nell’interesse di tutti coloro che ambiscano ad una de-escalation della tensione. La presa di posizione di Macron, che in altre circostanze ha dato prova buon senso, è francamente stupefacente, specialmente quando ha di recente scimmiottato la posizione (assurda) dell’Amministrazione Biden secondo cui è l’Iran che deve tornare a rispettare il JCPOA quando è risaputo che il primo Paese ad aver violato platealmente l’accordo sono stati gli Stati Uniti con il Presidente Trump nel 2018 e quindi sarebbero quelli che dovrebbero fare il primo passo».
Oltre alla componente economica, quali interessi ci sono secondo lei dietro alle affermazioni di Renzi?
«Non saprei proprio. Azzarderei che Renzi si sia iscritto a quel gruppo di Paesi che vede negli Accordi di Abramo, nella liquidazione della questione palestinese e in un atteggiamento bellicoso verso l’Iran la soluzione delle tensioni in Medio Oriente. Per quanto gli accordi di Abramo siano uno sviluppo interessante, a me francamente sembra che il resto del percorso sia alquanto pericoloso e rischi di provocare un’escalation potenzialmente incontrollabile. Non c’è pace senza giustizia e la condizione dei palestinesi è tutto fuorchè giustizia».
Come diplomatico, e inviato speciale in zone guerre, come vede la posizione di Renzi verso un regime repressivo e la sua totale assenza di un discorso sullo stato di diritto?
«Renzi non è il primo è non sarà nemmeno l’ultimo ad adottare un doppio standard in materia di relazioni internazionali. È purtroppo una prassi ampiamente in voga, specialmente tra i paesi occidentali che predicano bene ma sovente razzolano malissimo. La politica internazionale è ancora dominata dalla realpolitik. Ma anche quest’ultima va condotta con un minimo di accortezza e di decenza e credo che, in questa circostanza, siano entrambe venute meno».
Può l’Italia fare a meno dell’Arabia Saudita?
«Certamente no. Il Paese è il maggior produttore di greggio al mondo e un significativo mercato per il nostro export ma un conto è intrattenere relazioni economico-commerciale un altro è appiattirsi in modo imbarazzante verso l’interlocutore».
(da Open)
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Febbraio 1st, 2021 Riccardo Fucile
LA SPETTACOLARIZZAZIONE DEL DOLORE PER FARE AUDIENCE SAREBBE GIORNALISMO?
Spettacolarizzazione del dolore sempre, comunque e a tutti i costi. Nella puntata di ieri di Non è l’arena Giletti ha parlato con la vittima diciottenne di Genovese, la famosa ragazza rimasta bloccata in una stanza con lui per venti ore subendo violenze indicibili.
Indicibili, appunto, ma che in Italia troviamo opportuno sondare in prima serata dando vita a dialoghi che dovrebbero svolgersi al riparo dei tribunali, con le vittime tutelate.
Invece tutte le giovani donne ospiti di Giletti hanno avuto come solo riparo il fatto si essere di spalle, ospiti di quel programma che ha trattato la questione speculando a un livello tale da costringere le vittime a passare di lì per ripulirsi la reputazione. Per essere credute. Ieri e la scorsa settimana, ancora una volta, ha vinto il giornalismo sensazionalistico fatto sulla pelle delle donne.
Le domande incalzanti e inopportune di Giletti alle vittime di Genovese
Nei dialoghi di Giletti con le vittime ci sono vari momenti in cui il conduttore cerca di incalzare le ragazze per ottenere reazioni da loro, quelle lacrime che suscitino pietà . Puntare sull’emotività in questo caso garantisce audience ma non di fare un giornalismo adeguata a una situazione del genere.
Continuando a rimarcare la differenza che deve esserci tra un tribunale e uno studio televisivo, riportiamo un momento in particolare: «L’altra ragazza che dice di essere stata stuprata anche lei dice che ricorda e sente addirittura il dolore», afferma Giletti. «Io me lo ricordo», gli fa eco lei. E poi arriva la domanda: «Che tipo di dolore?», quella domanda che cerca di cavare fuori a tutti i costi il marcio per esporlo davanti al mondo. La diciottenne non cede: «Il dolore che provi quando ti violentano, non so come descrivertelo sinceramente». Tagliamo corto, insomma.
Perchè occorre piangere e sviscerare in diretta tutto questo per essere credute?
Già la scorsa settimana Giletti aveva intervistato altre due giovani donne. Stesso stile paternalistico, stessi discorsi sulla droga. In particolare, in un momento, una delle vittime si è messa a piangere. «Non ti devi vergognare delle lacrime, le lacrime sono una verità », dice Giletti. «Questa sera so che era pesante per voi ma è anche importante uscire con tutto quello che avete dentro ma è anche un’occasione per fare arrivare a casa quello che è successo davvero».
Sul fatto che nessuno debba vergognarsi non c’è alcun dubbio, ma viene spontaneo riflettere: perchè tutto questo “deve arrivare a casa”? Perchè le lacrime, la tragedia, il dolore che diventano tangibili per il pubblico che guarda da casa devono essere la condizione imprescindibile perchè il mondo creda a una donna vittima di stupro?
(da agenzie)
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Febbraio 1st, 2021 Riccardo Fucile
CHI SONO I PATRIOTI RUSSI CHE SCENDONO IN PIAZZA E CHI COMPONE IL TEAM DEL BLOGGER CHE LANCIA LA SFIDA A PUTIN
Sono giovani, di livello economico e culturale medio-alto, vivono soprattutto nelle grandi città . Sono cresciuti nel mondo di internet e dei social network. Hanno viaggiato all’estero e sperimentato una dimensione più ampia della libertà , pur rimanendo sintonizzati sui bisogni e sulle preoccupazioni della maggior parte dei russi.
Dopo il fallimento delle proteste degli anni 2011-2012, il movimento dell’opposizione russa che si condensa attorno ad Alexei Navalny è determinato a fare il salto di qualità : di fronte al nervosismo crescente del Cremlino, con arresti di massa e repressioni, continuare a fare più rumore possibile, facendo leva sul sostegno internazionale ma anche e soprattutto provando a convincere il maggior numero possibile di russi.
È questa la doppia sfida che oggi si trovano di fronte Navalny e la sua squadra: resistere alla repressione facendo crescere tra la popolazione l’idea che la Russia di Putin, corrotta e arretrata, non sia un paesaggio immutabile.
Navalny è in arresto dal 17 gennaio, ma in queste settimane la sua rete ha dato prova di notevoli capacità di organizzazione e mobilitazione.
Anche qui, le donne, come è normale nella società russa, sono in prima linea.
Yulia Navalnaya, la moglie di Navalny fermata e poi rilasciata ieri dalla polizia di Mosca, è già un punto di riferimento per l’opposizione. “Ha carisma e fascino, è una persona creativa e coraggiosa e può facilmente sostituire suo marito se necessario”, spiegava un paio di settimane fa l’esperto di politica russa Konstantin Kalachev all’Afp.
Laureata in Relazioni internazionali, ex funzionaria di banca, Yulia ha 44 anni, di cui più di venti trascorsi al fianco di Navalny, con cui ha due figli. La più grande, Daria, è studentessa alla Stanford University e sembra aver ereditato dai genitori la passione politica.
Un ruolo determinante lo sta svolgendo il canale YouTube Navalny Live, la cui produttrice è Lyubov Eduardovna Sobol, 33 anni, avvocato della Fondazione per la lotta alla corruzione (Fbk) fondata da Navalny e membro del Consiglio di coordinamento dell’opposizione russa (2012-2013).
Kira Yarmysh, 31 anni, è portavoce e assistente di Navalny: anche lei, come Navalnaya e Sobol, è stata fermata nel corso delle recenti proteste.
Il team di Navalny può contare sull’esperienza di Leonid Volkov, 40 anni, stratega dell’Information technology e co-fondatore della Società per la Protezione di Internet.
Già capo della campagna di Navalny per le elezioni presidenziali del 2018 e successivamente della campagna per lo “sciopero degli elettori”, Volkov vive all’estero ma sta svolgendo un ruolo di primo piano nel fare da megafono “al potere e alla forza che stanno dimostrando i cittadini russi”.
Il Cremlino ha provato a giustificare gli oltre 5mila arresti di ieri sostenendo che a prendere parte alle proteste sono stati “teppisti e provocatori”.
Ma il punto è che il movimento di opposizione non è mai stato così forte nella Russia di Putin.
A sottolineare l’unicità di questo momento in Russia è Aldo Ferrari, docente all’Università Ca’ Foscari di Venezia e direttore del Programma di Ricerca su Russia, Caucaso e Asia Centrale dell’Ispi.
“Qualcosa di simile è avvenuto negli anni 2011-2012, ma oggi la situazione è molto diversa. A innescare le proteste di allora fu la decisione di Putin di candidarsi per il terzo mandato. Oggi a scendere in piazza è più o meno lo stesso tipo di persone, ma con una forza e un’organizzazione molto maggiori”, osserva Ferrari.
“Si tratta soprattutto di persone relativamente giovani, tra i 20 e i 40 anni, ma molti anche più giovani, che vivono nelle città principali, Mosca e San Pietroburgo, ma questa volta anche in tante altre città provinciali, il che dimostra il rafforzamento del sentimento di insoddisfazione e protesta”.
Putin oggi si trova ad affrontare un problema notevole: il mutare di un’opposizione che ha, seppur in carcere, un leader carismatico e che sta crescendo.
Come cresce la pressione internazionale, guidata dalla nuova amministrazione americana: la dura condanna di Washington rende più difficile per l’Unione europea non condannare gli arresti e la repressione del dissenso, tanto che l’Alto rappresentante Ue Josep Borrell ha già messo in chiaro che il tema verrà trattato durante la sua visita a Mosca venerdì prossimo.
Negli auspici di Parigi, il caso Navalny dovrebbe convincere Berlino ad abbandonare il progetto di gasdotto Nord Stream 2, ma una portavoce di Merkel ha chiarito che la linea del governo non cambia, anche se per ammissione del vicepresidente del Consiglio di Sicurezza russo, Dmitry Medvedev, non c’è alcuna certezza su “quando” l’opera verrà portata a termine.
Di fronte alla forza inedita dell’opposizione e alle critiche internazionali, le autorità russe se la prendono — oltre che con Navalny e gli Usa — con “l’ingerenza di Twitter”.
Putin aveva già lanciato il suo anatema nel suo discorso di qualche giorno fa a Davos: Twitter, Facebook e le grandi piattaforme digitali “non sono più solo giganti economici: in alcune aree sono già de facto in competizione con gli Stati”.
Oggi è stato Medvedev a rilanciare le accuse, sostenendo che l’algoritmo di Twitter suggerisce il profilo di Navalny ai suoi nuovi utenti russi. ”È capitato a un mio amico di recente, era il primo profilo consigliato”, ha detto in un’intervista ripresa dalla Tass.
Secondo Ferrari, questo nervosismo crescente fa presagire “una possibile stretta sui social media da parte delle autorità . Finora i social media sono stati sostanzialmente lasciati in pace, non ci sono state particolari censure. La circolazione delle informazioni su internet, malgrado alcune restrizioni, è relativamente libera rispetto ad altre sfere dell’attività pubblica russa, a partire da quella politica”.
Di sicuro il caso Navalny è unico nel panorama russo. “Nella Russia di Putin — ricorda l’esperto Ispi – non c’è mai stata una vera opposizione politica. Anche i leader liberali filo-occidentali che negli anni Novanta e all’inizio degli anni Duemila avevano una certa visibilità sono sostanzialmente scomparsi dalla scena politica. Il più famoso, Boris Nemcov, venne assassinato nel 2015 in circostanze poco chiare. Il volto reale dell’opposizione, l’unico che abbia saputo avere un peso effettivo, è proprio quello di Navalny e del gruppo che si è riunito intorno a lui”.
A cosa è dovuta questa unicità ?
“Probabilmente — osserva Ferrari – al fatto di essere riuscito, in questi anni, a cavalcare non una generica opposizione occidentale filo-liberale che desta il sospetto di molti russi, ma a toccare un aspetto che a molti russi (anche lealisti nei confronti di Putin) dà fastidio, vale a dire la corruzione”.
In Russia la corruzione è forte e capillare: “buona parte della società vede malvolentieri il fatto che si sia creata un’elite di persone che, sulla base di un sistema fortemente corrotto e clientelare, si sono impadronite della maggior parte delle ricchezze del Paese”, prosegue Ferrari.
“Facendo leva su questo risentimento diffuso in tutta la società russa, tranne presso chi è beneficiario di questo sistema, Navalny riesce ad avere successo anche su fasce dalla popolazione che di per sè non sarebbero anti-sistema. Inoltre, non bisogna dimenticare che Navalny, almeno da giovane, aveva delle posizioni nazionaliste. Fatico a dargli una definizione politica. Sicuramente è un uomo molto coraggioso, che sta sfidando un potere fortissimo, che insiste molto sulla necessità di una Russia meno corrotta e più moderna, in grado di completare quei processi di modernizzazione e democratizzazione che sostanzialmente, dopo la fine dell’Unione Sovietica e del sistema comunista, sono state interrotte da Putin. Putin ha privilegiato la stabilità del sistema allo sviluppo dell’economia e della società russe. Navalny vorrebbe portare la Russia in uno stadio successivo di fuoriuscita dal modello comunista sovietico”.
L’incognita, adesso, è fino a che punto il movimento d’opposizione sarà in grado di crescere. “Navalny sta raccogliendo il consenso di una minoranza riformatrice importante; bisognerà vedere quanto compatta sarà la maggioranza silenziosa che finora, un po’ per interesse un po’ per quieto vivere, è rimasta fedele al presidente. Per chi si è formato sotto l’Unione sovietica, il concetto di libertà è diverso rispetto al nostro”, sottolinea ancora Ferrari. “La maggior parte dei russi si sente comunque libera perchè può fare tantissime cose che in epoca sovietica erano vietate. Il bisogno di cambiamento è più pressante per le nuove generazioni, che spesso hanno viaggiato o studiato all’estero e conoscono una dimensione più ampia della libertà ”.
In questi decenni c’è stato un interscambio eccezionale di studenti tra la Russia e il resto del mondo. Allo stesso tempo, il Paese attraversa una crisi demografica: malgrado la sua immensa estensione geografica, ha solo 145 milioni di abitanti e il trend è in diminuzione. In questi anni sono emigrati moltissimi russi, soprattutto persone simili a quelle che stanno manifestando: persone colte, preparate, che si sentono a disagio nella Russia di Putin e preferiscono andare altrove, in alcuni casi diventando dei ponti tra l’estero e chi resta in patria.
“Il problema chiave di ogni situazione di questo genere è capire quanto forte sia quantitativamente questa opposizione”, conclude Ferrari. “Nelle prossime settimane sicuramente queste manifestazioni continueranno, ma bisognerà vedere come. Potrebbe configurarsi uno scenario bielorusso, con proteste che vanno avanti da mesi ma sostanzialmente incapaci di abbattere l’uomo forte al potere. Siamo in una fase decisiva per capire come potrà evolvere la situazione. Se è già sceso in piazza tutto il nucleo di coloro che sono disposti a correre dei rischi importanti, vista anche la violenza della repressione, per opporsi alla situazione attuale, è probabile che pian piano la forza dell’opposizione scemerà . Se invece i manifestanti riusciranno a rimanere saldi, e soprattutto a convincere chi ancora non è sceso in piazza, la situazione potrebbe compromettere la stabilità del potere putiniano. Sicuramente siamo di fronte a un momento importante per la storia del Paese”.
(da “Huffingtonpost”)
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Febbraio 1st, 2021 Riccardo Fucile
LA SUA FAMIGLIA EBREA ERA STATA NASCOSTA DAGLI ABITANTI DI CHAMBON-SIR-LIGNON, IN FRANCIA
Un gesto di riconoscenza nei confronti del villaggio francese che aveva salvato lui e la sua famiglia dalle persecuzioni naziste durante la Seconda Guerra Mondiale. Eric Schwam, ebreo austriaco morto all’età di 90 anni lo scorso Natale, ha inserito nel suo testamento la piccola cittadina di Chambon-sur-Lignon, nell’alta Loira, destinando una somma che sarebbe stata quantificata in circa 2 milioni di euro.
Gli abitanti della località francese divennero famosi durante il conflitto per aver concesso rifugio a oltre 2500 ebrei in fuga dal regime nazista.
”È una grande somma per il paese”, ha detto il sindaco Jean-Michel Eyraud, rifiutandosi di specificare l’importo poichè il testamento è ancora in fase di analisi. Il suo predecessore, però, aveva detto a un sito web locale di aver incontrato Schwam e sua moglie due volte per parlare della donazione, quantificandola in circa due milioni.
L’uomo e la sua famiglia arrivarono a Chambon-sur-Lignon nel 1943 e rimasero nascosti in una scuola per tutta la durata del conflitto, trattenendosi poi nel paese fino al 1950.
Il primo cittadino ha riferito che l’uomo aveva chiesto che la donazione venisse usata per iniziative educative e dedicate ai giovani, in particolare per l’assegnazione di borse di studio.
(da “Huffingtonpost”)
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