Febbraio 10th, 2021 Riccardo Fucile
IN CASO DI SCONFITTA C’E’ CHI LASCERA’ IL MOVIMENTO E CHI SI ADEGUERA’… I GOVERNISTI HANNO RIFIUTATO DI INSERIRE LA POSSIBILITA’ DI ASTENERSI SUL NUOVO GOVERNO PERCHE’ IN QUEL CASO NON AVREBBERO MINISTERI
Si lavora a una linea comune, ma in realtà anche tra i ribelli ci sono divisioni e c’è anche chi è meno ribelle di prima.
I senatori Barbara Lezzi, Mattia Crucioli, Rosa Silvana Abate, Elio Lannutti e Bianca Laura Granato, per citarne alcuni, sono tra coloro che, almeno sulla carta, sarebbero pronti a lasciare il Movimento e a dare la dimostrazione plastica che una scissione è possibile se i pentastellati dovessero entrare nella compagine del governo Draghi. Neanche le rassicurazioni di Beppe Grillo sul “super ministero per la Transizione energetica” sono servite a placare i loro animi e, una volta letto il quesito pubblicato su Rousseau, la reazione è stata: “Ci stanno prendendo in giro”.
Ma c’è anche un’altra corrente di pensiero, denominata Mozione Morra. Quella secondo cui “il popolo ha sempre ragione” e quindi: “Dobbiamo adeguarci al volere della maggioranza degli iscritti”.
Purchè il voto sulla piattaforma Rousseau, per decidere se sostenere o no il governo Draghi, venga celebrato. E sono stati accontentati. T
ra chi ci è ripensato, ad esempio, c’è Alberto Airola. Era collocato tra i pasdaran, tra coloro che mai e poi mai si sarebbero seduti accanto a Berlusconi e Salvini, ma ora si sente soddisfatto di fronte alla nascita del nuovo ministero. L’arma usata da Grillo, l’asso nella manica del Garante, per convincere i più riottosi.
C’è poi anche, senza venire allo scoperto, il correntone comprensivo di tanti big, i quali ragionano così: “Se vanno via una decina di parlamentari non è un problema, anzi saremo più compatti e decisivi nella nostra azione politica dentro il governo del professore”. E c’è Alessandro Di Battista che consiglia almeno la via dell’astensione.
Il problema però sta nel capire veramente da che parte è schierata la base.
Il correntone degli “entristi” sotto sotto teme, o sa, che il verdetto degli attivisti e del popolo grillino su Rousseau potrebbe essere contrario all’abbraccio dell’unità nazionale in chiave ‘Super Mario’. E la riunione via Zoom di ieri sera denominata ‘V-Day, no Draghi’ è stata la dimostrazione che il Movimento sta attraversando forse, per non dire sicuramente, la sua fase più difficile.
I dissidentei hanno cercato fino all’ultimo la mediazione. Barbara Lezzi si è spesa molto contattando tutti i big stellati da Vito Crimi e Luigi Di Maio per trovare una via d’uscita. Ma se questa mediazione doveva significare introdurre nel quesito su Rousseau l’opzione astensione il pericolo ben chiaro ai governisti è che il popolo potrebbe scegliere appunto questa via di mezzo.
Risultato, niente ministri stellati nel nuovo governo dopo che in quello appena dimesso M5s aveva alcune delle poltrone più importante dal Mise alla Scuola, dalla Giustizia agli Esteri.
Risultato che i gorvernisti vogliono evitare. Quindi, se governo Draghi sarà , c’è chi è pronto ad abbandonare il Movimento. Lo dice all’AdnKronos il deputato Pino Cabras: “È possibile. Materialmente quello che sta avvenendo in questo momento è uno sconvolgimento di tutto il sistema politico italiano. Se posso fare una battuta, non ho visto un Draghi grillino ma un Grillo draghiano…”. Qui non c’è neanche più la fiducia nel leader. E i ribelli scaldano le dita pronte a digitare post di appello al voto sul Rousseau contrario al governo Draghi.
Anche Morra è molto combattuto, ma guida dell’ala ribelle che alla fine non abbandonerà la barca se la maggioranza dovesse pensarla in modo diverso da lui. Ma quella in corso dentro i 5Stelle è una vera e propria campagna elettorale interna per convincere il proprio popolo.
Morra dice così: “Adesso il Presidente del Consiglio incaricato dovrà sciogliere dei nodi importanti. E non potrà accontentare tutti, perchè non si possono servire insieme Dio e Mammona. E noi M5S siamo nati per ripristinare rispetto delle persone, delle regole, dell’ambiente”. E, a proposito di scelte, Morra mette in chiaro: “Non puoi ricevere 80 mld per favorire la transizione energetica verso le fonti eco-sostenibili, le rinnovabili, e poi dare 20 mld di incentivi a chi impiega le fonti fossili che rovinano l’ambiente e danneggiano la salute. E’ illogico, contraddittorio, dunque immorale”.
Nel Movimento come valle di lacrime risuonano in modalità singhiozzo espressioni come ‘stiamo buttando a mare la nostra identità ‘ più ‘democrazia diretta e meno palazzo’, ‘uno vale uno e non si capisce perchè ciò non deve valere per Draghi’, ‘guai a svendere la nostra storia’ e via così. Perfino ai piani alti del Movimento c’è chi la vede molto nera, eutanasia o suicidio? In Parlamento non ci sarà un forte scossone, ma buona parte della base grillina ha già abbandonato la barca.
(da “Huffingtonpost”)
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Febbraio 10th, 2021 Riccardo Fucile
“SIAMO TOTALMENTE DIVERSI: DAI TAXI DEL MARE AGLI INSULTI MASCHILISTI”
Il Movimento 5 Stelle, in grande fibrillazione per le consultazioni con Mario Draghi, punta sull’ambientalismo come bussola per navigare in tempi incerti.
Beppe Grillo ha ottenuto la creazione di un ministero per la Transizione ecologica. Ieri ha detto di aver ricevuto privatamente dal premier incaricato rassicurazioni rispetto agli investimenti green che intende fare.
Sempre Grillo, in un’intervista a Il Foglio, aveva detto che i Cinque stelle dovranno seguire l’esempio dei Verdi tedeschi, Die Grà¼nen.
Peccato che i Verdi tedeschi non siano d’accordo. A partire da Alexandra Geese, europarlamentare con un passato in Italia, che in un Tweet ha scritto: «I principi e valori dei Verdi tedeschi sono lontanissimi da tutto ciò che rappresenta Grillo. Stato di diritto, partecipazione vera, rifugiati, Europa — un abisso. Non credete al greenwashing».
Alexandra Geese, cosa vi divide dal M5s?
«Il loro è un modello completamente diverso dal nostro: noi abbiamo una democrazia che parte dalla base del partito, cosa che nel M5S non esiste. Ci basiamo completamente sui circoli locali e non su una piattaforma digitale: sono i circoli locali, dotati di uno statuto molto chiaro, che eleggono i delegati per i congressi dei partiti regionali e nazionali e il congresso è composto dai delegati eletti dalla basa in riunioni in presenza».
Perchè parla di greenwashing?
«I Cinque stelle sono al governo da due anni e mezzo. Che cosa hanno fatto in termini di politica ambientale?»
Il vostro gruppo al Parlamento europeo però ha accolto diversi deputati fuoriusciti dal Movimento. Come mai?
«Perchè hanno lasciato il Movimento! Poi è chiaro che molte delle persone che hanno iniziato con il M5s quando era o sembrava un movimento dal basso con chiare istanze ambientali, come la battaglia per l’acqua pubblica, erano sinceri ambientalisti. Io ho un grandissimo rispetto per gli attivisti e le attiviste dei primi anni del Movimento. Non ho davvero nulla da ridire rispetto a chi, 10 -11 anni fa, portava avanti queste battaglie».
Nel suo tweet ha fatto riferimento a Grillo. Come mai?
«Grillo in passato ha fatto delle dichiarazioni che sono davvero lontanissime dai Verdi tedeschi. Penso all’incitamento alla violenza nei confronti di Laura Boldrini, una cosa per cui sarebbe stato espulso dal nostro partito. I Verdi tedeschi hanno sempre avuto una leadership duale. Non c’è una sola sede decisionale del partito che non sia composta metà da uomini e metà da donne. Inoltre, rispetto ai diritti umani e i rifugiati, il tipo di linguaggio utilizzato da Grillo in passato sarebbe impensabile da noi e chiunque lo condivida non potrebbe stare nel partito e neanche nel gruppo europeo».
Siete disponibili ad accogliere altri membri del M5s?
«Noi siamo sempre aperti a persone che condividono i nostri valori. Bisogna stabilire se è realmente il caso. Vedremo. Se ci sono persone tra i Cinque stelle che pensano che i valori in cui avevano creduto all’inizio non sono più attuali e decidono di uscire dal Movimento e di portare questa loro esperienza e il loro impegno in un altro partito sarebbe una scelta assolutamente rispettabile».
Intanto in Europa il M5s ha votato a favore del regolamento sul Recovery Fund, come la Lega. Anche su questo siete d’accordo? Il vostro è stato un sì con riserve?
«Il nostro è un sì convinto. Personalmente sono una grande sostenitrice del Recovery and Resiliance Facility, soprattutto visto che prevede investimenti massicci nell’economia verde e nel digitale. Ho avuto qualche riserva rispetto al mancato utilizzo delle risorse per fronteggiare la disuguaglianza di genere perchè sappiamo che in questa crisi sono colpite soprattutto le donne. In Italia su circa 400 mila nuovi disoccupati il 70% sono donne, per esempio. Però stiamo mettendo la maggioranza di queste risorse pubbliche in settori dove lavorano quasi tutti uomini. Non ha senso. Vanno accompagnati da investimenti nel settore della cura per esempio, con misure ad hoc per far sì che le aziende che ricevono fondi pubblici si impegnino per far assumere più donne».
A proposito di diritti, sul caso di Navalny è stato scritto che la Germania è piuttosto restia ad applicare nuove sanzioni soprattutto per via del gasdotto NordStream 2. È così?
«Credo che ci possa essere un nesso tra questo e le mancate sanzioni. Bisogna inviare un segnale molto chiaro alla Russia. È scandaloso che la Germania stia ancora sostenendo NordStream 2. Noi Verdi siamo sempre stati contrari, sia per motivi ambientali sia per motivi geopolitici. Ora sarebbe il momento per sospendere questo progetto».
Tornando ai Cinque stelle: a suo avviso dovrebbero dare il loro sostegno a un Governo Draghi?
«È un peccato che il governo precedente non sia stato in grado di portare a termine il suo progetto e non nascondo che vedere un governo che va da Leu alla Lega è un po’ sorprendente. Il rischio è che sia molto difficile fare scelte valoriali precise con un governo a così larghe intese. Però al momento non vedo grandi alternative e credo che sia la scelta giusta per l’Italia a cui serve stabilità in questa fase».
Per i Verdi la casa europea è un asse identitario e mai si sono sognati di uscire dall’euro, continuando ad impegnarsi per una Europa riformata e più solidale. Definire le Ong che salvano vite in mare “taxi del mare” o firmare i decreti sicurezza sarebbe inimmaginabile e criminale per un verde tedesco: non si voltano le spalle ai migranti e a chi muore in mare. Soprattutto un verde tedesco non starebbe mai due anni e mezzo al governo senza tagliare i sussidi ai fossili o senza realizzare infrastrutture ed impianti necessari all’economia circolare e alla mobilità sostenibile.
(da Open)
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Febbraio 10th, 2021 Riccardo Fucile
15,4 DEDICATI ALLA TRANSIZIONE AMBIENTALE, 16 ALLA POLITICA ABITATIVA E 8 AI TRASPORTI
Il suo primo inquilino, Robert Poujade, nel 1971 lo definì il “ministero dell’impossibile” a causa delle tante competenze che già in quel periodo gli erano state attribuite. Oggi, dopo un lungo percorso, il ministero della Transizione ecologica in Francia è diventato uno dei dicasteri più importanti dell’amministrazione statale.
E proprio a questo e ad altri modelli europei e internazionali che Beppe Grillo si è ispirato nella proposta di un super-ministero capace di “riunire le competenze per lo sviluppo economico, l’energia e l’ambiente”.
“Lo dico da vent’anni negli spettacoli: ‘Il vero ministero dell’ambiente è quello dell’economia, dell’energia, delle finanze’”, ha spiegato il fondatore del Movimento 5 Stelle, spiegando che si tratta di uno “strumento fondamentale” per far fronte alle sfide di oggi. Una richiesta fatta direttamente al premier incaricato Mario Draghi per una svolta green in Italia.
Fin dall’inizio del suo incarico il presidente Emanuel Macron ha riservato un’attenzione particolare a questo dicastero, considerandolo come uno strumento essenziale per lo sviluppo dei suoi programmi ambientali che ancora oggi, nonostante la crisi del coronavirus, restano al centro dell’agenda in vista delle prossime elezioni presidenziali nel 2022.
Sotto la guida dell’Hotel de Roquelaure ci sono dossier riguardanti l’ambiente, ma anche i trasporti, le questioni energetiche, le politiche abitative e la difesa della biodiversità . Nell’organigramma del governo disponibile sul sito ufficiale, il ministero della Transizione ecologica risulta oggi essere il secondo per ordine di importanza, dopo quello dell’Europa e degli Affari esteri, guidato da Jean-Yves Le Drian.
Nell’ultima manovra il bilancio per questo ministero è stato aumentato di 1,3 miliardi di euro, raggiungendo record di 48,6 miliardi. Di questi, 15,4 miliardi sono dedicati esclusivamente alla transizione ecologica, 16 miliardi alla politica abitativa e 8 miliardi ai trasporti. Ma in parallelo è stata prevista una riduzione del personale che porterà ad un taglio complessivo di circa mille posti di lavoro.
Nel corso del suo mandato Macron ne ha rivisto più volte i compiti e la struttura con una serie di modifiche. L’ultima è arrivata nel luglio dello scorso anno in occasione del rimpasto di governo, che ha visto la nomina di Barbara Pompili alla guida della Transizione ecologica.
L’ex esponente dei Verdi d’oltralpe è diventata così la quarta ministra dall’inizio del mandato presidenziale. Ma il presidente Macron ha colto l’occasione per un restyling più profondo, ricentrando la missione sui temi ambientali, a discapito degli aspetti sociali.
Jean-Baptiste Djebbari è il ministro delegato ai Trasporti, con competenze che riguardano essenzialmente l’aviazione civile da una parte e le infrastrutture, i trasporti e il mare dall’altro. A questi si aggiunge poi la gestione delle autostrade. Emmanuelle Wargon è stata invece nominata ministra delegata all’Alloggio, che si occupa anche di dossier riguardanti l’edilizia e l’urbanismo, in stretto contatto con il ministero della Coesione dei Territorio. Ad aiutare Pompili nel campo della lotta per la preservazione della biodiversità c’è poi la sottosegretaria Bèrangère Abba.
Ma tra i modelli citati da Grillo c’è anche quello della Spagna, dove il ministero per la Transizione ecologica e la sfida demografica (Miteco) è guidato da Teresa Ribera Rodriguez e, oltre alla lotta contro lo spopolamento del territorio, si concentra sulla transizione energetica verso un modello più ecologico, con un’attenzione alla protezione della biodiversità dei boschi e dei mari.
In Svizzera l’esempio è il Dipartimento federale dell’Ambiente, dei trasporti dell’energia e delle comunicazioni (Datec) mentre in Costa Rica c’è il ministero dell’Ambiente e dell’Energia (Minae), guidato da Andra Meza Murillo.
(da “Huffingtonpost”)
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Febbraio 10th, 2021 Riccardo Fucile
MA SE QUESTO MINISTERO ERA COSI’ IMPORTANTE PERCHE’ IL M5S NON L’HA MAI REALIZZATO, VISTO CHE GOVERNA DA TRE ANNI?… UN DETTAGLIO IMPORTANTE: INCORPORA AMBIENTE E SVILUPPO ECONOMICO, MA, CASO STRANO, NON TRASPORTI E INFRASTRUTTURE
Una telefonata nel primo pomeriggio sblocca la trattativa. Mario Draghi nella pausa della terza giornata di consultazioni avrebbe alzato il telefono e chiamato Beppe Grillo. Dandogli le rassicurazioni che il garante del Movimento 5 stelle chiedeva per far entrare nel governo.
Non smantellare il reddito di cittadinanza, garantendo forme di assistenza necessarie anche per la congiuntura pandemica, la sensibilità ambientale tra le linee guida del prossimo governo ma soprattutto quel ministero della Transizione ecologica che riunirebbe le competenze sullo sviluppo economico, l’ambiente e l’energia che Grillo ha posto come condizione principale per entrare nell’esecutivo.
Una telefonata che ha sbloccato l’empasse sul voto di Rousseau, che appena ieri l’ex comico ha rimandato a data da destinarsi e che invece inizierà domani mattina.
Per tutto il giorno i 5 stelle hanno vissuto uno psicodramma, in attesa del segnale pubblico che Grillo aveva chiesto a Draghi, e che arriva per bocca dei rappresentanti di Legambiente usciti dal colloquio con il premier incaricato: “Accogliamo con soddisfazione la creazione del ministero della Transizione ecologica”. Un sospiro di sollievo dopo che il fiato era stato trattenuto per tutto il giorno. “Ma forse Draghi parla stasera”, l’auspicio, più che la notizia, che rimbalza fin dal mattino nelle chat grilline.
Il clima è incandescente. Il fronte del V-Day a Draghi scalpita, ma a far rumore è piuttosto la tensione tra i vertici a caratterizzare la giornata. “Abbiamo sbagliato totalmente il timing del voto su Rousseau, con che faccia prima lo convochiamo e poi lo rimandiamo?”, si sfogava un membro dell’esecutivo.
Nel mirino Davide Casaleggio, e una gestione che per molti parlamentari ritengono “improvvisata”, nella scelta dei tempi e dei modi. Polvere che finisce sotto il tappeto, perchè ora c’è da superare lo scoglio di Rousseau.
L’ala del no è agguerrita, l’influenza di Alessandro Di Battista è ampia tra gli attivisti che saranno chiamati al voto. “Fossi iscritto a Rousseau voterei sì”, dice Giuseppe Conte, ma a far pendere davvero la bilancia sul via libera saranno altri due elementi.
Il primo è un nuovo intervento di Grillo, un post sul blog, o un altro video, nel quale con i suoi modi e le sue peculiari argomentazioni l’ex comico spinga per entrare nel governo.
Il secondo è il quesito che verrà posto. Non un aut-aut sul nome di Draghi: “Sei d’accordo che il MoVimento sostenga un governo tecnico-politico: che preveda un super-Ministero della Transizione Ecologica e che difenda i principali risultati raggiunti dal MoVimento, con le altre forze politiche indicate dal presidente incaricato Mario Draghi?”. Una formulazione molto più digeribile dall’universo dei militanti.
Le interlocuzioni tra il presidente incaricato e i 5 stelle avrebbero riguardato anche l’indicazione di uno o due nomi dal partito per andare a costruire la squadra dei ministri. Rimane Luigi Di Maio il candidato interno con più chance di rimanere in sella, anche se probabilmente non nel super ministero, che probabilmente sarà destinato a un tecnico, e potrebbe rientrare nella squadra anche Fabiana Dadone in un dicastero di minor peso. Anche se rimane l’incognita di Giuseppe Conte e di un suo coinvolgimento nell’esecutivo, caldeggiato da molti parlamentari. Spiega un esponente del governo uscente: “Ma lui non è iscritto al Movimento, potrebbe arrivargli a prescindere un’offerta, soprattutto se Draghi lo ritenesse importante”.
Dettagli, anche se non di poco conto, da risolvere. La partita principale si è sbloccata: il Movimento 5 stelle ci sarà .
(da “Huffingtonpost”)
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Febbraio 10th, 2021 Riccardo Fucile
“ERAVAMO QUELLI CHE SI BATTEVANO CONTRO LE INGIUSTIZIE SOCIALI”
Il Sud li ha esaltati. Il Sud rischia di scaraventarli giù dagli altari romani.
C’è chi usa parole definitive. “Se entriamo nel governo Draghi assisteremo a una lacerazione insanabile, è un punto di non ritorno”, avverte Marì Muscarà , la docente che siede nel consiglio regionale della Campania che ha tributato ai 5S quella valanga del 50-60 per cento, nel 2018, tra città e area metropolitana.
C’è chi dalla Calabria senza mezzi termini evoca i tempi in cui lo scontro si faceva fisico : “I nostri vertici che ci usano come prestanomi devono ringraziare il cielo, oggi, che noi siamo una generazione non violenta”, esorcizza Natalina Giungato di Crotone, “altrimenti le mazze si prendevano”.
C’è chi li vorrebbe fuori, nel più classico processo di parricidio politico : “Se ne devono andare loro, a testa bassa, non noi. Loro si devono vergognare di quello che sta accadendo”, tuona Matteo Brambilla che, a dispetto del cognome, è consigliere comunale a Napoli e addirittura sfidà³ De Magistris 5 anni fa nella corsa a sindaco, con Beppe e Di Maio al suo fianco e il fondatore che non poteva rinunciare a fare il comico .
“Lo so, abbiate pazienza, Matteo c’ha un cognome così, è buono, è pacato, è perfino juventino , lo so, ma vedrete che farà bene a Napoli”, Brambilla fu sconfitto ma era comunque un Movimento fa, altra concordia, altra era.
E c’è chi, tra i big, addirittura oggi evoca sentenze dall’altro mondo. “Secondo me Gianroberto Casaleggio lo ha scomunicato Beppe, da lassù. Ma come fai a dire ‘Draghi grillino’, dai, un po’ di senso del ridicolo”, dixit il senatore Elio Lannutti.
Voci d’ira. Dissenso senza filtri. Eppure è una protesta ragionata, spesso argomentata e pacata (soprattutto per merito degli attivisti giovani) quella che scorre lungo chat e social da 72 ore. E che culmina, martedì sera, nella lunga diretta Fb della giornata “Vaffa Draghi”. Inziativa , quest’ultima, che nasce tra Napoli e Salerno e deve molto alla capacità di un tenace ortodosso pentastellato : l’appena 23enne Luca Di Giuseppe, tra i più giovani facilitatori M5S campani , studente di Giurisprudenza a Salerno, vicinissimo alle posizioni di Di Battista. “Bene il rinvio del voto su Rousseau. Uno strumento superato? Davvero? Io penso invece che quello strumento ci ha consentito di unirci, contare. Avanzare. E ora vorremmo liberarcene, perchè? Invece. Come è sempre stato, su vota sulla piattaforma e quell’esito deve essere vincolante. Così come dicevano le nostre regole”.
Non è l’ingenuità del ragazzo. Perchè il Luca-pensiero è seguito e applaudito idealmente da centinaia di consiglieri, e dai 50 della fronda romana. Ed è lui che fino a mezzanotte darà l la parola a consiglieri e senatori, semplici attivisti e maturi graduati, da un capo all’altro del Paese.
“Questa cosa qui, che stanno facendo a Roma, non è più il M5S”, aveva tagliato corto Brambilla da Napoli. Territorio cruciale per i 5S che, in verità , già otto anni fa si presentava come laboratorio di due visioni alternative: quella a sinistra di Fico, e quella di Di Maio che non a caso finirà per allearsi con Salvini, a fronte dei mal di pancia sempre più espliciti di Roberto, il ‘compagno’ di Posillipo.
Ora però la frattura fa paura a tutti, vista dagli inquilini dei Palazzi romani. Una linea di disillusione che spacca in due il Movimento: lì nella capitale i governativi , osteggiati dalla pattuglia di Dibba; qui , nelle lande di un Sud reso più povero, fragile, più teso dalla pandemia , quelli che “ci avevano creduto” Così Carmela Auriemma, altra giovane laureata da Acerra: “Ma noi lo sappiamo quello che stiamo facendo ? A chi devo ricordare che Draghi, con dovuto rispetto per il curriculum, rappresenta tutto quello contro cui ci siamo battuti come linee di principio? Noi eravamo quelli che si ponevano contro le ingiustizie economiche e sociali”.
(da “Huffingtonpost”)
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Febbraio 10th, 2021 Riccardo Fucile
L’IRA DELLA MELONI: “NON PARLINO A NOME DEL CENTRODESTRA”
La prima foto del centrodestra di governo raffigura Silvio Berlusconi e Matteo Salvini accomodati — con mascherine e distanze di sicurezza – nello studio di Villa Grande, la nuova dimora romana dell’ex premier in cui abitava Franco Zeffirelli.
Una mezz’ora di colloquio, presenti Antonio Tajani e Licia Ronzulli, per fare il punto sull’esito delle consultazioni con Draghi.
Comunicato finale: “Rinnoviamo come Lega e come centrodestra la disponibilità a dare vita al nuovo governo che metta al centro salute, taglio delle tasse e burocrazia, ritorno alla vita. No veti, no pregiudiziali, fare in fretta”.
Ma il riferimento al centrodestra irrita Giorgia Meloni che precisa: “E’ naturale che si siano incontrati in vista della formazione del governo che appoggiano, strano invece che Salvini si sia espresso a nome di tutto il centrodestra visto che noi saremo all’opposizione patriottica ed esiste perchè noi presidiamo il campo. Sarà stato un lapsus”.
No comment da Salvini, che però continua a ritagliarsi il ruolo di “leader in pectore” della coalizione.
La leader di FdI non ha in programma incontri con Berlusconi, ma si sono sentiti al telefono. L’ex premier ha dato seguito alla promessa fatta ieri al premier incaricato: “Cercherò di convincere Giorgia che questo è il momento di mettersi al servizio del Paese”. Ma la leader di FdI non tentenna: “Non mi ha convinto, sa che non cambio idea”. Domani riunirà i suoi gruppi parlamentari sulla linea dell’opposizione “responsabile e costruttiva”.
Di sicuro, Meloni si sta preparando a capitalizzare la sua “rendita di opposizione”. Agli alleati dà appuntamento per scegliere i candidati alle Comunali, mentre in Parlamento sa che si porrà il tema dei vertici delle commissioni di garanzia (come la Vigilanza Rai guidata dal forzista Alberto Barachini o, in modo più sfumato, il Copasir oggi presieduto dal leghista Raffaele Volpe) che spettano appunto alle minoranze. Ma anche gli spazi dell’informazione in Rai e altrove.
Tutti equilibri che un esecutivo di unità nazionale farebbe saltare. Come si regolerà il premier una volta sciolta la riserva? Intanto, FdI ha già cominciato a bombardare su Mps, giustizia e web tax.
“Piena sintonia”, invece tra i leader di Forza Italia e Lega. All’ordine del giorno lo stato dei negoziati con Draghi, dove il margine di manovra è esile per entrambi (e lo sanno): campagna vaccinazioni, uso del Recovery Plan, taglio delle tasse, ripresa del mercato del lavoro, misure per l’ambiente.
Qualche preoccupazione per l’”intralcio” nei tempi di formazione del governo a causa dei Cinquestelle (ma il problema, certo, è a casa della ex maggioranza giallorossa). Smentita dagli entourage l’indiscrezione che il Capitano abbia chiesto “consigli” sul Ppe. Spazio anche per qualche digressione sulla ristrutturazione della villa sull’Appia, un giro del giardino, due chiacchiere sul Monza Calcio e sul campionato. Foto della Ronzulli, che inquadrano anche Marta Fascina, la deputata compagna di Berlusconi.
Poi sequela di riunioni su Zoom per “blindare” la svolta governista. Il Cavaliere arringa governatori ed eurodeputati; Salvini i senatori e poi i deputati. Per la Lega feedback positivo non soltanto dalla base nordista, ma anche dagli amministratori locali e dai coordinatori regionali del Sud.
Forza Italia tra euforia tentazioni di fuga
Nel frattempo, Forza Italia è incerta tra l’euforia del ritorno in maggioranza dopo un decennio all’opposizione per una forza nata con il Dna governista (come il suo leader) e timori di competizione dalla la nuova “Lega moderata.
Nonostante l’età e la voce affaticata, l’icona Berlusconi funziona ancora. Ma non è una panacea per tutti i mali che affliggono il suo partito
Ieri a Montecitorio il Cavaliere si è goduto il bagno di folla e le parole affettuose di amici e fedelissimi. Sestino Giacomoni, Renato Brunetta, Annagrazia Calabria, Stefania Prestigiacomo, Valentino Valentini, Roberto Occhiuto, Alessandro Cattaneo, Giorgio Mulè, Matilde Siracusano, Assunta Tartaglione, Maria Tripodi.
Ma oltre metà del gruppo parlamentare mancava: vuoi per lo scarso preavviso, vuoi per lo spaesamento. Cattaneo si iscrive al club degli ottimisti: “Forza Italia ha voglia di dare vita a una fase nuova, in cui tornino competenza, autorevolezza e credibilità . Accanto alla fiducia a Draghi si tratta di rilanciare l’area liberale, eurpeista, garantista, popolare. Spetterà a noi mettere in campo un’iniziativa politica per rilanciarla”.
Quelli però che avevano un piede fuori dalla porta, rientrato soltanto grazie al Sì a Draghi, guardano ancora a Mara Carfagna e alla prospettiva di un nuovo soggetto politico di tendenza centrista.
(da “Huffingtonpost”)
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Febbraio 10th, 2021 Riccardo Fucile
LANDINI PROVA A FIDARSI, MA E’ UNA FIDUCIA A VISTA: A SUO TEMPO PRESE UN BIDONE DA RENZI CHE NON MANTENNE LE PROMESSE
In quasi un’ora di faccia a faccia nella sala della Lupa di Montecitorio, l’unica promessa su cui Mario Draghi si sbilancia con i segretari generali di Cgil, Cisl e Uil è quella del metodo. Dove per metodo si intende la disponibilità a un confronto che va oltre il perimetro delle consultazioni. Insomma – è la promessa – quello di oggi non resterà un incontro isolato, spot, necessario per tirare dentro il consenso di una parte importante del Paese ora che il governo deve nascere.
Ma il tabellino dell’incasso dei sindacati si ferma qui. Il premier incaricato ascolta, parla poco, si fa aiutare da due assistenti nel prendere appunti, ma non dà indicazioni sulla questione più delicata, quella dei licenziamenti.
E per questo Maurizio Landini non può fare altro che spostare il giudizio più in là nel tempo, auspicando che il confronto “si sviluppi” appena il governo avrà giurato.
Quella della Cgil nei confronti di Draghi è una fiducia a vista, che ha bisogno di sostanziarsi quantomeno di un’indicazione da parte di Draghi.
Solo che la prima questione – prorogare o meno lo stop ai licenziamenti che scade il 31 marzo – va presa praticamente subito ed è talmente indefinita, almeno nel silenzio odierno di Draghi, che altro non si può fare che aspettare.
Capire, cioè, se il dialogo promesso può sfociare in una vera e propria concertazione, in un tavolo intorno a cui ci si siede e si tratta, o invece si partirà da un disegno calato dall’alto su cui i sindacati avranno poco spazio per intervenire.
E per questo quella di Landini è tutto tranne che un’infatuazione nei confronti dell’ex presidente della Bce. La posta in gioco è così alta, così vicina e soprattutto così rischiosa, che lanciarsi in un abbraccio troppo stretto rischia di rivelarsi beffardo e pericoloso.
Anche perchè dall’altra parte del campo, quello in cui gioca Confindustria, a tutto si pensa tranne che alla proroga generalizzata del blocco dei licenziamenti che la Cgil, insieme a Cisl e Uil, ha invece messo sul tavolo di Draghi.
È vero pure che la richiesta non è “sine die”, è vero cioè che un punto di mediazione potrebbe essere un allungamento fino al 30 giugno, con una riforma degli ammortizzatori sociali in campo e in grado di rendere meno duro il colpo dello sblocco dei licenziamenti per i lavoratori.
Ma è altrettanto vero che i sindacati chiedono una proroga generalizzata, mentre la selettività (solo per le aziende più colpite) è il punto massimo a cui le imprese potrebbero arrivare in termini di apertura.
E poi c’è la questione intrecciata dell’allungamento della cassa integrazione Covid, uno dei due pilastri, insieme allo stop dei licenziamenti, che sta proteggendo il mondo del lavoro da marzo dell’anno scorso. Che fine farà ? Anche qui prende forma un’incognita dato che Draghi ha più volte sottolineato che i sussidi vanno rivisti. Anche qui la selettività potrebbe essere il principio politico che ispirerà le nuove e attese decisioni.
E poi c’è un precedente, in termini di eccesso di entusiasmo, che la Cgil ricorda. L’idillio iniziale tra Landini e Matteo Renzi, poi naufragato con il Jobs Act. Una scena spiega bene il debutto. È il 12 dicembre 2013, due mesi dopo Renzi sarà a palazzo Chigi da premier. I due si incontrano a Firenze, a una mostra fotografica sulle lotte operaie organizzata dalla Fiom locale alla biblioteca comunale delle Oblate. “Poi ci sentiamo via sms per il Jobs Act. Noi ci siamo quasi. Voi siete pronti, no?”, dice l’allora leader del Pd a Landini.
Renzi allora aveva l’esigenza di cambiare il partito, Landini il sindacato. Arriva anche la promessa di una legge sulla rappresentanza, in cima ai desiderata delle organizzazioni dei lavoratori. Ma quando si passa ai fatti, l’idillio naufraga.
E c’è un passaggio che tira in ballo anche Draghi. Il 13 agosto 2014 Renzi arriva di buon mattino a Città della Pieve, dove l’allora presidente della Bce ha una casa, tornata alla ribalta in questi giorni perchè scelta come residenza fissa. Le ricostruzioni di allora parlavano di una spinta a fare le riforme sollecitate dall’Europa. A iniziare da quella del lavoro. Il Jobs Act arriverà qualche mese dopo. Da allora le strade di Renzi e di Landini si sono separate.
Ritornando all’oggi, la fiducia di Landini nei confronti di Draghi contempla anche un altro banco di prova. La materia, qui, è più larga. Landini dal podio della Sala della Regina dopo l’incontro con Draghi: “Se si vuole costruire un clima di coesione allora bisogna dire che i giovani sono anche figli di migranti e se si vuole creare un clima di coesione diverso serve che chi nasce qui o ha studiato qui abbia gli stessi diritti di cittadinanza di tutti gli altri”. La Cgil chiede lo ius soli. A un premier incaricato che si appresta a formare un governo con dentro la Lega, fermamente contraria.
(da “Huffingtonpost”)
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Febbraio 10th, 2021 Riccardo Fucile
“AVER FATTO DIDATTICA A DISTANZA NON SIGNIFICA AVER PERSO DEL TEMPO”
No a una rimodulazione del calendario scolastico per recuperare i giorni considerati “persi” a causa dello stop per la diffusione del contagio da Coronavirus.
Su quasi 13 mila insegnanti coinvolti in un sondaggio condotto da Orizzonte Scuola, oltre 11 mila si sono detti contrari all’idea di fare scuola fino a giugno o oltre, dopo che l’indiscrezione su un possibile prolungamento era già iniziata a circolare. Solo poco più di 1.500 hanno invece accolto l’ipotesi positivamente.
«Quindi lavorare a distanza le stesse ore in cui si lavorerebbe a scuola sarebbe tempo perso? Basta saperlo e smetto di collegarmi quando ho lezione, di passare le serate a preparare materiali e slide, di correggere valanghe di compiti perchè fare le verifiche online è impossibile, di fare le interrogazioni al pomeriggio per non impegnare le ore al mattino (usando il mio tempo libero)», ha scritto un’insegnante su Facebook, evidentemente contraria all’idea.
Il malcontento, nel caso l’ipotesi andasse in porto, ha investito pure gli studenti. «Recuperare a giugno-luglio, oltre che essere impossibile per le tempistiche di esami di maturità e test d’ammissione all’università , equivarrebbe a dire che in questi mesi abbiamo scherzato», ha scritto sui social una ragazza.
«Se si vuole recuperare, allora non si fa nulla nè Dad, nè attività asincrone. Riposo», ha aggiunto. Un altro, invece: «Non abbiamo nulla da recuperare: si fa lezione ogni giorno per 6/7 ore in Ddi ed a giugno iniziano gli esami di maturità ! La calura è talmente alta, che gli orali si svolgono in un’agonia senza fine!».
Secondo quanto segnala il Sole 24 Ore, con Mario Draghi al governo, due saranno le urgenze per il mondo della scuola. La prima riguarda le cattedre vacanti da coprire con supplenti, l’altra è appunto rivedere il calendario delle lezioni. Sul calendario scolastico, in particolare, sono due le opzioni. O prevedere una chiusura d’anno più lunga, fine giugno o anche luglio. Oppure inserire turni pomeridiani in corso d’anno. La decisione spetterà comunque alle Regioni.
(da agenzie)
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Febbraio 10th, 2021 Riccardo Fucile
PER CHI CERCA COSA NON STA FUNZIONANDO CITOFONI AI LEGHISTI LUMBARD
In Lombardia ci sono i medici di serie A e quelli di serie B: quelli a cui il vaccino è stato già somministrato, e quelli che invece non sono ancora in lista.
Stiamo parlando dei medici fiscali, che -tra l’altro- sono fra quelli che operano con maggior rischi, perchè a domicilio e in presìdi non sanitari.
Insomma, il modello lombardo sembra che abbia ancora qualche sassolino nell’ingranaggio, dato che viene sempre portato sul palmo di mano dalla Lega di Matteo Salvini, e dagli amministratori del Pirellone, il governatore Attilio Fontana e la sua vice Letizia Moratti, ma che spesso si scontra con la realtà .
Come non citare poi Guido Bertolaso, chiamato per il piano vaccinale lombardo, che ha già avuto il primo stop da Roma.
Insomma, per i medici fiscale niente vaccino, almeno per un po’. Come anche niente mascherine e Dpi, che in quanto liberi professionisti devono procurarsi da soli.
Scrive Il Fatto quotidiano:
I medici fiscali, liberi professionisti al servizio dell’Inps, non avranno il vaccino fino a marzo. Nonostante ogni giorno visitino lavoratori in malattia. “È una discriminazione incomprensibile -protesta nell’anonimato uno di loro- ogni mese facciamo circa 140 visite, entrando nelle case di malati, stando a contatto con loro, i familiari, i conviventi. Siamo esposti al rischio. Però il Pirellone si è dimenticato di noi. E intanto si vaccinano gli amministrativi e i loro figli…”.
Nessun medico fiscale milanese è stato vaccinato, a differenza dei loro colleghi in altre regioni. Oltretutto l’Inps, che li paga a visita effettuata, non ha fornito nè mascherine nè camici. “Li dobbiamo cambiare dopo ogni visita, con una spesa di circa 1.000 euro al mese! E poi noi non visitiamo in studio, dove si usano tutte le norme di sicurezza, andiamo noi dai pazienti. A volte troviamo stranieri che vivono in quattro in un monolocale e non possiamo obbligare nessuno a indossare le mascherine”. L’unica arma che resta è rifiutarsi di visitare, “ma così non ci pagano. Ho scritto anche all’assessore Moratti, non ci ha mai risposto nessuno”.
(da agenzie)
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