Febbraio 23rd, 2021 Riccardo Fucile
GIA’ NEL PRIMO TRIMESTRE CONSEGNATE 40 MILIONI INVECE CHE 90
Nuova doccia fredda per la strategia vaccinale europea e anche per quella italiana. AstraZeneca infatti — secondo quanto dichiarato da un funzionario europeo all’agenzia Reuters — ha in previsione una fornitura più che dimezzata delle dosi di vaccino anti-Covid previste per l’Unione europea rispetto al contratto nel secondo trimestre. Secondo Reuters, il funzionario, che prenderebbe parte ai colloqui con il produttore di farmaci anglo-svedese, racconta che l’azienda avrebbe detto nel corso dei vertici interni che “avrebbe erogato meno di 90 milioni di dosi nel secondo trimestre”. L’azienda si era invece impegnata a fornire ai paesi europei — secondo quanto riporta il contratto di AstraZeneca con l’Ue — 180 milioni di dosi.
La diminuzione delle forniture è una novità che, sottolinea ancora Reuters, potrebbe inficiare la capacità dell’Unione di raggiungere l’obiettivo del 70% della popolazione adulta vaccinata entro i mesi estivi.
Già le forniture del primo trimestre, come noto, hanno subito un’importante riduzione: come conferma a Reuters il funzionario Ue, l’azienda prevede di erogare 40 milioni di dosi nel primo trimestre, ovvero meno della metà dei 90 milioni previsti.
«Poichè stiamo lavorando duramente per aumentare la produttività della nostra catena di approvvigionamento dell’Ue e facendo tutto il possibile per utilizzare la nostra catena di approvvigionamento globale, siamo fiduciosi di poter avvicinare le nostre consegne all’accordo di acquisto», dice un portavoce di AstraZeneca, che non intende dare commenti sui dati specifici. Rifiuta di commentare i dati, secondo quanto riporta l’Ansa, anche la stessa Commissione europea.
«Le discussioni sul programma di consegne di AstraZeneca sono in corso», dice in serata un portavoce dell’esecutivo comunitario. «L’azienda sta perfezionando il proprio programma e consolidandolo sulla base di tutti i siti produttivi disponibili dentro e fuori dall’Europa. La Commissione Ue prevede di ricevere una proposta migliorata».
(da agenzie)
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Febbraio 23rd, 2021 Riccardo Fucile
ECCO QUALI SONO GLI INTOPPI
L’idea del nuovo governo Draghi di aumentare la produzione dei vaccini mettendo a frutto le possibilità industriali italiane è una prima prova del livello stretto di coordinamento europeo che il nuovo premier vuole seguire quale bussola del suo operato a Palazzo Chigi.
C’è infatti anche l’Italia tra i paesi europei che hanno contattato la Commissione Ue per partecipare allo sforzo collettivo per produrre più vaccini.
Ed è questo il piano europeo per uscire dal tunnel di una campagna vaccinale ancora troppo lenta. Ne discuteranno i leader europei nel summit virtuale di giovedì, il primo per Draghi nella sua nuova veste di presidente del Consiglio (venerdì si terrà un’altra videoconferenza dei 27 su difesa e sicurezza).
Ma è un piano che non sembra offrire soluzioni immediate alla carenza di fiale per combattere la pandemia.
E’ un piano che ha i suoi tempi, “mediamente 6-7 mesi” per abilitare impianti già esistenti alla produzione di vaccini, secondo il parere di esperti del settore sentiti da Huffpost.
Ma ne servono anche di più, “un anno”, se lo stabilimento in questione non è già dotato di bioreattore.
Però, per come la vedono a Bruxelles in stretto coordinamento con Berlino, Roma, Parigi e le altre capitali, non c’è una soluzione che dia effetti più immediati. Per parte sua, Draghi, ha anche in mente di puntare molto sullo sviluppo del vaccino italiano Reithera, anche se in questo caso i tempi sono pure più lunghi.
“Un certo numero di Stati membri ci ha contattato per offrire le proprie capacità industriali” in uno sforzo di partecipazione collettiva alla produzione dei vaccini anti-covid, dice il vicepresidente della Commissione Europea Maros Sefcovic al termine del Consiglio Affari Generali dell’Ue tenutosi oggi in videoconferenza. Tra questi paesi c’è appunto l’Italia.
Giovedì, mentre Draghi sarà riunito con gli altri leader europei in videoconferenza, il ministro per lo Sviluppo economico Giancarlo Giorgetti incontrerà i responsabili delle aziende farmaceutiche per avviare il lavoro sulla parte italiana del piano europeo. Primo obiettivo: stringere accordi tra le aziende farmaceutiche e le aziende che hanno i brevetti per produrre in Italia.
Quest’ultimo è il punto più debole di tutto il piano europeo, non solo della parte italiana naturalmente.
Le aziende che detengono i brevetti dovranno cedere la tecnologia per la produzione di vaccini in stabilimenti che non appartengono alla loro catena industriale. Lo faranno?
Il piano non prevede obblighi, anche se la Commissione Europea avrebbe potuto far ricorso allo strumento delle licenze obbligatorie previsto dall’Organizzazione Mondiale del Commercio in caso di emergenze sanitarie gravi. Non lo ha fatto, preferendo la via della trattativa a livello nazionale e anche europeo. E trattativa sia.
Dopo il braccio di ferro con Astrazeneca e gli intoppi con le aziende che hanno ridotto le forniture delle dosi senza molte spiegazioni, Ursula von der Leyen ha istituito una apposita task force guidata dal Commissario all’Industria Thierry Breton con il compito di tirare fuori l’Ue dal pantano dei vaccini.
Il nuovo piano europeo ha dunque anche un volto: Breton, appunto, francese, ex amministratore di France Telecom ed ex presidente del gruppo Atos specializzato in servizi digitali. Il Commissario ha intrapreso un vero e proprio tour per gli stabilimenti farmaceutici del continente per verificare standard e livelli di produzione.
Ha iniziato il 10 febbraio con la Thermo Fisher Scientific, subappaltata da AstraZeneca per la produzione di componenti per i vaccini in Belgio, poi ha visitato la fabbrica della Lonza, che sta facendo lo stesso per Moderna in Svizzera. E ieri, accompagnato da uno stuolo di giornalisti, Breton è stato allo stabilimento della Pfizer a Puurs in Belgio, dove si producono 50 milioni di dosi al mese che dovrebbero essere raddoppiate per giugno.
In totale, “ci aspettiamo 300 milioni di dosi per il secondo trimestre di quest’anno”, è la previsione di Sefcovic, finora ne sono state consegnate solo “40,7 milioni”. Previsione troppo ottimistica?
Non ce n’è una migliore, ti rispondono fonti europee. “E’ una lotta”, ammette Breton. E a chi gli chiede se l’Ue non avrebbe dovuto muoversi prima per accelerare la produzione dei vaccini, il francese scrolla le spalle e risponde: “Beh io sono qui ora”.
Della serie, lasciamo gli errori al passato, dopo l’autocritica di von der Leyen al Parlamento Europeo, e cerchiamo di programmare meglio il futuro. “A metà marzo – annuncia Sefcovic – l’Ema dovrebbe autorizzare anche il vaccino Johnson&Johnson”. E poi “il primo appuntamento importante dell’anno sarà il Summit globale sulla sanità a maggio in cui sarò accanto al premier Mario Draghi a Roma – annuncia von der Leyen – Sarà un momento per riflettere sulle lezioni imparate ma anche per concordare un piano comune di preparazione in modo che il mondo non venga mai più colto alla sprovvista. Tutti, governi, organizzazioni internazionali, scienziati, società civile, aziende, tutti vi devono contribuire”.
Intanto però la ‘pratica Sputnik’ sembrerebbe in alto mare, dopo il raffreddamento dei rapporti tra Bruxelles e Mosca sull’onda delle pressioni della nuova amministrazione Biden negli Usa. “I russi sono bravi in matematica, fisica, biologia e tanto altro ma non hanno la capacità industriale per garantire una produzione di massa dello Sputnik”, dice Breton.
In vista della videoconferenza di giovedì sul piano europeo per accelerare la produzione dei vaccini, il presidente del Consiglio Europeo Charles Michel ha tenuto colloqui con i leader europei. Oggi è stato il turno di Draghi, in gruppo con Angela Merkel, il primo ministro portoghese Antonio Costa, il greco Kyriakos Mitsotakis e la presidente von der Leyen.
Con la cancelliera tedesca Draghi ha stabilito un filo diretto, è la prima e finora l’unica leader Ue con cui abbia avuto un colloquio telefonico da quando si è insediato a Palazzo Chigi. E proprio Merkel è particolarmente allarmata sulla pandemia. “Siamo nella terza ondata”, ha detto oggi in un incontro di partito, la Cdu, mentre tra i Land tedeschi è il caos, molti governatori hanno deciso di riaprire alcune attività a partire dalla prossima settimana nonostante la nuova minaccia delle varianti del virus, al 30 per cento tra i contagi in Germania.
(da “Huffingtonpost”)
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Febbraio 23rd, 2021 Riccardo Fucile
IL SENATORE ED EX CAPITANO DI FREGATA DA’ UNA LEZIONE DI DIRITTO DEL MARE E DI UMANITA’ ALLA SORELLA D’ITALIA
“Blocco navale? Evidentemente l’onorevole Meloni non sa di cosa parla”. A dirlo, anzi a scriverlo sulla propria pagina Facebook, è il senatore ex 5 Stelle — oggi Misto — Gregorio De Falco, che risponde così sui social all’ennesima provocazione di Giorgia Meloni, che nelle scorse aveva chiesto a gran voce al governo Draghi un “blocco navale subito”.
Una vecchia idea che, ciclicamente rispunta fuori nell’universo meloniano, ogni qual volta è a corto di argomenti.
Solo che questa volta ha trovato sulla propria strada qualcuno che della materia se ne intende, l’ex Capitano di fregata De Falco, noto, prima di entrare in Parlamento, per il suo ruolo decisivo nelle operazioni di soccorso nel naufragio della Costa Concordia all’Isola del Giglio
“Ci risiamo. L’On. Giorgia Meloni rispolvera e rilancia, a sproposito, l’idea del blocco navale, evidentemente senza avere la minima contezza di ciò di cui parla” esordisce De Falco. Che poi entra nei dettagli tecnici
“Il blocco navale è un atto di guerra”
“Il blocco navale è disciplinato dall’articolo 42 dello statuto delle Nazioni Unite ed è un’azione militare finalizzata ad impedire l’accesso e l’uscita di navi dai porti di un Paese o di un territorio. Esso non è consentito al di fuori dei casi di legittima difesa.
Il blocco navale è un atto di guerra, fosse pure fatto in accordo con qualche autorità libica o di altro Paese, ed alla guerra non è certo estranea la morte. Esso ha un inevitabile punto di caduta: le regole d’ingaggio devono contemplare anche l’ammissibilità in concreto di dare attuazione all’impedimento del passaggio, attraverso la facoltà , in extrema ratio, di aprire il fuoco sulle persone, pure se vi siano tra di loro bambini di sei mesi. È chiaro che nessuno darà mai l’ordine di uccidere, ma è altrettanto chiaro che l’impedimento al passaggio può causare la perdita di vite umane.
Il senatore De Falco conclude poi il suo intervento richiamando a un principio di umanità e di rispetto del diritto del mare nella sua essenza originaria
“Immaginare blocchi navali è, in realtà , attaccare il diritto al soccorso, che è parte del più ampio diritto alla vita. E se s’inizia a colpire questo diritto, negandolo a qualcuno che non siamo noi, si intraprende una china che precipita sempre di più, e che prima o poi coinvolge tutti, anche coloro che si sentono al sicuro, indifferenti alla sorte delle persone che muoiono in mare. Persone, appunto, non numeri o “clandestini”.
(da Globalist)
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Febbraio 23rd, 2021 Riccardo Fucile
“UN UOMO PROIETTATO VERSO ALTI IDEALI, UNA PERSONA ONESTA E CORRETTA”… STASERA ALLE 23 IN RIENTRO IN ITALIA DEI FERETRI
“Lui è sempre stata una persona molto proiettata verso il sociale, verso gli altri. Lui ha solo fatto del bene a tutti”. Visibilmente commosso, triste ma tutto d’un pezzo: Salvatore Attanasio, padre di Luca, l’ambasciatore che ieri è stato ucciso in Congo insieme al carabiniere Vittorio Iacovacci durante un agguato, rilascia una intervista video di pochi minuti all’Ansa.
Inizia scuotendo la testa e passandosi la mano sugli occhi, come per stropicciarseli. E sta lì seduto in casa sua, con alcune foto di famiglia alle spalle e l’aria di chi soffre e non se ne capacita, di chi si pone domande come: perchè proprio a me?
Al giornalista Enzo Laiacona, dice:
Passano in trenta secondi i ricordi di una vita, sono cose ingiuste che non dovrebbero succedere. Per noi la vita è finita. è crollato il mondo addosso. Dobbiamo pensare alle nipoti, dobbiamo pensare a queste tre creature che prima avevano una prateria davanti a loro, con un padre così… Tra l’altro loro sono molto affezionate al padre: le bambine non lo sanno ancora. Non si rendono conto le bambine.
L’ambasciatore era infatti sposato da pochi anni con Zakia Seddiki, donna originaria del Marocco (dove si erano conosciuti), e fondatrice dell’Ong “Mama Sofia”, che opera a Kinshasa, occupandosi di oltre 13.800 bambine e bambini di strada. Con lei ha avuto tre figlie, tre bambine piccole.
La cui vita -dice il nonno- è stravolta per sempre, e a cui bisognerà dedicare molte attenzioni. Spiega poi di aver sentito l’ultima volta il figlio domenica, il giorno prima dell’uccisione, e che non era per nulla preoccupato. Anzi, era felice: “Era così felice di questa missione. Ce l’ha illustrata, ci ha spiegato gli obiettivi”.
Lo ricordiamo: Luca Attanasio, quando è stato intercettato e rapito dai sette uomini armati di kalashnikov, stava raggiungendo la scuola del villaggio di Rutshuru, che avrebbe dovuto ricevere gli aiuti alimentari del World Food Programme. E ricordiamo anche che solo pochi mesi fa era stato insignito del Premio Internazionale Nassiriya per la Pace. Continua il padre:
Lui è sempre stata una persona molto proiettata verso il sociale, verso gli altri. Lui ha solo fatto del bene a tutti. E lo possono testimoniare tutti i cittadini di Limbiate, tutti: dal primo all’ultimo. Siamo distrutti, una perdita incommensurabile. Era un uomo di grande fantasia ed era capace di coinvolgere tutti: una cosa che per me poteva essere poco chiara, pessima, lui me la rendeva positiva.
E poi conclude all’Ansa: “È sempre stato un uomo proiettato verso alti ideali. Una persona onesta, corretta, mai avuto uno sgarbo o uno screzio”.
Intanto stasera è atteso il rientro dei feretri dei due. E, per domani mattina, invece, sono previste le autopsie.
(da agenzie)
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Febbraio 23rd, 2021 Riccardo Fucile
“IN MOLTE AREE DELLA LOMBARDIA I PROBLEMI SONO SERI”
Solo qualche giorno fa Massimo Galli, direttore di Malattie infettive dell’ospedale Sacco di Milano, ribadiva con forza che la variante Covid isolata nel Regno Unito rappresenta «un ceppo molto pericoloso per la sua capacità di diffusione» e, di conseguenza «può diventare dominante in poco tempo».
L’impatto di questa variante, a detta del primario del Sacco, sarebbe emerso nell’arco delle successive due settimane. Al contempo Galli riferiva di aver «il reparto invaso dalle nuove varianti e questo — proseguiva — a breve potrebbe portarci problemi seri», consigliando di accelerare sulle vaccinazioni.
Le dichiarazioni del primario sono state successivamente smentite dall’ospedale stesso e hanno alimentato le polemiche tra Galli e il primario del San Martino di Genova, Matteo Bassetti. Oggi Galli è tornato sulla questione: «Non sono stati necessari 15 giorni, ne sono bastati 2 o 3 per dire che avevo maledettamente ragione», ha detto a Mattino 5.
«Se devo attenermi ai dati del laboratorio di ricerca che dirigo, negli ultimi giorni i casi sono molto spesso legati a varianti Covid. E in Lombardia — precisa — gli effetti sono già evidenti».
«Non faccio altri numeri che riguardano il mio ospedale — puntualizza Galli -. Il virus è grosso, quello dell’Aids e quello dell’Epatite C sono più piccoli e cambiano molto di più. Questo cambia meno, ma le mutazioni ci sono e il virus può imporsi con la nuova variante. Quella “inglese” ha una capacità di diffusione superiore del 40%».
Stando ai dati del laboratorio, «negli ultimi giorni i casi sono molto spesso riscontrate varianti. Anche se a Milano non ci sono ancora segnali pesantissimi — precisa — in altre aree della regione i problemi sono seri», come nel caso della provincia di Brescia. Galli, quindi, dice di non volersi pronunciare sui dettagli sull’impatto delle varianti, rimandando «a chi deve detenere questi dati per definizione: le informazioni di prima mano arrivano in regione dagli ospedali e dalla periferia organizzativa, dalla regione vengono trasmessi a Roma».
(da Open)
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Febbraio 23rd, 2021 Riccardo Fucile
E C’E’ CHI SI SFILA… “NON VOGLIAMO INIZIARE PER POI BLOCCARCI IN CORSO D’OPERA”
Bisogna accelerare sulle vaccinazioni. Questo l’obiettivo del governo Draghi che ha siglato un protocollo con medici di famiglia e regioni per dare il via libera alla campagna di vaccinazione contro il Coronavirus «nel più breve tempo possibile».
A partecipare dovrebbero essere almeno 35 mila medici.
I problemi, però, sono molteplici: molti di loro, ancora oggi, non sanno quando, come e dove cominceranno. L’altra questione, poi, riguarda la disponibilità dei vaccini: i medici di famiglia non inizieranno a vaccinare senza un numero sufficiente di dosi. Infatti, anche nel protocollo siglato il 21 febbraio, il governo ha messo le mani avanti specificando che, nell’ambito degli accordi regionali, bisognerà «individuare la platea dei soggetti da sottoporre alla vaccinazione in relazione, non solo ad età , patologie e situazioni di cronicità ma anche all’effettiva disponibilità dei vaccini»
C’è chi dice no
Non tutti i medici, però, hanno studi adeguati a ospitare una campagna di vaccinazione così imponente. Come Roberto Rossi, presidente dell’ordine dei medici di Milano: «Io sconsiglio di farli all’interno dei propri studi medici. Io sicuramente non lo farò, mi hanno già mandato due diffide perchè hanno visto pazienti senza mascherina, figuriamoci adesso con le vaccinazioni…». Un’adesione che, tra l’altro, non sarà obbligatoria per i medici di famiglia (anche se la stragrande maggioranza accetterà ): «Potrà farlo chi ha tempo, io la vedo difficile. Non riuscirei, già adesso lavoro da casa», continua.
Un protocollo che, senza mezzi termini, Rossi definisce «molto generico, che lascia spazio libero alle Regioni, insomma un documento light» che rischia di creare modalità di vaccinazioni molto differenti da regione a regione. In Lombardia, ad esempio, le Ats hanno chiesto ai medici di segnalare, in merito agli over 80, «chi non è trasportabile, chi è deceduto». Un «lavoro da amministrativi, non il nostro», tuona. «Noi medici dovremmo pure occuparci della prenotazione per gli over 80, fatto salvo il portale. Una modalità complessa e macchinosa», conclude.
Mancano le dosi
La frammentazione regionale rischia di creare il caos. I medici, infatti, verranno coinvolti nella vaccinazione in base agli accordi con le singole regioni: «In 11 (Liguria, Basilicata, Calabria, Emilia-Romagna, Lombardia, Marche, Piemonte, Toscana, Umbria, Valle d’Aosta e Lazio, ndr) lo hanno già fatto, le altre aspettavano che venisse approvato questo protocollo».
Un’intesa che, di fatto, arriva un po’ tardi, visto che molte regioni hanno fatto da sè, e che non entra mai nello specifico, non risolvendo le questioni dirimenti. Ma, documento a parte, il problema restano le dosi: «Dipenderà da quante ne avremo — ci dice Domenico Crisarà , medico di base a Padova e vice segretario nazionale di Fimmg (Federazione italiana dei medici di famiglia) — noi di sicuro non cominceremo fino a quando le dosi non saranno sufficienti per vaccinare i nostri pazienti. Non iniziamo per poi bloccarci in corso d’opera. Siamo pronti, comunque, a gestire tutti i tipi di vaccini, da Astrazeneca, che è il più semplice, ai più particolari Pfizer e Moderna». Nessun problema sul compenso attribuito ai medici per ogni vaccino la cui tariffa minima sarà di 6 euro.
Studi medici o palazzetti dello sport
Per Guido Marinoni, presidente dell’ordine dei medici di Bergamo, per fare «grandi numeri bisogna fare in fretta». «Per noi farlo in studio può anche andare bene, è come fare l’antinfluenzale in fondo ma adesso servono punti di vaccinazione di 700-1.000 mq come palazzetti dello sport, discoteche, palestre e tensostrutture. Bisogna vaccinare tutti, non solo gli over 80». Una chiamata alle armi che deve coinvolgere tutti, anche i «medici pensionati qualora volessero dare un contributo in termini di volontariato. Ma, al momento, non abbiamo avuto grandi risposte». Perchè il problema di chi farà questi vaccini c’è eccome: «Il bando di Arcuri, tra l’altro, è servito a poco, facendoci arrivare pochi medici e infermieri, almeno in Lombardia. Il motivo? Il bando non era di certo appetibile. Assunzione a tempo determinato per massimo 9 mesi», dichiara.
«Alla politica — dice, invece, la segretaria generale del Sindacato dei medici italiani Pina Onotri — è mancato il coraggio di scommettere sui medici di medicina generale». Loro, infatti, avevano chiesto un finanziamento ritenuto «congruo e certo» di un miliardo e 200 milioni di euro per vaccinare il 70 per cento della popolazione in tempi brevi dotandosi, però, di «un’autonoma organizzazione» con tanto di «collaboratori amministrativi e sanitari». Non gli è stato concesso. «Faremo quel che potremo con i mezzi che ci hanno messo a disposizione», conclude.
Buone notizie, invece, vengono dal Lazio che dall’1 marzo partirà con le prime somministrazioni — 80 mila dosi — che verranno effettuate dai medici di famiglia. Al momento, però, si parla di piccole cifre: 20 dosi a medico, che in tutto sono 4.mila nella regione. Sempre da lunedì partiranno le vaccinazioni domiciliari con Pfizer. Si inizierà dai nati nel 1956.
(da Open)
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Febbraio 23rd, 2021 Riccardo Fucile
ALTRO CHE I ROBOANTI ANNUNCI DI BERTOLASO CHE PROMETTEVA TUTTI I CITTADINI LOMBARDI VACCINATI ENTRO GIUGNO
Come sta andando la campagna vaccinale in Lombardia, dopo i roboanti annunci del modello Bertolaso che prometteva di immunizzare i cittadini della regione entro giugno? Per quanto riguarda gli over 80 dopo il flop iniziale delle prenotazioni che non funzionavano (la regione ha provato a dare la colpa a Tim ma non era andata così), sembra che il ritmo promesso non si stia realizzando.
Oggi il Fatto analizza qualche dato elaborato da Lorenzo Ruffini di Youtrend
L’assessore Letizia Moratti prevedeva di vaccinare 15 mila anziani nella prima settimana, 50 mila nella seconda, 100 mila nella prima di marzo. Previsioni che si scontrano con la penuria di vaccini. Così, molti dei 473.212 ultraottantenni che si sono già prenotati non hanno ancora un appuntamento. Non c’è certezza sulla disponibilità delle dosi, si è giustificata Regione. Per capire che non va tutto liscio, basta uno sguardo ai dati elaborati dal ricercatore Francesco Ruffino (Youtrend), secondo i quali ha ricevuto la seconda dose meno del 10% dei circa 3.369 over 80 vaccinati prima dell’inizio della Fase 1ter. E non va meglio per le altre fasce di età , tutte sotto il 10%. Tra il 18 e il 21 febbraio, a ricevere la seconda dose sono stati solo 1.626 lombardi
L’opposizione in regione, tramite il 5 Stelle Massimo De Rosa intanto denuncia: “Domenica hanno ricevuto la prima dose poco più di 2.000 over 80. Se si considera che in attesa ci sono circa 500 mila persone, di questo ritmo la loro salute sarà a rischio per molto tempo”, accusa l’M5S Massimo De Rosa, che aggiunge: “Da inizio campagna hanno ricevuto la prima dose 14.000 over 80 su 500 mila”.
(da NextQuotidiano)
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Febbraio 23rd, 2021 Riccardo Fucile
IL COMITATO TECNICO SCIENTIFICO HA SUGGERITO A DRAGHI DI CONFERMARE L’IMPIANTO DEL DCPM IN SCADENZA IL 5 MARZO
Il Comitato tecnico scientifico non nasconde la sua preoccupazione per il rialzo dei contagi e soprattutto per le prospettive che lasciano ipotizzare che entro la prima metà di marzo la variante inglese, più contagiosa del 38 per cento, sarà ormai diventata prevalente. Per questo, al premier Mario Draghi che li ha convocati a Palazzo Chigi per le 19, i tecnici suggeriranno estrema prudenza per eventuali riaperture di attività .
La posizione è quella già espressa nei giorni scorsi: il rischio non viene dalle singole attività che si chiede di poter riaprire ma da tutto il movimento che ne consegue.
Ed è un rischio che l’Italia, dove i governatori continuano ad istituire zone rosse localizzate per l’esplosione di focolai di contagi spesso riconducibili alle varianti del Coronavirus, non può correre in questo momento.
Sommersi da diverse nuove richieste di riaperture presentate da ministri ma anche da categorie produttive, i tecnici del Cts hanno bocciato praticamente tutto: no alla riapertura di piscine e palestre, neanche per corsi individuali o per terapie riabilitative, no all’apertura di sale gioco e sale bingo e ai corsi pomeridiani per bambini.
Attività che potranno riaprire solo nelle zone in cui ci sarà un’incidenza di contagi non superiore ai 50 casi ogni 100.000 abitanti, dunque le “zone bianche” a cui aspirano Val d’Aosta e Sardegna ma che nessuna regione ha finora raggiunto.
Per il Cts, l’impianto del Dpcm in scadenza è dunque da riconfermare in toto. Non è stata ancora presa in considerazione alcuna modifica dei parametri di rischio come chiesto dalle regioni il cui documento non è stato ancora esaminato.
“Non abbiamo parlato di riaperture, se ne parlerà in un’altra occasione. Venerdì ci sarà una nuova fotografia della situazione, poi vedremo”, ha detto il coordinatore del Comitato tecnico scientifico, Agostino Miozzo, lasciando palazzo Chigi dopo aver partecipato alla riunione operativa convocata dal presidente del Consiglio, Mario Draghi con i ministri.
“Abbiamo rappresentato al presidente Draghi i dati e i numeri – ha aggiunto Miozzo – dal punto di vista scientifico noi siamo prudenti, ma non abbiamo descritto una situazione di catastrofe imminente”. Rispondendo ai cronisti, Miozzo ha concluso che “Draghi non è aperturista o rigorista”, “ascolta e ci ha ascoltati con attenzione”
Si stringe dunque verso il nuovo Dpcm. Insieme a Draghi e ai rappresentanti del Comitato tecnico scientifico (il presidente del Consiglio superiore di Sanità Franco Locatelli, il presidente dell’Istituto superiore di sanità Silvio Brusaferro e il coordinatore del Cts Agostino Miozzo) stasera a Palazzo Chigi si sono riuniti pure i ministri (il responsabile della Salute Roberto Speranza, la responsabile degli Affari regionali Maria Stella Gelmini e il titolare dell’Economia Daniele Franco, ma anche i ministri capo delegazione dei partiti di maggioranza Dario Franceschini (Pd), Giancarlo Giorgetti (Lega), Stefano Patuanelli (M5S), Elena Bonetti (Iv) ).
Un primo passo decisivo per adottare le decisioni che entro la fine della settimana saranno tradotte in un nuovo Dpcm o in un decreto legge dopo che il Parlamento, già domani, avrà dato le sue indicazioni in seguito alla relazione del ministro della Salute Speranza, già fissata per le 13.30 al Senato e alle 17 alla Camera.
(da agenzie)
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Febbraio 23rd, 2021 Riccardo Fucile
“IL CALO DEI CONTAGI SI E’ ARRESTATO, SITUAZIONE DESTINATA A PEGGIORARE”
Da una parte c’è chi, come Matteo Salvini, chiede di cominciare a riaprire l’Italia. Dall’altra c’è chi lavora sul campo che, dati alla mano, spiega che non è ancora tempo di ripartire.
E che, anzi, negli ospedali iniziano a esserci i primi segni di un aumento dei casi più seri di Covid. “Gli ospedali italiani tornano ad avvertire i primi, nuovi, segnali di stress”, con l’aumento dei ricoveri per Covid in reparto e in terapia intensiva, afferma all’Agi Carlo Palermo, segretario nazionale di Anaao Assomed, il sindacato dei medici ospedalieri.
“Il calo dei contagi iniziato dopo il picco di ottobre-novembre si è arrestato e oggi siamo in una situazione critica destinata a peggiorare, con le stime che prevedono 25 mila casi giornalieri nelle prime settimane di marzo”, ha detto Palermo. In 10 regioni, ha continuato, “i ricoveri in terapia intensiva hanno superato il 30%: l’Abruzzo è quasi al 40% (38%) mentre l’Umbria è addirittura al 57%”.
Per il segretario di Annao, “siamo di fronte a numeri allarmanti da tenere bene in considerazione quando si propone di allentare le misure”. Ad oggi, infatti, “non ci sono le basi per aprire”.
Non solo: “Se si innesca una nuova risalita causata anche dalle varianti che hanno un tasso di contagiosità più alto, la capacità del Ssn verrà presto saturata. E si ripiomberà nella situazione della prima ondata”. Molte regioni “che oggi non se la passano benissimo, rischierebbero di finire in una situazione davvero critica. Penso ad esempio al Lazio, all’Emilia Romagna, alla Lombardia”
(da agenzie)
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