Febbraio 6th, 2021 Riccardo Fucile
L’APPELLO DI 24 ESPONENTI DEL VECCHIO PARTITO, DA LANDOLFI A BECCALOSSI… VOLANO GLI STRACCI TRA SEDICENTI PATRIOTI SOVRANISTI E FAN DEL TREDICESIMO APOSTOLO
Cresce il malumore nella destra che fu: da Beccalossi a Landolfi, l’appello di 24 Mario Landolfi, ex ministro delle Comunicazioni, uno degli ex colonnelli di Gianfranco Fini, la dice così: “Oggi è come una guerra e ci sarà chi l’ha combattuta e chi no. Giorgia Meloni e Fratelli d’Italia devono combatterla. Non appoggiare Draghi è un suicidio politico, è portare i voti nel frigo”.
Nella destra che fu – poi sparpagliata in vari rivoli – c’è molto malumore per il no di Meloni a Draghi.
Al punto che un gruppo di 24 ex An, che si riconoscono nell’associazione Rifare Italia – e capitanati dalla consigliera regionale lombarda ex Fdl, Viviana Beccalossi – ha inviato una lettera-appello a Meloni perchè ci ripensi. Non solo.
Sui social il dibattito si accende. Guido Crosetto, uno dei fondatori di Fratelli d’Italia, sostiene la posizione di Meloni. Francesco Storace, vice direttore del Tempo, lo bacchetta.
Daniela Santanchè, senatrice e coordinatrice lombarda di Fratelli d’Italia, convintamente sostiene la coerenza del no: “Saremo l’opposizione patriottica”.
E via così, fino ad accapigliarsi sul sondaggio di Pagnoncelli sul Corriere della sera, che fotografa un elettorato di Fdl al 50% a favore del sostegno a Draghi da parte di tutte le forze, senza esclusione.
Nella lettera dell’associazione “Rifare Italia”- nata su iniziativa tra gli altri di Landolfi per il no al referendum sul taglio dei parlamentari – è scritto: “Ventisette anni fa nasceva la destra di governo”. Era il marzo del 1994 (nel gennaio ci sarebbe stato il congresso di Fiuggi) e per la prima volta compare il simbolo Msi-An.
Quindi “ventisette anni dopo sarebbe irragionevole assistere alla regressione di quella svolta storica astenendosi o addirittura negando la fiducia al costituendo governo guidato da Mario Draghi. Tanto più se si considera che allo stesso è affidata l’imponente missione di ricostruire una nazione funestata dalla pandemia e dalla crisi economica”.
La strada da imboccare è un’altra per gli ex aennini, che ricordano a Meloni l’eredità che Fratelli d’Italia non deve dimenticare. “Ostinarsi a invocare elezioni anticipate in un contesto come quello appena tratteggiato rischia di apparire come una fuga dalle responsabilità . Un atteggiamento che mal s’attaglierebbe a chi dice di avere il patriottismo nel proprio Dna politico-culturale. Per questo ci ostiniamo a ritenere non ancora definitivo l’annunciato no o la ventilata o la ventilata astensione di Fdl al governo Draghi. Ritirarsi sotto la tenda e di lì abbaiare alla luna equivarrebbe a un suicidio culturale, morale e politico. Un atteggiamento che gli italiani di oggi non capirebbero e che quelli di domani non mancherebbero di condannare”.
Gli ex aennini avvertono che “l’utilizzo di ingenti risorse europee richiederanno un forte processo di riforme e di innovazione. Da cui la destra non può escludersi, affinchè tutto avvenga finalmente fuori dalle logiche clientelari che hanno caratterizzato il precedente esecutivo. In questo caso il tentativo affidato a Draghi è autenticamente patriottico: chiunque vi parteciperà , contribuendo al suo successo, avrà dato prova concreta di riuscire ad anteporre la nazione alla fazione”.
Ed ecco le firme, molti ex parlamentari della destra come Giorgio Bornacin, Antonio Cilento, Massimo Corsaro, Giovanni Collino, Nicola Cristaldi e poi Fabio Chiosi, Andrea Fluttero, Gennaro Malgeri, Lucio Marengo, Matteo Masiello, Giuseppe Menardi, Leo Merola, Riccardo Migliori, Giovanni Miozzi, l’ex presidente della Provincia di Roma Silvano Moffa, Sabino Morano, Franco Nappi, Rosario Polizzi, Cosimo Proietti, Daniele Toto, Vincenzo Zaccheo, Marco Zacchera.
Su Twitter, Crosetto invece rilancia la scelta: “Veramente qualcuno preferirebbe che non ci fosse alcuna opposizione parlamentare? Mi pare che la posizione di Giorgia Meloni sia seria e coerente, qualsiasi governo vorrebbe avere una opposizione così”.
Storace contrattacca: “Se Fdl fosse entrata, l’opposizione sarebbe stata a sinistra”. Santanchè, dal canto suo: “Capisco che la coerenza è fuori moda: Draghi è un fuoriclasse, ma noi con Boldrini, Zingaretti e Di Maio non ci stiamo. Però se farà cose che condividiamo, le voteremo”.
(da “La Repubblica”)
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Febbraio 6th, 2021 Riccardo Fucile
“CONSULTAZIONI CON GRAN VIAVAI DI POLITICI, RENZI ASSIDUO FREQUENTATORE”… DEDICATO A CHI PENSA CHE NON ESISTESSE UNA TRAMA DA TEMPO PER FAR CADERE IL GOVERNO
Ora che Draghi è il presidente incaricato e che Renzi ha tirato la corda fino all’ultimo facendo cadere il governo Conte un articolo pubblicato da UmbriaLeft.it a inizio gennaio sembra molto più che una profezia.
Anzi: sembra una delle chiavi di lettura dell’attuale crisi politica.
Era il 3 gennaio e la testata umbra diretta da Alberto Giovagnoni raccontava qualcosa che era sfuggito ai più.
“Per chi lavora Renzi? – scriveva UmbriaLeft.it – E’una domanda che si sono posti in tanti. Ora sembra che il bandolo della matassa si stia cominciando a sciogliere. Dicono che sia in corso una specie di consultazione “non autorizzata” in una casa di Città della Pieve. Una bellissima casa nella quale c’è da un po’ di tempo, un gran via vai di politici ed esponenti di partito. La casa sarebbe quella di Mario Draghi della quale, in queste ultime settimane, l’ex Presidente del Consiglio, sì quello che abita a Rignano, sarebbe il più assiduo frequentatore. Ora non sappiamo cosa stia accadendo lì dentro, ma siamo sicuri degli incontri, perchè quella è gente conosciuta e non può sfuggire agli occhi di chi vive da quelle parti. E questa è gente che non si incontra “per caso” E poi la cosa ritorna. Un ex leader ormai finito è l’elemento giusto per accollarsi la responsabilità di una crisi di Governo, in un momento del genere. Se è così, per la serie “la campana fa di do, tu me dai e io te do” , gli sarà stato promesso qualcosa di appetitoso. Ma una mossa del genere può nascondere anche delle insidie fino a generare spiacevoli sorprese. Un certo Bertinotti, dicono, fece cadere Prodi per avere un Governo di sinistra a guida D’Alema e si ritrovò con un Governo con molta destra a guida D’Alema. Su una sola cosa non aveva sbagliato : su “Baffino”. Un esecutivo “Tutti (o quasi) dentro” è dunque alle porte? Non ho elementi per esprimere certezze, ma certo che la voglia è tanta!
Questo l’articolo scritto a inizio gennaio dalla testata umbra.
Quello che è accaduto lo sappiamo tutti. Sul resto le interpretazioni sono libere.
(da Globalist)
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Febbraio 6th, 2021 Riccardo Fucile
MA SE SONO TUTTI D’ACCORDO CON LUI, ALLORA PERCHE’ SONO IN DISACCORDO TRA LORO?
L’identikit è il seguente: sarà un governo liberale ma interventista, per una tassazione flat ma anche progressiva, di netta discontinuità col passato ma sulle orme di chi lo ha preceduto, di stampo italiano in senso sovranista ma pure con venature tedesche. L’artefice di questo miracolo, vista anche la narrazione ai limiti della beatificazione che lo ha circondato, è ovviamente Mario Draghi: tutti i partiti sono d’accordo con lui pur restando in disaccordo tra loro.
Perchè a sentire (quasi) tutti i leader politici all’uscita dai colloqui nella sala della Biblioteca di Montecitorio col premier incaricato c’è sempre un feeling particolare, opinioni condivise e visioni comuni sull’Italia del futuro.
La pensano proprio come Draghi, o meglio sembra che sia Draghi a condividere le loro idee, nonostante le loro idee siano sempre state in contrapposizione a quelle di altri partiti che pure, una volta usciti dalle consultazioni, rivendicano di pensarla esattamente come Draghi.
Basti pensare che il più vicino al premier incaricato per sensibilità e priorità sembra – chi lo avrebbe mai detto – Matteo Salvini. Finito l’incontro con l’ex numero uno dell’Eurotower, il leader della Lega lo ha definito “stimolante”, anche perchè “la nostra idea di Italia coincide per diversi aspetti”. Aspetti come “crescita, cantieri, edilizia e opere pubbliche, fondamentali per ridare lavoro, ad esempio dalla Tav al ponte sullo Stretto, dal Brennero alla Pedemontana”. Ecco, ha detto Salvini, “su questo penso ci sia una sensibilità comune”, a patto ovviamente che sia uno sviluppo “compatibile con l’ambiente”.
A colui che ha fatto della flat tax la sua bandiera basta “un impegno che non si aumentino le tasse e che si diminuiscano progressivamente a partire dall’Irpef e penso che su questo ci sia un confronto, a partire dalla settimana prossima”.
La vicinanza alla Russia di Putin è solo un ricordo, Salvini rivendica la “collocazione atlantica” dell’Italia e “in Europa”, purchè “il nuovo governo difenda a Bruxelles a testa alta anche gli interessi dell’Italia”.
Eppure, dice Julia Unterberger, capogruppo delle Autonomie, al termine del suo colloquio con il premier, “Draghi ha fama in Germania di essere più tedesco dei tedeschi e perciò con i sud tirolesi ha un feeling particolare”, dice la leader di Svp vantando il suo affiatamento con l’ex banchiere centrale. Insomma un premier un po’ sovranista e un po’ mitteleuropeo.
Dal canto suo, Italia Viva si dice convinta che il nuovo governo Draghi affronterà “le emergenze con discontinuità sulle cose che non hanno funzionato” durante l’esecutivo guidato da Giuseppe Conte.
Il Movimento 5 Stelle, invece, ha “trovato anche da parte sua (di Draghi, ndr) la consapevolezza di partire con l’umiltà di accogliere il lavoro fatto da chi c’era prima, e su quelle basi costruire il futuro”.
Con il presidente del Consiglio incaricato, la delegazione M5S capeggiata da Vito Crimi – tra i primi grillini a chiudere la porta a Draghi e ora tra gli ultimi a spalancarla – ha discusso di molti temi, a partire dal reddito di cittadinanza – misura sempre osteggiata da tutto l’arco parlamentare a esclusione di LeU e una parte del Pd – riscontrando “una persona sensibile a questo tema e all’importanza che ha in questo momento”.
Ma Crimi ha parlato anche della “presenza dello Stato per aiutare le imprese a uscire da questo momento”, attraverso per esempio “un tema a noi caro, quello della banca pubblica degli investimenti, in modo da mettere a sistema quelle attività bancarie che oggi ravvedono una presenza dello Stato per diventare volano per le pmi”.
Se Vito Crimi all’uscita dall’incontro dipinge un governo Draghi interventista nell’economia del Paese, il leader di Cambiamo! Giovanni Toti, al termine del suo colloquio, racconta di un premier al lavoro “su un programma direi liberale da liberale qual è la formazione economica e politica del presidente Draghi”.
Chiunque esca dalle consultazioni tenutesi nelle stanze di Montecitorio ostenta il suo feeling con il premier incaricato. “Noi siamo a disposizione”, dice il leader del Carroccio Salvini, “non abbiamo pregiudizi perchè quello di cui abbiamo parlato è il futuro dei nostri figli”. E che Draghi rappresenti il futuro dei figli degli italiani lo pensa anche Matteo Renzi, “lui è una polizza assicurativa per i nostri figli e nipoti”, dice.
Anche tra Forza Italia e l’ex presidente della Bce l’intesa è fortissima, d’altronde fu sotto il Governo Berlusconi che Draghi approdò all’Eurotower, consentendogli poi di salvare l’eurozona durante la crisi del debito.
Gli azzurri hanno garantito il loro pieno appoggio al premier dopo il vertice a Montecitorio ma spingendo per un governo tecnico, o per usare le parole di Antonio Tajani, “un Governo dei migliori al servizio dell’Italia, senza implicare la nascita di una nuova maggioranza politica”.
L’esatto opposto di quanto auspicato dal Movimento 5 Stelle che punta invece a un governo con una “forte maggioranza politica”. Draghi, dicono i rumors, pare orientato ad accontentare entrambi: il suo sarà un governo tecnico ma anche politico.
(da “Huffingotonpost”)
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Febbraio 6th, 2021 Riccardo Fucile
ORA SPERANO CHE SIA DRAGHI AD ESCLUDERE LA GRANDE AMMUCCHIATA QUANDO BASTEREBBE DIRE: “CON I SOVRANISTI NON CI STIAMO”
La mossa della Lega di apertura al governo Draghi crea non pochi imbarazzi al Nazareno. Potrebbe essere Draghi a sciogliere le riserve, proponendo un programma e una squadra di governo che metta ai margini il Carroccio
Si potrebbero pescare decine, forse centinaia di dichiarazioni di esponenti di ogni colore politico che in questa legislatura hanno detto «mai».
«Mai con i sovranisti della Lega» da un lato, dall’altro «mai con il partito di Bibbiano». Invece, ciò che il Quirinale, incaricando Mario Draghi, ha insegnato alle forze parlamentari è che, in politica, vale soltanto il «mai dire mai».
La mattina del 6 febbraio, i partiti della maggioranza cosiddetta Ursula si sono trovati a fare i conti con Matteo Salvini che si sveglia «europeista» e Claudio Borghi che definisce l’ex presidente della Bce «un fuoriclasse».
La Lega ha fatto la sua mossa: stravolgere il proprio impianto politico, comunicativo, valoriale, per non restare fuori dai giochi e spiazzare l’alleanza M5s-Pd-Leu.
La Lega si candida a far parte del nascente governo Draghi e il centrosinistra si trova davanti a un bivio: disattendere la richiesta del presidente Sergio Mattarella, ovvero dare la fiducia all’esecutivo guidato dal “tecnico”, oppure partecipare ai lavori, accettando di sedersi in Consiglio dei ministri con la destra sovranista.
È una faglia. Per non caderci, gli esponenti del Pd tentano di spiegarla così: «In un anno e mezzo di governo, siamo riusciti a far emergere la parte meno populista dei 5 stelle. Sono scettico, ma anche la Lega potrebbe cambiare», ha detto il senatore Alessandro Alfieri.
La realtà è che il Pd spera che sia Draghi a prendere delle decisioni che escludano la Lega, sperando di contare sull’appoggio dei 5 stelle. Lo scrive anche Beppe Grillo su Facebook, citando Platone, «accontentare tutti è la via per l’insuccesso».
L’apertura di Salvini ostentata in conferenza stampa, subito dopo le consultazioni con Draghi, nasconde già la prima insidia.
Pare che il leader leghista, durante il colloquio a Montecitorio, abbia insistito molto sul tema del turismo e poi, a favore di telecamere: «La condivisione con Draghi sullo sviluppo dell’Italia è totale, dallo sblocco dei cantieri al settore del turismo che sta soffrendo più di altri per la pandemia».
È un segnale al Dem Dario Franceschini, titolare del Mibact, che potrebbe celare una richiesta leghista di spacchettamento del Mibact, facendo accorpare il Turismo all’Agricoltura come nel Conte uno. Oppure, un’altra ipotesi, è quella di puntare alla delega al Turismo per un sottosegretario di Stato leghista: in pole position c’è Giancarlo Giorgetti.
Non sarà , dunque, solo il Partito democratico a dover scegliere tra due strade, ma anche Mario Draghi si troverà presto davanti a un bivio.
Nel momento in cui dovrà definire il programma di governo e sottoporre al Quirinale la lista dei ministri compirà una scelta: includere la componente di punti programmatici e di politici leghisti nel governo, oppure prediligere le richieste della maggioranza del Conte due, “spingendo” i gruppi parlamentari del Carroccio a non dargli la fiducia.
Se il programma sarà basato sulla risposta all’emergenza sanitaria ed economica, sarà più facile per i leghisti aderirvi e più difficile per il Pd sedersi al tavolo. L’imbarazzo dei Dem è più forte rispetto a quello del Movimento che, nel Conte uno, con la Lega ci ha già governato.
Memori dell’esperienza conclusasi nell’agosto 2019, il Movimento potrebbe essere il game changer della conformazione della maggioranza: per una questione numerica, i grillini al governo devono starci.
Secondo alcune fonti vicine alla leadership 5 stelle, tra i desiderata arrivati a Draghi dal Movimento, ci sarebbe quello di dare un impianto al nuovo governo basato sull’alleanza M5s-Pd-Leu. «Il riferimento europeista per uno sviluppo sostenibile — dicono — che lavorerebbe meglio senza gli agguati leghisti».
Nei 5 stelle, con il placet del garante Beppe Grillo, sta prevalendo la compagine governista. La trasformazione da movimento a soggetto politico consolidato nel centrosinistra. Le spinte anti-establishment appaiono sopite o, per dirla come il comico genovese, «le fragole sono mature».
(da “Huffingtonpost”)
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Febbraio 6th, 2021 Riccardo Fucile
UN MONOLOGO DI 45 MINUTI PER CATECHIZZARE I PARLAMENTARI
Il colloquio tra il presidente incaricato Mario Draghi e la delegazione del M5s guidata da Beppe Grillo è stato il più lungo del primo giro di consultazioni. C’è da sperare, però, che Grillo non abbia usato con Draghi lo stesso tono di voce adoperato durante il vertice preparatorio con i ministri uscenti e i gruppi parlamentari pentastellati.
Un monologo durato 45 minuti, nel corso del quale a un certo punto le urla del comico si sono sentite anche in strada, sotto le finestre della sala Tatarella di Montecitorio.
E pensare che la mattinata era partita con un lungo post sul suo blog, a metà tra il bucolico e il programmatico, dal titolo: In alto i profili. Da un lato «le fragole sono mature», scriveva infatti Grillo. Per poi snocciolare dall’altro lato un lungo elenco di priorità su cui il governo Draghi dovrebbe concentrarsi per ottenere l’appoggio del M5s. Tra queste, la creazione di un «ministero per la Transizione ecologica», al quale affidare la politica energetica nazionale (e magari anche la raccolta della fragole).
Grillo, che ha lasciato Roma già oggi, durante il vertice pentastellato a Montecitorio avrebbe invitato tutti i presenti a restare uniti, puntando su temi identitari e sul futuro stesso del partito, che in parlamento è ancora la forza politica più numerosa grazie ai risultati raccolti alle elezioni del 2018.
Le urla del garante devono aver sortito il loro effetto, tant’è che dai presenti non è filtrato quasi nulla sui contenuti della riunione. Bocche cucite, «altrimenti Beppe si arrabbia», hanno spiegato alcuni di loro all’agenzia di stampa AdnKronos.
Silenzio totale, invece, da parte di Davide Casaleggio, anche lui presente al vertice. Il presidente dell’associazione Rousseau non avrebbe proferito verbo, limitandosi ad ascoltare il monologo di Grillo e gli interventi degli altri. Avrebbe poi lasciato la Camera prima della fine delle consultazioni con Draghi.
Ma la giornata politico-mediatica di Grillo non è finita qui. Anzi, ha registrato un’altra svolta repentina, come una coperta double face. Terminato il colloquio con Draghi, infatti, il suo tono di voce si è fatto decisamente più serafico. E su Facebook gli è partita una citazione del filosofo greco Platone: «Non conosco una via infallibile per il successo, ma una per l’insuccesso sicuro: voler accontentare tutti».
Un messaggio che ha il sapore di un Maalox, destinato innanzitutto a chi, come Alessandro Di Battista, un governo guidato da Draghi con la partecipazione del M5s, del Pd e di Forza Italia, proprio non riuscirebbe a “digerirlo”.
(da “Huffingtonpost”)
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Febbraio 6th, 2021 Riccardo Fucile
“PRIMA IL PROGRAMMA, POI I VOTI”, MA A DRAGHI NON LO CHIEDE NESSUNO
Enuncerò alcuni interrogativi semplici e largamente diffusi dai mass media e da non pochi politici.
Primo, il governo Draghi sarà eletto dal popolo? Avrà una legittimazione dal voto? Almeno il capo del governo otterrà un mandato politico-elettorale?
Oppure, tutta questa discussione va lasciata alle illusioni/delusioni di Luciano Fontana, direttore del Corriere della Sera, che intitolava melanconicamente la sua rubrica Lettere al Direttore: “Votare premier e coalizione è solo un sogno proibito?”
Secondo, è vero che molto spesso nel passato qualsiasi tentativo di accordi fra governo e opposizione e fra partiti di opposti schieramenti veniva, anzi, è stato prontamente e da quasi tutte le parti bollato come “inciucio” e “ammucchiata”?
Oggi, un eventuale governo che includa Cinque Stelle, Partito Democratico, Lega e i numerosi cespugli centristi diventa governo di unità nazionale, o qualcosa di simile, ma soprattutto ottiene generose valutazioni positive.
Terzo, con Draghi siamo, dunque, all’uomo della Provvidenza come fu definito da Papa Ratti, Pio XI il Mussolini che l’11 febbraio 1929 sottoscrisse i Patti lateranensi?
Certo, non mi riferisco all’ideologia di Mario Draghi, sicuramente un sincero democratico, ma alle malposte iperboli dei commentatori, uomini e donne, dello stivale.
Quarto, i politici e i loro giornalisti di riferimento si sono regolarmente riempiti la bocca con le parole: “prima i programmi poi i nomi”.
Non mi pare che questo sia stato il punto di partenza delle varie dichiarazioni di sostegno al Presidente del Consiglio incaricato. Giusto ricordarne i molti meriti e decisivi nel salvare l’Euro e l’Unione Europea, ma non sarebbe stato opportuno che i capi partiti e partitini dicessero: “Draghi ottima scelta, adesso vediamo i programmi” (o nel loro lessico “andiamo a vedere le carte”)?
Ma almeno una carta dovrebbe essere chiara: “dentro l’Italia nell’Europa dentro l’Europa nell’Italia”. Ä– lecito interrogarsi se Draghi ha posto questa condizione preliminare?
Da ultimo, almeno allo stato delle cose, “ricostruire la politica” (con la molto discutibile affermazione che “il sistema è fallito” quale “sistema” “che cosa è il fallimento, come lo si misura”?) è un compito che può essere credibilmente affidato a chi di esperienza politica (che non significa trattare con altri banchieri e con le cancellerie) non ne ha?
Però, se davvero Draghi volesse/dovesse ricostruire la politica, non sarebbe lecito fin da subito chiedergli quali sarebbero le linee essenziali di questa ricostruzione?
Gianfranco Pasquino
Professore Emerito di Scienza Politica nell’Università di Bologna
(da “Huffingtonpost”)
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Febbraio 6th, 2021 Riccardo Fucile
“QUESTO SPIEGA L’ALTO NUMERO DEI DECESSI, TANTE PERSONE CON POCHI SINTOMI NON VENGONO INTERCETTATE”
Attualmente i decessi per Coronavirus in Italia sono oltre 90 mila.
Ogni giorno si contano più di 300 morti, spesso più di 400. Se il bilancio continua ad essere così alto, nonostante il calo dei nuovi casi giornalieri, è «anche perchè il numero dei casi che vediamo è inferiore a quello effettivo».
A dirlo è Carlo La Vecchia, ordinario di epidemiologia a Milano in un’intervista a la Repubblica: «La mia stima è che oggi in Italia ci siano il doppio dei positivi di quelli che intercettiamo, cioè circa il 2% degli abitanti, un milione di persone. Questo perchè ci sono tanti senza o con pochi sintomi che non vengono intercettati».
L’incidenza sui futuri decessi, dice il professor La Vecchia, non è questione di età , la cui media è uguale grossomodo ovunque, ma l’inadeguatezza del sistema sanitario pubblico che già all’inizio non aveva risorse utili per farsi carico di un’emergenza di tale portata. «A primavera la medicina del territorio in Paesi come il nostro o la Gran Bretagna aveva strutture inadeguate. Da noi i medici di famiglia gestiscono il flusso terapeutico inviando allo specialista i malati seri, e quindi avevano strutture inadeguate a gestire una malattia grave come il Covid. E non dimentichiamo il sottofinanziamento del sistema sanitario dalla crisi del 2008 in poi», ha detto La Vecchia
E poi «siamo stati il primo Paese fuori dalla Cina a dover fronteggiare il Covid. Eravamo impreparati e a marzo e aprile non abbiamo intercettato almeno 17 mila morti oltre a quelli registrati per Covid in quei mesi».
L’attività di tracciamento, secondo La Vecchia, viaggia a regime. «Ora facciamo tanti tamponi, il tema era cruciale in marzo e aprile», ha detto l’ordinario di epidemiologia. Che ha poi sottolineato: «In autunno abbiamo fatto ogni giorno tra 150 a 250 mila test. Un problema italiano, e di tutti i Paesi occidentali, è stato quello di lasciare a casa i positivi e i malati lievi, che hanno contagiato tutta la famiglia. Quindi l’idea di estirpare l’epidemia con testing e tracing non ha funzionato».
I nostri dati sui morti potrebbero essere più alti anche perchè si conteggiano in modo diverso? «I Paesi seguono il criterio dettato dall’Oms: il Covid ha la priorità rispetto ad altre malattie. Se sul certificato di morte ci sono più cause, anche tre o quattro, tra le quali anche il Covid, il sistema automatico attribuisce il decesso a quella patologia. Non è una regola sbagliata, è vero che i morti hanno anche altre malattie ma sarebbero sopravvissuti mesi o anni senza il Covid. Forse un po’ di sovra certificazione c’è ma è un fenomeno presente in tutti i Paesi».
(da “La Repubblica”)
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Febbraio 6th, 2021 Riccardo Fucile
“INEVITABILE UN RIALZO DEI CONTAGI CON LE RIAPERTURE”
Il professor Andrea Crisanti ci risponde mentre si trova a Padova (città in cui è direttore del Laboratorio di Microbiologia). «Non ho mai visto così tante persone al centro di Padova come oggi. Se non fosse per le mascherine che indossano, penserei che non ci sia nulla», ci dice. «Con la zona gialla non si controlla proprio niente, così è inevitabile il rischio di un rialzo dei contagi di Coronavirus», aggiunge.
Al momento, infatti, i casi non sono schizzati alle stelle solo perchè «stiamo beneficiando delle due settimane di zona rossa a dicembre e di quella arancione a gennaio».
Poi chissà cosa potrebbe succedere anche perchè — continua — «il virus cammina con noi».
Intanto, il quadro è mutato. E di tanto. Ora ci sono i vaccini ma anche le varianti che «sono una grande fonte di preoccupazione e che impattano sull’immunità di gregge».
Con gli over 80, ovvero con la categoria più esposta al virus, poi, non abbiamo ancora cominciato: «Bisognerà individuare anche gli anziani che stanno nelle campagne della Calabria o della Sardegna, giusto per fare un esempio. Fin qui, invece, abbiamo fatto la parte più facile con gli operatori sanitari».
Per questo sperare di vaccinare la metà della popolazione entro l’estate sembra essere un’utopia: «Spero nel 25-30 per cento entro giugno, sarebbe davvero una soddisfazione. Di fatto, è stato commesso un errore di sottovalutazione sia da parte delle ditte produttrici sia della Comunità europea ma, d’altronde, non era mai stato fatto prima un vaccino in tempi record, con problemi di logistica e destinato a centinaia di milioni di persone» in tutto il mondo.
«Sistema “drogato” dai test antigenici»
Poi Crisanti attacca la scelta di considerare, nel rapporto giornaliero positivi-tamponi, anche i test antigenici: «Così abbiamo un sistema “drogato” da test che non valgono nulla, che stanno creando un casino senza precedenti e che non vanno bene per le misure di sorveglianza perchè hanno una bassa sensibilità . Come mai gli antigenici registrano meno positivi dei molecolari? Le ipotesi sono due: o li usiamo male o, più semplicemente, hanno una bassa sensibilità . Ecco perchè escluderei gli antigenici dal computo».
E sull’ipotesi di Crisanti ministro della Salute nel nuovo governo Draghi, commenta: «Non me l’ha chiesto nessuno e non mi pongo per niente il problema. Spero soltanto che il nuovo governo stimoli un sentimento di unità e di superamento delle divisioni».
(da Open)
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Febbraio 6th, 2021 Riccardo Fucile
DA DRAGHI GARANZIE SUL REDDITO DI CITTADINANZA… LA SCISSIONE CI SARA’, IL VOTO SU ROUSSEAU NON SI SA
Beppe Grillo ha scelto: “Mario Draghi è la soluzione migliore per questo paese, tra crisi sanitaria e crisi economica siamo sull’orlo del baratro, dobbiamo portare i nostri temi al tavolo di questo governo, vigilare sui soldi del Recovery fund”.
Questo il cuore del suo discorso all’ultimo piano del palazzo dei gruppi parlamentari, dove ha riunito intorno a sè tutto lo stato maggiore del Movimento 5 stelle.
Raccontano di cinquanta minuti di puro show, sopra le righe, come è nelle sue corde, un monologo con fatica inframezzato dagli interventi di chi era seduto attorno al tavolo, da Luigi Di Maio a Vito Crimi, da Stefano Patuanelli ad Alfonso Bonafede, oltre ai capigruppo che insieme al capo politico componevano la delegazione di governo.
Non c’è stato bisogno di convincere Luigi Di Maio, il primo ministro uscente a seguire Stefano Buffagni, il primo della compagine governativa ad aprire al presidente incaricato, definendo il suo come un profilo “inattaccabile”.
Nessuno sforzo anche con Roberto Fico, che si è collegato telefonicamente e ha convenuto: “Non possiamo stare a guardare, dobbiamo esserci, far pesare i nostri numeri e influenzare la gestione del Recovery plan.
Formalmente Giuseppe Conte è ancora il premier in carica per il disbrigo degli affari correnti, ma ha voluto bruciare le tappe del suo esordio da leader politico, sedendosi al tavolo con i maggiorenti 5 stelle.
“Oggi la famiglia si allarga”, lo ha accolto Di Maio, cercando di allontanare i sospetti di una malcelata competizione al vertice. Perchè Conte il leader lo vuole fare, di cosa, se del Movimento o della coalizione, o magari di entrambi, ancora non è chiaro. Ma il piglio da uno che non ha nessuna intenzione di tornare a fare lezione nella sua università di Firenze è stato chiaro. “Bisogna vedere quale sarà il perimetro della maggioranza, questo è un dato importante”, ha detto Conte, tirando un’applauditissima stoccata a Renzi, e spiegando di non avere nessun rammarico, “perchè prima di tutto viene il bene del paese. Aggiungendo inoltre che “per il momento non è importante sapere se io farò parte del governo”, lasciando in sospeso una possibilità che nelle scorse ore il suo entourage ha smentito.
Prima di incontrare Draghi Grillo spara sul blog un post dei suoi. “Le fragole sono mature”, scrive facendo come spesso gli capita il verso a Radio Londra, elenca una serie di temi: un ministero per la transazione ecologica, un consiglio superiore dello sviluppo sostenibile (definizione che richiama quella con cui Conte ha battezzato appena due giorni fa la coalizione giallorossa), meno imposte alle società che si impegnano su questo versante, idea che ha mutuato dopo alcune conversazioni con Catia Bastioli, presidente di Terna.
Temi che hanno portato al tavolo con il presidente incaricato, con cui la delegazione pentastellata si è intrattenuta per poco più di un’ora, prima di fermarsi per qualche minuto per concordare una dichiarazione da produrre per i giornalisti.
È chiaro che i 5 stelle puntino a intestarsi i quasi 70 miliardi previsti nel Recovery plan sulla transizione ecologica, ma il punto qualificante è stata la risposta ottenuta sul reddito di cittadinanza. I toni sono morbidi, la pattuglia pentastellata spiega che è disponibile a raddrizzare le storture, a rivedere le cose andate male, ma hanno chiesto garanzie sul fatto che la loro bandiera principale non venga ammainata.
Fondamentale l’apertura di Draghi, che si è detto convinto che misure di sussidio per contrastare l’indigenza siano fondamentali, soprattutto in una fase come questa.
C’è la richiesta di ripartire da quanto di buono fatto dall’ultimo governo, e la necessità di ripartire dalla stessa maggioranza. Draghi ha ascoltato, prudente, dopo aver salutato mezz’ora prima un Matteo Salvini sorprendentemente iper aperturista, il puzzle sarà complicato da risolvere.
Soprattutto nella scelta dei ministri, perchè il nodo politico della coesistenza con la Lega sembra essere un problema più del Pd che del M5s. Dice un esponente del governo uscente: “Stiamo dicendo sì a Draghi, ma ti pare che possa essere un problema se c’è qualche ministro con la Lega, con la quale abbiamo già governato?”.
Dopo il colloquio un parlamentare molto influente osserva: “Se il nuovo premier non smonta il reddito ed è aperto sull’importanza dei fondi stanziati sullo sviluppo sostenibile e la transizione ecologica è un’opportunità straordinaria di far legittimare i nostri temi”.
Esce Crimi per una dichiarazione lunga e un po’ involuta. “Abbiamo ribadito a Draghi che abbiamo consapevolezza della situazione in cui sta al paese, con la necessità di avere al più presto possibile di un governo”.
Chiede di ripartire dalla maggioranza giallorossa, usa formule paludate e tutt’altro che grillesche per sostenere che “c’è la nostra disponibilità a valutare se ci sono condizioni per la nascita di un nuovo esecutivo”.
“Ma qual è la linea, non si capisce nulla”, chiede praticamente in diretta un deputato, poco prima che il capo politico reggente la definisca nei suoi contorni: “Se si formerà un governo noi ci saremo con lealtà . La responsabilità viene prima del consenso, siamo pronti a superare ogni cosa per il bene del paese”.
La scissione è ormai messa in conto, non è una possibilità , ma quel che si sa che accadrà di qui a qualche settimana. È un problema di quanto, e non di quando, mentre chi fino a ieri era tetragono nel suo no oggi lo mette in discussione.
Ecco la pasionaria Barbara Lezzi, che passa dal no al sì, per ora solo a “un governo a tempo”, domani chissà .
Ecco Nicola Morra, che si appella all’unità dicendo che “se si cambia si può ricominciare, si può anche stupire”. Continua a martellare Alessandro Di Battista: “Io non ho cambiato idea, non potrò mai avallare questa accozzaglia”.
L’ex deputato romano è il più duro, ma a chi lo ha sentito ha spiegato di non volerne fare una questione di aut aut sulla sua permanenza nel Movimento, non smentendo nè confermando, con un lapidario “io combatto per il no”.
Dopo l’incontro Grillo fila via, si materializza su Facebook citando Platone: “Non conosco una via infallibile per il successo, ma una per l’insuccesso sicuro: voler accontentare tutti”. La scissione è messa in conto. Il problema è quanto, non quando.
(da “Huffingtonpost”)
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